Le Origini dei Musei Capitolini: Tesori dell’Antica Roma alla Luce del Moderno

 

I Musei Capitolini, situati nella storica Piazza del Campidoglio a Roma, rappresentano uno dei tesori culturali più significativi del mondo.

Questa istituzione, fondata nel 1471, ha una storia ricca e affascinante che rispecchia l’eredità culturale millenaria della città eterna.
In questo articolo, esploreremo le radici dei Musei Capitolini, la loro storia travagliata e le opere d’arte straordinarie che conservano.

Le Origini dei Musei Capitolini

 

 

La storia dei Musei Capitolini inizia con un atto di generosità.
Nel 1471, Papa Sisto IV donò al popolo romano una collezione di bronzi antichi, tra cui il celebre bronzo di Marco Aurelio, oggi uno dei capolavori della collezione.

Questo gesto rappresentò un passo cruciale nella creazione di ciò che oggi conosciamo come i Musei Capitolini.

Il nome “Capitolino” deriva dalla posizione dei musei sulla collina del Campidoglio, il cuore del potere politico e religioso dell’antica Roma.

Il Campidoglio fu ristrutturato dal grande artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti, che progettò la famosa Piazza del Campidoglio, dominata dalla statua equestre di Marco Aurelio.
Questa piazza divenne la sede perfetta per ospitare la collezione di antichità romane.

La Storia Travagliata dei Musei Capitolini

Durante i secoli successivi, i Musei Capitolini subirono varie trasformazioni e ampliamenti.
Nel 1734, Papa Clemente XII aprì al pubblico la collezione dei Musei Capitolini, rendendola uno dei primi musei pubblici del mondo.

Questo segnò un importante passo avanti nella democratizzazione dell’arte e della cultura, consentendo a chiunque di ammirare le opere d’arte senza restrizioni di classe sociale o status.

Nel corso del XIX e del XX secolo, i Musei Capitolini continuarono a crescere, grazie alle donazioni, agli acquisti e agli scavi archeologici nella regione.

Oggi, i musei sono divisi in vari edifici che circondano la piazza, tra cui il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo, che ospitano una vasta gamma di opere d’arte, dai ritratti romani alle sculture e ai mosaici.

Opere Iconiche

I Musei Capitolini custodiscono una vasta collezione di opere d’arte che coprono più di mille anni di storia romana. Tra le opere più celebri, spicca il già citato bronzo di Marco Aurelio, una straordinaria rappresentazione dell’imperatore in sella al suo cavallo, che cattura la maestosità del periodo.

Altre opere di rilievo includono la Lupa Capitolina, una statua in bronzo raffigurante la lupa che allatta Romolo e Remo, i mitici fondatori di Roma; il ritratto di Lucio Vero, un esempio straordinario dell’arte ritrattistica romana; e il Galata morente, una scultura che cattura l’espressione di un guerriero gallico ferito.

I Musei Capitolini offrono anche una visione affascinante della vita quotidiana romana attraverso una vasta raccolta di oggetti, tra cui mosaici, gioielli, monete e ceramiche.

Conclusioni

I Musei Capitolini rappresentano un punto culminante della storia dell’arte e della cultura romana. La loro nascita, nel 1471, è stata il risultato di un gesto generoso da parte di Papa Sisto IV, che ha donato una collezione di bronzi antichi al popolo di Roma.
Nel corso dei secoli, i musei sono cresciuti e si sono trasformati, diventando una delle collezioni più prestigiose e accessibili al mondo.

Oggi, i Musei Capitolini continuano a essere un punto di riferimento per gli amanti dell’arte e della storia, offrendo un’immersione straordinaria nella grandezza dell’antica Roma.

La loro posizione privilegiata sulla collina del Campidoglio li rende un luogo imperdibile per chiunque voglia comprendere l’eredità culturale di questa straordinaria città.




L’arte classica: l’eterno splendore dell’antichità

Nel vasto panorama dell’arte antica, l’arte classica greca e romana occupa un posto di rilievo.
Queste due civiltà hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità, plasmando l’estetica,
il pensiero e l’evoluzione delle arti visive.

In questo articolo, esploreremo l’arte classica greca e romana, ammirando alcune delle opere più significative che testimoniano la maestria e la grandezza di questi periodi straordinari.

Esempi di arte classica in Grecia

L’arte classica greca rappresenta un momento di eccellenza artistica, caratterizzato dall’equilibrio tra forma e significato. Gli antichi greci cercavano di rappresentare la bellezza ideale e l’armonia dell’universo attraverso le loro opere.

Un esempio paradigmatico di questa estetica è la statua di “La Venere di Milo”.
Questa scultura in marmo, databile al II secolo a.C., incarna l’elevazione del corpo umano alla perfezione divina.

L’opera rappresenta la dea dell’amore e della bellezza, con i suoi lineamenti delicati e l’andamento sinuoso delle sue forme.
La Venere di Milo è un simbolo eterno dell’estetica greca, che ancora oggi continua ad affascinare gli spettatori.

Un altro esempio di una statua greca classica è il “Discobolo” di Mirone.
Questa scultura, risalente al V secolo a.C., raffigura un atleta in posizione di lancio del disco.

La figura è immortalata nel momento di massima tensione muscolare, con il corpo che si contorce in una composizione dinamica.
Il Discobolo cattura l’essenza dell’atletismo greco e la perfezione fisica, rappresentando la potenza e la bellezza del corpo umano in un equilibrio perfetto.

Ed infine, un opera classica non di scultura, bensì di architettura, è il Partenone, un tempio dedicato ad Atena Parthenos situato nell’Acropoli di Atene.

Questo straordinario edificio, progettato da Fidia nel V secolo a.C., è una testimonianza dell’architettura dorica greca.
Il Partenone si distingue per la sua precisione matematica e la perfezione delle proporzioni.

Ogni dettaglio, dal colonnato alle sculture dei metopi e dei fregi, rappresenta l’ideale estetico degli antichi greci. Questo monumento imponente celebra il connubio tra l’arte e la religione, incarnando la grandezza della civiltà greca.

L’arte classica a Roma

La civiltà romana ereditò molti elementi dall’arte greca e li trasformò, creando un linguaggio artistico unico.
L’arte classica romana si distingue per la sua natura pratica e celebrativa, con un’enfasi sul realismo e la rappresentazione di personaggi storici e mitologici.

Un esempio notevole di questa sintesi tra tradizione greca e influssi romani è la statua dell'”Augusto di Prima Porta”.
Questa scultura raffigura l’imperatore Augusto, il primo imperatore di Roma, in posa maestosa e trionfante.

L’opera combina elementi della tradizione greca, come il contrapposto, con l’iconografia romana, come il pettorale decorato e la presenza di simboli di potere.
L'”Augusto di Prima Porta” rappresenta il connubio tra la grandezza dell’arte greca e la potenza dell’impero romano.

Le statue romane classiche non si limitano solo a rappresentazioni imperiali, ma comprendono anche ritratti di cittadini romani e opere mitologiche.

Questo ritratto mostra un altissimo grado di realismo, con i dettagli accurati delle rughe e delle espressioni facciali.
Le statue romane classiche mitologiche includono anche figure come Venere, Marte, Apollo e molte altre divinità romane.

Sempre in ambito architettonico, però, c’è sicuramente bisogno di menzionare il Pantheon.

Il Pantheon è uno dei monumenti più iconici di Roma e un capolavoro dell’architettura romana.
Costruito nel II secolo d.C. dall’imperatore Adriano, il Pantheon si distingue per la sua struttura rotonda sormontata da una cupola emisferica.

L’interno del Pantheon è sorprendente, con un’enorme apertura centrale chiamata oculus che permette la luce naturale di filtrare all’interno.
La cupola, considerata un’opera ingegneristica innovativa per l’epoca, è ancora oggi la più grande cupola in cemento non rinforzato mai costruita.

Il Pantheon è stato originariamente dedicato a tutti gli dei dell’antica Roma ed è rimasto un simbolo dell’architettura romana e della grandezza dell’Impero romano.

 




Il Giudizio Universale

La scorsa settimana abbiamo visto insieme la Cappella Sistina, dalla sua nascita fino alla decorazione Michelangiolesca del 1508-1512.

Oggi, invece, faremo un salto temporale di ventitrè anni, restando pur sempre all’interno dello stesso ambiente.

Infatti, il lavoro per Michelangelo nella Cappella Sistina, non finì con l’affresco della volta per volere di papa Giulio II.

Nel frattempo, ci fu però il Sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzichenecchi, che aveva sospeso ogni progetto di restauro. Piano piano, Roma ricominciò a riprendersi e negli anni successivi ideò un progetto per un intervento grandioso, da affidare, nuovamente, a Michelangelo.

Già dal 1533 Clemente VII de’ Medici aveva intenzione di far dipingere a Michelangelo la parete d’altare. Le idee sul tema non erano molto chiare, infatti il pontefice e l’artista si incontrarono varie volte per discuterne.

Tuttavia, alla morte di Clemente VII, avvenuta l’anno successivo, salì al potere pontificio Alessandro Farnese con il nome di Paolo III.
Il vero e unico papa di Michelangelo, l’unico che poteva commissionargli qualunque sfida.

Michelangelo accetta perciò l’incarico del grande affresco: è il maggio del 1536.

A differenza della Cappella Sistina, in cui Michelangelo entrò da trentenne e “incapace” di dominare la tecnica dell’affresco – ricordiamo infatti le prime muffe e i primi problemi con la pozzolana romana – ritroviamo nel Giudizio un Michelangelo che è ormai maestro di tale arte.

Lo dimostrano gli stessi preparativi per il muro di fondo: l’artista decide infatti di far distruggere la parete preparata da Sebastiano del Piombo, il quale insisteva per fargli adottare la tecnica ad olio su muro, molto in voga quel momento e di sostituirla con una nuova parete inclinata di 24 cm nella parte inferiore (il cosiddetto “zoccolo”).

Perché? Probabilmente Michelangelo voleva far sì che il nuovo affresco fosse più duraturo possibile ed in questo modo non ci sarebbero stati depositi di polvere vista l’inclinazione della parete.

Dopo la preparazione del muro, il Buonarroti proseguì con la pittura: concluse il Giudizio in 456 giornate (le giornate sono le porzioni fresche di intonaco su cui il pittore va a dipingere; in alcuni casi possono essere molto piccole per la maggior quantità di dettagli o molto grandi se meno definite)

 

Ma di che cosa tratta il Giudizio Universale?

Ovviamente, come dice il nome stesso, rappresenta la scena del Giudizio Finale, ovvero dell’avvento del giorno in cui Cristo sarà chiamato per giudicare i buoni e i malvagi.

Ma l’estrema originalità di Michelangelo lo ha portato a creare una scena nuova, senza precedenti.

Cristo è Giudice e si staglia minaccio al centro dell’opera. La Madonna, al suo fianco, ha uno sguardo afflitto perché lei, misericordiosa, non può più far niente.

Tutt’attorno a loro è un ammassarsi di corpi muscolosi e virili, di uomini e donne accalcati in posizioni contorte e atletiche.

In alto i Santi. Coloro che sono morti per il nome di Cristo. Vediamo San Bartolomeo, San Lorenzo, alla destra di Cristo Sant’Andrea e San Giovanni Battista. C’è anche San Pietro, simbolo della chiesa cristiana romana.

In basso, l’Inferno con tutti i condannati. Figure circondate da creature diaboliche. Sulla destra, vediamo la barca di Caronte; sulla sinistra, invece avviene “La disputa dei corpi” ovvero l’ascesa dei beati, coloro che lasciano il loro corpo umano per unirsi a Cristo.

Al centro di queste due scene, su delle nuvole, gli angeli suonano le trombe: è arrivata la Fine.




La Cappella Sistina

La celebre Cappella Sistina viene costruita molto tempo prima dell’arrivo di Michelangelo a Roma.

Infatti fu Papa Sisto IV a commissionare nel 1477 la commissione della cappella in Vaticano.
La sua idea era quella di chiamare i più grandi artisti umbro toscani per decorare quella che diventerà il luogo dell’elezione dei successivi papi dal quel momento fino ad oggi.


Ma chi chiama?
Alcuni tra i nomi più celebri della storia dell’arte rinascimentale: Botticelli, Ghirlandaio, Pinturicchio e Perugino. La Cappella Sistina, già dalla sua nascita, dunque, è un capolavoro.

Tuttavia, molti anni dopo, Papa Giulio II – il Papa che darà avvio anche al cantiere di San Pietro – chiama Michelangelo per far ridipingere la volta della cappella.

Tutto il soffitto era affrescato da Piermatteo d’Amelio ed era decorato con un cielo stellato.
Giulio II, che già conosceva il Buonarroti avendogli commissionato la sua tomba, decide di richiamarlo per questo grande e prestigioso incarico.

Michelangelo accetta, pur sapendo che non è il suo campo: egli è infatti ormai famoso per le sue doti scultoree. Non che non avesse già dipinto dei capolavori!

Infatti, nel 1504, su commissione di Agnolo Doni aveva dipinto un bellissimo tondo rappresentante una Sacra Famiglia, il cosiddetto “Tondo Doni”.

È il 1508. Michelangelo, con una troupe di artisti fiorentini, inizia a dipingere la prima metà della volta della Cappella Sistina partendo al contrario, ovvero dall’ingresso fino alla metà del soffitto.

Le prime prove di affresco risultano un disastro: la pittura si stacca, fa muffa, non regge. Michelangelo, già sconfortato e stressato per l’incarico, vuole ritirarsi.

Interviene però Antonio da Sangallo a rincuorarlo: è solo un problema tecnico, spiega, dato che la preparazione dell’intonaco per l’affresco è diverso tra Firenze e Roma.

Michelangelo ricomincia perciò da capo, licenziando la sua equipe fiorentina e iniziando a lavorare sempre più in solitudine su quegli altissimi ponteggi.

Lo schema è ben preciso: al centro, le nove scene della Genesi formate da 4 riquadri maggiori e 5 minori; nei pennacchi si trovano i veggenti, sette Profeti e cinque Sibille; nella cornice, figure di ignudi.

La struttura è così ben concepita che tutti i personaggi hanno un loro spazio preciso e una loro pesantezza. È perfetto.

Tuttavia, nel 1510 c’è un rallentamento nei lavori. Michelangelo si ferma per quasi un anno, riprendendo l’opera nel 1511.

Le differenze tra la prima metà e la seconda, ripresa dopo l’interruzione, sono quasi formidabili.
Michelangelo ha preso completamente dimestichezza nel lavoro, non disegna nemmeno più i suoi soggetti su un cartone preparatorio.

 


La mano è più veloce, sicura, il colore si fa più denso, cambia anche il cromatismo.

Le figure diventano più monumentali senza neanche più il bisogno di misurare le proporzioni: semplicemente, Michelangelo traccia sull’intonaco fresco qualche linea guida e poi inizia a dipingere, senza studiare prima il progetto.

Conclude così, nel 1512, la volta della Cappella Sistina, dove probabilmente è racchiusa la scena più famosa al mondo, che lo ha reso celebre nel globo: la Creazione di Adamo.

Michelangelo, in quel momento, è diventato il maestro che tutti noi oggi conosciamo: il Divino.




Il maestro delle luci e delle ombre: Caravaggio

Chi è che, in vita sua, non ha mai sentito parlare di Caravaggio?

Michelangelo Merisi da Caravaggio (detto, appunto, il Caravaggio) è sicuramente uno degli artisti più famosi di tutti i tempi.
Uomo dalla vita tormentata e oscura, Caravaggio nasce a Milano nel 1571 ed entra all’età di 13 anni nella bottega di Simone Peterzano, dove compie il suo apprendistato da pittore.

Di quel periodo, tuttavia, non si sa nulla.

 

Periodo romano

Nel 1594 si trasferisce a Roma. Molti pensano che abbia abbandonato Milano così presto poiché colpevole di omicidio, ma le storie attorno alla sua vita sono numerosissime ed è difficile distinguere la realtà dalla leggenda.

Le opere del periodo romano sono caratterizzate da toni più chiari, giallastri, come ad esempio la “Buona Ventura” e “Bacchino malato”.
E’ possibile vedere molte sue opere qui a Roma, gratuitamente, come nella Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo nella chiesa di San Luigi dei Francesi.

La Buona Ventura è un’opera dipinta probabilmente nel periodo in cui Caravaggio frequentava la bottega del Cavalier d’Arpino a Roma.
Il quadro rappresenta una zingara che, mentre legge la mano ad un giovane, gli ruba l’anello dal dito.


E’ una scena di vita quotidiana: una graziosa zingarella, con il pretesto di leggere la mano a un ingenuo giovane di buona famiglia, catturando la sua attenzione col suo sguardo malizioso, gli sfila abilmente un anello dal dito. Qualcosa che si può vedere ogni giorno al centro di Roma!

La tradizione vuole che Caravaggio avesse scelto per modella una vera zingara che vide passare davanti al suo studio e come ci dice il Bellori, la condusse in studio per ritrarla così, al momento.
L’indagine radiografica del 1985 ha messo in luce un dettaglio che oggi, nonostante i restauri, non è più ben visibile, ovvero le dita della zingara che sfilano l’anello all’ingenuo giovane ben vestito.

 

I numerosi viaggi

Nel 1606, però, durante una rissa, Caravaggio uccise Rinuccio Tommasoni.
Condannato alla pena di morte, Caravaggio cercò di fuggire, spostandosi prima a Napoli, poi a Malta e in Sicilia, per tornare infine di nuovo a Napoli, in una costante ricerca di protezione.

Le opere di questo periodo – della maturità – sono permeate dalla paura della morte, come la “Decollazione di San Giovanni Battista” ma soprattutto il bellissimo “Davide con la testa di Golia”.

 

Nel volto di Golia è rappresentato tutto il tormento e la paura che Caravaggio visse in quel periodo: è, infatti, il suo autoritratto.
Le due figure emergono dalle ombre, in questa tecnica che sarà poi caratteristica di Caravaggio.
Sono figure corrose dalla luce, che lottano per venire a galla dall’oblio che le circonda.

Come le statue di Michelangelo che venivano fuori dal marmo, così anche le figure di Caravaggio.

Nel disperato tentativo di tornare a Roma e chiedere aiuto al papa, Caravaggio intraprese un viaggio, il suo ultimo.
Morì infatti nel 1610 a soli 38 anni, senza sapere che il papa aveva inviato una settimana prima un messaggero con il condono papale per assolverlo dai suoi crimini.




“Notte Oscura”: la nuova mostra alla Fondazione Memmo

La Fondazione Memmo (via Fontanella Borghese 56b) ospita l’ottava edizione di Conversation Piece, il ciclo di mostre a cura di Marcello Smarrelli dedicato agli artisti stranieri e italiani che intrattengono un rapporto speciale con la città di Roma.

La mostra, intitolata “Notte Oscura”, verrà inaugurata il 12 dicembre, e partire dal 13 dicembre 2022 fino al 26 marzo 2023 sarà visitabile ogni giorno (martedì chiuso) dalle 11.00 alle 18.00. Ingresso libero.

Gli artisti in mostra quest’anno sono Pauline Curnier Jardin, Victor Man e Miltos Manetas.

 

 




PIETRO CASCELLA INEDITO: Le opere degli esordi a Roma (1938-1961)

Dal 1°dicembre al 19 marzo 2023 al Casino dei Principi di Villa Torlonia

 

La mostra racconta un capitolo poco noto della storia dell’artista abruzzese attraverso più di cento opere, molte delle quali inedite

Musei di Villa Torlonia – Casino dei Principi, Via Nomentana, 70 – Roma
Apertura al pubblico 1° dicembre 2022 – 19 marzo 2023

LA MOSTRA

Per la prima volta a Roma, al Casino dei Principi di Villa Torlonia dal 1°dicembre al 19 marzo 2023, la mostra Pietro Cascella inedito. Le opere degli esordi a Roma (1938-1961), a cura dal Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita (1921-2021) – Tommaso Cascella (presidente), Lorenzo Fiorucci (segretario), Francesco Cellini, Claudia Terenzi, Francesca Triozzi – istituito dal Ministero della Cultura.

In esposizione un Pietro Cascella mai visto, attraverso più di cento opere, molte delle quali inedite o poco note, risalenti ai primi due decenni di attività dell’artista dalla fine degli anni Trenta ai primi Sessanta.

La mostra è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con l’assessorato alla cultura del comune di Pescara. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Catalogo Edizioni Cervo Volante.

 

PIETRO CASCELLA

Pietro Cascella (Pescara 1921- Pietrasanta 2008) è stato un grande scultore italiano del Novecento, ma prima di giungere a quella che lui stesso chiamava la “vera scultura”, quella in pietra, che lo ha reso riconoscibile agli occhi del mondo, egli ha percorso la strada che muove dal disegno alla pittura, con immediati riconoscimenti pubblici, tra cui la partecipazione alla IV Quadriennale romana nel 1943, e alla Biennale di Venezia nel 1948.

Circa un decennio, il primo dell’attività del giovane abruzzese, in cui egli si presenta essenzialmente come pittore. Una pittura certamente non di segno costante, identificativo di un carattere in formazione, ma che bene ha saputo cogliere gli umori del momento e recepire le rapide evoluzioni linguistiche che andavano susseguendosi lungo il corso degli anni Quaranta. Un percorso che in mostra è visibile attraverso i primi disegni di soggetto rurale che rimarcano il legame dell’artista con la propria terra, fino alle tele in cui sperimenta i diversi linguaggi da quello espressionista della Crocifissione del 1942 a quello più propriamente post cubista visibile in Donna d’Abruzzo del 1948. È questo uno dei primi capitoli poco noti dell’artista abruzzese, che la mostra Pietro Cascella Inedito. Le opere degli esordi a Roma (1938-1961), vuole raccontare.

Un capitolo al quale seguirà, dal 1949, la stagione della lavorazione della ceramica e il primo approccio alla scultura modellata, assieme al fratello Andrea, la moglie Anna Maria Cesarini Sforza e Fabio Rieti, nell’evocativa fornace di Valle dell’Inferno a Roma. È in questo luogo vicino al Vaticano che i quattro giovani ripensano la ceramica in un connubio tra innovazione formale e rinnovamento della tradizione popolare come il Mazzamurello (1953), opera simbolo di questo periodo. Un’esperienza questa che si completa con progetti per mosaici e poi ancora, sul finire del decennio l’approdo alla lavorazione dei metalli, ferro, alluminio e bronzo, e prima di sposare in pieno la pietra, il cemento, previsto anche in occasione del primo concorso vinto per il Monumento di Auschwitz insieme al fratello e all’architetto Julio Garcia Lafuente.

Un’energica carica sperimentale attorno a tecniche e materie, segna dunque tutti gli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo, in cui Pietro si approccia alla produzione di una serie di opere definite “sabbie” realizzate in una innovativa tecnica in cui respira il clima dell’Informale materico di quegli anni spatolando su grandi tele talvolta assemblate insieme, polveri di mattone o di marmo in cui affiorano motivi antropomorfici sintetizzando le strutture anatomiche di un corpo.

SCHEDA INFO

Titolo mostra Pietro Cascella Inedito. Le opere degli esordi a Roma (1938-1961)
Luogo Musei di Villa Torlonia – Casino dei Principi, Via Nomentana, 70 – Roma
Apertura al pubblico 1° dicembre 2022 – 19 marzo 2023
Orario martedì-domenica ore 9.00-19.00; ultimo ingresso ore 18.00; Chiuso: lunedì, 1° gennaio, 1° maggio e 25 dicembre.
Biglietteria Musei di Villa Torlonia – Casino Nobile e Casino dei Principi + Mostra:
€ 8,00 biglietto intero per i residenti a Roma;
€ 7,00 biglietto ridotto per i residenti a Roma;
€ 9,00 biglietto intero per i non residenti a Roma;
€ 8,00 biglietto ridotto per i non residenti a Roma;

Cumulativo Villa Torlonia Casina delle Civette + Casino Nobile e Casino dei Principi + Mostra
€ 10,00 biglietto “cumulativo” intero per i residenti a Roma;
€ 8,00 biglietto “cumulativo” ridotto per i residenti a Roma;
€ 11,00 biglietto “cumulativo” intero per i non residenti a Roma;
€ 9,00 biglietto “cumulativo” ridotto per i non residenti a Roma;

Ingresso con biglietto gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente.
Ingresso gratuito per i possessori della MIC card

A cura di Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario dalla nascita di Pietro Cascella (Tommaso Cascella, Lorenzo Fiorucci, Claudia Terenzi, Francesca Triozzi e Francesco Cellini)
Promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
In collaborazione con Assessorato alla cultura di Pescara




ROMA – ALLA LUCE DEL SOLE Il circo contemporaneo a Villaggio De Sanctis Spettacoli e laboratori per tutte le età

 

 15 giorni di circo contemporaneo dal 26 novembre al 22 dicembre, tra spettacoli e laboratori all’interno di uno chapiteau per un Natale contemporaneo

Dal 26 novembre al 22 dicembre
Laboratori, dalle ore 10:30 alle ore13:00
Spettacoli, ore 16.00 e 18.00
Villa De Sanctis – via di San Marcellino, Roma

INGRESSO GRATUITO 

Il circo e il Natale sono un binomio indissolubile da molto tempo, più si trasforma l’uno, più l’altro se ne avvicina. Oggi, alle porte del 2023, a Roma si aspetta l’arrivo di un Natale contemporaneo, accompagnato da “Alla Luce del Sole”, dal 26 novembre al 22 dicembre, con l’allestimento di un vero e proprio tendone da circo a Villa De Sanctis.

Dalle prime esibizioni circensi natalizie negli Anni Venti all’Olympia di Londra, passando per il circo natalizio televisivo di Billy Smart degli anni ’70, oggi il circo si trasforma ancora di più, per accompagnare il Natale nel suo clima di festa e spettacolo.

Il nuovo circo di Villaggio De Sanctis va in scena per 15 giorni di spettacoliclownerie musicali, varietà esilaranti ed esplosivi, acrobazie, giocoleria, cabaret scoppiettanti e trucchi di magia contemporanea, lasciando spazio anche ai laboratori di ricerca acrobatica sul movimento per adulti, acrobati, danzatori e un Circ Camp per piccoli aspiranti circensi.

IL PROGRAMMA

Si comincia il 25 novembre alle 18.00 con ‘Kalinka’ della compagnia Nando e Maila uno spettacolo che unisce circo e musica dal vivo in un’atmosfera felliniana, a seguire il 26 novembre alle ore 16 con “Tutti per uno” del trio 3DiDanè, in uno spettacolo ambientato nell’immaginaria Tristonia, e il 27 novembre alle 16 con il Marlon Banda Show di Marlon Banda, un varietà-concerto dissacrante, irriverente e coinvolgente.

Dicembre si apre con il Duo Flosh e il “Cabaret Zuzzurellone”, che si esibisce il 2 alle 18.00 con uno spettacolo adatto ad ogni tipo di pubblico e ricco di continue gag divertenti.

Il 3 dicembre alle 16.00 è il turno di “Con una Rosa” del Duo Bordò, che mette in scena un appuntamento al buio tra due sconosciuti in un’armonia acrobatica di equilibrisimi e giocoleria.

Il giorno successivo si prosegue con “Gustavo la vita” di Andrea Farnetani, la storia di un clown stanco e invecchiato che deve imparare ad alleggerire il futuro e vivere con serenità.

L’8 dicembre alle ore 16.00 si esibisce Madame Rebinè nel ‘Gran Ventriloquini’ e il 9 dicembre alle 18 è il turno di Simone Romanò con “Hop Hop”, uno spettacolo basato sulle arti circensi.

Il 10 dicembre alle 16.00 c’è spazio per la fantascienza con “Area 52” di Emanuela Belmonte prima di concludere l’11 dicembre alle 16.00 con “Mago o Non M’Ago” di Fil, uno spettacolo di magia contemporanea poetico, ironico e sorprendente.

I LABORATORI

Nel circo contemporaneo non c’è spazio solo per gli spettacoli, ma anche per i laboratori di ricerca acrobatica, durante i quali i partecipanti esploreranno attraverso il corpo, il movimento e l’acrobatica le potenzialità delle scenografie e degli attrezzi scena.

Il primo, VRELM, sarà condotto da Leonardo Varriale, con la partecipazione di Francesco Fiore e Valeria Pelino, da lunedì 5 a mercoledì 7 dicembre dalle ore 10.30 alle ore 13.00. Il secondo laboratorio per i più piccoli dai 6 ai 10 anni, Circ Camp, si terrà da giovedì 8 a sabato 10 dicembre e sarà condotto da Sofia Zaninotto e Alice Gabellini.

INFO

“Alla Luce del Sole” è un progetto di Dominio Pubblico In collaborazione con Villaggio De Sanctis.

Il progetto è realizzato con il sostegno del Ministero della Cultura – Direzione generale Spettacolo ed è vincitore dell’Avviso Pubblico Lo spettacolo dal vivo fuori dal Centro -Anno 2022 promosso da Roma Capitale – Dipartimento Attività Culturali.

Per informazioni: [email protected] – www.villaggiodesanctis.it




L’espressione della passione e del movimento: Gianlorenzo Bernini

Gianlorenzo Bernini, figura preminente del barocco italiano, è celebre per le sue straordinarie opere scultoree che hanno segnato un’epoca e continuano a ispirare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.

Tra le sue opere più iconiche spiccano “Apollo e Dafne”, “Il ratto di Proserpina” e “Il David”, ciascuna rappresentante del suo straordinario talento nel catturare l’essenza del movimento e delle emozioni umane.

Apollo e Dafne: Un Momento di Trasformazione Eterna

La scultura di “Apollo e Dafne” di Gianlorenzo Bernini, realizzata tra il 1622 e il 1625, cattura l’intenso momento di trasformazione mitologica tra Apollo e Dafne.

Nella mitologia greca, Apollo, dio della luce e delle arti, si innamora della ninfa Dafne, che per sfuggire al suo amore indesiderato si trasforma in un albero di alloro. Questa metamorfosi è magistralmente rappresentata da Bernini, che dà vita a questa storia attraverso il marmo.

La scena è dinamica e carica di energia, con Apollo insegue Dafne mentre lei si trasforma. Gli sguardi intensi, le pose fluide e le texture dettagliate creano un senso di movimento palpabile.

La pelle di Dafne si trasforma in corteccia, e le foglie spuntano dai suoi arti, un’illusione resa così realistica che si avverte quasi il profumo dell’alloro.

Il Ratto di Proserpina: Un Capolavoro di Emozione e Dettaglio Anatomico

L’opera “Il ratto di Proserpina” è un capolavoro intriso di drammaticità e maestria tecnica. Realizzata tra il 1621 e il 1622, questa scultura cattura il momento in cui Plutone, dio degli Inferi, rapisce Proserpina, figlia di Cerere, per farne la regina degli Inferi.
La scena è pervasa da un’intensa emozione, con Proserpina che esprime terrore e sorpresa mentre è trascinata via.

Bernini dimostra la sua abilità nel modellare la pietra, rendendo il marmo così vivido che sembra fluire come il tessuto.

L’attenzione ai dettagli anatomici, alle pieghe dei vestiti e all’espressione dei volti è straordinaria.
Questa combinazione di maestria tecnica e intensità emotiva rende “Il ratto di Proserpina” un’opera che continua a toccare il cuore degli spettatori.

Il David: Forza, Bellezza e Tensione

Il “David” di Gianlorenzo Bernini è una reinterpretazione unica del celebre soggetto biblico. Questa scultura in marmo bianco rappresenta Davide nel momento precedente il combattimento con Golia.

Bernini cattura il momento di tensione e concentrazione, in cui Davide stringe la fionda, pronto a sfidare il gigante.

La forza e la bellezza fisica di Davide sono esaltate attraverso la maestria nel modellare la pietra.
Le venature e i muscoli del marmo sembrano vibrare di energia. Il volto concentrato di Davide e la sua postura determinata evocano il senso di coraggio e determinazione.
L’opera incarna la lotta tra il bene e il male, la forza e la debolezza, catturando un momento cruciale e iconico nella storia biblica.

In conclusione, le opere scultoree di Gianlorenzo Bernini, quali “Apollo e Dafne”, “Il ratto di Proserpina” e “Il David”, rappresentano la maestria e la genialità di un artista il cui lavoro ha sfidato il tempo.

Attraverso il marmo, Bernini è riuscito a catturare l’essenza del movimento, dell’emozione e della bellezza umana, lasciando un’impronta indelebile nella storia dell’arte. Le sue opere continuano a ispirare e ad affascinare il pubblico anche oggi, dimostrando la potenza senza tempo dell’espressione artistica.




Spazio Sette Libreria apre nel centro storico di Roma

Nello storico palazzo Cavallerini Lazzaroni a due passi da Largo Argentina

 

 

A Roma, nei pressi di Largo Argentina, esattamente in via Barbieri 7, nello storico palazzo barocco Cavallerini Lazzaroni, ha aperto i battenti una nuova libreria grazie all’entusiasmo di cinque giovani sognatori, Davide, Irene, Piero, Paola e Daniele e alla rete di librerie in franchising Ubik.

Per il nome hanno preferito lasciare quello del prestigioso negozio di design che per oltre 30 anni è stata una vetrina importante di design contemporaneo sia italiano che internazionale, quindi, ecco a voi Spazio Sette Libreria, tre piani espositivi che avvolgono, abbracciano e accolgono ogni lettore e curioso per lasciarlo senza fiato.

Per gli appassionati della lettura il libro non è soltanto la porta per esplorare mondi sconosciuti ma anche un oggetto bello da accarezzare, annusare e ammirare. Tantissime sono le manie dei lettori e altrettante sono le caratteristiche che si cercano in una libreria come, per esempio, la bellezza di trovarli divisi per casa editrice e non solo per autore, oppure l’idea favolosa di creare delle sezioni dove si possono cercare nuovi autori perché divisi per aree geografiche.

Spazio Sette Libreria ha pensato anche a questo, creando una sezione dove cercare nuovi autori da leggere suddivisi in Narrativa Africana, Asiatica, Sudamericana e Israeliana (e sono certa che ne nasceranno presto anche altre!).

 

Narrativa suddivisa in aree geografiche

 

E cosa dire della ricca e invitante sezione tutta dedicata alla casa editrice Iperborea specializzata in letteratura del Nord Europa con i libri riconoscibili non solo per le bellissime copertine colorate ma anche per l’insolito formato.

 

Una sezione dedicata ai libri di Iperborea

 

Ampio spazio alle piccole case editrici indipendenti e accanto alla cassa non potevano mancare i primi quattro volumi della neo casa editrice di racconti, Tetra Edizioni.

La libreria si sviluppa su tre piani e grandi spazi sono già predisposti per l’organizzazione di presentazioni, reading e eventuali corsi e seguendo la loro pagina Facebook o iscrivendosi alla loro mailing list, è possibile restare in contatto evitando di perdersi eventuali chicche.

 

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Personalmente non ce l’ho fatta a uscire senza acquistare un libro. La scelta era vastissima. Mi sono divertita a fotografare Il giovane Holden sul grande camino in pietra ma avendolo già letto, ho optato per Un lutto insolito di Yewande Omotoso, scrittrice nata alle Barbados, trasferitasi da piccola in Nigeria e infine in Sudafrica,  edito dalla casa editrice romana 66tha2nd.

 

 




Le quattro fontane di Roma

Cercare il fresco a Roma tra fontane e fontanelle

 

Conosci le Quattro Fontane di Roma?
Nell’estate rovente, durante l’interminabile ricerca del fresco in città, potresti capitare nelle vicinanze delle Quattro Fontane.
Nonostante l’insopportabile caldo estivo di Roma, migliaia di turisti e di romani non cessano di riempire le piazze e le strade bollenti del centro della Città Eterna. Anche nei giorni più caldi, migliaia di turisti non rinunciano al piacere di una vacanza indimenticabile. Anche nei giorni più caldi, migliaia di romani non possono sottrarsi al dovere di un lavoro a ferie ridotte. E così, cercare il fresco a Roma diventa una parola d’ordine per tutti. E per tutti si attiva un meccanismo straordinario, tipicamente romano.

 

Quattro Fontane, Sovraintendenza Capitolina

 

 

Una mappa tutta romana
Una mappa di canori zampilli rinfrescanti si disegna nella testa e nel cuore di boccheggianti viandanti che, guidati dalle più diverse motivazioni, migrano verso fontane e fontanelle e le popolano. Roma è famosa le sue mille fontane e fontanelle, che oggi sono lì ancora a ricordarci l’abbondanza delle acque che attraversavano la città antica. L’antica Roma si giovava infatti di ben undici acquedotti, cui se ne aggiunsero altri cinque a partire dall’età rinascimentale fino all’età moderna. Dunque, in questi giorni torridi, a gruppi o in solitudine, in tanti cercano il fresco convergendo nei punti focali di questa rete, di questa mappa tutta romana.

 

Fontane e fontanelle
Ci si ferma volentieri presso le numerose fontane monumentali, a volte gigantesche, come il Fontanone, cioè la Fontana dell’Acqua Paola, o la Fontana di Trevi, mostra dell’acquedotto Vergine, o la Fontana dei Quattro Fiumi, altra mostra dell’acquedotto Vergine e mille altre fontane d’arte presso cui rinfrescarsi godendo della grande bellezza

Moltissimi si fermano a bere e a bagnarsi anche presso i nasoni, cioè le fontanelle pubbliche in ghisa, dal rubinetto ricurvo come un nasone, che si incontrano a decine presso gli incroci e le strade, dal centro alla periferia.

 

Le Quattro Fontane di Roma
Cercare il fresco a Roma muove così le persone anche verso le famose Quattro Fontane, che si trovano nel quadrivio che da loro prende il nome e costituiscono un organismo vero e proprio. Siamo nel punto di incrocio della Strada Felice con la Strada Pia: sono i nomi originari di due strade che furono intitolate ai papi che le realizzarono.

 

Quattro Fontane; M. Vasi – Catawiki

 

 

Strada Felice
Il papa Sisto V, Felice Peretti, fece costruire la Strada Felice. Questa collegava e collega ancor oggi Trinità dei Monti, la magnifica chiesa in cima alla Scalinata di piazza di Spagna, con la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, passando per la basilica di Santa Maria Maggiore. Il nome originario di Strada Felice è oggi sostituito da tre nomi, in quanto la lunga strada fu suddivisa nel tempo in Via Quattro Fontane, Via Sistina e Via Agostino Depretis.

 

Strada Pia
La Strada Pia prende invece nome da papa Pio IV, Giovanni Angelo Medici di Marignano e fu realizzata per collegare il Palazzo del Quirinale, che era sede del Papa, con la omonima Porta Pia. Dopo l’Unità d’Italia il nome originario di Strada Pia venne sostituito da due nomi, in quanto la strada fu divisa in due tratti: Via XX Settembre e Via del Quirinale.

 

Prospettiva dalle Quattro Fontane
Il centro dell’incrocio, spesso assolato e anche molto trafficato, offre una particolare prospettiva. Per vederla bene ti devi mettere proprio al centro dell’incrocio, facendo molta attenzione al traffico. Guardando verso l’orizzonte delle quattro arterie stradali, si possono vedere allineati in lontananza tre obelischi e la facciata interna della michelangiolesca Porta Pia. Lungo l’asse della Strada Felice vedrai da una parte l’obelisco Sallustiano di Trinità dei Monti sul Pincio e dall’altra quello Liberiano di Santa Maria Maggiore sull’Esquilino. Lungo l’asse della Strada Pia vedrai da un lato l’obelisco della Fontana dei Dioscuri sul Quirinale e dall’altro capo, il lato interno di Porta Pia. Questo è anche il punto di unione di ben tre rioni di Roma: Trevi, Monti e Castro Pretorio.

 

Un po’ di storia
Costruite tra il 1588 e il 1593, le Quattro Fontane erano alimentate dall’Acquedotto Felice, l’ex Acquedotto Alessandrino restaurato da papa Sisto V, Felice Peretti.
Questo papa, giovandosi del talento del grande architetto Domenico Fontana, ci ha lasciato eredi della cosiddetta “Roma Sistina”, un vasto progetto di ottimizzazione e monumentalizzazione degli spazi che cambiò per molti versi il volto della città. Tra gli scopi del papa c’era quello di consentire la distribuzione dell’acqua nei vari rioni di Roma, a beneficio del popolo. Dunque, l’incrocio delle Quattro Fontane era strategico per tale progetto e di lì nacque l’idea di utilizzare le costruzioni che già si trovavano ai quattro angoli per realizzare quattro nicchie entro cui collocare quattro fontane. Per amore della simmetria, si pensò a due figure maschili e due figure femminili e in particolare a due fiumi e a due divinità.

 

Procediamo in senso orario
La Chiesa di S. Carlino, capolavoro del Borromini, mostra sul muro che affaccia su via delle Quattro Fontane l’iscrizione che indica il castellum aquae dell’Acquedotto Felice, per la riserva, la decantazione e la distribuzione dell’acqua. Sull’angolo troverai la fontana col Fiume Tevere, sul lato del Rione Monti. All’angolo del Palazzo Mattei-Albani-Del Drago ti aspetta il Fiume Arno. Eccoci alla Fontana di Giunone all’angolo del Palazzo Volpi-Galloppi, per concludere con la Fontana di Diana, all’angolo del Giardino Barberini. Da notare che le fontane furono eseguite a spese dei proprietari dei terreni limitrofi in cambio di concessioni gratuite dell’Acqua Felice. Varie ipotesi ancora sono aperte riguardo agli autori: ci sarebbe un autore per ogni coppia di analogo soggetto,

Gli studiosi pensano a Domenico Fontana, a Pietro da Cortona per la Fontana di Diana, a una collaborazione del Bernini per i fondali delle nicchie delle Fontane di Giunone e del Tevere.

Di certo, l’esperienza di questo spettacolare angolo barocco ti rimarrà negli occhi e nel cuore, nonostante i caldi bollori di questa torrida estate.




VALENTINA OLLA AL MUSEO ORTO BOTANICO DI ROMA CON LO SPETTACOLO SU RITA LEVI MONTALCINI, A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA DEL PREMIO NOBEL

 

 

 

Rita Levi Montalcini, neurologa, accademica e senatrice a vita italiana, Premio Nobel per la medicina nel 1986: a quasi 10 anni dalla scomparsa anche il teatro vuole celebrarne il genio e l’eredità con lo spettacolo “Rita, un genio con lo zucchero filato in testa” di e con Valentina Olla e Sabrina Pellegrino, che ne cura la regia, prodotto da Uao Spettacoli e patrocinato da AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla, in scena a Roma il 24 luglio alle ore 21.

 

Il Museo Orto Botanico di Roma, per l’occasione visitabile, sarà cornice per lo spettacolo, inserito nella rassegna “E-state insieme” del Teatro 7 di Roma diretto da Michele La Ginestra. Immersi nella rigogliosa vegetazione del museo a cielo aperto, gli ospiti scopriranno la storia di una giovane autrice, nella fattispecie la Olla, che si ritrova a scrivere uno spettacolo sulla vita di Rita Levi Montalcini: un’impresa quasi impossibile, apparentemente. Nulla sembra essere abbastanza intelligente, le parole diventano banali di fronte alla grandezza di una mente così elevata.

 

La scrittrice inizia così un percorso di fantasia a ritroso nel tempo nella vita della scienziata dall’ “anima imprendibile”, entrando con l’immaginazione nei panni della madre, della sorella e di Rita stessa da ragazza.

 

La vita e i pensieri della scrittrice cominciano un pò per volta ad intrecciarsi a quelli della scienziata, a volte in sintonia, a volte assolutamente agli opposti, in un monologo surreale a più voci, nel quale intervengono un giornalista impertinente interpretato da Marco D’Angelo e la musica di un pianoforte, le cui note sono accarezzate da eleganti movimenti coreografici.

 

“Sono emozionata – spiega Valentina Olla – perché è un progetto che mi ha travolto: era partito come un semplice reading, visto che la Montalcini ha scritto tantissime cose molto interessanti. Successivamente, mi sono accorta che la figura di questa donna è un concentrato di materiale umano che volevo e voglio raccontare: scienza, guerre, discriminazione di genere, la difficoltà di affermarsi in un mondo di uomini ed io mi sento di riassumere quanto ho imparato dalla vita di una ragazza di 103 anni. Lo spettacolo è ambasciatore di grande speranza, sia per i giovani (lei stessa diceva che il futuro è nelle loro mani) sia per gli anziani perché la Montalcini ha sostenuto con innumerevoli prove scientifiche che il cervello continua a crescere se allenato e, dunque, l’anziano va tutelato dalla società e tenuto vivo con degli interessi; credo che sia un messaggio positivo. Mi sento di dire che Rita Levi Montalcini non ha mai cessato di vivere, è ancora qui, con noi ed ora più che mai, in questo momento così complicato per il mondo, abbiamo bisogno dei suoi insegnamenti”.

 

L’ironia dell’autrice e la saggezza della scienziata, attraversano 100 anni di storia, per ritrovarsi alla fine a parlare tra loro come due vere amiche. Ed è proprio da questo incontro di fantasia che germoglia il coraggio della scrittrice di iniziare a scrivere il suo spettacolo, perché come le ha suggerito la sua “amica” Rita, “nella vita bisogna osare, mai rassegnarsi o arrendersi. Bisogna tenere lo sguardo verso la luce… e le ombre poi ti cadranno alle spalle”.

 

Il progetto vanta il patrocinio di AISM, Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Un sostegno importante da parte di un’associazione, di cui la Montalcini è stata Presidente e Presidente onorario, che ha messo al centro della sua azione i bisogni delle persone con SM e ha dedicato impegno e energie alla ricerca scientifica, riservando una particolare attenzione ai giovani ricercatori, che a lei stavano molto a cuore. In virtù di questo impegno, AISM ha creato il premio e la borsa di studio Rita Levi Montalcini dedicata proprio ai giovani ricercatori e ai ricercatori senior. “Vedremo la luce in fondo al tunnel” era la frase che ripeteva sempre.  AISM ha fatto tesoro del patrimonio culturale che Rita Levi Montalcini ha lasciato in eredità e da oltre 50 anni promuove, indirizza e finanzia la ricerca affinché si possa arrivare a trovare le cause di questa malattia e quella cura che ancora non c’è.

 

 

Contatti

Per info e prenotazioni: 333.5001699