Noi, animali sociali, ai tempi della pandemia

In questo periodo di secondo lockdown se ne parla tanto: tra colleghi, amici, familiari, conoscenti, al supermercato o dal benzinaio. Non ce la facciamo più, siamo stanchi, stufi. La percezione di quest’emergenza sanitaria oramai, dopo un anno, ci ha logorati, sfilacciati, sfiniti.  All’inizio, noi, animali sociali, abbiamo modificato, giocoforza, le nostre vite, dal lavoro agli affetti, alle relazioni sociali. Ognuno ha ‘dato’, si è sforzato, ma ora quasi non ci riconosciamo più, vogliamo riappropriarci della nostra quotidianità. Sono giunti poi i colori legati alle varie regioni a crearci altra insicurezza e disorientamento: giallo, arancione, rosso. E allora si arranca, si fa fatica a tenere il passo, si comincia a pensare che venga meno la libertà personale anche facendo i conti con una instabilità di governo che non fa che aumentare confusione, paura e smarrimento. Questa condizione psico-fisica viene definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Pandemic Fatigue, “la tendenza a sentirsi demotivati nel seguire i comportamenti raccomandati per proteggere sé stessi e gli altri dal virus Sars-CoV-2”. Stress da pandemia che porta ansia, stanchezza, stress emotivo nel seguire i comportamenti suggeriti per combattere l’emergenza e che sta affaticando tutto il mondo. “La Pandemic Fatigue non è una condizione fisica, ma appunto una condizione mentale che porta i soggetti di una condizione straordinaria, come la crisi attuale, a reazioni che vanno dalla depressione e chiusura in sé stessi fino al rifiuto delle misure in favore della disinformazione” afferma Hans Kluge, direttore Oms per la regione europea durante un recente incontro sul coronavirus. ”Ne soffre oltre il 60% dei cittadini di Stati che hanno implementato regole restrittive ed è un problema generalizzato su cui l’Oms si sta concentrando per trovare sempre nuove soluzioni creative per sentirsi vicini agli altri e provare felicità”. I sintomi, così come elencati dall’Oms, sono vari: dall’ansia alla rabbia, dalla tristezza alla rassegnazione, dalla passività alla negazione del problema e, ovviamente, possono variare da persona a persona.  “Prima di tutto è fondamentale accettare il fatto che si possa essere stanchi, spossati e demotivati. È una risposta normale dell’organismo e della mente, che come autodifesa si settano in uno stato cronico di stress spiega Marco Vitiello psicologo del lavoro e delle organizzazioni, coordinatore per l’Ordine degli psicologi del Lazio della sezione ‘Lavoro’ (fonte Sanità Informazione). “Prima che questa condizione cronica faccia insorgere disturbi legati all’ansia, comportando anche un abbassamento delle difese immunitarie, meglio accettare la situazione e studiare una strategia di evasione, tra le mura domestiche, puntando al rilassamento. Bisogna crearsi delle piccole progettualità. Inseguire nuovi spunti e tornare ad avere una propensione per il futuro”. Tra le varie ricerche sul tema, di recente è stato pubblicato sulla rivista Plosone “Cognitive and mental health changes and their vulnerability factors related to Covid-19 lockdown in Italy”, un’indagine condotta dai ricercatori dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Irccs Santa Lucia di Roma, che ha studiato gli effetti del lockdown sul funzionamento delle proprie abilità mentali nella quotidianità come memoria, attenzione, concentrazione.
“Durante la fase finale del primo lockdown in Italia (dal 29 aprile al 17 maggio 2020) hanno partecipato all’indagine online 1215 individui ed è emerso come il lockdown abbia avuto un significativo impatto sul funzionamento cognitivo percepito, oltre che sul benessere psicologico” spiega Giorgia Cona, coordinatrice della ricerca, del Dipartimento di psicologia generale dell’Università di Padova e del Padua Neuroscience Center (Fonte Università di Padova). Donne, under 45, e disoccupati hanno risentito maggiormente di questo peggioramento nelle abilità cognitive. La situazione nazionale è ancora complessa su tutti i fronti, politico, economico, sociale e sanitario. In attesa che arrivino presto iniziative socio sanitarie, da una migliore gestione delle cure a quella dei vaccini per tutti, che si riflettano positivamente sul benessere psico-fisico dei cittadini, noi che possiamo fare? Gli esperti ci dicono di proseguire con le misure sanitarie come mascherina, lavaggio mani e distanziamento, ma anche di seguitare a dare spazio a passatempi e passioni come cucina, bricolage, scrittura creativa, yoga e meditazione, passeggiate, sport (quello consentito dai decreti), e a tutto ciò che ci fa star bene. Qualora le difficoltà divenissero più ‘faticose’, il suggerimento è quello di contattare il medico di base e/o professionisti del settore. (Foto di Gerd Altmann da Pixabay)




Un po’ di accortezze per l’uso cortese di WhatsApp

Quando il buon vivere fa la differenza

Alzi la mano chi non sia stato inserito in qualche gruppo su WhatsApp e non abbia partecipato a qualche crescente discussione finita male.
Oggi giorno è ormai un ricordo lontano lo squillo del telefono mentre fa parte della nostra quotidianità la marea di notifiche che arrivano già dalle prime ore del mattino.

La nostra giornata è incorniciata dai messaggi WhatsApp e riuscire a conviverci in modo sereno dipende da alcune piccole accortezze.

 

  1. L’orario di un messaggio.
    Sembra scontato come punto e dovrebbe far parte della buona educazione di tutti noi NON inviare messaggi nel cuore della notte solo perché quello è il momento in cui abbiamo avuto l’ispirazione. Prima di inviare è importante guardare l’orologio e domandarsi se, magari, alle tre del mattino il nostro interlocutore abbia qualcosa di meglio da fare.
  2. L’uso delle emoji e della punteggiatura.
    A meno che non abbiate 10 anni, non è buona cosa completare il messaggio da una serie infinita di emoji o punti esclamativi. È vero che aiutano a comunicare le proprie emozioni ma abusarne non fa di noi un simpaticone ma, al massimo, un confusionario. Come dice il saggio “less is better”
  3. Abbandonare un gruppo.
    Inutile negarlo: la tentazione di abbandonare una chat perché la troviamo inutile e lontana dal nostro modo di pensare arriva per tutti. Se proprio è necessario, non farlo mai senza prima scrivere due righe per spiegarne il motivo. Abbandonare nel silenzio assoluto ha lo stesso significato di uscire sbattendo la porta dalla casa di un amico. Riflettiamoci!
  4. Lunghezza del messaggio
    È vero che non abbiamo limiti alla lunghezza del messaggio, ma ciò non significa che possiamo scrivere Guerra e Pace o che basta una semplice parola per farsi comprendere. Quindi, NO all’invio di un messaggio a parola lanciati a mitragliatrice come se non ci fosse un domani e tantomeno messaggi prolissi e infiniti senza rispetto alcuno per chi dovrà leggerli.
    È consigliata la sintassi e la sintesi.
  5. Avvisare è meglio
    Nel caso vi arrivi un messaggio la cui risposta ha bisogno di un po’ di tempo che, in quel momento, non potete dedicargli, la cosa migliore da fare e avvisare. Quella fatidica spunta blu attivata avvisa della vostra lettura e la mancanza di risposta potrebbe creare degli inutili fraintendimenti.
  6. Gli audio invece del testo scritto
    Ultimo ma non per importanza, l’uso smodato degli audio nella messaggistica che sta raggiungendo limiti estremi di sopportazione.
    Prima di inviare un audio di qualche minuto adducendo la scusa che si è in macchina e non si può scrivere, provate a pensare che chi lo riceverà sarà costretto a usare il doppio del proprio tempo per ascoltare ciò che tu avevi da dire e magari appuntarsi le cose più importanti.
    Se proprio devi metterti in contatto con una persona e sei in macchina perché non comporre il numero dell’interessato e parlargli direttamente?
    C’è da considerare che un testo scritto può essere letto anche in presenza di altre persone con disinvoltura mentre un audio, anche se ascoltato in forma privata appoggiando lo smartphone all’orecchio, costringe l’altro ad un palese atto di scortesia.
    Meditate gente prima di inviare un audio come se fosse un evento di estrema gravità: il vostro tempo ha lo stesso valore del tempo di chi ascolta.

 

 

 

Foto di Freepik




Un viaggio nell’ombelico del mondo

La rubrica “Racconti di viaggi”, nell’augurare a tutti i lettori di poter tornare a viaggiare al più presto, inizia il 2021 con il viaggio di Nicola. Informatico pugliese, 52 anni, sposato con un figlio adolescente, da vent’anni vive a Pomezia dove partecipa attivamente a varie iniziative a favore del territorio. Viaggia molto, in Italia e all’estero. Ha visitato Londra più volte, e oggi ci parlerà del suo soggiorno nella capitale inglese nel 2015.

 Perché spesso a Londra?

L’idea di andare a Londra viene spontanea, perché piace a tutta la mia famiglia. Mia moglie ci va sempre volentieri perché ci abita la sorella. Il nostro punto di partenza è un quartiere tranquillo nel sud-ovest della città, Twickenham, famoso per l’omonimo stadio sede della Rugby Football Union, l’impianto degli incontri dell’Inghilterra di rugby. È una città che adoro, nella sua eterogeneità mi fa stare bene, mi sembra di essere nell’ombelico del mondo. Anche a mio figlio piace molto perché può praticare l’inglese. Questa mia passione la ‘esprimo’ fin dall’organizzazione del soggiorno, a partire dal viaggio in aereo, agli spostamenti, ai tour cittadini. Visto il clima particolare, che cambia più volte durante la giornata, sto sempre molto attento al meteo, e mi comporto di conseguenza nel programmare la visita della città. Faccio molte foto per ricordarmi di quello che viviamo durante il viaggio. Mia moglie è un’appassionata di musei e la città risponde appieno a questo suo hobby. Li abbiamo visitati quasi tutti: dal Museo di scienze naturali a quello di Arte Moderna, il Tate, uno dei più importanti al mondo assieme al British Museum.

Cosa ti emoziona in particolare della capitale inglese

Devo dire che per me il viaggio è uno ‘stacco’ dalla quotidianità, cerco posti dove star bene: girare e immergersi nelle abitudini e nei costumi del posto che visito. Deve darmi emozioni, sensazioni nuove e deve incuriosirmi, e Londra è per me l’ideale. Ha un fascino particolare, mi fa sentire al centro del mondo, quando sto lì sono

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a casa. Il miscuglio di razze, di colori, di cibi mi fa sentire parte di una cosa più grande di me, e libero. Ognuno è libero di fare ciò che meglio crede, si può essere molto informali, fuori dagli schemi, ma allo stesso tempo formali e convenzionali, a partire da come le persone si vestono. La prima emozione fa rima con attenzione che ho sempre durante i miei soggiorni: vigilare per evitare di prendere fregature, o vivere brutte esperienze che possano rendere il viaggio meno piacevole. Purtroppo mi è capitato, e non sono l’unico, di essere stato derubato del cellulare da un ragazzo che è passato in bicicletta, mentre passeggiavo con amici e parenti in una tranquilla strada londinese. L’altra emozione che predomina è la curiosità: mi piace scoprire zone e passaggi anche un po’ in disparte, e fare foto per immortalare il momento. Giro sempre con la cartina che mi fa da bussola, ma mi avventuro volentieri anche in luoghi inesplorati e che scopro per caso. Come per esempio quando a Tottenham Court Road, strada centrale vicino al quartiere Soho, alzando gli occhi, ho visto un edificio di circa 15 piani in ristrutturazione che ‘nascondeva’ i lavori in corso con dei teloni che raffiguravano negozi e immagini che sembravano effettivamente veri! Adoro passeggiare nei parchi, soprattutto a Richmond Park, non lontano da dove vive mia cognata. Faccio foto, soprattutto quando, come capita a molti che visitano Londra, incontro gli scoiattoli che si avvicinano e mangiano dalle tue mani. Amo anche fotografare i negozi: ce ne sono di strambi, inusuali per come li intendiamo noi. Per esempio me ne piace uno, uno Store, che vende tutto in un unico ambiente: dalla cheese cake, buonissima, a tantissimi altri disparati e improponibili oggetti. Mi piace molto anche andare in giro a ‘naso all’aria’, come si suol dire. Mi piace sostare a Piccadilly Circus, una delle piazze più immortalate in assoluto: mi sento come se stessi in una cartolina, in un film che racconta la città. Mi dà molta emozione guardare le persone che camminano intorno a me. Mi piace anche comprare souvenir su richiesta degli amici. Così, per esempio, in questo viaggio sono andato allo stadio di calcio “Craven Cottage” della squadra Fulham, che dai cancelli in legno ai mattoncini rossi in terracotta ricorda il calcio di altri tempi, dove ho comprato un pallone per un amico che me lo aveva chiesto.

Londra e il cibo

Siamo una famiglia che ama mangiare bene. Ci piace assaggiare i cibi locali, ma quando andiamo in posti dove la cucina non è proprio il top, andiamo sul sicuro e mangiamo nelle varie catene internazionali, di cui conosciamo i sapori. Molti turisti raccontano di mangiare male a Londra. A noi piace mangiare per lo più a casa di mia cognata. Un ‘Fish & Chips’ ottimo, però, dove andiamo spesso con i miei cognati, si trova a Richmond. Il posto è molto carino, tappezzeria e mobili anni ’70, e il cibo è ottimo. Siamo anche andati a Camden Town, il famoso e colorato quartiere a nord della città e pranzato al Camden Market, spazio enorme e multietnico in cui si trovano cucine di tanti Paesi diversi, dalla messicana all’italiana, alla polacca con cibi preparati al momento, buoni e a prezzi abbordabili, con posti e tavolini limitati. Consiglio a tutti di farci un giro, per gustare il mix unico di gusti e sapori.

Bye-Bye al prossimo viaggio!




Canto di Natale di Charles Dickens

Un classico della letteratura inglese

Canto di Natale è un romanzo breve scritto nel 1843 da Charles Dickens ed è la storia natalizia per eccellenza. Una favola per tutte le età da leggere in poche ore e magari proprio ad alta voce.

Il protagonista è il vecchio e tirchio Scrooge che la notte della vigilia riceve la visita del defunto socio Marley per metterlo in guardia sulle conseguenze dei suoi comportamenti. Per fargli comprendere cosa sta perdendo, gli annuncia la visita di tre spiriti, il Natale passato, il Natale presente e il Natale futuro.

Sarà un viaggio attraverso la povertà, la miseria e l’analfabetismo ma anche verso la bontà e la caparbietà del genere umano che riesce, nonostante tutto, a volersi bene e stringersi attorno a quel poco che si ha mettendo al centro la famiglia e l’amore.
Un viaggio che metterà Scrooge di fronte al vero significato della vita ribaltando il senso dell’avere a beneficio del valore di essere.

Canto di Natale esalta la magia del Natale. Sia che si voglia credere a Babbo Natale oppure no, sia che lo si viva in modo religioso o prettamente consumistico, in fondo nella memoria di tutti noi esiste quell’atmosfera fantastica racchiusa nelle lucine colorate che addobbano la casa, nella trepidazione di aprire un regalo, nella gioia di rivedere persone che non si vedono da tempo, di stare seduti tutti insieme attorno ad un tavolo per il solo piacere di godere della compagnia degli altri.

Il Natale, comunque lo si viva, resta una magia difficile da cancellare e se quest’anno la terribile pandemia del Covid-19 ce lo fa vivere distanti dagli affetti e per molti di noi, anche soli a casa, nulla potrà toglierci quella sensazione di vivere un giorno unico e indimenticabile dove tutti ci sentiamo davvero più buoni e più bravi.

Buon Natale a tutti voi!




“La luce che accende la luce”: come sfruttare l’energia solare

La scienza si impara a scuola anche a distanza

Martedì 22 dicembre (ore 12.15) gli studenti del Liceo Pascal di Pomezia in video-incontro con il chimico del CNR di Bologna, Raffaello Mazzaro, che illustrerà le novità su come usare la più importante fonte rinnovabile.
Gli studenti potranno assistere dai loro smartphone, tablet e pc.

E’ un appuntamento del ciclo La Scienza a Scuola 2020 di Zanichelli. Video-incontri con oltre 40 ricercatori e personalità del mondo scientifico e licei ed istituti di diverse regioni italiane per raccontare a studenti e insegnanti le storie di chi lavora alle frontiere della ricerca. Sono storie che comunicano passione per la scienza e danno idee su cosa sappiamo e su che cosa stiamo per scoprire in matematica, fisica, chimica, biologia e medicina con particolare attenzione agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Il sole ci fornisce ogni giorno un quantitativo di energia tale da poter sopperire in eccesso al fabbisogno globale giornaliero, ma solo una piccola parte di essa viene effettivamente sfruttata dall’ uomo. Come fare? Abbiamo gli strumenti adeguati a sfruttarla?
Ne parlerà Raffaello Mazzaro, Chimico del CNR – IMM (Istituto Microelettronica e Microsistemi) nel video-incontro La luce che accende la luce: l’energia solare e i dispositivi in grado di sfruttarla, con gli studenti del Liceo Pascal di Pomezia.

L’energia solare, infatti, ci viene fornita sotto forma di luce, perciò abbiamo bisogno di strumenti che ci permettano di catturarla e convertirla in calore, corrente elettrica o molecole interessanti dal punto di vista umano. Mentre l’energia eolica o idrogeologica può essere raccolta mediante mezzi meccanici, la conversione dell’energia solare avviene attraverso l’interazione della radiazione luminosa con un materiale e la successiva produzione di cariche elettriche, calore o potenziale chimico. Nell’incontro si parlerà dei maggiori sistemi di conversione dell’energia solare e, nello specifico, di dispositivi avanzati che sfruttano le proprietà di specifici nanomateriali per lo sviluppo di applicazioni innovative. Dai dispositivi fotovoltaici convenzionali a quelli di nuova generazione a base di materiali nanometrici e alle prospettive future che questi dispositivi permettono di immaginare, quali finestre fotovoltaiche o fabbriche solari.
Particolare attenzione sarà inoltre rivolta al ruolo sociale delle energie rinnovabili e, in particolare, dell’energia solare. A differenza dell’energia da combustibili fossili infatti, essa è uniformemente distribuita a livello globale e il suo sfruttamento nei paesi in via di sviluppo garantisce maggiore equilibrio socio-economico globale e minor impatto ambientale.

Raffaello Mazzaro è attualmente ricercatore presso l’Istituto di Microelettronica e Microsistemi del CNR di Bologna. Ha svolto in passato attività di ricerca presso diverse università italiane e straniere, fra cui la Luleå University of Technology (Svezia), l’iNRS-EMT (Canada) e l’ Università di Bologna. La sua attività di ricerca è focalizzata sul studio di processi di conversione dell’energia solare effettuati da materiali nanostrutturati, producendo più di 45 pubblicazioni come coautore su riviste internazionali, 2 domande di brevetto e numerose partecipazioni come relatore a conferenze nel settore. Mazzaro è stato inoltre recentemente insignito dal Gruppo italiano di Fotochimica come miglior giovane ricercatore dell’anno.

L’incontro fa parte del ciclo La Scienza a Scuola 2020 di Zanichelli. Video-incontri con oltre 40 ricercatori e personalità del mondo scientifico per licei ed istituti di diverse regioni italiane per raccontare a studenti e insegnanti le storie di chi lavora alle frontiere della ricerca. Sono storie che comunicano passione per la scienza e danno idee su cosa sappiamo e su che cosa stiamo per scoprire in matematica, fisica, chimica, biologia e medicina con particolare attenzione agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU.

Gli incontri sono riservati agli studenti e ai docenti delle singole scuole.

L’Agenda 2030 è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, guidando il mondo sulla strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. https://www.unric.org/it/agenda-2030

Da oltre 150 anni impegnata nella didattica scolastica e nella divulgazione scientifica, la casa editrice Zanichelli con questa iniziativa intende offrire agli studenti l’occasione di acquisire conoscenze su argomenti affascinanti e di stretta attualità scientifica direttamente dagli “addetti ai lavori”.

Riceviamo e pubblichiamo Comunicato Stampa da Ufficio Stampa Zanichelli
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Una donna di Sibilla Aleramo

Uno dei primi libri sul femminismo apparso in Italia

Lessi il romanzo Una donna di Sibilla Aleramo nel 1977, in concomitanza con l’uscita dello sceneggiato televisivo trasmesso su Rai1 in 6 puntate dal 16 ottobre al 20 novembre.
La protagonista fu interpretata dalla giovanissima Giuliana De Sio. Mi ricordo perfettamente quello sceneggiato perché chiesi e ottenni di leggere il libro e la data riportata sulla dedica che mi feci, è testimone di quanti anni ha la mia copia di Una donna: «Lottare sempre per la libertà della donna»

 

 

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Il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1906 ottenendo immediatamente un grande successo. È autobiografico e racconta la storia di Sibilla Aleramo da quando era solo una fanciulla fino all’età adulta.

Sibilla Aleramo ebbe un’infanzia belle e vivace bella nel primo periodo della sua vita ma fu costretta ad affrontare diversi drammi nell’età adulta. Il tentato suicidio e il successivo ricovero in una casa di cura della madre; la scoperta di una relazione extraconiugale del padre; la violenza sessuale subita e infine un matrimonio senza alcuna gioia dove i maltrattamenti sono, purtroppo, all’ordine del giorno e che neanche la nascita di un figlio riesce a placare.

Questi diversi eventi misero Sibilla di fronte alla consapevolezza di essere lei e soltanto lei la persona in grado di rivendicare la propria dignità. La sua energia e caparbietà la portano a riflettere sulla donna non solo come custode d’amore e maternità ma come un essere pensante e con una propria dignità. Ed ecco da dove scaturisce l’identificazione di Una donna come primo libro femminista.

Rilevante anche il particolare di come nel testo non appaia mai il nome del figlio, un figlio che lei stessa abbandonerà ma verso il quale sono dedicate parecchie pagine del romanzo.

«Un giorno avrà vent’anni. Partirà, allora, alla ventura, a cercare sua madre? O avrà già un’altra immagine femminile in cuore? Non sentirà allora che le mie braccia si tenderanno a lui nella lontananza, e che lo chiamerò, lo chiamerò per nome?»

Subilla è la figura di una donna forte, libera interiormente, che assorbe e combatte la falsa moralità, l’ipocrisia e le consuetudini dell’epoca e la scrittura ottocentesca del romanzo non deve allontanarci dalla grandezza e vivacità dell’autrice. Probabilmente siamo abituati ad uno stile di scrittura diverso, ma se scegliamo di immergerci nella lettura di Una donna, ci rendiamo conto di quanto grande sia stato il suo coraggio e la sua determinazione.

Una donna è un libro che tutte le donne dovrebbero leggere per comprendere davvero quante conquiste sono state raggiunte ma anche quante sono ancora da conquistare affinché l’uguaglianza di genere venga messa al primo posto per poter davvero dichiarare di vivere in una società civile.




Abbiamo un tempo in sospeso di Raffaella Cecchini

È di Pomezia la giovane scrittrice al suo esordio letterario

 

Scrivere un libro e vederlo pubblicato è il sogno nel cassetto di tantissimi italiani e Raffaella Cecchini ha esaudito il proprio desiderio alla giovanissima età di 14 anni. Abbiamo un tempo in sospeso, edito dalla Morphema Editrice è uscito a novembre ed è la storia di Ester e del suo sogno di diventare ballerina.

Raffaella Cecchini vive a Pomezia e, accompagnata dalla sua mamma Veronica Napolitano, ha accettato di rispondere ad alcune domande.

 

Iniziamo subito con il complimentarci per aver già pubblicato un romanzo alla sua età. Non è da tutti veder pubblicare il proprio libro ma farlo a soli 14 anni è davvero fuori dal comune. Ci racconta quando ha avuto l’idea della trama di Abbiamo un tempo in sospeso e intuito che potesse essere perfetta per trasformarla in un romanzo?

Grazie. Onestamente, non ho mai pensato che fosse un’idea perfetta per un libro, ma dentro questa storia ci sono pezzi di me, quindi ho pensato che valesse la pena inseguire il sogno della pubblicazione. L’idea è nata da un film visto in televisione con mia madre – da sempre mia grande sostenitrice – ma non immaginavo che sarebbe diventato un romanzo. Ho iniziato a scrivere le prime pagine non per vederle pubblicate, bensì per me stessa, per districarmi tra le mie emozioni e per spalancare liberamente le porte della mia anima, senza nessuna timidezza. La scrittura è libertà, perché permette di esprimere sé stessi attraverso le parole affidate ai personaggi e questo mi è sempre piaciuto. Non ricordo precisamente il momento nel quale ho pensato che sarebbe potuto diventare un libro che la gente avrebbe letto, so solo che a un certo punto il mio unico obiettivo era quello. Mi è sempre piaciuto scrivere, e pubblicare un libro è sempre stato il mio sogno: mi sono limitata a inseguirlo.

 

Viene naturale chiedersi quali libri abbiano formato la sua scrittura e se c’è un autore che predilige agli altri?

Adoro leggere, senza sosta. Sono una di quelle ragazze che ha sempre un libro in borsa, per ingannare le attese o per creare attese letterarie. Sono una divoratrice di libri: Gianrico Carofiglio, Chiara Gamberale, Massimo Gramellini, Anna Dalton, Arthur Conan Doyle, Louisa May Alcott, Bianca Pitzorno, Rowling, Elisabetta Gnome e chiudo l’elenco con il mio scrittore preferito: Alessandro Baricco.

 

Ogni scrittore ha una specie di rituale. C’è chi preferisce scrivere la mattina presto, chi non aggiunge una sola lettera se non al calar della luce, chi lo fa nella confusione di un bar e chi nel silenzio più totale. Siamo curiosissimi, ci racconti i suoi rituali di scrittura.

Non c’è un momento nel quale sono abituata a scrivere: non ho un vero e proprio appuntamento con le parole, ma se non scrivo non mi sento bene con me stessa, quindi utilizzo ogni giorno il poco tempo libero a mia disposizione. Ogni volta, prima di accendere il PC, mi affaccio alla finestra della mia camera e rimango ferma per un po’ a guardare il giardino tra i palazzi: mi vengono in mente colori, sensazioni o frammenti di storia, e ritrovo l’equilibrio interiore necessario per poter trasformare le parole in emozioni. Poi accendo la radio e alzo il volume. Solo allora sono pronta per iniziare a scrivere.

 

Ester è la protagonista di Abbiamo un tempo in sospeso che combatte per raggiungere il suo sogno di diventare una ballerina professionista. Quanto di autobiografico c’è nel carattere determinato e battagliero del personaggio femminile e quanto è solo frutto della sua immaginazione?

Penso di essere una persona molto determinata e molto testarda. Non mi arrendo facilmente. Vorrei, però, assomigliare di più a Ester: lei rappresenta la mia personalità ideale.

 

Una curiosità. In uno dei capitoli iniziali la canzone che Ester sceglie per candidarsi all’Accademia del Palcoscenico è “Quello che le donne non dicono” di Fiorella Mannoia. È una canzone del 1987. Ci racconta come e perché ha scelto proprio questo brano?

L’ho ascoltata per la prima volta un pomeriggio d’estate e me ne sono innamorata: la trovo di una bellezza disarmante. Mi sono rivista in quelle frasi, in quella descrizione di donna forte e fragile, delicata, complicata e difficile da decifrare come un codice matematico. Ma, soprattutto, ho riconosciuto me stessa in quel mondo sommerso e invisibile di cui la canzone parla.

 

Lei vive a Pomezia, oltre a studiare e a scrivere, in che modo trascorre il suo tempo libero?

Frequento il Liceo Blaise Pascal, con indirizzo classico. Mi piace disegnare, guardare film bevendo cioccolata calda o mangiando biscotti, chiacchierare con le persone a me care e trascorrere del tempo con i miei amici.  Amo andare a teatro, e per diversi anni ho frequentato un laboratorio di recitazione, che mi ha aperto questo mondo che mi ha completamente affascinata.

 

Ora, prima di salutarla, viene spontaneo chiederle quali progetti ha per il suo futuro e se pensa che la scrittura sarà il fulcro centrale della sua vita.

Assolutamente sì. Vorrei diventare giornalista, ma non intendo smettere di scrivere libri. La scrittura è il cuore pulsante delle mie giornate, solo imprimendo su carta le parole riesco a esprimermi, a trovare la chiave per capire me stessa e il mondo che mi circonda. La scrittura è nel mio sangue ed è inevitabile che faccia parte della mia vita.

 

 

Potete trovare Abbiamo un tempo in sospeso nelle librerie di Pomezia, disponibile anche con il packaging rosso con fiocchetto, idea originale e particolare già pronta per un bel regalo per Natale.




Il divorzio e la stagione dei diritti

Tra le iniziative organizzate per ricordare i 50 anni della legge sul divorzio, la cosiddetta legge Fortuna-Baslini approvata il 1 dicembre 1970, sul sito del Partito radicale è possibile ‘visitare’ immagini relative alla mostra che fu organizzata nel 1990 per il ventennale. La legge, n. 898 in tema di “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, passò al termine di una seduta che durò oltre 18 ore e che terminò alle sei del mattino, con un fronte comune dei partiti laici e di sinistra, appoggiati anche da Partito radicale di Marco Pannella, Lega italiana divorzio e dalle donne che chiedevano pari diritti e dignità rispetto agli uomini. Con il noto referendum abrogativo del 1974 si cercò di cancellarla, ma inutilmente. Le immagini raccontano le lunghe battaglie che hanno portato alla legge sul divorzio che cambiò la famiglia e i costumi degli italiani, una fotografia di un periodo di cambiamenti, 1968-1981, in cui nel 1975 venne approvato il nuovo diritto di famiglia, nel 1978 la legge sull’aborto, e nel 1981 l’abrogazione del delitto d’onore. Da sottolineare che nel dicembre 1968 venne abrogato il reato di adulterio, che ai nostri giorni può suonare difficile da comprendere, ma che invece a quel tempo era un reato per entrambi i sessi, ma ‘soprattutto’ per le donne: il marito poteva  tradire la moglie ed era socialmente e giuridicamente accettato, mentre la moglie no, doveva rimanere legata a questo matrimonio che di fatto non esisteva più; se il marito andava a vivere con un’altra donna lei poteva allora chiedere la separazione!

Modifiche alla legge sul divorzio ci furono nel 1978 e nel 1987, dovute anche alla presidente della Camera Nilde Jotti: vennero ridotti da 5 a 3 gli anni per arrivare alla sentenza definitiva. Nel 2015, con un disegno di legge, venne introdotto il divorzio breve, con la riduzione del periodo tra separazione e divorzio, da tre anni a uno per le separazioni giudiziali e a sei mesi per le consensuali, e anticipato lo scioglimento della comunione dei beni. In 50 anni in Italia i divorzi sono stati, fino all’anno 2018, 1.463.973. “La legge sul divorzio ha aperto una grande stagione di conquista di diritti civili e non solo” sostiene la statistica Linda Laura Sabbadini, chair di W20, Women20 gruppo di supporto al W20 che si terrà il prossimo anno, e componente del Comitato Colao. “Nel 1975 il nuovo diritto di famiglia, cade la patria potestà. Passa la parità dei coniugi nella coppia e soprattutto cade la discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio. Certo rimane ancora il delitto d’onore ma anche questo crolla nel 1981.E ancora la legge sui consultori. Il 1978 la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza; sempre nello stesso anno l’istituzione del Servizio Sanitario nazionale basato sul circuito prevenzione, cura, riabilitazione, balzo in avanti per il diritto alla salute. E ancora la Legge Basaglia. Gli anni ’70 sono stati una stagione effervescente nell’avanzamento dei diritti. Una rivoluzione che non poteva più attendere si è sviluppata anno dopo anno. Una modernizzazione culturale del Paese che ha permesso l’avanzamento della democrazia perché quando crescono i diritti, avanzano tutti, donne, figli, gli stessi uomini. Avanza la libertà di scegliere la propria vita, il proprio destino salvaguardando il coniuge più vulnerabile e i figli”. (fonte Ansa:Sabbadini) (Foto di CQF-avocat da Pixabay)

 




Revenge Porn, la ritorsione di chi non ce l’ha

Passata la Giornata contro la violenza sulle donne risuonano e stridono, tra le varie cifre sul tema, i dati del VII Rapporto Eures sul femminicidio in Italia: oltre 90 donne vittime nel 2020 che confermano il trend degli ultimi tempi di una donna uccisa ogni tre giorni con un’impennata delle chiamate al 1522, numero gratuito e attivo 24h su 24 del servizio pubblico per richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, che ha riportato un 73% di chiamate in più durante il lockdown. Dal Rapporto risultano stabili le cifre dei femminicidi in famiglia, tra cui quelli di coppia, con un 89% rispetto all’85,8% del 2019, che si registra come il ‘terreno’ più rischioso per le donne. Negli ultimi venti anni infatti, 1628 sono state le vittime tra le coniugi, partner o ex.

Tra tutte le violenze commesse sulle donne, fisiche, psicologiche, sessuali, economiche e riferite allo stalking oggi faremo il focus sul Revenge Porn, un reato in costante aumento. La legge denominata ‘Codice rosso’ (Legge 69/2019) punisce, all’articolo 612 del codice penale, la diffusione di foto, video intimi via web e cellulari senza il consenso dei protagonisti, molto spesso donne, per lo più adolescenti e giovani, atti a distruggerne reputazione e dignità. Prendo spunto dalla terribile vicenda che ha coinvolto recentemente una maestra nel torinese il cui ex fidanzato ha diffuso, senza il suo consenso, immagini e video privati a sfondo sessuale su una chat di amici che le hanno portato anche il licenziamento da parte della dirigente scolastica. Una delle tante, troppe, storie orrende vissute dalle donne.

Con il ‘Revenge Porn’ (in italiano vendetta porno), l’autore diffonde immagini e video a contenuto sessualmente esplicito, senza il consenso delle donne, una ritorsione di chi non ha il rispetto per l’altra persona con lo scopo di deriderla, denigrarla e metterla alla pubblica gogna, arrecandole così enormi e gravi disagi e danni psico-fisici. La legge punisce con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5.000 a 15.000 euro chi, dopo averli realizzati, li invia, li consegna e li trasmette senza il consenso delle interessate. La diffusione illecita tramite social network, internet o smartphone oltre alle pene detentive, riconosce responsabilità anche a chi condivide i contenuti ricevuti da terzi, come l’invio nelle chat di gruppo. La vittima, entro sei mesi dalla scoperta della diffusione di tali immagini/video può denunciare il fatto ai Carabinieri o alla Polizia; se invece si tratta di una persona disabile o in stato di gravidanza questi termini non sussistono.

Tabù culturali, sessuali e maschilisti sono dietro a questi atti che riempiono purtroppo la nostra società che, invece, dovrebbe impegnare maggiore attenzione, responsabilità e serietà nella realizzazione e nell’attuazione di un modello culturale basato sulla parità di genere fin dai banchi di scuola, per insegnare alle nuove  generazioni un modo sano, consapevole e consenziente di vivere la sfera intima e sessuale. (Foto di Bingo Naranjo da Pixabay)




Giornata internazionale dell’infanzia: il diritto a una famiglia

 

Il 20 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per ricordare la Convenzione approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 ratificata da 196 Stati (per ultima la Somalia, gli Stati Uniti l’hanno solo firmata). L’Italia l’ha ratificata il 27 maggio 1991 con la legge n. 176. La Convenzione, composta di 54 articoli, riconosce a tutte le bambine e i bambini del mondo la titolarità dei diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici. Per l’occasione vogliamo focalizzare l’attenzione sul diritto dei bambini e degli adolescenti ad avere una famiglia come riportato soprattutto negli artt. 20 e 21, dove si evidenzia il diritto del minore di trovare sempre protezione in un ambiente familiare, seppur temporaneamente, anche quando il nucleo di origine non sia idoneo. Affronteremo il tema parlando di affidamento familiare. Lo faremo  intervistando due nostri concittadini, Emma e Nicola, che vivono questa importante ed impegnativa esperienza e che con molta disponibilità la condividono con i nostri lettori, con l’idea che possa essere di sostegno/aiuto/confronto per chi è già genitore affidatario, o per chi lo volesse divenire.

Come è nata l’idea di accogliere un bambino in famiglia

Diciamo che il nostro percorso inizia con un progetto ‘Accoglienza’ promosso da un’associazione onlus. Da 7 anni, nei periodi estivi e durante le vacanze di Natale, ospitiamo con molta gioia a casa nostra D., un bambino di dodici anni dell’est europeo, che oramai parla anche un buon italiano. E’ un ragazzino intelligente e sveglio sempre pronto ad apprendere, a capire cosa avviene intorno a lui, che apprezza molto il tempo che condividiamo con lui giocando, andando a spasso e facendo molte altre attività.

Da quasi 4 anni siamo i genitori affidatari di A., un ragazzo italiano di 17 anni. L’idea dell’affido familiare è nata parlando con un familiare che già collabora con case famiglia. Abbiamo contattato il Comune: un ufficio ad hoc nei servizi sociali è a disposizione per spiegare come funziona l’affido. Avevamo già iniziato il percorso dell’adozione, ma poi vedendo le difficoltà e le lungaggini ‘burocratiche’ l’abbiamo abbandonato. Per noi è un grande onore essere i genitori di A., soprattutto perché abbiamo la consapevolezza di rappresentare per lui un punto di riferimento, tra le tante difficoltà e problematiche che ha incontrato nel corso della sua infanzia. Non è stato difficile intraprendere questo nuovo cammino: io e mia moglie ci siamo solo guardati negli occhi e abbiamo accettato. Ovviamente la costruzione del rapporto tra noi tre passa attraverso equilibri, fraintendimenti, paure, sicurezza e contentezza. Con mia moglie ci mettiamo in discussione, ci guardiamo ‘dentro’ con più frequenza di prima, per cercare di dare tutto il nostro meglio in termini di ascolto, attenzione, affetto e disponibilità per accompagnarlo lungo la sua crescita di figlio adolescente.

Riguardo alle aspettative, come state vivendo lo status di genitori affidatari

Sull’affidamento la gente sa poco e spesso è male informata. Certo le energie da mettere in campo sono molte, bisogna rivedere molte posizioni personali e di coppia. Non è un’esperienza semplice, come genitori non la pensiamo sempre allo stesso modo sulle scelte da intraprendere, ma è soddisfacente se guardiamo ad ampio spettro all’esperienza stessa.

Quali sono, o sono stati, i commenti e le reazioni di amici e parenti

Diverse le reazione di amici e parenti. Chi dice che non l’avrebbe mai fatto, chi ci apprezza, chi ci dice che siamo belle persone. Poca indifferenza intorno all’argomento e addirittura qualche amico/a ha cominciato a seguire il nostro stesso percorso. I parenti ci hanno sostenuto sempre e sono favorevoli a questa esperienza. L’assistenza psicologica e il sostegno dei servizi sociali è fondamentale, altrimenti in certe situazioni la confusione prende il sopravvento e ti fa fare scelte sbagliate. Quello che ho notato sull’affido familiare è che non è conosciuto dai più, e quindi sarebbe bene che venisse data maggiore diffusione a questa iniziativa per dare una famiglia ai bambini in difficoltà, seppur in modo temporaneo.

 In due parole cosa vi spinge a proseguire in questo percorso di affido

Direi continuità, perché abbiamo intrapreso questo percorso e lo vogliamo portare a termine. Abbiamo voglia, spazio emotivo e desiderio di ‘accogliere’ A. nella nostra famiglia. E poi speranza, nel senso che speriamo che lui possa un giorno pensarci con orgoglio, come noi facciamo con lui. Noi facciamo il massimo ogni giorno con affetto, siamo contenti di ciò e così speriamo che lo sia anche lui di noi.

(Foto di Gisela Merkuur da Pixabay)

In Italia l’istituzione dell’affidamento familiare è disciplinato dalla legge n. 184 del 4 maggio 1983 (Diritto del minore a una famiglia), poi modificata dalla legge n. 149 del 28 marzo 2001, che ha carattere temporaneo ed ha lo scopo di permette ad una famiglia, coppia o singolo, l’accoglienza di un minore italiano o straniero per un tempo limitato la cui famiglia stia vivendo un periodo temporaneo di difficoltà o di crisi, e non in grado di garantire l’accudimento del bambino o del ragazzo stesso. L’affido può essere intrafamiliare o etero familiare, consensuale, disposto dai servizi sociali del Comune, o giudiziale, disposto dal Tribunale dei minorenni se i genitori non danno il consenso e sussistono condizioni di pregiudizio per il minore. I genitori affidatari devono dimostrare adeguate capacità educative ed avere una casa adeguatamente spaziosa per accogliere il bambino/ragazzo nella consapevolezza di avere rapporti al meglio con la famiglia di origine, nell’ottica di reinserire l’affidato appena possibile. Gli aspiranti affidatari, dopo colloquio con i servizi comunali, vengono inseriti all’interno di un apposito elenco ufficiale, in attesa dell’affidamento di un bambino.  Non ci sono vincoli di età degli affidatari rispetto al minore, è sufficiente la maggiore età. A seconda delle circostanze l’affido può essere a lungo termine (fino a due anni, ma prorogabile), medio (non oltre i 18 mesi) e a breve termine, dai 6 agli 8 mesi. Esiste anche una forma particolare, l’affido parziale, che consente al bambino di trascorrere con i genitori affidatari solo alcune ore del giorno, i week end,e brevi vacanze. L’affido segue un iter diverso dall’adozione: mentre, come già evidenziato, l’affido è temporaneo e vengono mantenuti i rapporti con la famiglia di origine, l’adozione è per tutta la vita e prevede la sospensione dei legami con i genitori naturali.




Aifa, contraccezione di emergenza senza ricetta per le minorenni

Lo scorso mese di ottobre, con la determina n. 998, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha dato il via libera alla ‘pillola dei 5 giorni dopo’ senza prescrizione medica anche per le minorenni.

Stiamo parlando dell’‘ulipistral acetato’ (EllaOne), il farmaco utilizzato per la contraccezione di emergenza fino a cinque giorni dopo il rapporto sessuale, per la tutela della salute e in difesa delle ragazze.

”Si tratta di uno strumento altamente efficace per la contraccezione di emergenza per le giovani che abbiano avuto un rapporto non protetto, entro i cinque giorni dal rapporto” afferma Nicola Magrini, direttore generale dell’Aifa. “A mio avviso è anche uno strumento etico perché consente di evitare momenti critici per le ragazze. Voglio sottolineare che si tratta di contraccezione di emergenza e che non è un farmaco da utilizzare regolarmente”.

Un foglio informativo verrà consegnato al momento dell’acquisto del farmaco, con l’obiettivo di promuovere una contraccezione informata ed evitare un uso inappropriato della contraccezione di emergenza. Inoltre, l’Aifa attiverà presto un sito con informazioni e indicazioni approfondite sulla contraccezione, inclusa la pillola anticoncezionale.

“Ricordo che il farmaco è dal 2017 nella lista dei farmaci essenziali dell’Organizzazione mondiale della sanità  per questa indicazione, come parte dei programmi di accesso ai farmaci contraccettivi, e che le gravidanze nelle teenager sono un importante indicatore di sviluppo di una società, che va tenuto ai minimi livelli”, ha aggiunto Magrini.

L’iniziativa è una svolta per la tutela della salute fisica e psicologica delle adolescenti in quanto la maggior parte delle gravidanze in questa età non sono pianificate, sono spesso legate a situazioni di rischio che possono arrivare all’aborto con conseguenze psichiche personali pesanti e in certi casi devastanti, perché ostacolano il proseguo degli studi e quindi del lavoro. Come evidenziato nel giugno 2020 nella Relazione al Parlamento del Ministro della Salute, secondo i dati 2018, “L’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza – levonorgestrel (Norlevo), la “pillola del giorno dopo”, e ulipipstral acetato (EllaOne), la “pillola dei 5 giorni dopo”- ha inciso positivamente sulla riduzione delle interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg), che è in continua e progressiva diminuzione dal 1983”.

Senza ricetta per le minorenni, si favorisce la riduzione dei concepimenti under 18, migliorandone la salute sessuale e di conseguenza quella pubblica, uscendo dall’obbligo della ricetta che per lo più rispondeva, probabilmente, ad un desiderio di controllo e non a esigenze terapeutiche. Concetto sottolineato dalla sociologa Chiara Saraceno su ‘La stampa’ dove evidenzia come nell’immaginario collettivo le ragazze non ‘devono’ fare sesso fuori dal matrimonio, mentre i ragazzi lo possono fare liberamente e legittimamente. Le ragazze non sono ‘brave’ se fanno sesso non a scopo riproduttivo, e quindi non sono libere come i loro colleghi maschi.

Il giusto sguardo verso la pillola dei cinque giorni è quello che lo vede non un farmaco abortivo, ma un contraccettivo d’emergenza e che il discorso della sessualità necessariamente deve essere affrontato, nel 2020, a scuola con corsi di educazione alla sessualità che però, laddove attivati,vengono spesso visti ‘non utili’ alla crescita degli studenti da molti soggetti della scuola – genitori, docenti e dirigenti-  che di fatto appoggiano una cultura oscurantista, in netto contrasto con le esigenze socio-sanitarie delle diverse fasce di età della cittadinanza. (foto: Pexels da Pixabay)




Le Mani della Terra – I Valori del Mare, Pomezia e Torvajanica nella visione pittorica di Olga Silivanchyk al Museo Città di Pomezia

Riceviamo e pubblichiamo Comunicato Stampa Comune di Pomezia

 

Pomezia e Torvaianica in mostra. Il 29 ottobre 2020 la Città celebra 81 anni dall’inaugurazione e il primo compleanno del Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento

Si è aperta questa mattina la mostra Le Mani della Terra – I Valori del Mare, Pomezia e Torvajanica nella visione pittorica di Olga Silivanchyk al Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento, ad 1 anno dalla sua inaugurazione e 81 anni dopo l’inaugurazione della Città. Due ricorrenze importanti per la storia e la cultura cittadine, celebrate simbolicamente dal Sindaco Adriano Zuccalà e dalla Giunta in visita alla mostra da oggi aperta al pubblico fino al 6 gennaio 2021.

“Avremmo voluto, anche quest’anno, festeggiare il 29 ottobre insieme a tutta la Città – ha detto il Primo Cittadino – Le attuali condizioni non ce lo consentono, ma è importante celebrare l’identità di Pomezia e Torvaianica, radicate nel lavoro della terra e del mare, per rafforzare quel senso di comunità necessario oggi più che mai”.
“Un anno fa inauguravamo con grande soddisfazione il Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento – ha aggiunto la vice Sindaco Simona Morcellini – Voglio ringraziare il direttore e tutto il personale per il grande lavoro fatto in questo anno, nonostante le difficoltà generali, e Olga Silivanchyk per aver reso con la sua arte la bellezza dei nostri luoghi e la forza dei nostri valori”.

 

LA MOSTRA
Venti dipinti ispirati all’incontro dell’artista con il Museo, identità storica della Città e del suo litorale, che prendono vita per valorizzazione la memoria dei luoghi. Silivanchyk ama osservare la storia nell’intimo e si avvicina con penetrante grazia alla rievocazione del passato e alla narrazione del presente. L’artista raccorda dato storico e quotidianità, articolando le opere in due ambiti temporali e stilistici distinti, tessendo un filo che lega memoria e percezione del reale, tratto impressionistico e rimandi rétro, policromia accesa e luce antica. La rappresentazione del passato è affidata a opere ispirate soprattutto al patrimonio fotografico storico del Museo; le tele che ritraggono la contemporaneità e i mestieri del mare sono invece il frutto di un legame biografico e intimo dell’artista con Torvaianica.

La mostra è gratuita e si potrà visitare, negli orari di apertura del Museo, fino al 6 gennaio 2021, con ingresso contingentato e prenotazione obbligatoria allo 06 91146500, o scrivendo a museocittadipomezia@comune.pomezia.rm.it