Il Flauto Magico

IlFlauto Magico (in lingua: Die Zauberflöte) è un’opera composta nel 1792 da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder.
Mozart, che da tempo era malato, trovò un fortissimo senso di soddisfazione grazie all’immediato successo che ebbe l’opera nel grande pubblico.
Fu infatti la sua ultima opera.

L’opera è divisa in due atti ed è in forma di “singspiel” ovvero una forma popolare tedesca che univa i dialoghi parlati al canto.
Questo modello aveva origina dai commedianti tedeschi (nasce a Vienna e poi si diffonde anche in Germania) che all’interno dell’opera musicale solevano inserire canzoni popolari.

Tre potenti accordi ripetuti tre volte aprono le danze: questo tema musicale ritorna tre volte (tre damigelle, tre geni, tre schiavi, tre sacerdoti e le tre prove) e ha dato agli studiosi motivo di pensare che fosse un’opera che celava un significato massonico data la ripetizione del numero tre, che era sacro appunto per la massoneria.

La storia, in breve, racconta le vicende del principe Tamino il quale, aiutato da Papageno, supera numerosi ostacoli per liberare Pamina, la sua amata.

ATTO I

Tamino incontra tre donne mentre fugge da un serpente.
Le donne lo aiutano a salvarsi: sono le dame della regina della notte. Lo introducono così alla regina, Astrifiammante, la quale è disperata per la scomparsa della figlia Pamina, rapita da Sarastro.

Tamino, che vede un ritratto della giovane e subito se ne innamora, decide di andarla a cercare con l’aiuto di Papageno. Le tre dame consegnano al principe un flauto magico e Papageno un carillon.

Da qui iniziano le numerose sfide che i due sono costretti ad affrontare per la strada verso il Tempio di Sarastro, dove è imprigionata la bella Pamina.
Papageno giunge per primo al tempio dove trova Pamina, prigioniera di Monostato, il carceriere.
Tamino nel frattempo giunge ai Tre Templi (Natura, Ragione e Saggezza) dove incontra un sacerdote che cerca di fargli cambiare idea sulla cattiveria di Sarastro.
Tamino è così sconcertato che viene trascinato via e portato al cospetto di Sarastro stesso che lo libera e lo obbliga a purificarsi per poter entrare nel suo regno.

ATTO II

Inizia la prima prova: stare in silenzio qualunque cosa accada. Nel frattempo la regina della notte giunge da Pamina, chiedendole di uccidere Sarastro con un pugnale.
Monostato, servo di Sarastro, ascolta tutto e le minaccia, ma in quel momento giunge Sarastro, il quale spiega che solo l’amore può condurre alla verità, e non la vendetta.
Pamina tenta dunque di parlare con Tamino (che, ricordiamo, al momento non può parlare!) e credendolo non più innamorato di lei, tenta il suicidio.
Scopre poi, grazie a tre ragazzi, lo scopo della prova. Così, terminata la prima prova, alla quale ne seguiranno altre due superate con successo: l’attraversamento dell’acqua e del fuoco.

Infine, Astrifiammante, Monostato e le tre dame si uniscono per sconfiggere Sarastro. Un terremoto fa inabissare tutti, celebrando così la vittoria del bene sul male.




Il Don Giovanni di Mozart

La figura del Don Giovanni nasce nel 1630 a opera del commediografo Tirso de Molina (1579-1648) nella sua opera in versi El burlador de Sevilla y convidado de piedra e fu creata “come nient’altro che un opera edificante, e svolto senza molta arte, né profondità”.

Il suo Don Giovanni non è tanto il seduttore di cui parleremo in seguito, quanto più un burlador, un ingannatore, un abbindolatore, intento solo a godere “il materiale e momentaneo possesso di questa o quella”.

Il fulcro di quest’opera ruota attorno alla caduta di Don Giovanni culminante nella cena con la statua di pietra, che terminerà con la sua morte.

L’intento morale è chiaro: l’uomo che non si pente dei propri peccati è destinato alla dannazione.

Nel 1787 Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) compose Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, un dramma-giocoso su libretto di Lorenzo da Ponte.

E sarà dunque Mozart ad analizzare e meglio interpretare la figura di Don Giovanni, non più “libertino” pentito come abbiamo visto in Tirso de Molina, bensì diabolus, ovvero colui che separa, che divide.

Ed è proprio in questo atto della separazione che risiede il potere demoniaco di Don Giovanni. Egli tiene separati i suoi nemici, soggiogandoli alla propria volontà, ma è qui che risiede anche la sua debolezza.

Come vedremo più avanti, sarà l’unione dei personaggi sue vittime a segnare la sua rovina.

L’opera è divisa in due atti: nel primo atto Don Giovanni, con l’aiuto del servo Leporello (nelle opere precedenti Sganarello) dopo essersi introdotto nella casa di Donna Anna per sedurla, cerca di scappare via furtivamente ma viene scoperto dal padre di lei, il Commendatore, e scontrandosi a duello con esso, lo uccide.

Donna Anna, insieme al fidanzato Don Ottavio, allora giurano vendetta per la morte dell’uomo.

Successivamente entra in scena Donna Elvira, la moglie abbandonata di Don Giovanni, che dopo aver scoperto la vera natura di Don Giovanni attraverso la famosissima Aria del Catalogo cantata da Leporello decide si impegnarsi affinché egli si penta e si redima.

Nel frattempo, Don Giovanni si imbatte nella festa di nozze di Masetto e Zerlina e decide di sedurre quest’ultima.
Donna Elvira, giunta tempestivamente, salva Zerlina.

Durante il funerale del Commendatore, avviene una disputa tra Donna Elvira e Don Giovanni, e Donna Anna riconosce la voce del suo assalitore in esso.

L’atto si conclude con una festa, dove tutti i personaggi, insieme alla stessa Zerlina, riescono a smascherare la vera natura di Don Giovanni. Da qui in poi sarà per lui la rovina.

Il secondo atto, molto più frammentario, comincia con un inganno teso a Donna Elvira da un Leporello travestito dal padrone, il quale la seduce e la conduce in un posto isolato per approfittarsi di lei. Tuttavia, viene smascherato e accusato dei crimini commessi dal Don Giovanni, che nel frattempo, travestito dal servo, incontra il contadino Masetto e lo picchia.

Entrambi i personaggi riescono a scappare dalle situazioni in cui si vengono a trovare e si ritrovano al cimitero, dove Don Giovanni in tono scherzoso invita la statua, posta sulla tomba del Commendatore, a cena.

Da questo momento comincia ciò che nella tradizione costituiva la parte del Convitato di pietra ovvero il finale dell’opera: la statua si presenta veramente la sera a casa di Don Giovanni, deciso a ricambiare l’invito e di portarlo con sé all’Inferno, se non si pente.

E così sarà.

La casa prende fuoco e viene scossa da terremoti e Don Giovanni muore inghiottito dalle fiamme degli inferi.

Tutti gli altri personaggi accorrono attorno al corpo morto ed insieme cantano un’ultima volta, ma poi si dividono. Ma sappiamo che è proprio nella separazione degli altri che Don Giovanni, il diavolo, vince.

Tuttavia, il finale non sempre ha convinto i critici dell’eterna malvagità che persiste nell’opera anche dopo la morte del protagonista e preferiscono riconoscere nella sua morte il tanto atteso e predicato ritorno a Dio.