La lettrice di Čechov di Giulia Corsalini

Pubblicato da Nottetempo scandaglia il dramma di chi lascia la propria terra per emigrare all’estero come badante

 

La lettrice di Čechov è il primo romanzo di Giulia Corsalini pubblicato da Nottetempo nel 2018 che ci porta a scandagliare il dramma individuale delle donne dell’est europeo costrette ad abbandonare la propria terra e gli affetti per emigrare all’estero per lavorare come badante.

Nina è una quarantenne ucraina, laureata in letteratura che lascia Kiev, sua figlia Kàtja e il marito malato per permettere alla figlia di studiare all’università e al marito di essere curato.

Nina raggiunge Macerata per prendersi cura dell’anziana Mariangela portando con sé solo alcuni libri: La Bibbia, Tolstoj, Dostoevskij e Čechov.
Ed è proprio attraverso la lettura e la frequentazione della biblioteca nel suo unico giorno libero, che Nina inizia a valutare la possibilità di tornare a studiare, di darsi una nuova possibilità e ricominciare a vivere.

Ma il dolore per gli affetti che ha lasciato si rivelano sempre più forti e il distacco con la figlia una ferita che aumenta giorno dopo giorno fino a farle perdere ogni volontà di guardare avanti con ottimismo creando un parallelismo con il racconto Storia noiosa di Čechov dove il vecchio professore si ritrova alla fine della sua vita a analizzare dolorosamente il freddo distacco delle persone a lui care.

 

 

La lettrice di Čechov è narrato in prima persona permettendo al lettore di entrare nell’intimo di Nina e portandoci ad ascoltare la povertà di Kiev, il freddo intenso degli inverni nevosi, la semplicità di una vita povera ma sincera.

Un uso magistrale della punteggiatura e la bellezza della tripletta di aggettivi qualificati rende fluido e piacevole il ritmo del testo al punto che diventa impossibile non sentirsi Nina mentre passeggia la mattina presto con il marito, o non riuscire a percepire la luce che entra di traverso nella sala della biblioteca di Macerata, così come si sente tutto il dolore di Nina nel prendere atto di come il suo allontanarsi abbia lacerato i suoi affetti e di resi vani i successi lavorativi raggiunti.

 

«A quel tempo vivevamo, a Kiev, in via Anna Achmatova, nel distretto di Darnycja; abitavamo al sesto piano di un alto condominio dignitoso […] Dalle finestre, prive di tende e di serrande, coglievo ogni giorno tutte le variazioni del cielo.»

La scrittura di Corsalini è sussurrata e mai urlata e, il dolore di una donna che sacrifica tutto per amore, si trasforma in un leitmotiv sottile che pervade tutte le pagine senza mai graffiare, senza mai sgomitare come se quella scelta non fosse stata in effetti una scelta bensì l’unica strada possibile, un disegno più alto dettato dal fato e come tale debba essere seguito senza alcuna esitazione.

Se la cruda realtà di ciò che perdono lasciando affetti e patria è perentorio in tutto il romanzo, l’amore profondo per la letteratura di Nina appare come quella zattera capace di salvare se non il fisico almeno la mente degli esseri umani.




SOSTIENE PEREIRA Di Antonio Tabucchi Ed. Feltrinelli

SOSTIENE PEREIRA

Di Antonio Tabucchi

Ed. Feltrinelli

 

 

Era il venticinque luglio millenovecentotrentotto, e Lisbona scintillava nell’azzurro di una brezza atlantica, sostiene Pereira

 

“Ma chi è Pereira?” mi chiedo subito, appena lette le prime frasi. Ho un senso di disappunto mentre immagino quest’uomo pingue ed indolente, sudato e affannato, che scrive pagine di cultura in una stanzetta squallida. Non riesco a capacitarmelo nelle vesti del responsabile della pagina culturale di un giornale importante come il Lisboa. Lo vedo lì alla scrivania, con i fogli sparpagliati dall’aria smossa di un ventilatore, che traduce meccanicamente racconti di autori francesi. Un uomo solo che a casa parla con la fotografia della moglie morta di tubercolosi, e che mi risulta quasi antipatico.

Poi quel verbo, sostiene, ripetuto incessantemente; lo ritrovo più volte nella stessa pagina, mi infastidisce all’inizio, le mie reminiscenze scolastiche mi ricordano che le ripetizioni in un testo non vanno bene.

Ma la magia di questo romanzo è proprio in questa parola, perché ad un certo punto ecco che la cerco, la aspetto, sorrido quando compare. Una semplice parola che è testimonianza di aver fatto la scelta giusta.

Perché di scelta si parla quando poi Pereira viene edotto dal proprio dottore sull’esistenza di una confraternita di anime.

 

… quella che viene chiamata la norma, o nostro essere, o la normalità, è solo un risultato, non una premessa, e dipende dal controllo di un io egemone, che si è imposto sulla confederazione delle nostre anime; nel caso che sorga un altro io, più forte e più potente, codesto io spodesta l’io egemone e ne prende il posto, passando a dirigere la corte delle anime…

 

L’io egemone che sembra governare la nostra esistenza viene soppiantato da un nuovo io, che non conoscevamo, che forse  volevamo fuggire.

Con parole semplici Tabucchi ci fa capire come ad un certo punto della nostra esistenza un altro io emerge, grazie ad accadimento o un incontro, un io che distacca Pereira dal suo passato e lo proietta in un futuro di ribellione e libertà.

le parole di questo libro ci spingono a meditare, a riflettere, a capire che ogni stagione è quella giusta per rinascere.

I personaggi che fanno da contorno a Pereira gli creano un’aura particolare: le portiere che scandiscono con la loro presenza le sue giornate, Monteiro Rossi e Marta che mettono in discussione il suo attaccamento al passato e il suo voler essere neutro rispetto tutto ciò che gli sta accadendo intorno.

La trasformazione di un uomo codardo in uomo coraggioso, da una persona inoffensiva ad una che infligge un duro colpo alla censura e all’oppressione di un regime totalitario: Pereira è l’antieroe per eccellenza che stravolge tutte le sue convinzioni per la difesa della libertà e della giustizia.

Il finale è degno di una penna coinvolgente che cattura, trascina e appassiona il lettore in ognuna di queste 196 incredibili pagine.

Per un’altra volta, anche con questo romanzo, faccio fatica a chiuderlo e riporlo in libreria.

 

La filosofia sembra che si occupi solo della verità ma forse dice solo fantasie e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie ma forse dice la verità.

 

 

SINOSSI 

Nella Lisbona del 1938, un vecchio giornalista che ha deciso di non occuparsi più di politica, incontra un giovane sovversivo che gli cambia la vita.

Solo due righe per non togliervi il piacere di leggere questo capolavoro.

 

 




L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini

Villaggio Tognazzi a Torvajanica protagonista del nuovo romanzo in tutte le librerie dal 4 febbraio

Quando un libro è ambientato in un territorio familiare sembra quasi che stia parlando proprio a te, a te che conosci quei luoghi, che sai esattamente come gira quella curva, che riconosci la forma delle due e sai perfettamente dove si trova Villaggio Tognazzi.

L’anno che a Roma fu due volte Natale di Roberto Venturini edito dalla casa editrice SEM, è un romanzo ambientato a Torvajanica ed esattamente all’interno di Villaggio Tognazzi.
È una storia che lega il passato al presente con la protagonista Alfreda, accumulatrice seriale che vive sommersa da vecchie riviste, insetti e oggetti di ogni tipo, la quale, insieme al figlio Marco, sopravvive giorno dopo giorno aspettando il momento di unirsi all’amato marito scomparso in modo misterioso nel mare davanti casa.

 

A forza di farsi scivolare le cose addosso, ad Alfreda si era impermeabilizzata l’anima. Però quella notte dell’anno in cui a Roma fu due volte Natale le formicolarono le emozioni, allora infilò una mano in un guanto irrigidito dal tempo e prese un paio di ciocchi di legno, li gettò nel braciere arrugginito che teneva in veranda e accese il fuoco.

 

La storia è rocambolesca e surreale e come tale va letta.

Perché è davvero paradossale pensare che Sandra Mondaini possa arrivare in sogno, chiedere di essere riunita al marito Raimondo Vianello sepolto al Verano, perché lei l’hanno sepolta a oltre 600 km di distanza a Milano; ed è ancora più paradossale pensare che il figlio Marco, aiutato da Er Donna, un transessuale amico/amica della coppia e da Carlo, l’amico luciaolo di Mario, il marito di Alfredo, possano davvero esaudire il desiderio della madre e avventurarsi di notte in visita al cimitero monumentale del Verano.

Eppure, per quanto tutto appaia così fuori le righe, la scrittura di Venturini è così avvincente e sincera che ci si ritrova a seguirne le vicissitudini senza più chiedersi se ciò sia possibile o meno.

L’anno che a Roma fu due volte Natale ci riporta le storie dei pescatori che per primi hanno abitato la costa di Torvajanica, ci ricorda i nomi di locali che ancora esistono e di altri che si sono persi nella memoria, ci fa fare un giro nella vita notturna e goliardica degli anni d’oro di Torvajanica quando i vip di Roma sceglievano di trascorrere le loro vacanze al Villaggio Tognazzi e quando il torneo lo Scolapasta d’Oro era un avvenimento sportivo super seguito.

L’anno che a Roma fu due volte Natale è di sicuro un libro che merita di essere letto anche solo per il fatto che parla di Torvajanica e del nostro bellissimo litorale.