Il Flauto Magico

IlFlauto Magico (in lingua: Die Zauberflöte) è un’opera composta nel 1792 da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder.
Mozart, che da tempo era malato, trovò un fortissimo senso di soddisfazione grazie all’immediato successo che ebbe l’opera nel grande pubblico.
Fu infatti la sua ultima opera.

L’opera è divisa in due atti ed è in forma di “singspiel” ovvero una forma popolare tedesca che univa i dialoghi parlati al canto.
Questo modello aveva origina dai commedianti tedeschi (nasce a Vienna e poi si diffonde anche in Germania) che all’interno dell’opera musicale solevano inserire canzoni popolari.

Tre potenti accordi ripetuti tre volte aprono le danze: questo tema musicale ritorna tre volte (tre damigelle, tre geni, tre schiavi, tre sacerdoti e le tre prove) e ha dato agli studiosi motivo di pensare che fosse un’opera che celava un significato massonico data la ripetizione del numero tre, che era sacro appunto per la massoneria.

La storia, in breve, racconta le vicende del principe Tamino il quale, aiutato da Papageno, supera numerosi ostacoli per liberare Pamina, la sua amata.

ATTO I

Tamino incontra tre donne mentre fugge da un serpente.
Le donne lo aiutano a salvarsi: sono le dame della regina della notte. Lo introducono così alla regina, Astrifiammante, la quale è disperata per la scomparsa della figlia Pamina, rapita da Sarastro.

Tamino, che vede un ritratto della giovane e subito se ne innamora, decide di andarla a cercare con l’aiuto di Papageno. Le tre dame consegnano al principe un flauto magico e Papageno un carillon.

Da qui iniziano le numerose sfide che i due sono costretti ad affrontare per la strada verso il Tempio di Sarastro, dove è imprigionata la bella Pamina.
Papageno giunge per primo al tempio dove trova Pamina, prigioniera di Monostato, il carceriere.
Tamino nel frattempo giunge ai Tre Templi (Natura, Ragione e Saggezza) dove incontra un sacerdote che cerca di fargli cambiare idea sulla cattiveria di Sarastro.
Tamino è così sconcertato che viene trascinato via e portato al cospetto di Sarastro stesso che lo libera e lo obbliga a purificarsi per poter entrare nel suo regno.

ATTO II

Inizia la prima prova: stare in silenzio qualunque cosa accada. Nel frattempo la regina della notte giunge da Pamina, chiedendole di uccidere Sarastro con un pugnale.
Monostato, servo di Sarastro, ascolta tutto e le minaccia, ma in quel momento giunge Sarastro, il quale spiega che solo l’amore può condurre alla verità, e non la vendetta.
Pamina tenta dunque di parlare con Tamino (che, ricordiamo, al momento non può parlare!) e credendolo non più innamorato di lei, tenta il suicidio.
Scopre poi, grazie a tre ragazzi, lo scopo della prova. Così, terminata la prima prova, alla quale ne seguiranno altre due superate con successo: l’attraversamento dell’acqua e del fuoco.

Infine, Astrifiammante, Monostato e le tre dame si uniscono per sconfiggere Sarastro. Un terremoto fa inabissare tutti, celebrando così la vittoria del bene sul male.




La Tosca di Puccini

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Giacomo Puccini (1858-1924) è stato un compositore italiano, considerato uno dei più grandi esponenti dell’opera lirica del suo tempo.
Nato a Lucca, in Toscana, Puccini proveniva da una famiglia di musicisti e iniziò la sua formazione musicale con suo padre e con altri insegnanti di Lucca.

Dopo aver studiato al Conservatorio di Milano, Puccini debuttò nel 1884 con l’opera “Le Villi”.
Tuttavia, la sua fama internazionale arrivò con la messa in scena di “Manon Lescaut” nel 1893 e poi con le successive opere “La Bohème” (1896), “Tosca” (1900), “Madama Butterfly” (1904), “La Fanciulla del West” (1910) e “Turandot” (1926, incompiuta).

Le opere di Puccini si caratterizzano per l’originalità delle melodie, la ricchezza dell’orchestrazione e la forza emotiva delle storie.

Il compositore era particolarmente attento alla rappresentazione dei personaggi femminili, che hanno spesso un ruolo centrale nelle sue opere.

La sua musica ha avuto un grande impatto sulla cultura popolare, influenzando il cinema e la musica leggera.
Anche oggi, le sue opere continuano ad essere rappresentate nei teatri di tutto il mondo, attirando un vasto pubblico di appassionati di musica lirica.

La Tosca

 

La Tosca di Puccini è un’opera lirica in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, basata sulla pièce teatrale “La Tosca” di Victorien Sardou.

La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900, ottenendo un enorme successo di pubblico e critica.

La trama ruota attorno alla storia d’amore tra la cantante Floria Tosca e il pittore Mario Cavaradossi, minacciati dalla malvagia azione del capo della polizia, il barone Scarpia, che vuole possedere la Tosca per sé.

La figura di Tosca è un’immagine emblematica dell’opera romantica: una donna passionale, impetuosa e gelosa che difende l’amato fino alla morte. La sua aria “Vissi d’arte” è uno dei momenti più toccanti dell’opera, in cui la protagonista si interroga sulla giustizia divina e sulla sua stessa vita dedicata all’arte.

La vicenda si sviluppa attraverso la storia d’amore tra i protagonisti ed esplora i temi della gelosia, della vendetta, della passione e della morte.
Fulcro della trama è la congiura contro il governo francese in cui Cavaradossi è coinvolto e che Scarpia vuole sventare a tutti i costi.

Il finale, tragico, vede la morte di tutti e tre i protagonisti. Nella celebre scena finale la protagonista si getta dalla cima del Castel Sant’Angelo per evitare di essere arrestata e condannata a morte.

La Tosca è una delle opere più celebri di Puccini e viene apprezzata soprattutto per le sue arie, tra cui spiccano “Vissi d’arte”, cantata dalla Tosca, e “E lucevan le stelle”, eseguita da Cavaradossi. La partitura è caratterizzata da un’orchestrazione ricca e variegata, che sottolinea gli aspetti drammatici della vicenda.

La sua bellezza e intensità emotiva sono dovute non solo alla musica, ma anche alla trama avvincente e alle forti personalità dei personaggi.

La Tosca, dunque, è un’opera lirica di grande bellezza e intensità emotiva, con personaggi profondamente caratterizzati.
Grazie alla sua storia d’amore travagliata e alla sua forza drammatica, continua a conquistare il pubblico di tutto il mondo.




La Salomè

La figura di Salomè

Forse molti di voi hanno sentito parlare della figura di Salomè.
Ebbene, Salomè è un famosissimo personaggio biblico, la bellissima figlia di Erodiade, principessa giudaica tanto affascinante quanto terrificante ed anche una delle prime danzatrici (parleremo più avanti della sua danza dei sette veli).

La figura di Salomè ha da sempre ispirato numerose opere d’arte, dal Cinquecento fino nel Novecento – basti pensare alla formella “Banchetto di Erode” di Donatello o al celeberrimo “Salomè o Giuditta” di Gustav Klimt – ma anche di opere teatrali.

Oggi andremo a vedere, infatti, la Salomè di Richard Strauss, composta nel 1905.

Strauss basa il suo dramma sull’omonimo in francese di Oscar Wilde, tradotto in tedesco da Lachmann e riadattato dunque da Strauss per la sua opera.

Già a partire dal 1900, anno della pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni di Freud, si era sviluppato un grande interesse per la psicologia dei personaggi, famosi e non, che erano talvolta passati alla storia come “negativi”.

È il caso di Salomè.

 

La Salomè di Strauss

 

La storia di Salomè, nell’opera di Strauss, comincia con l’arrivo di Jochanaan (Giovanni Battista) nella prigione del palazzo di Erode, tetrarca di Gerusalemme.

Nella sala accanto alla cisterna dov’è prigioniero il profeta è in corso un banchetto dal quale Salomè scappa, incuriosita dalla litania continua che sente provenire dalla stanza accanto.

A guardia del prigioniero vi è Narraboth, capitano dei soldati, il quale inizialmente cerca di desistere dalla pressante richiesta di Salomè di liberare Jochanaan per farglielo conoscere.
Narraboth, tuttavia, innamorato di Salomè e ammaliato dal suo fascino, si lascia convincere.

Jochanaan viene liberato e comincia a condannare i peccati di Erode e di sua moglie, Erodiade, madre di Salomè.
La ragazza, invece, guarda affascinata il profeta dai lunghi capelli e dalle belle labbra ed immediatamente se ne innamora.

Cerca di sedurlo, di avvicinarsi, ma Jochanaan è irremovibile: la respinge.

Intanto, in disparte, Narraboth assiste a questo atto di seduzione da parte della sua amata, e non potendo più sopportare tale visione, si uccide in silenzio.

Salomè neanche se ne accorge, tant’è presa dal desiderio di baciare Jochanaan, che tuttavia la allontana ferocemente. Egli la maledice e ritorna nella cisterna, sprezzante.

Erode, Erodiade ed il loro seguito, nel frattempo, cercano Salomè.
Una volta trovata Erode offre alla giovane vino, frutta ed un posto al suo fianco, sotto lo sguardo furente della madre, ma lei rifiuta.

Solo quando le offre in cambio qualunque cosa lei desideri, Salomè accetta di danzare.

La principessa esegue questa danza perturbante, movimentata, selvaggia: i suoi veli cadono uno ad uno mentre lei volteggia estatica di fronte ad Erode.

 

Il Finale

 

Alla fine della danza Erode le chiede quale sia la ricompensa da lei voluta e Salomè, orgogliosa, risponde: la testa di Jochanaan su un piatto d’argento.

Inorridito, Erode cerca di farle cambiare idea, ma invano, ed infine le offre la testa del Battista.
Salomè, al colmo della gioia, canta, afferra la testa del profeta e bacia, finalmente, la sua bocca.

Erode, dopo tanto orrore, ordina ai soldati di uccidere la figliastra.

Si conclude così una delle storie più perturbanti, che sin dall’antichità ha il potere di destare stupore, curiosità ma anche orrore e repulsione.




L’Antigone di Sofocle

Sofocle, drammaturgo greco del V secolo a.C. di cui abbiamo già parlato in precedenza, trattando approfonditamente il suo capolavoro Edipo Re, è autore di altre numerose opere di grande successo.

Oggi parleremo insieme dell’Antigone, la quale fa parte insieme all’Edipo re e l’Edipo a Colono del Ciclo tebano, incentrato sulle vicende di Edipo e della sua dinastia.

A differenza dell’Edipo Re la cui data di composizione è sconosciuta, dell’Antigone si conosce la data della prima rappresentazione: il 442 a.C., ad Atene, durante le Grandi Dionisie.

Antigone è figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle, Polinice ed Ismene.
Quest’opera si pone in diretta continuità con l’Edipo Re; inizia perciò con la sua fine.

Edipo, cacciato da Tebe dopo aver scoperto di esser stato l’assassino di suo padre e di aver sposato la sua stessa madre, si cieca gli occhi e si esilia dalla città di cui è stato re.

I suoi quattro figli, dunque, avrebbero dovuto succedere il padre alla reggenza della città.

Tuttavia, Eteocle, il primo a ricoprire la carica di re, abusa del suo potere bandendo dalla città il fratello Polinice.
Quest’ultimo decide, perciò, di fare guerra al fratello.

Questo tema – la guerra tra Polinice e Eteocle – è il fulcro di un’altra famosissima tragedia, I Sette contro Tebe di Eschilo.

La guerra, però, non finisce bene per nessuno dei due fratelli: Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda.
Qui interviene lo zio Creonte, il quale decide che solo Eteocle può esser seppellito, poiché Polinice è divenuto un traditore della patria muovendo guerra al fratello.

Ed è in questo momento che entra in scena Antigone: personaggio dalla forte morale, emancipata dal contesto sociale, rigida e salda nei suoi ideali.
Antigone è emblema della giustizia personale rispetto alle leggi arcaiche; è l’eroina per eccellenza, portatrice di un sentimento morale molto moderno.

Infatti, Antigone confida alla sorella Ismene di voler seppellire il fratello Polinice e si assume tutta la responsabilità della sua decisione.
Ismene, al contrario, così rispettosa della legge, si rifiuta e cerca di dissuadere Antigone.

Scopriamo però, nella scena successiva, che Creonte scopre la sepoltura del corpo di Polinice e manda qualcuno a sorvegliare la sua tomba per scoprire chi è stato ad opporsi alla legge.

Antigone viene scoperta e portata al cospetto di Creonte. Quest’ultimo, adirato, la condanna a morte. Ma Antigone è ferma sul suo punto: il rito funebre va concesso a tutti gli uomini per volere delle divinità e nessuno può opporsi al loro volere.

L’atto finale è la tragicità pura: per non macchiarsi della colpa di uccidere un familiare, Creonte decide di condannare Antigone ad essere rinchiusa in una grotta dove resterà finché non troverà la morte.

Ma, senza saperlo, Creonte si è già macchiato di un crimine contro gli dèi: il rifiuto del funerale di Polinice.
L’indovino Tiresia gli ricorda questo, e così Creonte decide di andare alla grotta per salvare Antigone.

Tuttavia, giunto alla grotta, scopre cos’è accaduto.
Suo figlio, Emone, innamorato di Antigone, è andato alla grotta per salvarla, ma trovandola impiccata è impazzito di follia, giungendo a uccidersi a sua volta alla vista del padre, fautore di tutto ciò, trafiggendosi con una spada.

Dopo aver saputo di tutti questi avvenimenti, anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone, decide di darsi la morte.

L’opera si conclude con Creonte, il quale resosi conto dei peccati e dei crimini commessi, invoca gli dei di dargli la morte.




Le Tre Sorelle di Čechov

Anton Čechov nasce a Taganrog, in Russia, nel 1860.
Nonostante fosse un medico di professione, per tutta la sua vita Čechov ha coltivato l’amore per la letteratura.

Infatti, pubblica la sua prima raccolta di novelle intitolata “Le fiabe di Melpomene” nel 1884, lo stesso anno della sua laurea in Medicina.

Successivamente, dal 1887, inizia a pubblicare i romanzi più famosi – che tuttavia iniziano ad essere caratterizzati da una vena pessimistica – probabilmente in corrispondenza con i primi sintomi della tubercolosi.

Il suo romanzo più celebre è Il Gabbiano, scritto nel 1895, lo stesso anno in cui conosce Lev Tolstoj con cui instaura una profonda amicizia. Successivamente, nel 1901, sposa l’attrice Ol’ga Knipper, ma pochi anni più tardi, nel 1904, Čechov muore di tubercolosi.

Oltre a lavorare ai romanzi, Čechov scrive anche drammi teatrali, come Zio Vanja e Il giardino dei ciliegi, suo ultimo dramma prima della morte.

Le Tre sorelle è il suo penultimo dramma teatrale, scritto nel 1900 e diviso in quattro atti.

La struttura del dramma è più simile ad un monologo, dove gli atti sono slegati tra loro quasi a rappresentare dei flash che l’autore apre sugli stadi d’animo dei personaggi in scena.
Non c’è una vera e propria trama, non succede nulla di concreto.

Protagoniste di quest’opera sono tre sorelle: Ol’ga, Maša e Irina, le quali vivono una frustrata e inappagante vita in una città di provincia senza nome, sognando un giorno di poter andare via, a Mosca.

La città, Mosca, è un personaggio sempre presente ma non esistente. Rappresenta la metafora dell’agognata libertà a cui aspirano le tre sorelle, vittime dell’oblio e dell’insoddisfazione di una vita grigia.

Assieme a loro vive il fratello Andrej, uomo colto e istruito, ma che nella delusione di non aver ottenuto un posto come docente all’università sposa Nataša, una donna crudele e meschina.

Attorno alla casa delle tre sorelle gravita una brigata di militari: il barone Tusenbach, ikl colonnello Versinin, il medico Cebutinik.

Il primo atto, caratterizzato da una lentezza e da una monotonia rappresentatrici del vuoto esistenziale delle vite dei quattordici personaggi, esplora anche la loro psicologia. I lunghi tempi narrativi vanno di pari passo con i tempi oziosi che vivono i protagonisti del racconto.

Solamente durante la seconda metà del dramma esplodono un caos di emozioni: amori, delusioni, aspettative, angosce e morte.
In questo intreccio domestico, vediamo a poco a poco districarsi i fili intrecciati nella prima metà.

Ogni personaggio, infatti, trova il proprio posto: Irina decide di sposare il barone Tusenbach, che tuttavia, alla vigilia delle nozze, viene ucciso in un duello; Maša si innamorerà del colonnello Versinin struggendosi d’amore per esso, Ol’ga, invece, otterrà il posto da direttrice del ginnasio femminile che per nulla desidera.

Il quarto atto si conclude con la partenza della brigata militare e con il crollo di ogni illusione. Celebre, infatti, il grido con cui Irina sancisce l’impossibilità dell’uomo di cambiare la propria vita e la propria condizione di miseria: “ a Mosca, a Mosca!”




Il Don Giovanni di Mozart

La figura del Don Giovanni nasce nel 1630 a opera del commediografo Tirso de Molina (1579-1648) nella sua opera in versi El burlador de Sevilla y convidado de piedra e fu creata “come nient’altro che un opera edificante, e svolto senza molta arte, né profondità”.

Il suo Don Giovanni non è tanto il seduttore di cui parleremo in seguito, quanto più un burlador, un ingannatore, un abbindolatore, intento solo a godere “il materiale e momentaneo possesso di questa o quella”.

Il fulcro di quest’opera ruota attorno alla caduta di Don Giovanni culminante nella cena con la statua di pietra, che terminerà con la sua morte.

L’intento morale è chiaro: l’uomo che non si pente dei propri peccati è destinato alla dannazione.

Nel 1787 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) compose Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, un dramma-giocoso su libretto di Lorenzo da Ponte.

E sarà dunque Mozart ad analizzare e meglio interpretare la figura di Don Giovanni, non più “libertino” pentito come abbiamo visto in Tirso de Molina, bensì diabolus, ovvero colui che separa, che divide.

Ed è proprio in questo atto della separazione che risiede il potere demoniaco di Don Giovanni. Egli tiene separati i suoi nemici, soggiogandoli alla propria volontà, ma è qui che risiede anche la sua debolezza.

Come vedremo più avanti, sarà l’unione dei personaggi sue vittime a segnare la sua rovina.

L’opera è divisa in due atti: nel primo atto Don Giovanni, con l’aiuto del servo Leporello (nelle opere precedenti Sganarello) dopo essersi introdotto nella casa di Donna Anna per sedurla, cerca di scappare via furtivamente ma viene scoperto dal padre di lei, il Commendatore, e scontrandosi a duello con esso, lo uccide.

Donna Anna, insieme al fidanzato Don Ottavio, allora giurano vendetta per la morte dell’uomo.

Successivamente entra in scena Donna Elvira, la moglie abbandonata di Don Giovanni, che dopo aver scoperto la vera natura di Don Giovanni attraverso la famosissima Aria del Catalogo cantata da Leporello decide si impegnarsi affinché egli si penta e si redima.

Nel frattempo, Don Giovanni si imbatte nella festa di nozze di Masetto e Zerlina e decide di sedurre quest’ultima.
Donna Elvira, giunta tempestivamente, salva Zerlina.

Durante il funerale del Commendatore, avviene una disputa tra Donna Elvira e Don Giovanni, e Donna Anna riconosce la voce del suo assalitore in esso.

L’atto si conclude con una festa, dove tutti i personaggi, insieme alla stessa Zerlina, riescono a smascherare la vera natura di Don Giovanni. Da qui in poi sarà per lui la rovina.

Il secondo atto, molto più frammentario, comincia con un inganno teso a Donna Elvira da un Leporello travestito dal padrone, il quale la seduce e la conduce in un posto isolato per approfittarsi di lei. Tuttavia, viene smascherato e accusato dei crimini commessi dal Don Giovanni, che nel frattempo, travestito dal servo, incontra il contadino Masetto e lo picchia.

Entrambi i personaggi riescono a scappare dalle situazioni in cui si vengono a trovare e si ritrovano al cimitero, dove Don Giovanni in tono scherzoso invita la statua, posta sulla tomba del Commendatore, a cena.

Da questo momento comincia ciò che nella tradizione costituiva la parte del Convitato di pietra ovvero il finale dell’opera: la statua si presenta veramente la sera a casa di Don Giovanni, deciso a ricambiare l’invito e di portarlo con sé all’Inferno, se non si pente.

E così sarà.

La casa prende fuoco e viene scossa da terremoti e Don Giovanni muore inghiottito dalle fiamme degli inferi.

Tutti gli altri personaggi accorrono attorno al corpo morto ed insieme cantano un’ultima volta, ma poi si dividono. Ma sappiamo che è proprio nella separazione degli altri che Don Giovanni, il diavolo, vince.

Tuttavia, il finale non sempre ha convinto i critici dell’eterna malvagità che persiste nell’opera anche dopo la morte del protagonista e preferiscono riconoscere nella sua morte il tanto atteso e predicato ritorno a Dio.




Aprilia: 2 luglio va in scena “Sommerse”; lo spettacolo contro la violenza di genere

“Sommerse”; arriva in scena il prossimo 2 luglio presso il Parco Falcone e Borsellino di Aprilia (Lt), ingresso libero

Il progetto vincitore del Bando “Comunità solidali 2020” della Regione Lazio e con risorse Ministero del Lavoro, che ha coinvolto gli studenti e studentesse delle classi prime e seconde degli Istituti di istruzione superiore “Carlo Rosselli” e “Latina formazione e lavoro” di Aprilia, giunge così alla sua fase finale, dopo una serie di incontri che hanno visto i ragazzi e le ragazze confrontarsi con le operatrici del Centro Antiviolenza sui temi della violenza di genere e essersi messi in gioco nella realizzazione di uno spettacolo teatrale, coadiuvati dal regista Giuliano Leva.

 

«L’impegno della nostra associazione e del partner Centro anti violenza Donna Lilith», riferisce il Regista Giuliano Leva, «è quello di innescare un meccanismo ad effetto domino su tutto il territorio attraverso la rappresentazione teatrale, facendo emergere in modo inusuale e innovativo il disagio delle vittime di violenza e i mezzi come contrastarla».
Le attività che da febbraio a oggi, hanno coinvolto i ragazzi e le ragazze, sono state realizzate dall’associazione Colori del Mondo APS in collaborazione con l’associazione Centro donna Lilith APS di Latina e il sostegno dell’assessore alla Pubblica Istruzione e Cultura, Gianluca Fanucci e dell’assessora all’Assistenza e Servizi Sociali, Sanità, Pari Opportunità e rappresentanza di genere, Francesca Barbaliscia, del Comune di Aprilia. Così il prossimo 2 luglio, dopo aver lavorato alla sceneggiatura, saranno direttamente gli studenti e le studentesse a salire sul palco per parlare della violenza di genere e del suo contrasto.

 

 

A chi ne farà richiesta sarà consegnata una copia dvd dello spettacolo.
Il cast della serata: Giuliano Leva (regista) con Alessio Fratocchi, Fabiana Mercuri, Giada Celli, Angelica
Miatello, Emma Grande, Giacomo Caroli, Ludovica Leva, Azzurra Vattone, Anita Vacca, Tecnico Daniel
Chiamese, Tecnica Sara Triveri.
ATTORI E ATTRICI Pietro Theroux, Cristiano Puddu, Alessia Elena Capua, Ornella Sferlazzo.
BALLERINA Giulia Francescotti

 

COMUNICATO STAMPA




L’Edipo Re di Sofocle

Oggi parliamo di un mito famosissimo nell’antica Grecia, il quale ha dato il nome al celebre “complesso di Edipo”.
Ma in quanti sanno qual è la vera storia di Edipo?

Edipo Re è una tragedia composta da Sofocle attorno al 430 e il 420 a.C. ed è unanimemente considerata il suo capolavoro.

Edipo è il re di Tebe, ma la città al momento è devastata da una pestilenza.
Consultando l’oracolo di Delfi, si scopre la causa dell’epidemia: il precedente re di Tebe, Laio, è stato ucciso ed il suo assassino vive in città impunito.

Il morbo, perciò, non libererà la città finché l’omicida non verrà identificato e cacciato.

Edipo vuole indagare per il bene del suo popolo, ma non sa assolutamente cosa lo aspetta.

Egli decide dunque di convocare Tiresia, l’indovino cieco, per scoprire l’identità di quest’uomo.
Tuttavia Tiresia, il quale conosce la verità, decide inizialmente di tacere per evitare numerose sventure. Il re si arrabbia, alza i toni e riesce infine a far parlare Tiresia, che confessa: l’uccisore di Laio è Edipo stesso.

Il Re, furibondo e sicuro di essere vittima di una congiura, lo caccia via.
Ma Tiresia prima di andarsene profetizza: “Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà”. Così sarà.

A questo punto della tragedia entra in scena un personaggio fondamentale: Giocasta, moglie di Edipo e vedova di Laio, la quale consola il proprio marito dicendogli di non credere alle profezie.

Infatti, gli racconta, a Laio era stato predetto che sarebbe morto per mano di suo figlio, quando invece furono dei banditi a ucciderlo sulla strada verso Delfi.

Edipo, per niente consolato, fa convocare il testimone di quell’omicidio. E piano piano inizia a mettere insieme i pezzi della sua storia…

Egli era figlio del re Polibo e principe di Corinto, ma un giorno scappò di casa in seguito ad un oracolo che gli predisse grandi sciagure: avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.
Per evitare tutto ciò, lasciò la sua casa natale e si diresse a Tebe.

Sulla strada per Tebe ebbe un litigio con un uomo, che uccise.
Questo ricordo provoca in Edipo un enorme turbamento. Possibile che quell’uomo fosse Laio?

Nel frattempo, giunge un messaggero da Corinto con una notizia: re Polibo è morto!
Edipo può dunque tirare un sospiro di sollievo, sapendo di non essere stato l’uccisore di suo padre.

Chiede dunque notizie della madre, ma il messaggero lo conforta dicendogli che non c’è pericolo che egli sposi sua madre, poiché è stato adottato.

Ed egli ne è proprio un testimone, poiché fu lui, quando era un pastore, a trovarlo neonato. Gli fu dato da un servo di Laio.

Giocasta a quel punto capisce tutto e supplica Edipo di smettere con le ricerca. Non essendo ascoltata, disperata, se ne va.

A quel punto arriva il servo di Laio che fa luce su tutta la vicenda.
Laio, essendo venuto a conoscenza della profezia, consegna suo figlio neonato al servo con l’ordine di ucciderlo.
Il servo, però, mosso da pietà, porta il bambino dal pastore.
Tutto coincide.
Il pastore lo porta a Corinto, dove viene adottato dai regnanti; nel viaggio verso Tebe uccide il suo vero padre Laio ed una volta divenuto Re sposa sua madre Giocasta.

Edipo è sconvolto.
Il finale, dunque, è vicino. Ed è tragico.

Giocasta, sconvolta per l’orrore, si toglie la vita ed Edipo, appena trovato il suo corpo, si acceca e si esilia, lontano dalla città che tanto ha amato e alla quale ha portato così tanta disperazione.
Si conclude così una delle tragedie più famosa di sempre.




Estate 2022. A Pomezia arriva “Star sotto le Stelle”

Dal 19 giugno al 31 luglio in piazza Indipendenza la rassegna di spettacoli dal vivo
con la direzione artistica di Stefano Raucci e Nicola Canonico

Partirà il prossimo 19 giugno la nuova rassegna dell’Estate pometina “Star sotto le Stelle”: 14 eventi distribuiti in 7 serate di teatro, musica e cabaret che vedranno protagonisti artisti del calibro di Tiziana Foschi, Marco Falaguasta, Katia Rizzo, Marco Morandi, Claudia Campagnola, Corrado Tedeschi e Mario Zamma, Federico Perrotta e Valentina Olla, sotto la direzione artistica di Stefano Raucci e Nicola Canonico.

La rassegna, novità ed eccellenza del calendario dell’Estate pometina, trasformerà piazza Indipendenza in un’arena aperta al mondo della cultura, dello spettacolo e della musica, pronta ad incantare il pubblico ed a restituire la piazza ai suoi cittadini all’insegna della bellezza.

 

“Star sotto le Stelle” è realizzata con il contributo della Regione Lazio, L.R. 29 DICEMBRE 2014 n. 15 E SS.MM.II

 

COMUNICATO STAMPA




Torna lo spettacolo teatrale Shake nelle grotte di Palazzo Caetani a Cisterna di Latina

I ragazzi dell’Acting Lab della scuola d’arte Non Solo Danza portano in scena Shakespeare
Domenica 24 Aprile dalle ore 17.00 in Piazza XIX Marzo. Ingresso libero e gratuito

 

Domenica 24 Aprile a cominciare dalle ore 17,00 con quattro repliche consecutive,  fino alle ore 19,15 l’Acting Lab della scuola d’arte Non Solo Danza torna in scena con Shake, un remix delle opere del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare.

Dopo il successo registrato nelle stanze del Castello Baronale di Maenza, Shake  rivive in una nuova ambientazione, «le grotte e i sotterranei del palazzo costruito dai Caetani a metà del ‘500 costituiscono l’ambientazione ottimale per molte delle opere del grande autore – afferma Simone Finotti  insegnante e responsabile dell’Acting Lab –  lo spettacolo, itinerante, sarà l’occasione non solo di conoscere alcune delle opere più importanti di Shakespeare, ma anche di visitare le grotte che racchiudono, fra le volte, più di quattro secoli di storia».

 

 

Lo spettacolo vede  il patrocinio del Comune di Cisterna di Latina e del Comune di Bassiano «ringrazio l’amministrazione comunale di Bassiano che ha messo a disposizione i costumi teatrali per la rievocazione storica – ha aggiunto Simone Finotti – e rivolgo un sentito grazie all’amministrazione di Cisterna per aver voluto ospitare, nel mio paese uno spettacolo che metterà sotto i riflettori diversi edifici del territorio nazionale; ci tenevamo in modo particolare a portarlo nella mia città, per promuovere le nostre bellezze storiche». Shake mette in scena, in rappresentazioni individuali, sette delle opere più importanti del drammaturgo inglese.

Si comincia con le parole del “Bardo” interpretate da un “Uomo” che rappresenta l’essenza pensiero Shakespeariano, ci si tuffa nella “tragedia di Macbeth” e si resta con il fiato sospeso per il dialogo che fa rivivere la complicità fra “Emilia e Desdemona”. Ma  c’è anche la follia di “Ofelia”, la bellezza e la sfrontatezza di “Cassio” , la frivolezza, la lussuria e la  gelosia de “Le allegre comari di Windsor” e ovviamente l’amore degli amori, “Romeo e Giulietta”. Shake spettacolo itinerante che prende il via dal chiostro del Palazzo per poi proseguire nei sotterranei dove prenderanno vita le rievocazioni Shakespeariane in una chiave completamente nuova. I personaggi classici saranno intrecciati a storie moderne, il pubblico sarà accompagnato nella storia da un  “Caronte Virtuale”.

Voci e video appariranno sui telefoni del pubblico attraverso la scansione di QR Code che chiuderanno allo spettacolo. Gli spettatori si atterranno ad un percorso, così da potere, contemporaneamente, assistere allo spettacolo e godere delle bellezze del Palazzo e delle sue grotte finalmente riaperte al pubblico dopo quattro anni di chiusura.

Il pubblico sarà diviso in gruppi, si comincia alle ore 17.00 di domenica 24 aprile e si prosegue, no stop, fino all’ultimo gruppo che partecipa all’ultima replica con inizio alle ore 19,15. In scena Marilena Amodeo, Stella Aversano, Federica Buglione, Marco Campoli, Samantha Centra, Federica Coruzzolo, Michele Guarino, Giorgia Peloso, Silvia Pucci, Isabella Rahimi, Giulia Ronci, Andrea Simonelli, Valerio Valle la regia è di Simone Finotti.

L’evento organizzato da Scuola D’Arte FAP e prodotto dall’ Associazione “La macchia” in collaborazione con Acting Lab  è ad ingresso gratuito ma su prenotazione al 324.9023870 – 328.0559096 oppure al link: www.macchiaeventi.prenotime.it

 

COMUNICATO STAMPA




“Il Messia d’Abruzzo” fa tappa a Roma

“I Matti di Dio” al Teatro 7 Off dal 21 aprile al 1 maggio

 

Tutto ha inizio con un gruppo di amici che, come da tradizione, gira l’Italia per raccontare la storia di un uomo di origine vestina, nel pescarese; costui è Oreste De Amicis, meglio conosciuto come il “Messia d’Abruzzo” che sarà interpretato dal capocomico Domenico nella nuova produzione Uao Spettacoli. A vestire i suoi panni sarà l’attore abruzzese Federico Perrotta, affiancato da tre compagni di scena che invece interpretano vari personaggi che hanno avuto a che fare con lui.

 

Dopo diverse tappe è la volta della Città Eterna: ed infatti sarà il Teatro 7 Off di Roma ad ospitare dal 21 aprile al 1 maggio alle ore 21 dal giovedì al sabato ed alle ore 18 la domenica, il tour de “I Matti di Dio. Il Messia d’Abruzzo” con Perrotta appunto e poi Andrea D’Andreagiovanni, Massimiliano Elia, Giacomo Rasetti che irrompono sul palco, come un’Armata Brancaleone, accompagnati da musiche dal vivo e da canzoni del repertorio abruzzese arrangiate in chiave moderna, coreografate ed interpretate dai quattro.

 

 

“I Matti di Dio, ovvero la vera storia del ‘Messia d’Abruzzo’ – così ne spiega l’origine Perrotta – nasce da un’intuizione di Ariele Vincenti, storico collaboratore di Simone Cristicchi, che guardandomi in uno spettacolo che ho fatto tempo fa, mi associò lasciandomi senza parole, alla figura del ‘Messia d’Abruzzo’, e mi raccontò di una storia che a molti, compreso al sottoscritto, è sconosciuta”.

 

 

“Si tratta di un frate poi diventato prete del comune di Cappelle sul Tavo, che si è autoproclamato ‘Messia d’Abruzzo’- prosegue l’artista; – dietro queste nuove Crociate abruzzesi dal tono assolutamente ironico e divertente, come è nello stile di ciò che realizzo sempre, c’è la voglia di lanciare un messaggio forte ossia non perdere mai di vista il lume della ragione: quando si diventa a furor di popolo un capo spirituale il rischio di peccare di presunzione è veramente molto forte”.

 

“E’ un monito? – conclude Perrotta. – Non credo! Ma un voler porre l’attenzione su qual è il limite tra il genio e la follia”.

 

Scritto e diretto da Ariele Vincenti, si tratta di uno spettacolo che mostra un pezzo d’Abruzzo mai perso che torna a vivere; questa è storia vera che viene spolverata e tramandata grazie anche ad una comicità senza tempo: “durante delle ricerche che stavo facendo tra le montagne e i paesini dell’Abruzzo ho trovato la storia di Oreste De Amicis. La prima cosa che mi ha colpito è il suo stare sempre dalla parte degli ultimi, dargli voce e dignità pagando lui in prima persona” – spiega Ariele Vincenti.

 

 

Nel suo caso – prosegue – sono i contadini di allora alle prese con le ingerenze dei potenti e di una parte del clero, non sempre disposti a difenderli e tutelarli. Dall’altro lato c’è il discorso spirituale intrapreso dal Messia d’Abruzzo che ritengo sia attuale oggi più che mai. In una società priva di valori e di punti di riferimento il concetto di spirito e di recupero delle piccole cose può aiutarci a costruire la nostra casa comune distaccandoci dall’egoismo individuale che ci allontana gli uni con gli altri. Era un sognatore Oreste De Amicis. Sognava una società migliore basata sull’uguaglianza sociale e sul rispetto delle persone come fondamento del suo credo. Anche se a volte si rendeva protagonista di situazioni grottesche e al limite del paradossale, la sua vita merita di essere divulgata, perché questa è una delle tante storie che se non te le raccontano, non le sai. E Federico Perrotta grazie alla sua sensibilità e al suo carisma è l’interprete ideale che racchiude i canoni di una recitazione moderna con la tradizione popolare musicale ed ironica”.

 

Le musiche sono di Francesco Mammola, le scene ed i costumi di Graziella Pera; il disegno Luci è di Marco Laudando, la fonica di Marco De Angelis. Per info e prenotazioni 333.5001699 e 06.92599854.

 

Si ricorda che l’ingresso a teatro è subordinato alle regole vigenti anti Covid19.

 

COMUNICATO STAMPA




“COME PIETRA PAZIENTE”: la donna afghana tra abusi ed emancipazione

Alla Casa Internazionale delle Donne l’incontro di presentazione dello spettacolo teatrale “Come Pietra Paziente”, sostenuto dalla Regione Lazio con il Fondo Unico 2021 sullo Spettacolo dal Vivo

 

 

Roma, 25 novembre 2021 – Si è tenuta mercoledì 24 novembre, presso la Casa Internazionale delle Donne, la tavola rotonda “Come Pietra Paziente: la donna afghana tra abusi ed emancipazione”: un’occasione di incontro e confronto che, partendo dalla presentazione dello spettacolo teatrale “Come Pietra Paziente”, ha posto interrogativi importanti sulla condizione femminile afghana e delle donne tutte.

 

L’arte drammatica può porsi come strumento di riflessione, comprensione e conoscenza di realtà culturali e sociali altre? Realtà molto distanti da noi, di cui sentiamo spesso parlare ma con cui, necessariamente, non riusciamo ad entrare davvero in contatto. Guerra, disperazione, violenza, soprusi animano i nostri racconti collettivi quotidianamente ma, cosa significa, veramente, vivere esperienze simili? È davvero possibile per noi occidentali comprenderne la drammatica essenza?

 

Cercando di dare risposta a questi interrogativi, si sono incontrati e confrontati, moderati dalla giornalista e corrispondente di guerra Barbara Schiavulli, Direttrice Responsabile di Radio Bullets: Matteo Tarasco, regista; Alessia Navarro, protagonista; Laura Pera, Responsabile Amministrativa NOVE ONLUS Caring Humans e Daniela Marcuccio, Componente direttivo RISING Pari in genere.

 

Un momento di confronto che, si augura, abbia stimolato ulteriori riflessioni su queste tematiche tristemente attuali su cui è doveroso non spegnere mai i riflettori. Dentro e fuori da un teatro.

 

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“Come pietra paziente” ci costringe, infatti, ad entrare in relazione intima con queste verità sconcertanti e dolorose, attraverso la storia di una donna che diviene simbolo di ogni abuso perpetrato ai danni del genere femminile. Un racconto che, attraverso la rappresentazione teatrale, prende corpo e diventa tangibile, con tutta la sua forza e la sua violenza, a pochi passi da noi.

 

“Come pietra paziente è una straordinaria interpretazione che comprende a fondo l’amarezza e il dolore che accompagnano da decenni le donne afghane nel tentativo di recuperare la propria dignità” – dichiara Flavia Mariani, Nove Onlus Caring humans.“Lo consideriamo un contributo artistico prezioso, in un momento terribile come quello che si sta consumando nuovamente in Afghanistan. La potenza drammatica onora e supera la singola storia per risuonare all’interno di tutto il mondo femminile”.

 

“La storia, ambientata in Afghanistan, potrebbe svolgersi ovunque. E si svolge, ovunque. Ovunque la società patriarcale impera e non c’è spazio per il libero pensare delle donne. Tutte le volte che una donna rivendica i propri diritti e la propria autonomia e per questo viene discriminata e uccisa”, Zdenka Rocco, Presidente Rising Pari in genere.

 

Il progetto è sostenuto dalla Regione Lazio con il Fondo unico 2021 sullo Spettacolo dal vivo e vanta il sostegno della Comunità Afghana in Italia, Nove Onlus, Associazione Carminella, Rising – pari in genere, Cooperativa Sociale Magliana Solidale, Casa Internazionale delle Donne, e realtà impegnate quotidianamente nella difesa dei diritti delle donne e nella costruzione di percorsi di accoglienza, inclusione, empowerment e autonomia loro dedicati.

 

Con la regia di Matteo Tarasco, che ha curato traduzione e drammaturgia del testo, “Come pietra paziente” è un doloroso viaggio negli abusi culturali che permeano la vita della donna afghana, privata di ogni diritto e lesa attraverso la sistematica negazione della propria dignità, identità, libertà. La trasposizione teatrale del romanzo “Pietra di pazienza” (Atiq Rahimi, autore e regista afghano) è interpretata da Alessia Navarro, Fabio Appetito, Marcello Spinetta e Kabir Tavani: tra le mura di una modesta abitazione, cullata dai rumori incessanti della guerriglia, una giovane donna assiste il marito morente, colpito gravemente alla testa durante uno scontro armato. Dinanzi all’uomo, impossibilitato a rispondere, la donna confessa e rivendica la propria condizione femminile, ergendo il corpo inerme a sua Pietra di Pazienza.

 

Al successo dell’anteprima nazionale (10/11 novembre, Teatro Marconi), seguiranno le repliche al Teatro 7 OFF (dal 2 al 5 dicembre 2021) e al Teatro Tor Bella Monaca (dal 6 al 9 dicembre 2021). Per info e prenotazioni: 333.5001699.

 

Traduzione, drammaturgia e regia di Matteo Tarasco. Con: Alessia Navarro; Fabio Appetito; Marcello Spinetta; Kabir Tavani. Musiche di Stefano Mainetti. Scene e costumi Chiara Aversano. Disegno luci Marco Laudando. Assistente alla regia Marta Selvaggio. Produzione esecutiva Federico Perrotta. Organizzazione Valentina Olla.

 

 

Tehuana Srls

La Tehuana srls, nata nel gennaio 2017 dall’esperienza trentennale di Claudio Insegno, ha prodotto, co-prodotto e distribuito fra gli altri: FRIDA KAHLO, il ritratto di una donna, regia di Alessandro Prete; IMPARARE AD AMARSI, regia di Siddhartha Prestinari; FOLLIA di Fabio Appetito, regia di Matteo Tarasco; FRANKIE E JOHNNY, paura d’amare, regia di Alessandro Prete; 58 SFUMATURE DI PINO, regia di Claudio Insegno; L’ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE di Victor Hugo, Regia di Matteo Tarasco.