René Magritte e il Surrealismo

René Magritte è considerato uno dei più grandi artisti del movimento surrealista.

 

Nato a Lessines, in Belgio, nel 1898, ha trascorso gran parte della sua vita a Bruxelles, dove ha creato molte delle opere d’arte che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
La sua arte è stata caratterizzata da una combinazione unica di immagini apparentemente banali e surreali che spesso si contraddicono tra loro, creando un effetto di confusione e sorpresa.

Magritte ha iniziato a esplorare il mondo dell’arte fin da giovane, frequentando la Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles.
Tuttavia, non ha subito aderito al movimento surrealista, ma ha sperimentato con varie forme di arte, tra cui il cubismo e l’espressionismo.

È stato solo negli anni ’20 che ha incontrato André Breton, il fondatore del movimento surrealista, e ha iniziato a collaborare con altri artisti surrealisti come Salvador Dalí e Max Ernst.

Le opere d’arte di Magritte sono caratterizzate da un’attenzione particolare per la rappresentazione della realtà.

Egli ha spesso utilizzato oggetti comuni come pipe, mele, cappelli, ecc. per creare immagini surreali che sfidano le aspettative dello spettatore.

Ad esempio, in una delle sue opere più famose, “La trahison des images” (“Il tradimento delle immagini”), rappresenta un semplice tubo di metallo con la scritta “Ceci n’est pas une pipe” (“Questa non è una pipa”).

L’immagine sembra contraddittoria, poiché la pipa  è chiaramente rappresentato come tale, ma la scritta nega la sua identità. Questo tipo di gioco sulla realtà è diventato una caratteristica distintiva delle opere di Magritte.

Magritte ha anche utilizzato immagini di natura umana per creare opere d’arte surreali. In molte delle sue opere, il volto umano è rappresentato in modo anonimo o in un contesto inaspettato, come nella sua famosa opera “Le fils de l’homme” (“Il figlio dell’uomo”), dove l’uomo con il cappello a cilindro tiene una mela davanti al volto, nascondendo la sua identità. Questa rappresentazione dell’uomo come anonimo e misterioso è diventata un’altra caratteristica distintiva delle opere di Magritte.

“L’empire des lumières”  (“L’impero delle luci”) è una serie di opere d’arte di René Magritte, realizzate tra il 1947 e il 1967.

L’opera più famosa di questa serie è probabilmente quella del 1954, che rappresenta una casa di campagna con una finestra illuminata, situata di fronte a un paesaggio notturno scuro e inquietante.

L’opera rappresenta un’immagine apparentemente ordinaria, ma che allo stesso tempo presenta una serie di elementi inquietanti e surreali.

In primo luogo, la finestra illuminata sembra fuorviante, poiché il paesaggio circostante è completamente oscuro e immerso nell’oscurità. In secondo luogo, l’immagine della casa di campagna sembra essere sospesa in un limbo tra la vita e la morte, tra la realtà e il sogno.

Nonostante la sua popolarità, Magritte ha continuato a sperimentare con nuove forme di arte per tutta la sua vita.

Ha anche lavorato come scenografo e ha creato opere d’arte pubbliche, tra cui murales e dipinti a fresco. Nel 1967, ha realizzato il murale del Centro di ricerca nucleare di Mol, che rappresenta il tema della scienza e della tecnologia in modo surreale.

Magritte è morto a Bruxelles nel 1967, all’età di 69 anni




La persistenza della memoria

La persistenza della memoria è uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì, esponente della corrente artistica del Surrealismo nata agli inizi degli anni ’20 a Parigi.

Su cosa si basa il surrealismo?

Quando nel 1900 Sigmund Freud fece pubblicare “L’Interpretazione dei Sogni” il mondo fu rivoluzionato.
Freud diede una chiave d’accesso ad un mondo fino ad ora sconosciuto: l’inconscio.

E la prima metà del ‘900 è caratterizzata quindi da quest’esplorazione della psiche dell’uomo.
Il Surrealismo nasce qui, da questo desiderio di esplorare e portare a galla ed imprimere su tela il caos interiore.

Senza giudizio, senza la presenza dell’occhio “cosciente”: solo l’inconscio.
E la Persistenza della memoria è uno dei capolavori della corrente Surrealista


Il quadro presenta, ovviamente, quelle caratteristiche tipiche della nuova scuola d’espressione: un paesaggio fantastico, oggetti fantastici e irreali in una dimensione non soggetta alle leggi della fisica.Ed eccoci arrivati all’oggetto principe del dipinto: l’orologio.

Il senso di disorientamento è fortissimo, nonostante ciò che ci si presenta davanti gli occhi siano comunque oggetti della vita quotidiana, che ognuno di noi conosce.Ma questi non sono orologi normali, ma sono orologi molli, deformati, a metà tra la condizione solida e quella liquida: danno l’impressione di starsi sciogliendo, in un processo irreversibile.

Uno degli orologi si sta sciogliendo su un oggetto bianco.
All’inizio, sembra essere un grumo senza senso.

Tuttavia si può notare che sembra un volto, soprattutto se lo si guarda di lato. Si possono vedere le ciglia di un occhio chiuso, un naso e altre forme astratte. Questa creatura appare in molti dipinti di Dali ed è il suo autoritratto.

Accanto notiamo l’unico orologio solido di color arancio, con sopra alcune formiche nere, che sembrano divorarlo: queste formiche rappresentano l’allegoria per dell’annullamento del tempo cronologico, inconsistente e reversibile.

Perchè Salvador Dalì ha dipinto questo quadro?

Il pittore stesso rispose a questa domanda confessando di aver preso ispirazione da una fetta di formaggio che si stava sciogliendo al sole.
Questa visione gli ispirò l’idea degli orologi molli che subito dipinse sulla tela. L’immagine che stava dipingendo rappresentava un paesaggio di Port Lligat, in Spagna.

Questo quadro ci trasmette un messaggio molto chiaro: il tempo non funziona come noi pensiamo, nè tantomento la memoria.

E che cos’è, dunque, la memoria se non uno spazio dove ci si può muovere in modo non unilaterale nel tempo?
Nella nostra memoria possiamo tornare indietro ad un ricordo remoto, per poi svilupparlo in sequenza cronologica e poi tornare ancora più indietro: non ci sono leggi.




Un mondo di fantasia (e follia): Bosch

La vita di Hieronymus Bosch, pittore fiammingo che visse a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, è incerta e misteriosa.

Di lui si hanno poche notizie e molte leggende.

Per inquadrare bene lo stile di Bosch basta dire una cosa: le sue opere furono fonte di ispirazione per il Simbolismo, l’Espressionismo e il Surrealismo.
Dunque, uno stile fantastico, ricco di simboli e allegorie, che attinge alla tradizione medievale e alle miniature.

 

L’opera più celebre e decantata di Bosch è sicuramente il Trittico de Il Giardino delle Delizie.

Quest’opera è datata tra il 1480 e il 1490, nell’apice della maturità artistica dell’artista.

È composta da tre tavole richiudibili che rappresentano, in ordine: il giardino dell’Eden, il giardino delle delizie e l’inferno.

Il trittico chiuso, invece, svela un’immagine diversa: la nascita del pianeta Terra.

 

Nella prima tavola, quella rappresentante il Paradiso, troviamo Dio tra Adamo ed Eva.
Lo spazio che li circonda è un rigoglioso giardino popolato da strani e numerosi animali, con al centro una particolare struttura rosea, in asse con la figura – anch’essa rosata – di Dio.
E’ la Fontana della Vita.

Tutti gli animali, in un modo o nell’altro, rappresentano una virtù o un vizio. Sono presenti animali comuni, esotici e di fantasia, la cui interpretazione però è alquanto difficile.

Il pannello centrale è il più grande.
L’ambiente ricorda quello della tavola precedente, un giardino con delle fonti d’acqua, ma è fittamente popolato da nude figure di uomini e animali.

Si passa da un’ambientazione spirituale e di quiete, ad una carica di erotismo e sensualità.

 

 

E’, ad un primo impatto, sconvolgente.
Le figure sono ammassate e sovrapposte nello spazio ristretto della tela quadrata, ma possiamo dividerle in fasce orizzontali a partire dal livello inferiore:
nella prima fascia sono presenti gli uomini; in quella mediana invece vi è un anello di animali attorno ad un laghetto tondo; mentre il livello superiore è composto dal panorama all’orizzonte, con questi strani edifici rosa e azzurri.

Dal basso verso l’alto, le figure diminuiscono e finalmente si respira un po’ di quiete nella sezione superiore.

L’ultimo pannello è completamente diverso dai precedenti.
Una fortissima contrapposizione è data dall’utilizzo dei colori: dal verde del prato si passa al nero tetro della notte.

 

Anche questo pannello si può leggere dal basso verso l’alto, con lo stesso effetto di diradamento delle figure. Ma qui non so

no i piaceri carnali ad essere rappresentati, bensì la loro punizione infernale.
Quest’ultimo mondo è costituito da figure macabre e tormentate, sofferenti, antropomorfe e mostruose.

 

Possiamo notare, però, in mezzo a tutte queste figure, un’alta concentrazione di strumenti musicali: per questo motivo la tavola è nota con il nome di “Inferno musicale”.

 

Riguardando adesso l’opera, per un ultima volta, ci rendiamo conto di come sia estremamente attuale e vicina alle correnti artistiche di inizio Novecento, e di quanto artisti come Salvator Dalì siano stati influenzati da questo mondo fantastico e mostruoso di Hieronymus Bosch.