MINERVA TRITONIA

Minerva Tritonia V sec. a.C. Wikicommons

 

La Minerva Tritonia

 

Fascino arcaico e sensuale al Museo Archeologico Lavinium

 

Se stai al mare sulle coste di Torvaianica o se ti aggiri in zona per i più diversi motivi, potresti provare

un’emozione forte e sensuale, arcaica e terribile percorrendo solo pochi chilometri.

Sì, un incontro speciale è pronto per te se ti recherai presso il Museo archeologico Lavinium, a Pratica di Mare, presso Pomezia.

Varcando la soglia del museo, ti accorgerai ben presto di essere entrato in uno scrigno preziosissimo, i cui tesori meritano tutti di essere conosciuti e approfonditi.

Ma il particolare fascino arcaico e sensuale che ti colpisce è tutto concentrato in lei e da lei promana.

 

Lei, Minerva Tritonia

Lei è Minerva, ovvero la greca Pallade Atena, dea della Sapienza e della Strategia bellica, dea protettrice e terribile al tempo stesso.

Lei è qui che aspetta il solerte turista così come il pigro bagnante, il fine studioso come la famiglia di passaggio, le scolaresche come i gruppi in visita culturale, per lasciare in ciascuno il segno di un incontro indimenticabile.

Si tratta di una statua chiara in terracotta con tracce di colore, del V sec. a.C.

È chiamata Minerva Tritonia perché al fianco, la accompagna un tritone, elemento molto raro nelle rappresentazioni di Minerva, che si riferisce a una leggenda poco nota, secondo cui la dea sarebbe stata allevata vicino a un fiume chiamato Tritone.

 

Minerva Tritonia. Ass.Rotta di Enea

 

Virgilio

Il particolare del tritone ci riporta al poeta Virgilio.

Egli nell’undicesimo libro dell’Eneide ci dona i bellissimi versi di invocazione alla dea, chiamandola

“Armipotens, praeses belli, Tritonia Virgo”, cioè “Vergine Tritonia, potente di armi, dea della guerra”.

Gli occhi di Virgilio, mentre cercavano l’ispirazione per creare l’Eneide, che scrisse tra il 26 e il 19 a.C., devono aver visto proprio questa statua di Lavinium, che si presenta con il tritone, suo rarissimo attributo.

 

Ventisei secoli di vita

Realizzata nel V sec. a.C., la Minerva Tritonia ha oggi 26 secoli.

Fu a lungo regina del suo santuario che qui sorgeva per accogliere i cosiddetti

riti di passaggio:

fanciulli e fanciulle lasciavano qui la loro infanzia, simboleggiata da giochi e oggetti da bambini, per accedere all’età adulta, al matrimonio, alla fecondità sotto lo sguardo e la protezione della dea.

Circondata da moltissime statue ex-voto, Minerva venne infine sepolta in un deposito votivo, quando il santuario fu abbandonato, per ragioni sconosciute.

Finchè, alla fine degli anni settanta, fu ritrovata in pezzi, insieme ad altre circa cento statue conservate nel medesimo deposito e fu accuratamente restaurata dalla professoressa Maria Fenelli, che da poco ci ha lasciato.

Una targa, posta quest’anno, in occasione del 17° anniversario dell’apertura del Museo archeologico Lavinium, ci riporta proprio le commosse parole di Maria Fenelli in merito al ritrovamento della Minerva Tritonia:

“La statua è entrata nella mia vita la mattina di un sabato di ottobre 1977, quando ne sono emersi dalla terra i primi frammenti e non ne è più uscita.”

 

Minerva Tritonia, gorgoneion. picasa

 

Fantastici dettagli

Ora onoriamo Minerva Tritonia osservando i fantastici dettagli, che rappresentano i tipici attributi della dea.

Ha un alto elmo imponente.

Indossa una corazza ornata da squame, con al centro il gorgoneion, cioè la testa della gorgone medusa.

Reca un grande scudo ovale profilato da serpenti, quadrupedi e uccelli e inciso esternamente da crescenti lunari.

E’ fasciata da un sensuale chitone (antica veste leggera) che scende in fitte pieghe fino ai piedi calzati da sandali.

Il tritone, al suo fianco, ci richiama la virgiliana Tritonia Virgo di cui abbiamo parlato.

E così, come Virgilio, hai l’onore anche tu di riporre nella tua memoria una delle più belle emozioni che ci possa regalare un mondo così arcaico e quasi del tutto perduto.




La banca nell’antica Roma

Parlare di banca e di moneta oggi evoca un mondo finanziario complesso e spesso tortuoso, nel quale potresti facilmente perderti.

Eppure si tratta di concetti che ci appartengono e hanno accompagnato l’umanità da un certo punto dell’evoluzione sociale, senza abbandonarla più.

A Roma, sul Campidoglio esisteva, fin dal IV sec. a.C. il tempio di Giunone Moneta, l’Ammonitrice (dal verbo monére).

Circa un secolo dopo, nei pressi del tempio, venne edificata la prima Zecca (nella zona della basilica di Santa Maria in Aracoeli), proprio sotto la protezione di colei che ammonisce e desta l’attenzione di fronte ai pericoli.

Così il popolo iniziò a chiamare Moneta il tempio, la stessa Zecca e poi i pezzettini di metallo che vi si producevano.

Fin da allora il termine “moneta” cominciò a rivelare la sua vocazione ed è riuscito a mantenere vivo fino a noi quel profondo antico monito che si dovrebbe sempre affiancare al concetto di ricchezza, al fine di evitarne un uso distorto…

Va detto che la moneta antica era particolarmente vulnerabile, facile oggetto di abusi e frodi. Eppure essa rappresentò il mezzo di scambio internazionale più duttile ed efficiente.

Ogni barriera politica e geografica veniva superata dal potere d’acquisto delle monete anche fuori dai loro confini di emissione

In tale contesto si forma e si sviluppa la professione del cambiavalute, che si diffonde rapidamente dal mondo greco verso i centri più attivi commercialmente.

 

 

Una prima notizia della presenza di un cambiavalute (argentarius) nel Foro Romano risale alla seconda metà del IV sec. a.C.

Fin da allora si registra un’intensa attività commerciale e un cospicuo flusso di monete doveva passare di mano in mano. E’ un’epoca di crisi della vecchia società agricola e Roma si affaccia ai commerci mediterranei. Ecco che si ristruttura il Foro e molte taberne e botteghe si trasformano in uffici di cambiavalute, come testimonia Varrone.

Lo stesso Vitruvio, architetto e scrittore, illustra l’ideazione dei maeniana, ballatoi progettati da C. Maenius (318 a.C.),  sottolineando che i sottostanti portici erano utili per ospitare le attività gli argentarii.

Ed è facile immaginare il brulichio nel Foro, dove fervevano incontri d’affari, stipulazioni di contratti, rumorosi contenziosi…

Anche Tito Livio cita le tabernae argentariae in un Foro ormai divenuto autentico fulcro di affari economici internazionali. Intorno a tale potente fulcro si animava anche l’attività dei nummularii, esperti nel saggiare l’autenticità delle monete.

Gli argentarii giunsero a collocare le proprie mensae (tavoli, banchi) in tutti i luoghi dell’Impero: genti straniere garantivano un enorme afflusso e movimento di moneta e quindi lauti guadagni.

Una preziosa testimonianza della prosperità di questa categoria è l’Arco degli Argentarii, conservato in quanto incastrato tra le strutture esterne della chiesa di San Giorgio in Velabro, nei pressi della Bocca della Verità. Eretto in onore dell’Imperatore Settimio Severo, della consorte Giulia Domna e dei figli Caracalla e Geta, conserva una importante curiosità: il volto di Geta appare abraso, a testimonianza della damnatio memoriae cui lo sottopose, dopo averlo ucciso, il fratello Caracalla, la cui ambizione era essere imperatore unico e senza rivali.

 

 

Come sappiamo, la moneta antica aveva un valore intrinseco reale: argento, oro, bronzo avevano un’evidente differenza di valore commerciale che portò ad una loro specializzazione sociale. Alle grosse operazioni finanziarie si accedeva con oro e argento, mentre il bronzo, il rame e l’oricalco erano dedicati ai “vilia ac minuta commercia”.

 

L’archeologia ci fornisce un valido aiuto per capire i meccanismi di distribuzione, circolazione, attribuzione di valore delle varie monete, grazie al ritrovamento di vari “gruzzoli” di monete greche o dell’Italia antica restituiti dal sottosuolo. Si riscontra spesso, ad esempio, la presenza, in uno stesso gruzzolo, di esemplari provenienti da differenti centri. Era probabilmente una regola costante, per i più abbienti, maneggiare denaro “straniero”.

 

 

Monete in rame, bronzo o leghe sono nettamente distinte da monete di metallo nobile, spesso custodite o occultate come le argenterie e i gioielli.

Sappiamo che la moneta d’argento romana è il denario, il quale resterà per secoli alla base della monetazione successiva.

Testimonianza ultima del ruolo fondamentale rivestito da questo nominale è il nostro termine denaro, a dimostrazione del perpetuarsi della sua fama dal Medioevo ai giorni nostri.

Il denario traeva il suo nome dall’originario valore di 10 assi e mantenne tale nome, nonostante una rivalutazione, intervenuta in seguito, che lo equiparò al valore di 16 assi.

La sua emissione è da mettersi in relazione al forte impegno economico che Roma dovette sostenere per combattere contro i Cartaginesi.

Anche quando il denario non fu più emesso con regolarità, fu ancora usato come unità di conto.

L’ultima eredità del denario sopravvive nel nome arabo di una moneta, il dinar, coniato nel secondo decennio dell’VIII secolo, e spesso ancora utilizzato per indicare la propria moneta da diverse nazioni arabe.

L’aureo d’oro valeva 25 denari e non era frequentemente usato nelle transazioni comuni, a causa del suo alto valore: si pensa, ad esempio, che fosse usato per pagare gratifiche alle legioni alla salita al potere di un nuovo imperatore.

L’aureo era approssimativamente dello stesso formato del denario, ma più pesante a causa della più alta densità dell’oro.

Generalmente, si ritiene che il vero e proprio aureo sia stato emesso nel 49 a.C. da Giulio Cesare, raffigurante la testa di Venere o della pietà al diritto.

Prima di Giulio Cesare l’aureo, quindi, è stato battuto molto raramente, solitamente per grandi versamenti provenienti dai bottini catturati.

Costantino I introdusse il solido (solidus) nel 309: ecco l’origine del nostro termine soldi.

Il solido si diffuse soprattutto nell’Impero d’Oriente.

In quel periodo nell’Impero d’Occidente si assiste a una lenta decadenza e, incredibile a dirsi, dai fasti delle monete, del denaro, dei soldi si fece spazio l’antico metodo del baratto…

 

 

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli