Festa del Cinema l’America si racconta

Dopo il film d’apertura “Moonlight”, l’incontro di Tom Hanks con il pubblico e il “j’accuse” di Oliver Stone con il suo “Snowden”

Inizio tutto a stelle e strisce, il Direttore della Festa del Cinema giunta all’undicesima edizione ha voluto spostare l’obiettivo virtuale della cinepresa sul teatro del prossimo duello per le presidenziali. E c’è riuscito benissimo.

Tom Hanks durante l'incontro con la stampa (foto esclusiva di Pomezianews)

Tom Hanks durante l’incontro con la stampa (foto esclusiva di Pomezianews)

Tom Hanks nell’incontro con il pubblico non si è sottratto alle domande sull’argomento del momento e non si è proprio risparmiato nei giudizi. Pur senza esser tranciante come lo è stato Robert De Niro ha detto però che: «ogni quattro anni il nostro paese organizza questo teatrino di cui tutti ancora si sorprendono» E alla richiesta di come il nome di Trump possa esser arrivato fin lassù, con un sorriso disarmante ha semplicemente detto: «del resto qui avete avuto Berlusconi…» Ma poi la discussione ha percorso quello per cui Hanks è qui: il Cinema. La sua carriera, ripercorsa qui all’Auditorium in una retrospettiva gratuita e il mestiere di attore. «Non ho mai scelto i copioni in base alle convenienze, ma per quello che i personaggi mi riportavano come emozioni. Faccio sempre la parte del buono perché i cattivi sono in genere caratterizzati anche fisicamente, ed io non mi ci vedo a fare la parte del violento, non ne ho il fisico». Un incontro emozionante soprattutto per la disponibilità e l felicità di esser a Roma che ha ribadito più volte, felicità ricambiata dai romani e dalla Festa che gli ha consegnato un premio alla carriera.

E poi i film.

Moonlight” di Barry Jenkins ha aperto la gara, un film duro e poetico, che racconta le vicissitudini e il destino segnato di un bambino poi diventato uomo nei sobborghi di una Miami irriconoscibile per povertà e degrado. Un film che si perde nei meandri della storia con cui era partito, forse troppo narcisista nella messa in scena ossessionato com’è dalla ricerca della lirica. Quello che rimane è una prova degli attori eccezionale, con un protagonista assoluto: Mahershala Alì, volto che ruberebbe la scena in un film di Tarantino.

Locandina del film

Locandina del film

L’altro pezzo d’America lo porta a Roma niente di meno che Oliver Stone, che ha regalato grande cinema tributato da applausi convinti con il suo “Snowden”, l’incredibile storia di un rampante informatico al servizio della CIA che farà scoprire una fitta rete di controllo mondiale dei dati dei cittadini di tutto il mondo. Un film celebrale, tecnologico ma di grande impatto visivo, un’opera destinata a rimanere nella storia del Cinema e nella Storia, spiazzandoci per l’evidenza della fragilità delle nostre vite private, in mano e nei server di servizi di spionaggio che tutto possono e tutto fanno (e dopo le rivelazioni di Snowden forse non potranno più fare).

Un film imperdibile, come è imperdibile l’atmosfera che qui si respira, piena di musica da film sui viali e di tanti, tantissimi bambini e ragazzi rapiti dal giocoso programma di “Alice nella città“.

Biglietti che stanno andando a ruba, ma i film sono tanti, c’è posto per tutti, non mancate.

Mauro Valentini

Una scena di Moonlight

Una scena di Moonlight




Il Ponte delle spie

Locandina del film

Locandina del film

Un uomo dipinge placido, guardando la vita che scorre sotto la finestra del suo appartamento di Brooklyn. Sembra un personaggio di nessun interesse, eppure quello è Rudolf Abel, è una spia sovietica in seno agli Stati Uniti nel periodo più buio della storia del mondo post guerra mondiale: il 1959. L’arresto sarà eclatante e dato in pasto ad un’opinione pubblica terrorizzata e già addestrata ad una possibile guerra atomica. Inizia così “Il ponte delle spie”, ventinovesima pellicola nata dal genio di Steven Spielberg. Il “Re Mida” del cinema di fine secolo ritorna in quella che sembra la prosecuzione amara del suo “Salvate il soldato Ryan” datato 1998. Alla fine di quel film, alla fine della II° Guerra Mondiale, il sacrificio di Ryan e di tutti quei soldati morti per liberare l’Europa dal nazismo sembrava aver portato il ristabilimento della pace assoluta tra i popoli, eppure, solo dopo 15 anni tutto sembra sull’orlo del precipizio, con in più la minaccia nucleare.

Rudolf Abel, la spia, viene dunque incarcerato, non collabora, non parla. Come tutte le spie. E mentre tutti ne chiedono a gran voce la pena di morte, la Corte Federale concede la difesa d’ufficio all’avvocato Donovan, idealista, molto preparato e figlio dell’America libera e democratica, che ha il volto, proprio per rimarcare quel sottile filo rosso recuperato da Ryan, di Tom Hanks.

E qui il nostro racconto si ferma, perché è impossibile dire molto di più della trama senza toccare le corde vive di una vicenda che va molto aldilà della “Spy Story”, intrisa com’è di spunti politici più ampi e di storie intime. Il nostro Eroe avvocato si troverà al centro di una trattativa che si svolgerà a Berlino, al culmine di quella crisi che porterà da Est i soldati russi e della DDR ad alzare il muro. Un muro culturale oltre che di mattoni, un muro che ci ricorda che la guerra c’è da sempre e che, forse, l’eredità del “secolo breve” è stata soltanto una lunga scia di guerra di posizione ideologica e di terrore.

Nel cast oltre allo strepitoso Tom Hanks, al massimo della sua carriera così ricca ci sono Amy Ryan, brava e commovente, che con un cognome così non poteva che esser la moglie di Hanks/Donovan, poi Dakin Matthews, personaggio molto televisivo e popolare e l’ottimo Alan Alda. Anche se il duetto tutto ricco di sguardi d’intesa che Hanks instaura con Mark Rylance (la spia Abel), è di quelli che vanno annoverati tra i migliori della storia del cinema e non solo per merito di Hanks. La ricostruzione della fredda Berlino del 1961 da sola varrebbe già il biglietto al botteghino dei cinema, con una musica e una fotografia da kolossal, ma Spielberg non gira solo un grande film, lui come sempre va oltre l’ostacolo, parlando al cuore libero di ognuno di noi, per gridare ancora una volta, l’ennesima nella sua filmografia, che si può e si deve dire basta ai conflitti. Che si può vivere in pace.

Mauro Valentini