ACCABADORA di Michela Murgia Ed. Einaudi

ACCABADORA

Di Michela Murgia

Ed. Einaudi

Fillus de anima.

È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra.

Un incipit così causa soltanto una reazione: prendi il libro in mano, e non lo lasci finchè non lo finisci.

Michela Murgia ti trascina in un mondo che la maggior parte di noi non conosce, fai quasi fatica a leggere i nomi dei protagonisti, a comprendere quel linguaggio che sembra provenire da una terra lontana.

Eppure con una scrittura limpida l’autrice ti catapulta dentro una piccola comunità, poche le persone che la compongono, ancor meno le parole che essi scambiano tra loro. Consuetudini di gesti e sguardi che esprimono più di tante parole.

Un romanzo “sussurrato” perché fatto di gente che parla poco e piano, perché affronta un tema delicato e doloroso come la malattia terminale e la richiesta di una morte assistita.

 

Io sono stata l’ultima madre che alcuni hanno visto.

 

In un posto quasi senza tempo, dove la tradizione e gli antichi rituali la fanno da padrone, tutti conoscono l’accabadora, e tutti sanno. Ma, sotto lo scialle nero, non c’è solo una donna che assiste coloro che stanno per morire, sotto quelle frange c’è una madre che la natura ha impedito che fosse.

Il  rapporto tra Maria e Tzia Bonaria Urrai è strettissimo, più di un legame di sangue, nonostante ciò,  “…in tredici anni che vissero insieme, nemmeno una volta Maria la chiamò mamma, che le madri sono una cosa diversa”.

Ad un certo punto quel legame sembra spezzarsi, Maria non accetta l’accabadora, la condanna, la rifugge, ma tornerà e capirà, la Bonaria l’aveva avvisata.

 

-Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata –

 

 

Il libro finisce, e all’ultima pagina già so che lo rileggerò perché Maria e Bonaria non sono due personaggi che ti lasciano andare tanto facilmente.

 

 

SINOSSI

 

Maria e Tzia Bonaria vivono come mamma e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava, ha pensato di prenderla con sé, perché “le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge”. E adesso ha molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l’aspettano, ma soprattutto come imparare l’umiltà di accogliere sia la vita che la morte.

 

 




I tonni non nuotano in scatola di Carla Fiorentino

Un viaggio tra i sapori e i profumi di Carloforte.

I tonni non nuotano in scatola è il romanzo di Carla Fiorentino uscito nel giugno 2020 per la casa editrice Fandango ed è sicuramente una storia che fa venire voglia di prendere un biglietto e partire.

Una mix tra un noir, una storia d’amore o una commedia I tonni non nuotano in scatola è la storia di Violetta, detta Vetta, una giovane giornalista romana che, per la necessità di ritagliarsi un po’ di tempo e chiarirsi le idee sulla sua relazione con il fidanzato, chiede e ottiene dal suo capo di raggiungere Carloforte per scrivere un articolo sulla mattanza della tonnara.
Diversi personaggi entrano in gioco, dal fascinoso sommozzatore Pietro, alla scontrosa proprietaria del Bed & Breakfast Caterinetta, alla Contessa pittrice fino all’eccentrico Zio Guru.

Lettura semplice che si divora in poche ore e che fa immergere il lettore nelle atmosfere, nei colori e nei sapori di Carloforte al punto che, terminato di leggerlo, vi ritroverete ancora a girare sull’isola.
Camminando con Vetta nel paese è impossibile non perdersi nei suoi carruggi, non sentire le grida della gente che si chiama a gran voce, non percepire il profumo delle alghe miste alla salsedine e all’odore del pesce, non ascoltare il brusio dei commensali ai tavolini all’aperto intenti a gustare la focaccia appena sfornata.

 

 

Il cibo, altro protagonista de I tonni non nuotano in scatola.

Si inizia con Vetta e Pietro seduti al tavolo del ristorante assaggiando il cascà, un piatto di origini arabe fatto di semola e verdure diventato poi un piatto base della cucina tabarchina con verza, ceci, carote e piselli per poi passare al tonno alla carlofortina e terminare con canestrelli e moscato.

In uno dei pranzi nella cucina di Caterinetta viene servita, in un piatto di ceramica antica, il pasticcio alla carlofortina con “cassulli, maccaruin e curzetti come vuole la tradizione” seguito da “una cassata, fatta rigorosamente con ricotta di pecora” mentre in una scena finale, il fidanzato di Vetta, prenota un cena nel miglior ristorante del paese per assaggiare i celebri spaghetti ai sette sughi di mare.

Curiosa di saperne di più sul pasticcio alla carlofortina ho scoperto che si tratta di un primo piatto di pasta rigorosamente corta e mista condita con la buzzonaglia, parte meno pregiata del tonno, pomodoro e pesto.

Come ci è arrivato il pesto, tipico condimento ligure, nella tradizione culinaria di un isola a sud della Sardegna?

Nuove ricerche e scopro l’arcano: infatti le origini degli abitanti dell’isola risalgono al 1540 quando un gruppo di pescatori di Pegli, rinomato quartiere del ponente genovese, decisero di abbandonare la propria terra per  avventurarsi a cercar fortuna sulle coste della Tunisia. Da lì, dopo diverse vicissitudini politiche, arriviamo al 1738 quando fu concesso ai pescatori pegliesi che vivevano a Tabarka, in Tunisia, di stabilirsi sull’isola abbandonata di San Pietro dove di stabilirono fondando la città di Carloforte.

Ecco spiegata, in pochissime righe, la forte identità genovese mantenuta sia nelle tradizioni che nel dialetto originale, il tabacchino, un mix di genovese, sardo e tunisino, ancora oggi parlato dagli abitanti di Carloforte.

 

Arrivati a questo punto, non so a voi, ma a me è venuta fame e non posso fare a meno di ringraziare Carla Fiorentino per I tonni non nuotano in scatola.


In un momento come quello che stiamo vivendo dove addirittura gli spostamenti tra regioni sono limitati, viaggiare attraverso le parole di un libro, diventa una boccata di ossigeno indispensabile.