Parola chiave: Partecipazione

Intervista al Segretario del PD di Pomezia Stefano Mengozzi

Seicento giorni da Segretario, un leader giovane eppure molto conosciuto nel territorio, sia per radici che per la sua attività di giornalista a Pomezia e nel territorio Pontino. Incontro Stefano Mengozzi di primo mattino, è stato il Direttore del giornale per cui ho scritto, la confidenza è immediata e non c’è bisogno di preamboli. Un caffè al bar seduti in un tavolo all’aperto, per potersi consentire la prima sigaretta di una giornata che si preannuncia, a giudicare dalle telefonate che riceve, molto lunga. Poi spegne il telefono, è il segno che si può cominciare.

Stefano sei il Segretario del partito da 20 mesi, possiamo già fare un bilancio di questa esperienza? Ti sei pentito?

«No non sono pentito, assolutamente!» sorride della provocazione che forse si aspettava: «Una domanda che mi piace. È un’esperienza faticosa ma molto, molto bella. Quando ho iniziato sapevo che il percorso era di ricostruzione di una classe dirigente del partito, non solo a livello politico ma anche e soprattutto aggregativo, di voglia di condividere e di condivisione. Voglio aggiungere che è anche e soprattutto un’esperienza appassionante. Davvero. Il momento più bello è stata la “Festa de l’Unità” di quest’estate, dove ho ritrovato compagni storici che erano anni che non si affacciavano più alla politica e che ti ritrovi, di colpo, nelle cucine a servire ai tavoli e a collaborare con un entusiasmo nuovo, ritrovato. Che si sentono di nuovo parte di una comunità che vuole fare il bene di tutti.

Sei alla prima grande esperienza politica dopo esser stato osservatore e giornalista. La tua percezione della politica è diversa adesso rispetto a prima?

«Ti confesso che è quasi imbarazzante trovarmi dall’altra parte, con te che mi intervisti, dopo aver per tanto tempo fatto io il giornalista che faceva le domande e che non doveva rispondere. Fammi dire innanzitutto una cosa importante perché ci tengo: questa città ha un’ottima informazione e bravi giornalisti, che tra mille sacrifici, quotidianamente ci mettono passione e sanno andare oltre la semplice notizia. Per quanto mi riguarda, ti rispondo subito: l’essere giornalista è importante perché mi ha regalato la conoscenza del territorio. La sua complessità è evidente e grazie al fatto di essere stato sul campo per anni sai subito quali sono i problemi della gente e quelli di alcune zone del territorio che sono in sofferenza.

Parliamo delle elezioni 2013. Ha pesato per te la scelta di candidare Schiumarini? Quelle primarie hanno sancito forse uno strappo con l’elettorato di sinistra?

«Noi perdiamo nel 2013 per diverse ragioni: innanzitutto la proposta alternativa di Fabio Fucci e del Movimento 5 Stelle ha affascinato la città, è innegabile. Ma perdiamo soprattutto secondo me per la mancanza di fiducia maturata dalla precedente amministrazione. Ora, dire che è colpa di Schiumarini non è corretto, sarebbe troppo semplice. Hanno pesato e non poco invece le questioni giudiziarie e l’incapacità di comunicare quello che avevamo fatto di buono. Pensa soltanto ai fondi ottenuti dalla Regione e dall’U.E. con i “PLUS” (Piano Locale Urbano di Sviluppo n.d.r.) dove Pomezia con la giunta De Fusco arriva addirittura seconda tra i comuni del Lazio, proprio per la qualità del lavoro svolto a livello progettuale. Questo successo della precedente giunta ha consentito di incassare quei fondi di cui ti dicevo, a seguito dei quali quei progetti messi su carta dall’amministrazione De Fusco sono state inaugurate ora dal Sindaco Fucci».

Ci torneremo più tardi alla questione dei PLUS, si sente che è un argomento che Mengozzi vorrebbe sviscerare meglio, per il momento rimaniamo però sulla questione politica del partito.

Sempre a proposito di Schiumarini, e delle Primarie che lo candidarono: tra due anni prevedi il ricorso ancora a quello strumento per decidere chi sfiderà il M5S?

Le primarie del 2013 furono purtroppo una resa dei conti all’interno del partito, non un forte confronto aperto agli elettori. Io lo dico sempre, non è lo strumento delle primarie in se ad esser giusto o sbagliato, ma come lo si usa. Al momento non mi interessa e non mi appassiona sapere se le faremo o no, mi interessa che ci sia “partecipazione” al progetto. Questa deve essere la parola chiave! L’ho detto prima e lo ribadisco. Ci siamo dati un obiettivo : restituire proprio partecipazione e condivisione altrimenti non si vincerà la sfida con il Movimento 5 Stelle».

Si accende un’altra sigaretta e continua sul tema che più gli è a cuore: «negli ultimi anni il PD di fatto era un veicolo buono solo per il periodo delle elezioni. Diciamoci la verità. Il confronto e la discussione politica e programmatica avveniva solo in quelle occasioni. Io ho cercato e sono riuscito, lo dico senza indugio, di farlo diventare di nuovo un punto di aggregazione vero e vivo e di questo posso ritenermi soddisfatto».

Non credi che ci sia bisogno di forze nuove nel partito? Pensi che le prossime elezioni possano esser l’occasione per il PD, ma anche per tutte le altre liste ora all’opposizione, di un cambio generazionale profondo al proprio interno?

«La mia idea è proprio di dare vita ad un radicale rinnovamento all’interno, anche su chi si candiderà nelle liste del mio partito. Se sarà una linea condivisa da tutti lo scopriremo al congresso nel 2017, proprio poco prima delle elezioni comunali. Siamo convinti, come direzione, che solo con una nuova proposta programmatica e con volti nuovi saremo capaci di tornare al governo di questa città».

In questo progetto rivedi un compattamento delle forze di Sinistra o correrete da soli?

La domanda lo sorprende, si prende qualche secondo per rispondere… «vedi, le cose si decidono sempre in due. O comunque insieme. Noi adesso dobbiamo fare un lavoro dentro al nostro partito, è questo il nostro obiettivo assoluto e prioritario per il momento, non quello di cercare alleati. Se proprio però devo pensare ad una coalizione che vada insieme alle elezioni del 2017, non posso non pensare alle forze di sinistra, certamente. Si potrebbe, anzi si dovrebbe ricreare però un gruppo che sia in assoluta sintonia sui grandi temi e sulle sfide ancora irrisolte della città, allora si che ci sarebbe coalizione. Vedremo, è presto per parlarne».

Abbiamo finito, ma Stefano Mengozzi ha ancora qualcosa da puntualizzare. Vuole tornare sull’argomento che gli sta a cuore, quello delle opere realizzate e inaugurate dall’attuale governo della città, le avevamo accennate poco prima parlando dei PLUS.

«Si perché vedi, questa cosa voglio proprio dirla: la vicenda dei plus ha mostrato il lato più basso di questa amministrazione. Peggio della vecchia politica. Fucci ha invitato addirittura Di Battista e Di Maio ad inaugurare un’opera resa possibile dall’Europa e dalla Regione Lazio, gli stessi enti contro cui M5S si scaglia quotidianamente. Ma la questione più importante a mio parere è un’altra: queste opere sono state realizzate appunto a fronte di progetti realizzati e messi in gara dalla passata amministrazione, proprio quello che chi governa la città non sta facendo adesso. Questa situazione è preoccupante perché fa emergere soprattutto la mancanza di progettazione per il futuro. Mi chiedo, dove sono i progetti per far arrivare nuovi fondi Europei o Regionali? Cosa troverà la prossima amministrazione cittadina»?

Mauro Valentini




Le espulsioni e il senso della base

Ha fatto notizia l’espulsione di quattro senatori da parte del M5S, ma si è capito subito che si trattava di pruriti di posizione, piuttosto che di difesa della partecipazione democratica. Senza entrare nel merito delle espulsioni, che peraltro riguarderebbero persone giá dichiaratamente lontane dalle posizioni del movimento, l’argomento sarebbe interessante e attuale se non rappresentasse un fenomeno antico che però, fino ad oggi era considerato un tabù perché ha riguardato i due blocchi del potere PD e PDL, o quel che é diventato.

Quest’ultimo, in particolare é stato costretto a cambiare nome fino a ruotare su se stesso e tornare alla denominazione originaria di “forza italia” per legittimare scissioni e cambi di casacca. Nel PD, invece, la pratica ha origini antiche, ma adesso ha trovato furbesche soluzioni.

In quel partito, come é noto, ormai si raccoglie di tutto e non si applicano differenziazioni, non si rifiuta nessuno e si accetta chiunque, senza distinzione di ideologia o appartenenza sociale: banchieri, massoni, affaristi e aspiranti affaristi, che convivono insieme a increduli elettori in buona fede, alimentati da una speranza, come i cristiani nelle catacombe. E nel partito democratico (l’aggettivo é frutto di una definizione autologica), è ormai consuetudine assistere a espulsioni e ostracismi, tutti derivanti dalla “insopportabile” diversità di vedute con il vertice che, nei casi migliori ha generato arcipelaghi di partiti o persino la rimozione mentale di leader storici, in preda a conflitti permanenti, a correnti e sottocorrenti, a scissioni annunciate e altre consumate.

Si é capito allora che il problema risiede nella “base”:  i vertici si contrappongono, si scontrano, si confrontano, ma poi trovano l’accordo.  La base, invece, che é fatta di persone per bene, che votano PD perché hanno rispetto dei valori della democrazia, si commuovono ancora per una rivoluzione, leggono libri che parlano di valori o sentimenti e non di fredda economia, pagano le tasse e ancora ritengono l’evasione come una truffa, considerano la corruzione come un male e non un metodo di lavoro, non capisce! E allora la soluzione é sembrata naturale e il partito, stanco e provato dalle troppe lotte interne ed espulsioni, dalle accuse di incoerenza e intelligenza con il nemico, stretto tra una base di gente civile e un vertice di provata ingordigia, ha deciso di espellere la base.

É ha fatto bene, a guardare al successo in termini di potere. Poco importa se tra gli italiani d’Italia non é piu il primo partito (precisazione dovuta perché il PD tra i residenti in Italia non é il primo partito e ottiene l’agognato primato grazie a una manciata di voti di italiani all’estero) e se sono sempre piú numerosi i non votanti. É passato di moda anche il richiamo alla partecipazione al voto. Non servono piú le masse che si recano alle urne. Anzi, creano imbarazzo con i loro soliti problemi che riguardano la disoccupazione, o il costo della vita, o il peso delle tasse. É molto più divertente la gente dei salotti buoni che non si lamenta, ma negozia, o quella dei palazzi che non si scandalizza di nulla, anzi é disponibile ai traffici, senza alcuna riserva o remora di carattere etico.

La base é diventata un peso e a conti fatti non é necessaria. Puó parteggiare, prendere posizione, schierarsi, quando richiesto e mettersi in fila per la pantomima delle primarie, ma niente di piú.

Ecco perché fanno notizia le espulsioni. Sono un argomento da fornire alla base per mostrare che cosa si rischia a seguire i movimenti che si schierano contro il potere.




Sulle Primarie e sulla Partecipazione

Corre l’obbligo, per amore della trasparenza e per rispetto di chi legge, premettere che chi scrive è un iscritto al Partito Democratico di Torvajanica e che al congresso locale ha sostenuto in prima persona la mozione rinnovatrice della lista In Campo per Cambiare.

La fine della fase congressuale, che ha raggiunto il suo apice con la celebrazione delle elezioni primarie per la scelta del segretario nazionale, ci permette di fare delle brevi e modeste considerazioni politiche. La prima cosa che possiamo affermare con una certa sicurezza è che bene o male tutta la fase congressuale del Partito Democratico è stato un fenomeno mediatico non indifferente. Per almeno due mesi, telegiornali, trasmissioni televisive di approfondimento e testate giornalistiche cartacee ed online ci hanno inondato di informazioni ed analisi sui concorrenti e sui loro programmi, senza  risparmiarci  il  minimo particolare.

Questo è sicuramente un fatto positivo, sia per chi ha fatto parte della macchina organizzativa, sia per chi semplicemente ha espresso una preferenza, ma non deve essere né un fatto consolatorio, né un punto di arrivo.

E’ vero la politica è in crisi. E’ in crisi in ogni parte del mondo perché le persone hanno sempre più la sensazione che le decisioni fondamentali di una comunità, non vengano prese dai legittimi rappresentanti della sovranità popolare, ma fuori dalle istituzioni, lì dove si annidano forti interessi economici, o dove freddi burocrati applicano la tecnica, privi di una coscienza sociale o semplicemente privi di moderazione. Se la politica vuole tornare a scaldare i cuori dei cittadini deve aprirsi alla partecipazione dal basso .

Il concetto della partecipazione è diventato così ovvio che rischia di rimanere solo uno slogan se non lo mettiamo in pratica. Nessuno oggi si sognerebbe di contestarlo, perfino le grandi organizzazioni si sono rese conto che data la situazione attuale, è essenziale dare potere decisionale a chi realmente interagisce nella società. E’ dal basso quindi che devono essere prese le decisioni secondo una logica “Bottom Up” da contrapporre alla vecchia visione organizzativa “Top Down”, dove tutte le informazioni e le scelte venivano prese dai vertici dell’organizzazione.

Ma tornando a concentrarsi sul campo della politica e dell’amministrazione della cosa pubblica, è fondamentale, dicevamo, che si passi dalla partecipazione democratica come slogan, alla sua applicazione pratica.

Le elezioni primarie sono un’applicazione pratica di quanto abbiamo detto?

La mia risposta è che lo sono solo in parte. Esistono vari gradi di coinvolgimento dei cittadini alla politica. Scegliere il segretario di un partito, o il candidato premier alla carica di presidente del consiglio dei ministri è un primo passo, ma è un passo leggero, che rimane un po’ in superficie nel terreno, un passo che non penetra a fondo l’essenza del concetto di partecipazione. I cittadini devono, non solo scegliere tra la soluzione A o la soluzione B, tra Renzi, Cuperlo e Civati, tra il consigliere x e quello y, devono poter determinare radicalmente i programmi, le candidature, addirittura i provvedimenti di un sindaco, o di un gruppo consiliare. Questa è partecipazione allo stato puro. Limitarsi a permettere all’elettore di mettere una crocetta una volta ogni tanto, sottoponendo agli interessati scatole preconfezionate non basta. Semplificando brutalmente, il Partito Democratico deve essere partecipativo 365 giorni all’anno. Deve aprirsi alla discussione ed alla determinazione dei cittadini su qualsiasi aspetto della vita politica.

Esiste un modello partecipativo che secondo me funziona, è il meetup, implementato dal Movimento Cinque Stelle. Ecco, non dobbiamo snobbare uno strumento solo perché lo usa un avversario politico. Si deve avere l’intelligenza di utilizzare qualcosa che funziona, magari adattandolo al proprio contesto.

(Questa idea di coinvolgimento tra l’altro è alla base della mozione presentata all’ultimo congresso locale dalla mia lista, mozione che vuole mettere al centro della vita politica del Partito Democratico del comune pometino, l’Assemblea degli Iscritti come massimo organo deliberativo nei fatti e non a parole).

Riassumendo quindi, la partecipazione non è solo una possibilità di scelta una tantum, ma è  la possibilità concreta di determinare realmente le decisioni da prendere, aggiungendo però un altro aspetto, che secondo me, è l’ essenza  del concetto partecipativo, ovvero aggiungendo il fatto che la partecipazione è legata, fortemente, alla possibilità di veder realizzato quello che si è determinato. Ecco il principio attivo che debella qualsiasi malattia della politica: la realizzazione concreta di quello che si è scelto attivamente. Un cittadino che decide e vede realizzato ciò che ha scelto, non solo ritrova fiducia nella politica, non solo aumenta il proprio interesse per l’amministrazione della cosa pubblica, ma acquisisce responsabilità sociale, combatte le tentazioni egoistiche di pensare solo al proprio benessere personale senza curarsi delle sorti degli altri.

Le primarie per concludere, sono un punto di partenza, sono una forma blanda di partecipazione, se non accompagnate da una rivoluzione strutturale dei partiti, un cambiamento radicale che trasformi le vecchie organizzazioni gerarchiche come le conosciamo noi, in cellule fondamentali  del tessuto sociale, nonché in luoghi decisori dove chiunque associandosi possa rappresentare veramente le proprie istanze, sentendosi parte attiva della comunità. Ora spetta al gruppo dirigente che si è recentemente affermato nel PD, accontentarsi di un’illusoria vittoria elettorale, o decidersi finalmente ad accendere la miccia del cambiamento radicale. Ai posteri l’ardua sentenza.