Un po’ di accortezze per l’uso cortese di WhatsApp

Quando il buon vivere fa la differenza

Alzi la mano chi non sia stato inserito in qualche gruppo su WhatsApp e non abbia partecipato a qualche crescente discussione finita male.
Oggi giorno è ormai un ricordo lontano lo squillo del telefono mentre fa parte della nostra quotidianità la marea di notifiche che arrivano già dalle prime ore del mattino.

La nostra giornata è incorniciata dai messaggi WhatsApp e riuscire a conviverci in modo sereno dipende da alcune piccole accortezze.

 

  1. L’orario di un messaggio.
    Sembra scontato come punto e dovrebbe far parte della buona educazione di tutti noi NON inviare messaggi nel cuore della notte solo perché quello è il momento in cui abbiamo avuto l’ispirazione. Prima di inviare è importante guardare l’orologio e domandarsi se, magari, alle tre del mattino il nostro interlocutore abbia qualcosa di meglio da fare.
  2. L’uso delle emoji e della punteggiatura.
    A meno che non abbiate 10 anni, non è buona cosa completare il messaggio da una serie infinita di emoji o punti esclamativi. È vero che aiutano a comunicare le proprie emozioni ma abusarne non fa di noi un simpaticone ma, al massimo, un confusionario. Come dice il saggio “less is better”
  3. Abbandonare un gruppo.
    Inutile negarlo: la tentazione di abbandonare una chat perché la troviamo inutile e lontana dal nostro modo di pensare arriva per tutti. Se proprio è necessario, non farlo mai senza prima scrivere due righe per spiegarne il motivo. Abbandonare nel silenzio assoluto ha lo stesso significato di uscire sbattendo la porta dalla casa di un amico. Riflettiamoci!
  4. Lunghezza del messaggio
    È vero che non abbiamo limiti alla lunghezza del messaggio, ma ciò non significa che possiamo scrivere Guerra e Pace o che basta una semplice parola per farsi comprendere. Quindi, NO all’invio di un messaggio a parola lanciati a mitragliatrice come se non ci fosse un domani e tantomeno messaggi prolissi e infiniti senza rispetto alcuno per chi dovrà leggerli.
    È consigliata la sintassi e la sintesi.
  5. Avvisare è meglio
    Nel caso vi arrivi un messaggio la cui risposta ha bisogno di un po’ di tempo che, in quel momento, non potete dedicargli, la cosa migliore da fare e avvisare. Quella fatidica spunta blu attivata avvisa della vostra lettura e la mancanza di risposta potrebbe creare degli inutili fraintendimenti.
  6. Gli audio invece del testo scritto
    Ultimo ma non per importanza, l’uso smodato degli audio nella messaggistica che sta raggiungendo limiti estremi di sopportazione.
    Prima di inviare un audio di qualche minuto adducendo la scusa che si è in macchina e non si può scrivere, provate a pensare che chi lo riceverà sarà costretto a usare il doppio del proprio tempo per ascoltare ciò che tu avevi da dire e magari appuntarsi le cose più importanti.
    Se proprio devi metterti in contatto con una persona e sei in macchina perché non comporre il numero dell’interessato e parlargli direttamente?
    C’è da considerare che un testo scritto può essere letto anche in presenza di altre persone con disinvoltura mentre un audio, anche se ascoltato in forma privata appoggiando lo smartphone all’orecchio, costringe l’altro ad un palese atto di scortesia.
    Meditate gente prima di inviare un audio come se fosse un evento di estrema gravità: il vostro tempo ha lo stesso valore del tempo di chi ascolta.

 

 

 

Foto di Freepik




Le feste sui social

Il 2015 giunge al termine, un po’ come il 2014 e l’anno prima ancora. Un po’ come finirà il 2016, con molta probabilità. Negli ultimi anni, le nostre vite vengono sempre più influenzate, positivamente e negativamente, dai social network. Diciamo che ormai possiamo parlare di una vera e propria dipendenza. Immaginare una vita senza smartphone o Facebook sembra impossibile. Ed è così. Il mondo cambia, la tecnologia avanza e noi siamo nell’occhio del ciclone di quella famosa “terza rivoluzione industriale” che ci trascina in questo vortice virtuale. Dai grandi ai piccoli, dai ragazzi alle ragazze, dai politici, i comici, le star, gli emarginati, chi più ne ha più ne metta: tutti cercano di adeguarsi a tali cambiamenti.

le informazioni circolano libere, dove possiamo esprimerci e dove possiamo evolverci, per l’appunto. Ma è anche vero che l’uomo necessita di sentirsi notato e apprezzato… E non ha importanza da dove questo provenga: quando il mondo è povero di anime ci si accontenta. Si spera che quest’anno ci si riesca a staccare un po’ da tale dimensione, facendo cose del tipo giocare a carte con i parenti, mangiare tanta cioccolata, guardare foto dei vecchi album impolverati dei nonni, invece di visualizzare quello di selfie proposto su Facebook. Bisogna semplicemente vivere un po’ di più.




#euapiedi: i tuoi occhi nella tua città

Chi possiede un account su Instagram lo sa bene: basta girare con uno smartphone e amare le fotografie, per poter creare la propria narrazione online. Il progetto narrativo #euapiedi nasce proprio così, grazie al desiderio di raccontare la propria città di Sergio Ragone (@ragons per gli utenti dell’applicazione). Nasce a Potenza, tra le strade girate a piedi che egli stesso calpesta tutti giorni e alle quali vuole dare colore e voce.

“Eu, che vuol dire Io in portoghese, nasce dall’esigenza di immaginare una narrazione digitale nuova e del tutto inedita, a differenza di quelle già presenti in rete. L’Io che vive in città, l’elemento umano nella dimensione urbana: è questo il focus che questo hashtag activism vuole ribadire come centrale. Ma Eu è anche lo spazio europeo, nel quale oggi ci muoviamo”.

Io vado a piedi, racconta Sergio già nel titolo del suo blog personale e mi spiega come mai abbia dato questo nome all’hashtag, che raggruppa le narrazioni di tutti su Instagram: ha cominciato lui a Potenza ed il potere digitale degli ambienti di Social Networking ha generato una veloce reazione a catena, che ha visto ognuno nella propria città continuare con la sua personale narrazione dei propri luoghi. Lo sguardo è nuovo: è quello partecipativo di chi esce e nella propria città ci resta, la osserva, la vive, la calpesta, le parla, la codifica, la fa propria, la racconta, la colora, la ama, le fa domande ed ella – miracolosamente – risponde!

“Quello che voleva essere un ‘luogo’ di narrazione di una sola città si è trasformato in un hashtag activism, che ci sta dando una mappatura in tempo reale della vita in città con le sue mille complessità. Tante città stanno diventando una sola”.

Sono affascinata dai mille occhi che vedo spuntare, cliccando sull’ipertesto #euapiedi, e così decido anche io di camminare a piedi insieme a loro. A loro, sì, a tutte le persone che, come me, camminano e alzano gli occhi al cielo e li fanno salire sui rami degli alberi e li infilano dentro ai vicoli scuri e li soffermano davanti ad una pila di panni stesi o di finestre spalancate o di luci allineate e simmetriche… O magari li spalancano, con dolore, di fronte ad uno scempio fatto di spazzatura davanti ai piedi.

Perché, dunque, raccontare le storie come #euapiedi? Sergio ce lo spiega con un pezzo di cuore tra le righe: “Perché gli spazi urbani appartengono ad ognuno di noi ed è arrivato il momento di abitarli, per renderli migliori, più sicuri e più belli”.

Il racconto di Sergio Ragone nel suo blog: http://iovadoapiedi.tumblr.com/

I racconti di tutti in #euapiedi: http://euapiedi.tumblr.com/

 

“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.

Italo Calvino, Le Città invisibili




Percorsi dell’identità digitale: l’evoluzione dei social network

La lenta ed inesorabile evoluzione dei social network sembra aver raggiunto il suo picco massimo con i giganti Facebook e Twitter; tuttavia la storia delle relazioni sociali mediante l’utilizzo di reti telematiche è una realtà che ha impiegato decenni per diffondersi e sdoganare il luogo comune che la voleva alla portata esclusiva degli “smanettoni tecnologici”.

Social Network

Social Network

La comunicazione è alla base dell’idea che portò i primi ricercatori a creare una rete tra diversi computer, differente dai sistemi di comunicazione dell’epoca (siamo nel 1969, e l’ipotesi di un attacco nucleare rende necessario un sistema meno vulnerabile e più efficiente), in grado di trasmettere informazioni differenti a grandi distanze. Internet nasce con il patrocinio del dipartimento della difesa degli Stati Uniti, ma si sviluppa grazie alle università: i ricercatori hanno finalmente un modo veloce ed estremamente comodo per confrontare il proprio lavoro.

Dobbiamo balzare avanti fino al 1988 per assistere alla nascita del primo IRC (Internet Relay Chat), ossia il primo sistema di comunicazione fra due o più utenti, che aprirà la strada a mIRC, ossia il primo client a sviluppare una certa popolarità fra i possessori di personal computer; siamo nel 1995 ed il pc non è più appannaggio dei soli esperti: la possibilità di comunicare con persone a distanze considerevoli viene arricchita da un sistema mediante il quale è possibile conoscere persone con interessi comuni, separate da migliaia di chilometri di distanza. In una celebre battuta di qualche anno fa il comico Corrado Guzzanti si chiedeva cosa dovessero dirsi lui e un aborigeno: la risposta sono i “canali” di mIRC, ossia chat fra gruppi di diversi utenti accomunati dalla voglia di scambiarsi informazioni o semplicemente chiacchierare riguardo un determinato argomento.

Un sistema simile ma allo stesso tempo diverso è rappresentato dai cosiddetti forum: comunità virtuali di utenti che si scrivono, condividendo una passione, pur non conversando in tempo reale. La capacità di presentare se stessi in una luce del tutto nuova a persone sconosciute, scegliendo un’immagine che ci rappresenta (i primi avatar), una frase ed in generale un atteggiamento nei loro confronti, che può essere finalmente differente da quello assunto nei contesti relazionali della cosiddetta “vita reale”, apre un modo nuovo di ripensare a se stessi. Trasmettere determinate caratteristiche della propria personalità, recitarne altre, grazie alla non-località della comunicazione, e stabilire come si sceglie di apparire, diventa un gioco intrigante per i primi internauti.

mIRC

Interfaccia mIRC

Protetti dietro l’anonimato del nickname, hanno la possibilità di riprogettare la propria vita, attraverso la scelta più o meno consapevole del loro avatar: è come avere un guardaroba illimitato che ci permette di cambiare non solo i vestiti, ma qualunque aspetto riguardante la relazione con le altre persone. E’ un fenomeno in primis autoreferenziale, che mette di fronte ai propri limiti, desideri, aspettative: riprogettare telematicamente la propria identità, oltre a costituire un divertente passatempo, rappresenta un modo per riflettere sulla propria vita, ed al contempo un processo di catarsi. La celebre affermazione di Sartre “L’inferno sono gli altri” viene mitigata dalla possibilità di emulare quelle caratteristiche degli altri che vorremmo fossero nostre: non si è più condannati ad essere se stessi, prigionieri della propria identità, inserita in una rigida struttura di rapporti sociali. ll tuo aspetto attuale è quello che noi chiamiamo “immagine residua di sé”, la proiezione mentale del tuo io digitale. (Morpheus, dal film Matrix)

Una trasformazione dei rapporti interpersonali di questo tipo deve ancora essere metabolizzata a livello socioculturale, e le conseguenze si vedranno a lungo termine, tuttavia è il necessario prezzo da pagare per saziare gli appetiti di comunicazione ed autorappresentazione che ci identificano. La creazione di identità multiple non è, ovviamente, un fenomeno che avviene solo grazie alla rete (basti pensare ad un impiegato d’ufficio che la sera si “trasforma” per andare ad un concerto rock), tuttavia essa moltiplica in maniera esponenziale la creazione degli “Io digitali”, che utilizziamo per rimanere connessi: i cosiddetti account. L’evoluzione dei social network è un fenomeno che ha costretto gli utenti a creare differenti profili, condividendo diverse informazioni riguardo se stessi, anche in base agli ambiti ed alle modalità di comunicazione. Se in un primo momento assistiamo alla distinzione tra chat e forum, col passare del tempo vengono a crearsi altre piattaforme che privilegiano contenuti differenti: i blog, diari multimediali che spaziano da stralci di pensieri e riflessioni intime a pagine web dove riportare notizie ed informazioni riguardanti settori specifici (un blog di recensioni cinematografiche, o di cucina, ad esempio); Skype, ossia

l’evoluzione della messaggistica istantanea, che ripropone la conversazione a voce implementata dalle immagini video (con diversi supporti che la sostituiscono tout court alla telefonia tradizionale); Myspace, pensato per la musica ma divenuto un formato diverso di blog; Youtube, forse il più riuscito fra i social network quanto a longevità, anche se in questo caso non c’è bisogno di possedere un account o condividere informazioni per usufruirne (ma grazie ai moderni smartphone sempre più persone decidono di condividere in video momenti della loro vita privata); Msn Messenger (ormai inglobato da Skype), con una chat di contatti in grado di scegliere se rendersi o meno visibili per avviare una conversazione.

L’idea comune dietro ai più popolari social network era proprio la possibilità di costruirsi un identità, a cominciare dal nickname, e condividere solo le informazioni scelte accuratamente, che rappresentassero ad una selezionata cerchia di utenti  l’immagine che si voleva dare agli altri. Anche i siti di incontri o per appuntamenti condividevano in parte una gestione dei contenuti di questo tipo: si caricavano foto, si sceglieva un nick (che continuava a garantire l’anonimato in caso di incontri indesiderati) e ci si descriveva in maniera più o meno veritiera (cercando di utilizzare tutti gli accorgimenti per “vendersi” in maniera appetibile ai potenziali partner, ed arrivare poi alla prova dell’incontro “reale”).

Facebook rappresenta l’implosione di questa evoluzione dell’autorappresentazione

Facebook

Facebook

digitale: nato come sito per facilitare la comunicazione tra gli studenti dell’università di Harvard, fa dell’onestà il suo cavallo di battaglia. Si utilizza generalmente il proprio nome e cognome ed una foto della persona (più o meno aderente alla realtà, ma comunque simile al concetto di “fototessera”), si condividono informazioni riguardo i propri studi, il proprio lavoro, la città di nascita e di residenza: per i più paranoici questo rappresenta una schedatura globale; da un punto di vista più oggettivo è, semplicemente, un sistema che funziona nel migliore dei modi per incontrare e mettersi in comunicazione digitalmente con i propri conoscenti e fare nuove amicizie. Uno dei motivi per cui facebook prende piede è proprio la possibilità di rincontrare compagni di scuola o amici di infanzia, non più celati da un nickname fantasioso ma finalmente riconoscibili in foto. La creazione di una rete di conoscenze formata da persone più o meno intime fomenta la voglia di condividere i contenuti, sia per metterli a disposizione degli altri, sia per ricercare, in maniera più o meno cosciente, la loro approvazione. Nella maggior parte dei casi è un sistema di condivisione molto più istantaneo rispetto ai predecessori, aggiornato continuamente proprio per la semplicità con cui si condividono i contenuti: scrivere un post in un blog richiedeva tempo e voglia, aggiornare il proprio stato su facebook è tanto veloce quanto effimero. Si possono sempre scegliere quanti e quali dettagli fornire riguardo la propria vita, ma è uso comune filtrare molto meno rispetto a prima. Ovviamente esistono delle eccezioni, profili falsi e nomi di fantasia; ma è innegabile nella maggior parte degli utenti il disvelamento del velo che costituiva l’“io digitale”, oltre alla voglia di presentarsi agli altri, nell’affannosa ricerca del giusto mezzo fra “essere” ed “apparire”. La diffusione capillare di questa nuova modalità di auto-rappresentarsi ha fatto sì che anche persone di una certa età, fino a quel momento completamente disinteressate dalla comunicazione digitale, si buttassero nel (mi si passi l’espressione) “pollaio telematico” del web 2.0.

E’ ancora troppo presto per trarre conclusioni o fare bilanci (ed il discorso diventerebbe troppo lungo) ma vi invito a riflettere sul rapporto che intercorre fra voi ed il vostro io digitale, com’è cambiato e maturato nel corso del tempo, e se ritenete che l’immagine che date di voi stessi sia il più possibile aderente alla realtà che vivete o che piuttosto vorreste vivere.




Pomezia su Facebook

Facebook è un mare di persone che si ritrovano, si incontrano e si scontrano, è un mare di notizie e informazioni ed è utile saper nuotare all’interno del social per non fare “brutti” incontri, o non incappare in “cattive” notizie. Questa è solo una breve premessa che meriterebbe una tesi di laurea in scienze della comunicazione per essere sviluppata, quindi oggi, mi soffermerò sull’effetto Social nella nostra città.

Facebook raggiunge una popolazione estremamente eterogenea in termini di età, e le informazioni possono arrivare a tutti, ognuno secondo le sue esigenze o preferenze.

Prima fra tutte la pagina ufficiale del nostro comune

https://www.facebook.com/pomezia

dove vengono riportate tutte le news che vengono inserite nel sito ufficiale de Comune.

Ma troviamo anche tante altre pagine di informazione cittadina (tra cui ovviamente anche la nostra), legate ai nostri giornali locali, alle nostre associazioni territoriali, o comitati di quartiere, tante pagine o profili di esercenti che attraverso facebook ci fanno conoscere prodotti e offerte, o anche gruppi di confronto tra mamme, gruppi di scambio e compravendita di usato. Un piccolo comune virtuale dove ci si confronta commentando una notizia o un evento, o chiedendo consigli su dove andare a comprare qualcosa, dove andare a cena e tanto altro, tutto all’interno del nostro territorio, privilegiando le risorse che ci sono nel nostro comune senza dover per forza varcarne i confini.

Insomma , basta condividere un link per passare le informazioni che più riteniamo interessanti ai nostri amici e tutto diventa un tam tam che rimbalza da un profilo all’altro. Così scopri che è stata emessa quella determinata delibera, o che è in preparazione un evento organizzato da qualche associazione, o che c’è un offerta speciale in quel negozio, il tutto solo accedendo alla tua homepage di FB.

Pomezia anni 50

Pomezia anni 50

Ultimamente è nata anche una divertente pagina “Il cameriere della città che riporta la descrizione “Notizie autenticamente false”,  pagina dedicata alla satira locale e non, dal commento sarcastico e pungente, che ci trasmette con occhio irriverente i fatti quotidiani.  L’ironia dei toni è come sempre in questi casi dolce amara, ed ha come intento quello di provocare una risata nel lettore commentando le notizie “vere” da un punto di vista più ironico e leggero.

Ma veniamo al fenomeno del momento, che è quello che mi ha dato l’ispirazione per scrivere queste due righe che è il gruppo “Sei di Pomezia se…”, ideato da due nostri concittadini, che in pochissimi giorni ha superato i 2000 iscritti…

Esempio perfetto di cosa è un social… in questo gruppo si sono ritrovate diverse generazioni di Pometini ed ognuno sta portando un pezzettino della sua storia, un ricordo, una foto, ognuno secondo la sua età e la sua esperienza personale. Post dopo post ci si rende conto che alla fine è vero che a Pomezia ci conosciamo un po’ tutti. Quello che ne sta venendo fuori è un puzzle di ricordi, tanti piccoli pezzi , che messi insieme fanno la storia della nostra città… ed è bello vedere che nonostante tutto, forse ci sentiamo Pometini veramente.