La forma del silenzio di Stefano Corbetta

Candidato al Premio Strega edizione 2021

 

Quali meccanismi si innescano in una famiglia quando si scopre che l’ultimo nato è affetto da sordità? È quello che ci racconta Stefano Corbetta nel romanzo La forma del Silenzio edito da Ponte alle Grazie nel 2020.

Una famiglia degli anni ’60 con Elsa e Vittorio a fare da genitori e Anna con il piccolo Leo come figli. E sarà proprio il piccolo Leo a portare scompiglio in casa perché la gioia di un neonato sarà affiancata con la difficoltà di accettare e comprendere lo stato di non udente, a fare i conti con la difficoltà di comunicare per poi arrivare, nel giro di poche pagine, all’improvvisa scomparsa di Leo in una notte di dicembre del 1964 dall’Istituto nel quale è stato mandato per imparare il linguaggio dei segni. Non dimentichiamoci che parliamo degli anni ’60, un periodo in cui la sordità era vissuta come un grave handicap e dove la LIS, il linguaggio dei segni, era vietato nelle scuole.

A raccontare la storia è la voce di Anna, la figura centrale del romanzo la quale, con il suo amore profondo, riesce a comprendere l’anima fragile e sensibile del piccolo Leo e ad instaurare un filo comunicativo con il fratello.

Tuo fratello imparerà a parlare con il corpo e la sua anima avrà una voce speciale. Avrà bisogno di tempo, ma noi saremo lì con lui e impareremo ad ascoltarla.

Questo forte legame con il fratello non si romperà neanche dopo la scomparsa di Leo tanto che Anna, durante l’università, inizia a seguire un corso per imparare la LIS per poi lavorare come affiancamento nelle scuole per sostenere e aiutare bambini affetti da sordità.

La trama del libro è ben equilibrata e con l’arrivo dello strano personaggio di Michele che, esattamente 19 anni dopo la scomparsa di Leo fa delle rivelazioni sostanziali per ipotizzare nuovi scenari sul destino del bambino, ecco che La forma del silenzio innesca ritmi da romanzo giallo legando il lettore inesorabilmente alle sue pagine.

 

 

I capitoli del romanzo sono intervallati dal cambio di voce narrante, passando da Anna a Michele, offrendo così al lettore la piacevole occasione di scoprire anche un altro intrigante punto di vista.

La forma del silenzio è una lettura che indaga sulle solitudini, sulle fragilità dell’animo umano e sui legami indissolubili che legano i fratelli tra loro anche quando si resta lontani decenni, anche quando non ci sono parole da ascoltare e pensieri da pronunciare. Una lettura delicata con un finale a sorpresa.

 

 

Sinossi

Leo ha sei anni. È nato sordo, ma la sua infanzia scorre serenamente. Con la sua famiglia, Leo parla la Lingua dei Segni, e quella degli affetti, che assumono forme inesplorate nei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna. Ma è giunto il tempo della scuola e Leo viene mandato lontano da casa, a Milano, in un istituto che accoglie bambini come lui. Siamo ai tempi in cui nelle scuole è vietato usare la Lingua dei Segni. All’improvviso per Leo la vita diventa incomprensibile, dentro un silenzio ancora più grande di quello che ha vissuto fino a quel momento. Poi, in una notte d’inverno del 1964, Leo scompare. A nulla servono le ricerche della polizia: di Leo non si ha più notizia. Diciannove anni dopo, nello studio della sorella Anna, si presenta Michele, un compagno di Leo ai tempi della scuola. E inizia a raccontare la sua storia, partendo da quella notte d’inverno.




Gli affamati di Mattia Insolia

Romanzo d’esordio pubblicato da Ponte alle Grazie

Leggendo Gli affamati si apprezza, sin dalle prime battute, il talento di Mattia Insolia.

Frasi brevi con una accurata scelte delle parole; tempi d’azione ben calibrati capaci di lasciare con il fiato sospeso; introspezione dei personaggi vivida e e ben delineata; dialoghi mai fuori luogo e eccessivi.

Mattia Insolia è siciliano, ha conseguito una laurea in Lettere a Roma e ha soltanto 25 anni. Dico soltanto perché il Gli affamati dimostra una tale maturità di scrittura che sorprende ritrovarla in un uomo così giovane.

I protagonisti dl romanzo sono Paolo e Antonio. Due fratelli giovanissimi che vivono in un luogo non ben definito del sud d’Italia. A seguito della morte dei genitori, tentano di portare avanti una vita normale, cercando di sopravvivere al dolore che vivono dentro, alla povertà che li circonda e alla totale mancanza di un futuro avanti a sé.

 

«Camporotondo era un pezzo di terra sconclusionato dal quale la gente cercava di fuggire in tutti i modi e chi restava quasi si vergognava a farlo. Di continuare la propria vita. Sposarsi, mettere al mondo delle creature. Mancava tutto, lì. Aria, luce, spazio vitale per la speranza che l’inatteso accadesse: un recinto per polli, un purgatorio terrestre»

 

Una mancanza di futuro che diventa, essa stessa, protagonista del romanzo.
Come si vive quando non si hanno prospettive di cambiamento? Quando il futuro non è altro che il vuoto che ti circonda, quando non ti senti neanche all’altezza di riceverlo quel futuro perché sei vissuto talmente tanto nella povertà, nella miseria, nella mancanza di dialogo, che anche quando la vita di offre un’occasione, rinunci e fuggi via perché non ti senti mai all’altezza.

 

«Era tutto troppo grande, troppo bello, troppo pulito per lui»

 

Paolo e Antonio appaiono come personaggi sporchi. Sono violenti, irascibili, bevono, si drogano, si trastullano nel niente, eppure non hanno nulla di sporco se non il passato di dolore vissuto, di miseria, di vuoto che li schiaccia e li immobilizza senza alcuna possibilità di riscatto.

Gli affamati è un romanzo duro. Forte come un pugno allo stomaco. Pagine talmente crude e reali da lasciarti con la sensazione di non poter andare avanti a leggere.

Perché è più facile vivere senza sapere invece di capire che c’è chi si sente inadatto anche solo a sognarlo un futuro, così impotente e solo davanti a un mondo che cammina a due velocità.

Gli affamati ha la forza di farti entrare nei panni di chi usa la violenza come scudo per un dolore così profondo e abissale da togliere il fiato e qualsiasi forma di progettualità e riscatto.
Gli affamati è un muro che affanna e toglie il fiato; alza la crosta della violenza, senza volerla giustificare, ma lasciandoti intravedere, attraverso le sue ferite, quanto bisogno di respirare aria nuova ci sia anche da chi usa la violenza e la droga per tentare di urlare la propria esistenza.

 

 

SINOSSI

Antonio e Paolo sono fratelli,diciannove e ventidue anni. Vivono soli da quando il padre è morto e la madre è andata via di casa. Insieme hanno costruito una quotidianità che, seppur precaria, parrebbe funzionare. Vivono alla giornata, tirano avanti in un presente che non concede di elaborare progetti futuri. E abitano in un paese minuscolo, una periferia immaginaria nel centro Sud che sembra quasi un confino, degradato e gretto. È un’estate torrida. Antonio cerca un lavoro, Paolo di tenersi stretto il proprio. L’esistenza dei due procede senza grandi avvenimenti, tra notti allucinate, feste con gli amici, giornate al mare e serate di sesso, alcol e droga. Finché poi, un giorno di quiete apparente, qualcosa si spezza, e vecchi scheletri saltano fuori dall’armadio, mostri del passato seppelliti in malo modo. La madre, fuggita anni prima dal marito violento, torna da loro, un amore quasi dimenticato bussa alla porta di uno dei due fratelli e crimini di cui non è mai stata scontata la pena si affacciano all’orizzonte dell’altro. E tutto dev’essere rimesso in discussione. Una nuova narrazione contemporanea che sa illuminare la nostra rabbia e la nostra solitudine, che lo fa attraverso una lingua precisa e scarna, uno sguardo maturo e senza paura. Un desiderio autentico di denudare la realtà per comprenderla e forse, domani, trasformarla.