L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel

Esordio letterario e best seller edito in Italia da Atlantide Edizioni

 

L’estate che sciolse ogni cosa è il romanzo di esordio di Tiffany McDaniel uscito negli Stati Uniti nel 2016 e diventato in breve un best seller. In Italia è arrivato nel 2017 grazie alla casa editrice Atlantide Edizioni con la traduzione di Lucia Olivieri.

La voce narrante è quella dell’ottantaquattrenne Fielding Bliss che racconta la caldissima estate del 1984 quando aveva solo tredici anni e suo padre, il giudice Autopsy Bliss, pubblica sul giornale locale un’invito particolare:

Egregio Satana, Diavolo chiarissimo, esimio Lucifero e tutte le altre croci che siete costretto a sopportare, vi invito cordialmente a Breathed, in Ohio. Terra di colline e di balle di fieno, di peccatori e di uomini capaci di perdonare. Che possiate venire in pace.

E il diavolo si presenta davvero sotto le sembianze di un ragazzino nero, Sal (dalle iniziali di Satana e Lucifero) con indosso una logora tuta di jeans, e con gli occhi di un verde intenso come a ricordare il paradiso.

Il caldo arrivò insieme al diavolo. […] C’era da aspettarselo che arrivassero insieme. Dopo tutto, il caldo non è forse il volto del diavolo? E a chi è mai capitato di uscire di casa senza portarselo dietro?

Nel corso di quella torrida estate nasce e si consolida l’intensa amicizia tra Bliss e Sal che li porterà a vivere sulla propria pelle il male che si annida sia nella società statunitense che nella piccola comunità di Breathed. Saranno i comportamenti dei vicini di casa, dei compagni di scuola, dei semplici conoscenti a far emergere temi come il razzismo, il dramma dell’AIDS e il tabù dell’omosessualità.

Argomenti che restano avvinghiati al pensiero di tanti e che ne determinano i comportamenti, le discrepanze e le divergenze fino ad arrivare a trasformare persone che sembrano essere per bene in catalizzatori e portatori di male.

 

 

La scrittura di McDaniele è coraggiosa, conturbante e spietata e i dialoghi sono diretti e le domande che Bliss pone a Sal conducono piano piano il lettore a chiarire come in ciascuno di noi viva e conviva sia il male che il bene.

«Pensavo, se tu sei il diavolo, hai incontrato Dio. Com’è?» […] Sal si sollevò su un gomito e mi chiese di raccontargli di un giorno in cui mi ero sentito amato.»

Tiffany McDaniel ha creato un intenso romanzo di fiction letteraria toccando temi non semplici ma riuscendo a estrapolarli per renderli accessibili, possibili quasi avvicinabili. Il male esiste nella stessa misura in cui esiste il bene e noi umani possiamo solo imparare a conviverci equilibrando e dosando i due pesi. Il nostro pensiero e le nostre azioni hanno bisogno di controllo perché raccolgono in sé sia il male che il bene e le conseguenze segnano per sempre sia noi che chi ci vive accanto.

Se dovessi trovare un difetto in L’estate che sciolse ogni cosa, sicuramente direi l’uso eccessivo e ridondante di metafore ma è una piccola cosa davanti ad un romanzo ben strutturato, con argomenti riflessivi importanti e con una trama assolutamente non banale.

«Perché quei lacci sono ogni cosa, e quando ogni cosa rimane slacciata, si finisce per inciampare anche se si va in giro scalzi»




In marcia per gli immigrati

I flussi migratori esistono da millenni sui libri di storia: sarebbe sufficiente aprirli, leggerne i contenuti e porsi delle domande sul presente storico che stiamo vivendo. Mai come in questi ultimi tempi, si assiste infatti ad un orrendo teatro, nel quale molti individui danno sfogo con la pancia e le sue interiora ad espressioni brutali di razzismo. Ci sono davvero molti modi di dire le cose, di apostrofare le persone, di declinare concetti e sembra che, soprattutto nel mondo di Internet, si scelgano spesso i toni più violenti, le parole più aggressive e prepotenti, le volgarità e le ingiurie verso le persone.

Fate gli immigrati a casa vostra, devono restare a casa loro, affondiamo i barconi, ma come mai non ci sono iniziative anche per gli italiani poveri e bisognosi? gli italiani emigrati non rubavano, devono morire tutti, dobbiamo pensare agli italiani, ci rubano il lavoro, puzzano e portano degrado nei nostri quartieri, un giorno non saremo più noi gli italiani, basta con questo finto buonismo, ci costano ics euro al giorno” sono solo alcune delle frasi del sentire comune, non comune a tutti tuttavia.

Da decenni ormai la sociologia e la psicologia sociale cercano di dare una spiegazione scientifica ai fenomeni di stigmatizzazione e di razzismo e spiegano quanto queste reazioni individuali o collettive di intolleranza e non accoglienza siano fisiologiche e siano il frutto della paura del diverso e della minaccia che esso possa costituire. Ma la paura, le infamie, le minacce e lo sdegno non sono l’unica reazione possibile: ce n’è una più umana, dignitosa e civile, che guarda ai disastri e alle morti in mare con profondo dolore, che comprende che chi scappa lo fa da un posto in cui una casa già non ce l’ha più, che sa che le responsabilità primarie dei flussi migratori verso “l’Occidente del mondo” sono dell’Occidente stesso, che vi riconosce dei fenomeni storici di portata epocale, che non possono essere ignorati o soltanto bloccati, poiché è evidente che ciò non sia assolutamente attuabile. Ci si può dunque aprire e si può coglierne non solo le possibilità culturali che da ciò derivano, ma anche l’occasione per riscattarsi dalla propria animalità.

0La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi parte da queste ed altre ragioni e inizia un lungo cammino di civiltà, materiale ed immateriale. Venerdì 11 settembre moltissime località d’Italia aderiranno ad una marcia, che vuole rappresentare l’inizio di un percorso di cambiamento al livello degli atteggiamenti e dei comportamenti, un invito a tutti gli uomini e le donne del mondo globale “di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie. Dare asilo a chi scappa dalle guerre significa ripudiare la guerra e costruire la pace. Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti”.

Grazie alla comunità di Rete Antirazzista Pomezia, anche Pomezia, come Roma, aderisce alla marcia, che partirà venerdì 11 settembre alle ore 21.00 da Piazza Indipendenza. Ognuno ogni giorno con le proprie azioni sceglie da che parte stare: è bello poter dare notizia di un evento che si distingua a livello umano, che voglia che si superi la violenza verbale, che ci inviti a riflettere e restare umani anche di fronte ad eventi di questa portata e pieni di intrinseche contraddizioni, che ci esorti a provare a riconoscerci negli occhi pieni di terrore e dolore di chi sbarca con una busta di plastica in mano e ha appena vinto la sua prima battaglia contro la morte.

“Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi.”

(Giuseppe Pontiggia)

Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/133448817001036/




Nessuno può crescere solo

Il 3 febbraio 2014 si è tenuta, presso la Biblioteca Comunale di Pomezia, la conferenza di lancio del Progetto “Nessuno può crescere solo”, seconda parte del progetto “Pro Child”, per promuovere il diritto dei bambini e degli adolescenti a crescere all’interno delle loro famiglie e ad essere inseriti nelle loro comunità locali, sia in Italia che in Romania.

 All’evento, patrocinato dal Comune di Pomezia e dall’Ambasciata Romena in Italia e finanziato con il contributo dell’otto per mille della Chiesa Valdese, hanno partecipato l’associazione Spirit Romanesc, capofila del progetto, l’associazione Interculturando Roma, l’associazione MakeNoise, il rappresentante dell’Ambasciata rumena in Italia Laviniu Enni, la responsabile dei Servizi Sociali di Pomezia Ambra Camilli e la vice sindaco Elisabetta Serra.

 L’obiettivo della conferenza “Nessuno può crescere solo”, ha spiegato Daniela Hondrea, responsabile del progetto sul territorio, è quello di portare alla conoscenza dell’opinione pubblica il problema degli “abbandoni bianchi” e delle conseguenti difficoltà legate alla separazione madre-figlio dal punto di vista delle donne che sono costrette, per motivi economici, a lasciare i propri figli nel paese d’origine e vivere da lontano la loro crescita ed educazione.

Una vera e propria campagna di visibilità che ha lo scopo di aumentare la consapevolezza del diritto di bambini e adolescenti a crescere all’interno delle proprie famiglie e di sensibilizzare sui temi del razzismo e dell’intolleranza contro le famiglie emigrate dalla Romania all’Italia.

 Le aree individuate sul nostro territorio sono Pomezia, Torvaianica, Genzano e Lanuvio, con interventi a favore dei bambini e delle loro famiglie tramite un’attività di informazione e sensibilizzazione rivolta all’opinione pubblica, sia nelle scuole che nel territorio, capace di coinvolgere genitori, studenti e comunità locali per contrastare l’intolleranza nei confronti delle famiglie immigrate.

nessuno puo crescere solo1

 

 Sulle problematiche inerenti all’integrazione sul territorio di Pomezia è intervenuta Ambra Camilli, referente area Servizi Sociali, che ha sottolineato come la nostra città, configurandosi Hinterland di Roma, sia un’area di rilevanza per quanto riguarda l’immigrazione e di conseguenza ci sia una forte necessità di operare per la tutela dei minori, sia tramite indagini socio-familiari in sinergia con le autorità giudiziarie e il Tribunale dei minori, sia tramite le rogatorie internazionali che consentono una verifica delle condizioni di vita di quei genitori che hanno chiesto il ricongiungimento con i figli lasciati nel paese di origine.

Alla conferenza è intervenuta anche la dott.ssa Cinzia Sabatini presidente dell’associazione Interculturando Roma che ha ribadito l’importanza di una formazione specifica all’intercultura dei diversi operatori che operano a favore dell’ integrazione per permettere il passaggio da una società multietnica ad una società interculturale.

Il progetto “Nessuno può crescere solo”, nella realtà di Pomezia, troverà la sua attuazione tramite un corso di formazione di animatori che potranno così lavorare in campo sociale nel territorio anche grazie all’apertura, in via sperimentale, da parte del Comune di uno sportello d’ascolto e di sostegno ai migranti.

La vicesindaco Elisabetta Serra ha ribadito l’impegno da parte dell’Amministrazione comunale nel voler sostenere i progetti a favore dell’integrazione e la volontà affinché “Nessuno può crescere solo” abbia la più ampia partecipazione sia nelle scuole che nel territorio, mettendo a disposizione tutti gli strumenti necessari per il buon fine del progetto.

Durante la conferenza è stato proiettato il cortometraggio “Torna da me” realizzato dall’associazione culturale MakeNoise, che racconta la storia degli abbandoni bianchi dal punto di vista di una donna e madre migrante arrivata in Italia dalla Romania per lavorare.

La storia rispecchia la situazione di tutte quelle donne e madri che lasciano la propria terra di origine per migliorare, tramite il lavoro, le condizioni economiche della propria famiglia e pone l’accento sulle difficoltà psicologiche e sociali che queste donne affrontano e sulle conseguenze provocate dalla loro partenza: da un lato il processo non sempre facile di integrazione nel paese di arrivo e dall’altro l’assenza nei percorsi di crescita dei figli.

 Un progetto d’integrazione fortemente voluto dall’associazione Spirit Romanesc da estendere nel territorio di Pomezia dove i cittadini romeni sono più di 4000.

Dana Mihalache, presidente dell’associazione ha dichiarato che “lo scopo degli interventi nella città di Pomezia è l’integrazione tra italiani e romeni, che presuppone la volontà rispettivamente di accogliere e di introdursi nella nuova società per una convivenza ed una comprensione tra le culture diverse quale presupposto indispensabile per lo sviluppo sociale, culturale e anche economico di tutti”.