L’Antigone di Sofocle

Sofocle, drammaturgo greco del V secolo a.C. di cui abbiamo già parlato in precedenza, trattando approfonditamente il suo capolavoro Edipo Re, è autore di altre numerose opere di grande successo.

Oggi parleremo insieme dell’Antigone, la quale fa parte insieme all’Edipo re e l’Edipo a Colono del Ciclo tebano, incentrato sulle vicende di Edipo e della sua dinastia.

A differenza dell’Edipo Re la cui data di composizione è sconosciuta, dell’Antigone si conosce la data della prima rappresentazione: il 442 a.C., ad Atene, durante le Grandi Dionisie.

Antigone è figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle, Polinice ed Ismene.
Quest’opera si pone in diretta continuità con l’Edipo Re; inizia perciò con la sua fine.

Edipo, cacciato da Tebe dopo aver scoperto di esser stato l’assassino di suo padre e di aver sposato la sua stessa madre, si cieca gli occhi e si esilia dalla città di cui è stato re.

I suoi quattro figli, dunque, avrebbero dovuto succedere il padre alla reggenza della città.

Tuttavia, Eteocle, il primo a ricoprire la carica di re, abusa del suo potere bandendo dalla città il fratello Polinice.
Quest’ultimo decide, perciò, di fare guerra al fratello.

Questo tema – la guerra tra Polinice e Eteocle – è il fulcro di un’altra famosissima tragedia, I Sette contro Tebe di Eschilo.

La guerra, però, non finisce bene per nessuno dei due fratelli: Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda.
Qui interviene lo zio Creonte, il quale decide che solo Eteocle può esser seppellito, poiché Polinice è divenuto un traditore della patria muovendo guerra al fratello.

Ed è in questo momento che entra in scena Antigone: personaggio dalla forte morale, emancipata dal contesto sociale, rigida e salda nei suoi ideali.
Antigone è emblema della giustizia personale rispetto alle leggi arcaiche; è l’eroina per eccellenza, portatrice di un sentimento morale molto moderno.

Infatti, Antigone confida alla sorella Ismene di voler seppellire il fratello Polinice e si assume tutta la responsabilità della sua decisione.
Ismene, al contrario, così rispettosa della legge, si rifiuta e cerca di dissuadere Antigone.

Scopriamo però, nella scena successiva, che Creonte scopre la sepoltura del corpo di Polinice e manda qualcuno a sorvegliare la sua tomba per scoprire chi è stato ad opporsi alla legge.

Antigone viene scoperta e portata al cospetto di Creonte. Quest’ultimo, adirato, la condanna a morte. Ma Antigone è ferma sul suo punto: il rito funebre va concesso a tutti gli uomini per volere delle divinità e nessuno può opporsi al loro volere.

L’atto finale è la tragicità pura: per non macchiarsi della colpa di uccidere un familiare, Creonte decide di condannare Antigone ad essere rinchiusa in una grotta dove resterà finché non troverà la morte.

Ma, senza saperlo, Creonte si è già macchiato di un crimine contro gli dèi: il rifiuto del funerale di Polinice.
L’indovino Tiresia gli ricorda questo, e così Creonte decide di andare alla grotta per salvare Antigone.

Tuttavia, giunto alla grotta, scopre cos’è accaduto.
Suo figlio, Emone, innamorato di Antigone, è andato alla grotta per salvarla, ma trovandola impiccata è impazzito di follia, giungendo a uccidersi a sua volta alla vista del padre, fautore di tutto ciò, trafiggendosi con una spada.

Dopo aver saputo di tutti questi avvenimenti, anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone, decide di darsi la morte.

L’opera si conclude con Creonte, il quale resosi conto dei peccati e dei crimini commessi, invoca gli dei di dargli la morte.




L’Edipo Re di Sofocle

Oggi parliamo di un mito famosissimo nell’antica Grecia, il quale ha dato il nome al celebre “complesso di Edipo”.
Ma in quanti sanno qual è la vera storia di Edipo?

Edipo Re è una tragedia composta da Sofocle attorno al 430 e il 420 a.C. ed è unanimemente considerata il suo capolavoro.

Edipo è il re di Tebe, ma la città al momento è devastata da una pestilenza.
Consultando l’oracolo di Delfi, si scopre la causa dell’epidemia: il precedente re di Tebe, Laio, è stato ucciso ed il suo assassino vive in città impunito.

Il morbo, perciò, non libererà la città finché l’omicida non verrà identificato e cacciato.

Edipo vuole indagare per il bene del suo popolo, ma non sa assolutamente cosa lo aspetta.

Egli decide dunque di convocare Tiresia, l’indovino cieco, per scoprire l’identità di quest’uomo.
Tuttavia Tiresia, il quale conosce la verità, decide inizialmente di tacere per evitare numerose sventure. Il re si arrabbia, alza i toni e riesce infine a far parlare Tiresia, che confessa: l’uccisore di Laio è Edipo stesso.

Il Re, furibondo e sicuro di essere vittima di una congiura, lo caccia via.
Ma Tiresia prima di andarsene profetizza: “Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà”. Così sarà.

A questo punto della tragedia entra in scena un personaggio fondamentale: Giocasta, moglie di Edipo e vedova di Laio, la quale consola il proprio marito dicendogli di non credere alle profezie.

Infatti, gli racconta, a Laio era stato predetto che sarebbe morto per mano di suo figlio, quando invece furono dei banditi a ucciderlo sulla strada verso Delfi.

Edipo, per niente consolato, fa convocare il testimone di quell’omicidio. E piano piano inizia a mettere insieme i pezzi della sua storia…

Egli era figlio del re Polibo e principe di Corinto, ma un giorno scappò di casa in seguito ad un oracolo che gli predisse grandi sciagure: avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.
Per evitare tutto ciò, lasciò la sua casa natale e si diresse a Tebe.

Sulla strada per Tebe ebbe un litigio con un uomo, che uccise.
Questo ricordo provoca in Edipo un enorme turbamento. Possibile che quell’uomo fosse Laio?

Nel frattempo, giunge un messaggero da Corinto con una notizia: re Polibo è morto!
Edipo può dunque tirare un sospiro di sollievo, sapendo di non essere stato l’uccisore di suo padre.

Chiede dunque notizie della madre, ma il messaggero lo conforta dicendogli che non c’è pericolo che egli sposi sua madre, poiché è stato adottato.

Ed egli ne è proprio un testimone, poiché fu lui, quando era un pastore, a trovarlo neonato. Gli fu dato da un servo di Laio.

Giocasta a quel punto capisce tutto e supplica Edipo di smettere con le ricerca. Non essendo ascoltata, disperata, se ne va.

A quel punto arriva il servo di Laio che fa luce su tutta la vicenda.
Laio, essendo venuto a conoscenza della profezia, consegna suo figlio neonato al servo con l’ordine di ucciderlo.
Il servo, però, mosso da pietà, porta il bambino dal pastore.
Tutto coincide.
Il pastore lo porta a Corinto, dove viene adottato dai regnanti; nel viaggio verso Tebe uccide il suo vero padre Laio ed una volta divenuto Re sposa sua madre Giocasta.

Edipo è sconvolto.
Il finale, dunque, è vicino. Ed è tragico.

Giocasta, sconvolta per l’orrore, si toglie la vita ed Edipo, appena trovato il suo corpo, si acceca e si esilia, lontano dalla città che tanto ha amato e alla quale ha portato così tanta disperazione.
Si conclude così una delle tragedie più famosa di sempre.




La Medea raccontata attraverso i vasi

 

Medea: maga e barbara

 

Medea è un’importante e famosissimo personaggio della mitologia greca.

E’ una maga potente e temibile, figlia del re della Colchide, e la sua storia è stata raccontata anche da due dei tre più importanti tragediografi dell’età classica: Sofocle ed Euripide.

Ma la sua fama continua nei secoli, fino ad arrivare alla trasposizione cinematografica di Pasolini.
Insomma, una figura importantissima che vale la pena conoscere.

 

 

Giasone e il Vello d’oro

 

La storia di Medea è però indissolubilmente legata a quella degli Argonauti: Giasone, eroe alla ricerca del Vello d’oro, arriva in Colchide con i suoi compagni, dove incontra Medea.

Lei si innamora perdutamente e fa di tutto per aiutarlo a superare le prove che dividono l’eroe dalla conquista del Vello d’oro.
Addirittura uccidendo il proprio fratello e tradendo il padre per scappare con Giasone.

Infine giungono a Corinto, dove hanno due bambini.
Dopo poco tempo, però, Giasone la abbandona per sposare la figlia del re, Glauce.

Qui inizia il vero dramma di Medea, che nella tragedia di Euripide dura solo una notte.
Il dramma di una donna abbandonata ma decisa a vendicarsi del torto subito. Una donna forte, potente e pericolosa.
Medea non è un personaggio positivo. Ma è un personaggio con cui è impossibile non provare empatia, leggendo i suoi lamenti e i suoi dolori.

 

Medea consegna la veste a Glauce

Ella si trova in un paese sconosciuto, in cui è maga e barbara e disprezzata da tutti, in solitudine, abbandonata dall’uomo per cui era scappata ed esiliata dal re.

 

E proprio in quel momento inizia a covare la sua vendetta. Il suo progetto è quello di umiliare e far pentire Giasone nel modo più assoluto di tutti, ovvero senza prendersela con lui: con le sue capacità di maga, imbeve una veste di veleno e la fa consegnare alla giovane Glauce, la quale muore avvampando in terribili fiamme.
La stessa sorte colpirà anche il padre, corso in suo soccorso per aiutarla.

 

 

 

Medea uccide i suoi figli e fugge sul carro

 

La sua vendetta però non finisce qui. Ed è la parte più dolorosa e tormentata della vicenda, ma Medea non può permettere a Giasone la gioia, in nessun modo.
E così, dopo un lungo strazio, Medea decide di uccidere i suoi due figli.

Dopo aver commesso questo orribile peccato, Medea non può più tornare indietro: invoca un carro trainato da draghi e su di esso saluta e maledice Giasone per sempre.
E poi scompare.

 

 

 

 

 

 

 

Il mito di Medea è tra i più crudeli e tormentati di tutta la mitologia greca, ma le sue vicende così raccontate non fanno trasparire veramente il dramma, l’angoscia ed il tormento che Medea vive dopo l’abbandono di Giasone, il suo grande amore.
Medea è un personaggio dalla complessa psicologia, capace di provare sentimenti così discordati eppure così naturalmente appartenenti all’uomo.
Non è assassina spietata, ma sposa tradita e madre tormentata.