Alice attraverso lo specchio

locandina del film

 

Ogni qual volta si nomini Alice nel Paese delle Meraviglie…

…in ognuno di noi scatta un’immagine ben precisa. Chi lo fa con il romanzo originale di Lewis Carroll, chi con il cartone animato della Disney, o chi con l’ultima trasposizione cinematografica diretta da Tim Burton. Ora, sei anni dopo il successo al botteghino del film, arriva al cinema il seguito, Alice attraverso lo specchio. Ritroviamo quindi una Alice (Mia Wasikowska) capitana della Wonder e intenta a navigare in mezzo ai mari, arrivando fino in Cina. Una volta rientrata a Londra, però, scopre che il suo ex fidanzato Hamish Ascot (Leo Bill) ha preso in mano la compagnia del defunto padre, ma prima di trovare una soluzione, segue una farfalla, che riconosce nel Brucaliffo, e si ritrova nuovamente nel Sottomondo. Qui viene accolta dalla Regina Bianca (Anne Hathaway) e dalle altre creature, ma ben presto scopre che il Cappellaio (Johnny Depp) ha perso la sua Moltezza. Per aiutarlo Alice dovrà tornare indietro nel tempo e salvare la sua famiglia.

Alice attraverso lo specchio si affida alla regia di James Bobin, dopo che Tim Burton si è riservato il “solo” compito di produttore. Basato sull’omonimo seguito scritto da Carroll, il film ricrea le stesse atmosfere del precedente, sia per affinità stilistica sia per volontà della stessa Disney di dar una continuazione evidente e rimarcata. A partire dal cast, quindi, ritroviamo tutti i protagonisti, da Mia Wasikowska a Johnny Depp, da Anne Hathaway a Helena Bonham Carter, a cui si aggiunge il nuovo entrato Sacha Baron Cohen. Ed è proprio lui, impersonando il tempo, a dettare il ritmo del film. Tutto ruota, infatti, tra passato, presente e futuro, evidenziando quanto importante sia il corso degli avvenimenti, anche nel paese delle meraviglie, e quanto stravolgerlo possa essere pericoloso. Come la tradizione vuole, però, non mancano le creature inventate dall’immaginazione di Carroll, e neanche la stravagante Regina di cuori, ma questa volta il risultato finale è condizionato da una sceneggiatura debole che ne influenza tutto il film. Peccato, perché indubbiamente c’erano i presupposti, quantomeno, per ripetere l’opera precedente. Sta di fatto, però, che Alice attraverso lo specchio si perde nel suo stesso Sottomondo e nulla possono neanche Mia Wasikoska e Johnny Depp: a quest’ultimo non è perfino concessa la sua amata “deliranza”.

Martina Farci




Big Eyes – Tim Burton racconta l’illusione di Keane

Tim Burton torna nel mondo degli umani, anzi, racconta dopo venti anni dal meraviglioso Ed Wood un’altra storia vera eppur incredibile, l’epopea familiare, artistica e legale dei coniugi Keane e dei loro meravigliosi “Big Eyes”.

La pittrice Margaret Ulbrich (raccontata nel film dalla voce narrante dal cronista Dick Nolan) nella puritana California degli anni ’50 fugge dal marito con la figlia piccola, per approdare a San Francisco, città viva e vivace già allora. Margaret si mantiene facendo ritratti per la strada, tutti con una caratteristica: quella di aver occhi enormi, espressivi e spudoratamente invasivi. Ha talento Margaret, se ne accorgono tutti, anche quel filibustiere di nome Walter Keane, di professione agente immobiliare ma che arrotonda cercando qualcuno che si compri le sue vedute di Parigi, che dipinge senza passione e con tecnica scolastica.

Amy Adams

Amy Adams

Walter si innamora di Margaret ( o del suo talento?) e la sposa immediatamente, cercando di aiutarla nel far conoscere i suoi quadri. Sarà poi l’astuzia di Keane ed il caso a far precipitare i loro rapporti mentre i quadri con la firma “Keane” dipinti da Margaret ma venduti come fossero di Walter cominceranno a riempire le riviste e le pareti di mezzo mondo.

Un film si è detto Hollywoodiano, un cocktail di colori, grande musica, scenografia e costumi splendidi, Tim Burton conosce il mezzo, ha l’arte del racconto e nessuno dei 114 minuti del film ha il marchio della banalità.

Locandina del film

Locandina del film

Eppure qualcosa in quest’opera segna il passo; salta all’occhio proprio questa estrema cura che snatura il cinema di Burton, ne frena l’ardore e lo rende omologato lui che è il genio e la sregolatezza in persona.

La delusione più grande però ce la riserva il protagonista Christoph Waltz, finora osannato dalla critica per le sue meravigliose performance Tarantiniane, ma che lontano dallo sguardo folle e geniale di Quentin mostra tutti i suoi limiti, che sono davvero tanti. Waltz restituisce un Keane troppo ammiccante, teatrale e grottesco che alla terza battuta e al secondo sguardo fintamente sorpreso stanca ed indispettisce.

Anche qui come nel sopravvalutato “Carnage” di Roman Polanski, l’attore viennese appare non all’altezza del compito, mentre è bravissima Amy Adams che come in Her e The Master si cala con i suoi occhioni (tanto per rimanere in tema con il film) nel poliedrico personaggio di Margaret con picchi di intensità emotiva che lasciano il segno.

Nota finale per la musica fluida e placida di Danny Elfman, che accompagna da sempre il genio di Burton mentre incanta l’elettro-pop di Lana Del Rey, che con la canzone tema del film si avvia a vincere il Golden Globe e forse l’Oscar.

Keane

Keane