Claude Monet: all’origine dell’Impressionismo

 

La Vita di Monet

Nato il 14 novembre 1840 a Parigi, Oscar-Claude Monet trascorse la sua infanzia a Le Havre, una città portuale nella regione della Normandia. Il suo talento artistico si manifestò fin da giovane, quando divenne noto per i suoi ritratti a carboncino dei cittadini locali. Dopo aver studiato all’École des Beaux-Arts a Parigi, Monet divenne un pittore en plein air, che preferiva dipingere all’aperto piuttosto che in uno studio d’arte tradizionale.

La vita di Monet fu caratterizzata da ostacoli personali e finanziari. Dopo aver perso la moglie Camille a causa della tubercolosi nel 1879, lottò per mantenere se stesso e i suoi due figli.
Tuttavia, la sua fortuna cambiò quando, nel 1890, fu in grado di acquistare una casa a Giverny, dove creò il famoso giardino che divenne la fonte di ispirazione per molte delle sue opere più note.

Monet e l’Impressionismo

Monet è meglio conosciuto come uno dei fondatori dell’Impressionismo, una corrente artistica che cercava di catturare l’effetto transitorio della luce sulla natura.
L’Impressionismo si distingue per i suoi tratti di pennello visibili, i colori vivaci e la rappresentazione di scene quotidiane.
Il termine “Impressionismo” deriva dal quadro di Monet del 1872, “Impression, soleil levant”, un’opera che rappresenta un’alba nebbiosa nel porto di Le Havre.

Monet e i suoi contemporanei, come Renoir, Degas e Pissarro, si allontanarono dalle convenzioni artistiche dell’epoca, privilegiando invece l’osservazione diretta e l’uso innovativo del colore. Questa rottura con la tradizione fu inizialmente controversa, ma alla fine aprì la strada a un nuovo modo di vedere e rappresentare il mondo.

Opere Significative

Le opere di Monet sono celebrate per la loro capacità di catturare le sottili variazioni di luce e colore che si manifestano durante il passaggio del tempo. Tra le più note ci sono le serie di dipinti in cui ha ritratto lo stesso soggetto in diverse condizioni di luce e atmosfera.

Impression, soleil levant (1872)

Questo dipinto è quello da cui deriva il termine “Impressionismo”. Rappresenta un’alba nebbiosa sul porto di Le Havre, con piccole barche che fluttuano nell’acqua e il sole che sorge in lontananza. Monet utilizza pennellate larghe e non dettagliate per catturare l’effimero aspetto della scena, dando un’idea dell’impressione fugace che una tale vista potrebbe lasciare.

Serie delle Ninfee (1897-1926)

Le Ninfee di Monet sono una serie di circa 250 opere che ritraggono il giardino acquatico della sua casa a Giverny.
Questi dipinti variano notevolmente nello stile e nel tono, ma tutti mostrano le ninfee galleggianti sulla superficie dell’acqua con riflessi di cielo e vegetazione circostante. Monet sperimenta con la prospettiva e l’angolo di visione, spesso eliminando l’orizzonte per creare un effetto quasi astratto. I colori vanno dai toni delicati dei primi dipinti alle tonalità più audaci e drammatiche dei lavori successivi.

Serie della Cattedrale di Rouen (1892-1894)

In queste opere, Monet ritrae la facciata della Cattedrale di Rouen in diverse ore del giorno e condizioni atmosferiche. Ogni dipinto mostra variazioni di luce e colore, dando una sensazione diversa a ciascuna scena.
La serie è notevole per la sua esplorazione della luce e del colore, con la pietra della cattedrale che sembra cambiare colore a seconda del momento della giornata.

 




Anna Karenina, uno sguardo attuale sull’amore e sulla società

Per variare un po’, oggi parliamo di un tipo di opera un po’ diversa: un’opera letteraria.
Infatti, i grandi libri passati alla storia come “capolavori” sono vere e proprie opere artistiche anche se intellettuali.

Oggi vorrei parlare di Anna Karenina, di Lev Tolstoj, un libro che, personalmente, porto nel cuore.

Tolstoj scrisse Anna Karenina nel 1877, ma questa data non deve farvi pensare che sia un libro “datato”, anzi, è un libro che non sa invecchiare, perennemente attuale.
Questo perché, oltre a raccontare una storia in un determinato tempo e luogo (la Russia di fine ‘800) vengono narrati i sentimenti, le emozioni, i pensieri e gli struggimenti dell’essere umano.

Il libro, nonostante sia intitolato “Anna Karenina”, non racconta solo la sua storia, bensì tratta due storie parallele: quella, appunto, di Anna; e quella di Levin.
Ma andiamo per ordine.

Anna Karenina è la moglie di Karenin, un uomo serio e spesso anaffettivo. La coppia ha un figlio, Serëž, a cui Anna è affezionatissima.
Conosciamo la figura di Anna inizialmente un po’ per traverso, e dai pensieri delle altre figure che le gravitano attorno capiamo quanto sia riconosciuta dalla società aristocratica alla quale lei stessa appartiene come madre e moglie virtuosa.

Tutto però cambia quando Anna va a visitare il fratello, in crisi con la moglie, con lo scopo di risanare i rapporti tra i due. Lì, a Mosca, Anna incontra il conte Vronskij.

Passiamo però un attimo alla storia di Levin.
Infatti, le due storie vanno di pari passo. Sappiamo, sin dall’inizio, che Levin è da sempre follemente innamorato di Kitty. Ma lei sta per fidanzarsi con (indovinate?) Vronskij. Kitty rifiuta perciò Levin, che se ne torna affranto e deluso nella campagna russa, dove vive in tranquillità.

Tuttavia, nonostante il fidanzamento tra Kitty e Vronskij sembri procedere bene, avviene questo fatidico incontro: Vronskij si innamora istantaneamente di Anna, ma lei, inizialmente, lo rifiuta e lo allontana.

Ma piano piano, ballo dopo ballo, incontro dopo incontro, Anna cede. I due sono innamoratissimi e non hanno più intenzione di separarsi.

Così, anche Levin si fa coraggio e torna da Kitty: i due si sposano e la ragazza si trasferisce in campagna abbandonando la sua vita aristocratica.

Le due narrazioni, a questo punto, diventano opposte.
Da una parte vediamo come l’amore tra Kitty e Levin, inizialmente immaturo e timido, diventi piano piano sempre più saldo e consolidato.
E’ un amore puro, fedele, sincero e solido.

Dall’altra parte, invece, vediamo Anna sprofondare della disperazione più assoluta. Il marito Karenin non ha intenzione di divorziare e lei continua a vivere una vita a metà, tra l’amore passionale di Vronskij e il dovere verso la sua casa e suo figlio.

Anna resta incinta, ma il parto è molto difficile, sta per morire.

Succede però qualcosa di stupendo: Anna, sdraiata sul letto in punto di morte, chiama a sé sia il marito Karenin che l’amante Vronskij. I due si incontrano e a questo punto, Karenin perdona tutto.

Anna sopravvive, fa nascere la figlia sua e di Vronskij e i due finalmente vanno a vivere insieme. La nobiltà russa, tuttavia, non ha mai visto di buon occhio la relazione tra i due ed esclude Anna da qualsiasi evento.

Anna è sola, disprezzata da tutti. In più, inizia a nascere in lei un sentimento di gelosia che cresce sempre e sempre di più.
Vronskij, a differenza sua, continua a vivere la sua vita e intraprende rapporti con l’aristocrazia, dovendo però lasciare sempre Anna sola a casa.

Ed è qui che finisce l’opera: Anna, impazzendo di amore e di dolore per la lontananza di Vronskij, decide di fargliela pagare: si lancia sotto un treno.

Quello che non sa, Anna, è che Vronskij non ha mai smesso di amarla, che la sua gelosia era del tutto ingiustificata. Ma la solitudine e il disprezzo l’hanno portata a compiere questo ultimo gesto con cui si conclude uno dei capolavori della letteratura russa.

In copertina, la splendida Keira Knightley nel ruolo di Anna Karenina nell’omonimo film.




La Traviata

Oggi vorrei parlare di un’opera, non un’opera d’arte, ma un’opera teatrale.
La traviata è un melodramma (dunque, un’opera) di Giuseppe Verdi del 1853.

Ma dietro questa “opera di…” c’è tanto altro dietro.
Infatti, la storia è quella raccontata da Alexandre Dumas (figlio) nel suo romanzo “La signora delle camelie”. Il testo è stato adattato da Francesco Maria Piave, il termine tecnico è libretto, sulla musica di Giuseppe Verdi.

La prima rappresentazione fu tenuta al Teatro La Fenice nel 1853, ma non ebbe successo. Probabilmente la causa è da additare agli interpreti che poco rispecchiavano i personaggi dell’opera.
Ma, l’anno successivo, il personaggio di Violetta trovò il suo interprete prediletto: Maria Spezia Aldighieri. Il successo fu immediato.

Ma di cosa parla, dunque, La traviata, o anche conosciuta come La Violetta?

Il personaggio principale è, ovviamente, Violetta, una giovane cortigiana di Parigi dalla vita dissoluta e dedita ai piaceri mondani. Questa vita l’ha portata però a contrarre una terribile malattia: Violetta è malata di tisi.

Nel primo atto, Violetta, per dimenticare per un momento la sua malattia, organizza una cena dove conosce Alfredo, un giovane di buona famiglia, innamorato follemente di lei.

Dopo la cena, Alfredo le si confessa. Ma la ragazza, stupita, dubita di poter corrispondere il suo amore e gli regala una camelia, dicendogli di tornare il giorno dopo.
Rimasta sola, Violetta riflette sulla possibilità di potersi innamorare e cambiare vita, ma la risposta le arriva fredda e tonante: no, non può.

All’apertura del secondo atto, invece, vediamo Alfredo e Violetta che vivono felicemente insieme in una casa di campagna, innamorati e sereni.
Capiamo che Violetta ha fatto la sua scelta di cuore e ha deciso di cambiare vita per amore di Alfredo. I due non possono essere più felici.

Ma la felicità durerà poco: durante un’assenza di Alfredo, arriva il padre Germont e, dopo tanti discorsi, convince Violetta a lasciare Alfredo in nome di un bene più alto, un bene comune: la loro disdicevole convivenza, infatti, sta minando il matrimonio della figlia minore, sorella di Alfredo.

Germont supplica Violetta di compiere questo sacrificio, nonostante capisca che i sentimenti di lei nei confronti del figlio siano sinceri.

Violetta, rimasta sola, scrive una lettera d’addio per il suo amato, che proprio in quel momento torna a casa e capisce che qualcosa è successo: Violetta nega, ed arriva, a mio parere il momento più doloroso e straziante.
Violetta canta la famosissima “Amami, Alfredo!”.

Alfredo trova la lettera e va fuori di testa. Va a Parigi, dove sa di trovare Violetta alla festa dell’amica Flora e qui la umilia di fronte a tutti: le urla e le getta i soldi ai piedi. Violetta sviene.
Tutti quanti sono solidali nei confronti della giovane, persino il padre Germont che ha assistito alla scena, ma Violetta perdona Alfredo perché sa che non può capire.

Ecco che si riapre il sipario e l’ultimo atto, il terzo, inizia.
Violetta è costretta a letto, gravemente malata. Le resta ormai poco da vivere.
Le arriva una lettera da Germont che le spiega di aver rivelato tutta la verità ad Alfredo, il quale sta andando a Parigi per chiederle perdono.

Alfredo ed il padre arrivano giusto in tempo per implorare perdono, mentre Violetta muore.