Follemente, il film di Genovese in testa al box office italiano

All’incirca un mese fa, il 20 febbraio, usciva nelle sale italiane Follemente, la nuova commedia romantica di Paolo Genovese. Fino a quel momento pensavamo che nessun altro film del regista avrebbe retto il confronto con Perfetti sconosciuti, eppure, quasi dieci anni dopo, ci siamo potuti ricredere. 

La commedia, ancora in vetta al box office, ha raggiunto da poco un incasso totale di 14 milioni di euro, portando sullo schermo una sorta di Inside out italiano in cui entriamo nei pensieri di una coppia nel loro primo appuntamento. 

Uno dei fattori che più ci ha spinto a recarci nelle sale, oltre che il buon nome del regista, è senza dubbio il cast stellare del film: Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Marco Giallini, Claudia Pandolfi, Claudio Santamaria, Emanuela Fanelli, Maria Chiara Giannetta, Rocco Papaleo, Maurizio Lastrico, Vittoria Puccini. Insomma, potremmo tutti concordare sul fatto che quasi tutti i maggiori protagonisti del cinema italiano recitano in Follemente, il che è una garanzia di qualità ancor prima di vederlo. 

Oltre a ciò, la commedia è davvero piacevole da guardare. Vediamo questa coppia e percepiamo fin da subito il loro imbarazzo nel cenare insieme per la prima volta. Si tratta di due persone con due vite e due caratteri completamente diversi, ma accomunati dal forte desiderio di un amore puro. 

Quante volte tendiamo a non dire qualcosa per la paura di essere giudicati e quante cerchiamo le parole migliori per dirlo, mascherando i veri noi. La verità è che ci facciamo così tanti problemi prima di dire o fare qualsiasi cosa, che dimentichiamo l’importanza di rimanere noi stessi in ogni situazione, anche quelle in cui sembra più difficile farlo. 

Follemente ci fa immedesimare in ogni personaggio, ci fa innamorare, ci fa ridere, ma, soprattutto, ci fa pensare. Quanto sarebbe bello, infatti, entrare nella nostra testa per vedere cosa la governa, quali emozioni prevalgono e quali invece non si fanno quasi sentire.

Genovese, in un film girato in soli due spazi, ci racconta la nostra realtà di tutti i giorni: la voglia di trovare l’amore giusto, la paura di fare passi avanti, il rifiuto di un passato doloroso e il valore della compagnia, oltre che la lotta tra i propri sentimenti. 

È un film in cui ci rispecchiamo e da cui possiamo imparare tanto. D’altronde, in fondo, in un mondo così sorprendentemente diverso, non c’è cosa più bella di distinguerci ed essere noi stessi. 


Virginia Porcelli




Zero day, la nuova serie thriller sulla sicurezza informativa

Zero day, miniserie creata da Eric Newman, Noah Oppenheim e Michael Schmidt e diretta da Lesli Linka Glatter, ha fatto il suo debutto su Netflix il 20 febbraio scorso, generando parecchie discussioni.

Connessa al tema della sicurezza informatica, ci mostra un’America alle prese con eversione e terrorismo. George Mullen, ex-presidente, è chiamato a risolvere una situazione critica per il Paese: un attacco informatico terroristico, che ha colpito ogni dispositivo elettronico e provocato la morte di migliaia di vittime. 

La serie, che rappresenta uno dei thriller politici più realistici degli ultimi anni, è capitanata da una star del cinema: Robert De Niro, che torna agguerrito, come ai vecchi tempi, in un ruolo notevole. L’attore non ha certo perso la sua maestria, interpretando un uomo afflitto da preoccupazioni e paure, ma allo stesso tempo risoluto e intenzionato a porre fine, al più presto, agli attacchi che stanno mettendo a repentaglio il Paese, tentando di lottare per distinguere le illusioni della sua mente dai fatti reali.

Già dal titolo capiamo a cosa andremo incontro, in quanto lo Zero day è, in effetti, un attacco che si verifica quando i malintenzionati accedono ad un sistema sfruttando una vulnerabilità della sicurezza in un programma software, lasciando al programmatore zero days, cioè nessun tempo, per risolvere il problema.

Oltre ad avere un cast eccezionale e una trama intrigante, Zero day ha senza dubbio una sceneggiatura di alta qualità, che rende la serie ricca di tensione e suspense. Inoltre, ci mostra come la nostra identità reale sia ormai vittima di quella digitale e come un attacco di questo tipo potrebbe mettere in ginocchio qualsiasi nazione. 

Il rischio della serie, tuttavia, è quello di risultare, per alcuni, difficoltosa da capire e a tratti monotona. Lo spettatore, infatti, soprattutto se non si intende di temi simili, fatica a capire determinati termini, tecnologie e ideologie. Rimane, invece, una serie avvincente per chi ha più familiarità e interesse per queste tematiche. 

Dunque, Zero day è di sicuro tra le serie, oggettivamente, più ben riuscite dell’anno, tralasciando i propri gusti personali. Mette in guardia su un problema attuale e verosimile, mostrando il peso della sicurezza informativa in un mondo schiavo della tecnologia. 

Virginia Porcelli




Oscar 2025, tutti i vincitori di questa edizione

Ebbene sì, anche quest’anno l’evento cinematografico più atteso al mondo si è, ahimè, già concluso. La novantasettesima edizione degli Oscar, infatti, si è tenuta a Los Angeles, presso il Dolby Theatre, nella notte del 2 marzo, presentata questa volta dal conduttore televisivo Conan O’Brien.

Nonostante le 13 candidature per “Emilia Pérez”, già vincitore ai Golden Globes, a trionfare quest’anno è stato il film “Anora”, che ha conquistato ben cinque statuette: quella per migliore attrice protagonista a Mikey Madison e le quattro personali per il suo regista Sean Baker, che vince per miglior film, regia, sceneggiatura originale e montaggio, eguagliando dopo settant’anni il precedente record di Walt Disney, l’unico fino ad oggi ad averne vinte quattro in una volta. Gli altri film ad ottenere diversi premi sono stati The Brutalist con tre statuette, di cui quella per il migliore attore ad Adrien Brody, miglior fotografia e miglior colonna sonora originale, Emilia Pérez con due, tra cui quella per la migliore attrice protagonista a Zoe Saldana e quella per la miglior canzone originale cantata dalla stessa attrice: El Mal, e Dune e Wicked anch’essi con due, il primo quelle per i migliori effetti speciali e il miglior sonoro e il secondo per i migliori costumi e la miglior scenografia.

Oltre a questi, di sicuro abbiamo riconosciuto sul palco Kieran Culkin, il fratello sullo schermo e nella vita reale di Macaulay Culkin in “Mamma ho perso l’aereo”, che vince il suo primo Oscar per “A real pain” come miglior attore non protagonista.

Inoltre, per nulla inaspettato a causa della precedente vittoria ai Golden Globes, anche questa volta “Flow- Un mondo da salvare” ha trionfato come miglior film d’animazione dell’anno, invogliandoci ancora di più, per chi non lo avesse già fatto, a guardarlo. Come miglior cortometraggio d’animazione vince invece “In The Shadow Of The Cypress”. 

Miglior sceneggiatura non originale, poi, dopo quella originale di Baker, è stata quella di Peter Straughan per “Conclave”.

Anche “The Substance” si aggiudica un premio, più precisamente quello per miglior trucco e acconciatura, a cura di Pierre-Olivier Persin, Stéphanie Guillon e Marilyne Scarselli. 

Miglior documentario e miglior cortometraggio documentario vengono invece vinti rispettivamente da “No Other Land” e “The Only Girl in the Orchestra – La storia di Orin O’Brien”.

Il premio per il miglior cortometraggio va poi a “I’m not a robot”, mentre quello per il miglior film internazionale a “I’m still here”.

Per uscire, però, dall’ambito premi, si può sicuramente affermare che anche in questa edizione ci sono stati momenti indimenticabili, positivamente ma anche negativamente parlando.

Ne è un triste esempio, infatti, la delusione sul volto di Timothée Chalamet all’annuncio della vittoria di Brody, dopo aver passato gli ultimi cinque anni a studiare il personaggio di Bob Dylan e a imparare più di trenta sue canzoni.

Ci risolleviamo, però, con l’apparizione di Adam Sandler in tuta, che ci ha fatto, ancora una volta, divertire con il personaggio che, anche fuori dai film, non può fare a meno di interpretare.

Sicuramente inaspettato, poi, il bacio tra Adrien Brody e Halle Berry, per replicare quello avvenuto nel 2003 quando l’attore fu premiato dalla Berry per “The Pianist”. Ripetere la scena, tuttavia, era proprio necessario davanti alla compagna di lui, Georgina Chapman? Chissà cosa tutto ciò avrà scaturito dietro le quinte…

Da ricordare, senza dubbio, anche il discorso di Mick Jagger, l’omaggio di Daryl Hannah all’Ucraina, quello a James Bond, ma, soprattutto, l’esibizione dal vivo di Ariana Grande e Cynthia Erivo, che ci ha fatto commuovere.

L’assenza, tuttavia, di alcuni nomi noti del cinema nell’In Memoriam, ha di sicuro fatto parlare il pubblico, non essendo stati citati Michelle Trachtenberg, deceduta pochi giorni prima degli Oscar, Alain Delon, Shannen Doherty: la Brenda di Beverly Hills, Tony Todd, Bernard Hill e la Giulietta di Zeffirelli: Olivia Hussey.

Nonostante ciò, anche quest’anno ci è stata regalata una cerimonia all’insegna del talento e, perché no, del divertimento, indimenticabile per gli amanti del cinema e non solo. 

Non ci resta, dunque, che aspettare un altro anno per rivivere questo evento esclusivo e inimitabile, e sfruttare questo tempo per recuperare, invece, la visione dei film vincitori di questa edizione. 

Virginia Porcelli




My Fault: London, il remake è meglio dell’originale

Ormai è risaputo: l’originale è sempre meglio della copia, ma per “My Fault: London” (“È Colpa Mia: Londra”) non è esattamente così. Il film è infatti il remake inglese dell’omonimo film spagnolo, tratto dal romanzo di Mercedes Ron, che ha fatto appassionare i giovani. Disponibile su Prime Video, la trama è pressoché la stessa, con giusto piccole variazioni, mentre i due attori che interpretano Nick e Noah sono diversi, e forse è soprattutto questo che rende il film migliore.

La giovane Noah si trasferisce a Londra dalla Florida dopo il matrimonio della madre con un ricco uomo inglese e proprio lì è costretta a vivere con il fratellastro Nick, con cui, a seguito di iniziali conflitti, nascerà un’attrazione particolare.  

Come già detto, i protagonisti spagnoli ormai a noi familiari hanno questa volta volti nuovi: quello di Matthew Broome (The Buccaneers) e di Asha Banks (Come uccidono le brave ragazze) e, come sicuramente si può percepire nella versione originale, i due sono entrambi attori inglesi, ma Asha ha dovuto mascherare il suo accento e imparare quello americano. L’attrice, in particolare, interpreta una Noah diversa dal solito: meno ribelle e più determinata, lasciando sempre però intravedere la sofferenza e la paura per un passato traumatico. Matthew, invece, ci sorprende, trasformando il Nick freddo e vendicativo del film spagnolo in un giovane più dolce e umano, approfondendo, tra l’altro, il rapporto con la madre, elemento del tutto assente nel film originale.

Tra i due, inoltre, c’è senza dubbio una chimica disarmante, che porta i giovani a preferire questa coppia a quella di “Culpa Mia”. 

C’è da dire, tuttavia, che “My Fault: London” rimane comunque il classico film romantico adolescenziale: banale e a tratti demenziale per la sceneggiatura, che però fa impazzire i giovani. Anche questa volta, inoltre, vi è la componente azione, il tentativo di imitare Fast and Furious con gare di corsa e combattimenti, ma è proprio questo elemento a compromettere la trama, in quanto spezza un po’ quel coinvolgimento emotivo che il regista tenta di costruire.

Nonostante ciò, nel remake è sicuramente più marcato il tema familiare, che conferisce una sfumatura di profondità apparente alla classica storia d’amore.

Dunque, ormai lo sappiamo, i teen drama spagnoli tendono solitamente ad essere leggeri e “trash”, se così si può dire, mentre quelli inglesi mantengono sempre un carattere più serio. È per questo che “My Fault: London” ha conquistato il pubblico adolescenziale: il cast, i luoghi, la trama, sono tutti elementi approfonditi in un’ottica internazionale, adattabile per ogni paese, e quindi con una formula vincente.

È quindi un film piacevole per chi ha voglia di una serata tranquilla all’insegna del romanticismo o per chi, semplicemente, vuole godere della magia della capitale inglese di notte. 


Virginia Porcelli




The Six Triple Eight, una storia di riscatto femminile

Circa due mesi fa, il 20 dicembre 2024, è uscito su Netflix “The Six Triple Eight”, drama di guerra diretto da Tyler Perry che ha commosso il pubblico, aggiudicandosi persino il bollino dei film “più amati” sulla piattaforma.

Il film ricorda la storia vera e, ahimè, poco nota, del 6888, battaglione composto interamente da donne afroamericane che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, riuscì a smistare prima del tempo previsto tre anni di posta arretrata e a recapitare milioni di lettere a truppe e famiglie. 

Nel cast, quasi del tutto capitanato da donne, spiccano sicuramente due personaggi: prima di tutto quello di Lena Derriecott. donna forte e coraggiosa che decise di arruolarsi nell’esercito per via di una grande perdita, interpretata dall’attrice Ebony Obsidian e a seguire quello del Maggiore Charity Adams, esempio di educazione ed intelligenza, interpretata da Kerry Washington. 

“The Six Triple Eight” è il film che tutti dovrebbero vedere, è una storia di razzismo e discriminazioni, trascurata per fin troppi anni. È il racconto dell’audacia di numerose donne nere, che si arruolarono con la consapevolezza di poter rischiare la vita ogni giorno e della loro fermezza di fronte alle ingiustizie e ai pregiudizi a cui dovettero far fronte ogni giorno. Il maggiore Adams, in particolare, ci fa commuovere, oltre che per la recitazione sopra le righe della Washington, per come si fa valere in un mondo che non le riconosce alcun merito e per come guida il suo battaglione con tutto l’amore e la comprensione che solo una donna può avere.

È vero, nel film la guerra vera e propria si intravede a malapena, ma è proprio questo che lo rende unico. Viene infatti posto l’accento su un altro aspetto poco conosciuto ma fondamentale: la posta, tanto è vero che sarà proprio una lettera a guidarci attraverso tutto il film, per mostrarci quanto sia importante, sia per le famiglie ricevere notizie dei propri figli, sia per gli stessi soldati avere parole di conforto dai propri cari. 

Un ultimo elemento senza dubbio notevole è poi la canzone finale: The Journey, composta da Diane Warren e cantata da H.E.R., che, con una musica toccante, accompagna le immagini autentiche e le testimonianze di quelle stesse donne al giorno d’oggi. La canzone è stata inoltre candidata agli Oscar per la sezione Miglior canzone originale. 

Insomma, The Six Triple Eight non è il classico film di guerra fatto di violenza, bombardamenti e morte, è invece una storia di amore ed emancipazione, di riscatto femminile in un mondo che non fa altro che discriminare il diverso.  


Virginia Porcelli




The Night Agent 2, tra segreti e pericoli

La tanto attesa seconda stagione di “The Night Agent” è stata rilasciata su Netflix lo scorso 23 gennaio ed è già diventata la terza serie di debutto più vista sulla piattaforma.

Basata sul romanzo di Matthew Quirk e ideata da Shawn Ryan, la spy story pone ancora una volta al centro del racconto le imprese del giovane e impavido Peter Sutherland, a cui è stato recentemente assegnato un nuovo incarico da portare a termine. Tra segreti di stato e pericoli, assisteremo inoltre al riavvicinamento di Peter e Rose, di nuovo insieme e più affiatati di prima, nonostante la distanza.

In questa trama ricca d’azione ritroviamo come protagonisti Gabriel Basso e Luciane Buchanan, a cui si aggiungono new entries interessanti, quali Arienne Mandi, Amanda Warren e molti altri. 

A fare da sfondo alla vicenda è invece, questa volta, l’affascinante New York, oltre a scene minori girate in Thailandia e a Washington D.C. La città, come al solito, è una garanzia: dà quel qualcosa in più alla serie, rendendoci possibile riconoscere i luoghi più turistici, ma anche addentrarci in quartieri meno conosciuti. 

The Night Agent ci stupisce con questa seconda stagione, presenta una trama talmente realistica ed entusiasmante da diventare un thriller d’azione tra i più riusciti degli ultimi anni. Non si riesce a distogliere l’attenzione neppure per qualche secondo, per l’adrenalina e la paura di perdersi anche il minimo dettaglio. È vero, la storia tra Peter e Rose aggiunge una sfumatura romantica, ma anche in questo capitolo non abbiamo una vera e propria svolta nel loro rapporto, entrambi sono infatti personaggi forti e intraprendenti, oltre che ligi al dovere. I due hanno comunque un feeling pazzesco, che non vediamo l’ora di rivedere presto. Ebbene sì, Netflix ha infatti già rinnovato la serie per una terza stagione, che, a detta di Shawn Ryan, sarà aperta a nuovi scenari e storie indipendenti. Assisteremo quindi senza dubbio ad una nuova missione top secret, in cui Sutherland rischierà ancora una volta la vita; d’altronde, cosa c’è di più elettrizzante di un nuovo mistero?


Virginia Porcelli




Captain America: Brave New World, tutti al cinema per il nuovo film Marvel

Su una cosa non c’è dubbio: nessun film attira tanto pubblico al cinema quanto quelli della Marvel. Ne è esempio proprio il nuovo “Captain America: Brave New World”, uscito nelle sale lo scorso 12 febbraio e già al primo posto al box office italiano. 

Anche se la maggior parte di noi sente ancora la mancanza di Chris Evans nei panni di Captain America, ci siamo quasi ormai abituati al nuovo protagonista, Anthony Mackie, il quale interpreta un Sam Wilson che cerca di raccogliere l’eredità del suo predecessore e del suo scudo. Egli è poi affiancato da un grandissimo attore del cinema, Harrison Ford, nei panni di Thaddeus Ross. 

Avevamo già avuto un assaggio di Mackie come Cap nella serie tv “The Falcon and the Winter Soldier”, ma qui è tutta un’altra cosa. Lo vediamo alle prese con le prime responsabilità, pericoli e avventure che il suo ruolo implica e ritroviamo un uomo dal cuore d’oro e dall’animo coraggioso, sempre pronto a proteggere le persone a cui tiene.

Purtroppo è risaputo quante sono state le critiche che il Marvel Cinematic Universe ha dovuto affrontare dopo Endgame, il film di chiusura che ha commosso tutto il mondo. Da quel momento la Marvel ha attraversato un momento di alti e bassi, riuscendo solo ultimamente a risollevarsi.

Al centro di questo nuovo capitolo di Captain America c’è ancora una volta, come già in quelli precedenti, la politica. Harrison Ford, infatti, Presidente degli Stati Uniti d’America, è vittima di un attentato e cerca in tutti i modi di scoprire chi sia il mandante, lo stesso che poi lo porterà a trasformarsi nel Red Hulk che tutti abbiamo visto in copertina e nel trailer.

È per questo che, se si vuole comprendere davvero il film fino in fondo, oltre alla serie precedentemente citata, è necessaria la visione de “L’incredibile Hulk”, di cui si potranno riconoscere qui personaggi e vicende. Ciò va tuttavia ad ostacolare quelli che non sono fan accaniti della Marvel e che quindi, probabilmente, non hanno guardato tutti i film, rendendo loro alquanto difficile capire molti dettagli.

Captain America: Brave New World non dà di certo una svolta alla storia, né apporta cambiamenti significativi, rimane unicamente funzionale ad entrare in sintonia con un nuovo personaggio e a conoscerlo meglio. Nonostante ciò, è un film che ripara la reputazione dell’universo Marvel, essendo stimolante e travolgente, con un ottimo cast, una trama valida e, soprattutto, una fotografia magnifica. La storia ci tiene incollati al grande schermo fin dal primo attimo, tanto da non farci rendere conto della sua lunga durata e ci lascia poi, come sempre, con una scena Post Credit che non fa altro che accrescere la curiosità dello spettatore, come anche i suoi interrogativi.

Speriamo quindi che questo possa essere un nuovo inizio per l’MCU e di rivedere presto i nostri tanto amati personaggi in nuove emozionanti avventure.


Virginia Porcelli




We Live in Time, il valore della vita

C’è chi da mesi lo aspettava con ansia e chi mente. “We Live in Time”, il nuovo film di John Crowley con Andrew Garfield e Florence Pugh, ha debuttato nelle sale italiane lo scorso 6 febbraio e ha fatto fin da subito innamorare il pubblico. 

Un incontro senza dubbio esilarante quello tra Almut, chef di successo, e Tobias, appena uscito da una separazione. Il regista ci porta avanti e indietro nella loro storia d’amore, messa a dura prova dalla malattia di lei, che insegnerà loro ad apprezzare e vivere al massimo ogni momento insieme.

Un cast a dir poco eccezionale è di sicuro uno degli elementi che più invoglia a guardare questo film. Il Regno Unito ha scelto, infatti, due fiori all’occhiello del paese nel campo della recitazione: Andrew Garfield e Florence Pugh, che ci regalano due interpretazioni tra le migliori degli ultimi anni. Gli attori sono magnifici insieme e fanno emozionare gli spettatori a tal punto che quasi ci si dimentica che stiano recitando. Pugh interpreta una donna forte, determinata, decisa, mentre Garfield un compagno dolce e pacato, con valori d’altri tempi. La loro chimica è evidente e la loro destrezza impressionante.

A causa delle numerose scene comiche e imbarazzanti, il regista ci presenta un dramma mascherato in commedia, portandoci quasi a dimenticare la triste storia di fondo; e, inoltre, va oltre il solito sentimentalismo che spesso caratterizza questo genere di film. 

Fin dal primo momento, ci affezioniamo sempre di più ai personaggi, seguiamo ogni fase del loro rapporto e traiamo da questo numerose lezioni di vita. 

Quella di “We Live in Time” non è la classica storia d’amore, è la storia di due trentenni che percepiscono il valore del loro incontro, ma, soprattutto, lo scorrere veloce del tempo. Trovandosi di fronte ad una sfida, decidono di vivere ogni attimo come se fosse l’ultimo, pienamente, l’uno a fianco all’altro. Tuttavia, il vero protagonista del film, e l’elemento che lo rende diverso dagli altri, è l’amore per la propria passione, per la propria carriera, che talvolta ci costringe a sacrificare qualcosa solo per il fatto di essere ricordati.

Sceneggiatura, cast, fotografia: ogni aspetto di questo film è eccellente e non fa altro che sorprenderci. Ci fa ridere, piangere, sognare e sperare e ci lascia con un grande insegnamento, quello più importante di tutti: il valore della vita. 


Virginia Porcelli




Back in Action, tra amore e adrenalina

Lo scorso 17 gennaio “Back in Action”, la nuova commedia d’azione di Seth Gordon con Cameron Diaz e Jamie Foxx, è finalmente uscita su Netflix, conquistando fin da subito il suo posto in classifica.

Il film vede come protagonisti una coppia di spie della CIA che, dopo aver lasciato il mondo dello spionaggio per mettere su famiglia quindici anni prima, è costretta a tornare in azione insieme ai due figli.

Un ritorno con stile di sicuro anche quello della stessa Cameron Diaz, che non vedevamo sugli schermi da undici anni e che torna più in forma che mai accanto a Jamie Foxx, con cui aveva già lavorato nel film “Annie”. I due sono una coppia a dir poco strepitosa: hanno grinta, talento e sono particolarmente affiatati, tanto che ci viene da chiederci se ci sia mai stato qualcosa al di fuori del set.

Anche le location non passano di certo inosservate. Passiamo, infatti, da un tipico quartiere residenziale della città di Atlanta, Georgia, a scorci notturni dell’incantevole Londra, per non parlare delle scene iniziali tra le montagne della Slovenia. Insomma, Gordon non si è fatto mancare proprio nulla!

“Back in Action” ci tiene costantemente sulle spine con scene adrenaliniche, combattimenti e sparatorie e, oltre a ciò, ci fa divertire con battute taglienti e situazioni paradossali. Elemento centrale del film, poi, è sicuramente l’importanza della famiglia e l’amore dei genitori per i propri figli, di cui, ahimé, troppo spesso non ne riconosciamo abbastanza il valore.

Per questo la visione del film è caldamente consigliata a tutti i fan del genere d’azione e a chi vuole godere di una serata piacevole e all’insegna delle risate con le persone che ama. 


Virginia Porcelli




XO, Kitty torna con una seconda stagione

Ormai Netflix non ci lascia neanche il tempo di finire una serie che già ne fa uscire una nuova. È il caso questa volta della seconda stagione di XO, Kitty, serie tv nata come spin-off della trilogia cinematografica di “To All The Boys”, di Jenny Han. 

In questo secondo capitolo veniamo di nuovo teletrasportati in Corea, dove la protagonista torna per frequentare il suo secondo semestre alla KISS (Korean Independent School of Seoul). Tuttavia, dopo la rottura con Dae, la cotta non ricambiata per Yuri e la dichiarazione d’amore di Min-Ho, Kitty dovrà fare i conti con i suoi sentimenti. Continua però, allo stesso tempo, la ricerca sul passato della madre e la scoperta di sé e della propria sessualità. 

In questi otto episodi, due in meno rispetto alla prima stagione, ritroviamo chiaramente Anna Cathcart nei panni di Kitty, accompagnata ancora una volta da Sang Heon Lee, Gia Kim, Anthony Keyvan e Choi Min-young, rispettivamente Min-Ho, Yuri, Quincy e Dae. A questi si aggiungono poi nuovi volti che ci sorprenderanno, oltre al ritorno a sorpresa di Noah Centineo come Peter Kavinsky per un episodio. 

La serie, che è il mix perfetto tra il classico teen drama americano e il k-drama, tratta, questa volta più approfonditamente, il tema della sessualità. Kitty, infatti, ha da poco preso coscienza della sua bisessualità e si trova quindi ancora incerta sui suoi sentimenti. Inoltre, in questa stagione, l’amore è sicuramente al centro, in quanto assistiamo a triangoli amorosi, rotture e innamoramenti. 

Nonostante la sceneggiatura sia piuttosto banale e la recitazione non di certo tra le migliori, XO, Kitty rimane una serie divertente e piacevole da guardare, è vicina ai giovani e, per di più, ci regala scorci meravigliosi di Seoul, che ci fanno solo venir voglia di prenotare il prossimo viaggio. 

Quanto invece all’eventualità di una terza stagione, questa non è ancora stata annunciata ufficialmente, ma i presupposti ci sono tutti, dato il finale di stagione. 

Ci si chiede dunque, a questo punto, chi avrà il cuore della giovane Covey?

Virginia Porcelli




È colpa tua? Un film disastroso sotto ogni aspetto

È colpa tua?, nuovo capitolo tratto dalla saga di romanzi Culpables, è stato reso disponibile il 27 dicembre su Prime Video, riscuotendo subito il successo che ci immaginavamo avrebbe avuto. 

Noah e Nick sono ormai una coppia affiatata e presa dalla passione, anche se ancora costretti a nascondere la loro relazione ai genitori, che tentano in ogni modo di separarli. Tuttavia, l’inizio di uno stage per lui e degli studi per lei, li apriranno a nuove conoscenze, causa di gelosie e primi problemi di coppia.

I protagonisti rimangono naturalmente Nicole Wallace e Gabriel Guevara, i quali, tuttavia, non sembrano più affiatati come prima. Durante le riprese del primo film, infatti, gli attori avevano stretto un legame particolare anche fuori dal set, per cui si ipotizzava un’eventuale relazione tra i due. È evidente, però, come ora il rapporto tra i co-protagonisti sia decisamente cambiato da allora, dato il fatto che, durante interviste o apparizioni in pubblico, i due ormai si guardano e parlano a stento. È possibile quindi che la loro ipotetica relazione fuori dagli schermi non sia finita nel migliore dei modi, rovinando anche la chimica all’interno di essi.

In questo caso, tuttavia, il loro rapporto non è l’unica cosa ad essersi rovinata, anche questo secondo capitolo non scherza di certo. 

Il primo film, infatti, nonostante la trama piuttosto banale, aveva conquistato i giovani di tutto il mondo, essendo una piacevole commedia romantica dalla trope Enemies to Lovers. Il seguito, invece, ha senza dubbio deluso ogni aspettativa. Si tratta di un film privo di alcun senso logico e non si parla solo di tematiche superficiali, ma, soprattutto, di una sceneggiatura a dir poco disastrosa e inverosimile. Le battute che si scambiano i personaggi non fanno altro che imbarazzare il pubblico, portandolo unicamente a ridere per la loro assurdità, come anche per il livello di recitazione. Le due ore del film sembrano inoltre così lunghe che ci si chiede cos’altro possa succedere. Il colmo si raggiunge poi con lo spietato ritratto adolescenziale, mostrando figli di famiglie ricche che tengono solo all’apparenza e a beni materiali come macchine di lusso e vestiti alla moda. 

Insomma, È colpa tua? è sicuramente un film da perdere più che da recuperare. 

Virginia Porcelli






Squid Game 2, la nuova stagione colpisce ancora

Sarebbe un crimine ammettere di aver aspettato, quest’anno, più il 26 dicembre che il Natale stesso, eppure, per molti di noi, questo è innegabile. 

Alla giornata di Santo Stefano 2024, infatti, era stata dedicata l’uscita della tanto attesa seconda stagione di Squid Game, la serie in assoluto più vista a livello globale. 

È stata in realtà una questione di soldi a spingere il regista Hwang Dong-hyuk a continuare la storia, in quanto, stando a ciò che afferma, non aveva guadagnato molto dalla prima stagione, durante la quale ha persino rivelato di aver perso otto o nove denti a causa dello stress.

In questo secondo capitolo, che sembrava non arrivasse mai, Gi-hun, vincitore della scorsa edizione dei giochi, è ormai un uomo traumatizzato e ossessionato dall’idea di smascherare l’organizzazione dietro a tale crudeltà. Decide dunque di prendere coraggio e rientrare nel gioco, determinato a porgli fine una volta per tutte.

Nei panni di Gi-hun troviamo ancora una volta Lee Jung-jae, che vediamo totalmente trasformato in un uomo distrutto, dall’aspetto quasi irriconoscibile. In questa stagione l’attore supera se stesso, interpretando un personaggio che, al contrario dello scorso anno, non ha paura, ma che, al contrario, è sempre in prima linea per aiutare gli altri, rischiando la propria vita per farlo.

Al suo fianco riconosciamo volti familiari, come quello di Gong Yoo, lo spietato reclutatore che ci stupisce stavolta con un’interpretazione eccellente, oltre a quello di Lee Byung-hun, il Front Man senza pietà e quello di Wi Ha-joon, il poliziotto impavido. Oltre a questi, però, ci saranno anche molte new entries e nuove dinamiche, ancora più interessanti rispetto a quelle dello scorso anno.

Che dire, la serie ci lascia ancora una volta a bocca aperta rispetto a scelte e atteggiamenti dei giocatori, che ci sembrano surreali, ma purtroppo sono tutt’altro. Anche in questa stagione, infatti, troviamo una brutale critica al capitalismo, oltre che il tema della forte disuguaglianza economica, che porta le persone a rischiare la propria vita in un gioco in cui, alla fine, avranno lo stesso destino che avrebbero fuori, quello di morire divorati dai debiti.

Tuttavia, la novità sostanziale di questo secondo capitolo è un’attenzione particolare al voto, tra le scene con più suspense e, anche in questo caso, metafora della politica contemporanea e delle elezioni. I giocatori infatti, al contrario degli anni precedenti, hanno questa volta la possibilità di votare al termine di ogni gioco e decidere se tornare a casa o meno, per vincere, però, è necessaria la maggioranza. Anche in questo caso c’è la dimostrazione di quanto, quando si tratta di denaro, non ci si accontenta mai, si desidera sempre di più, rimanendo ciechi e non riuscendo a convincersi rispetto alla realtà della minaccia che incombe su tutti. 

La serie, ahimè, non porta ancora ad una vera e propria conclusione, lasciando un finale aperto e incuriosendo ancora di più lo spettatore. Tuttavia, almeno questa volta, l’attesa sarà breve e potremo disporre dell’ultima stagione già nel 2025. Certo che, dopo tutto ciò a cui abbiamo assistito, sarà difficile aspettare o, almeno, non pensare ad un ipotetico finale. Che cosa succederà? Abbiamo così tante domande in testa che sarà meglio che questi mesi passino in fretta. 


Virginia Porcelli