Medicina femminile vs medicina maschile

Anche nella cura delle malattie uomini e donne sono diversi: ogni patologia deve tener conto delle differenze di genere per la prevenzione e l’appropriatezza terapeutica

La differenza tra uomini e donne è stata per lo più ignorata nell’individuazione di cure e azioni preventive nelle malattie, con la conseguenza di terapie non sempre adeguate alle esigenze femminili e maschili. Su indicazione dell’organizzazione mondiale della sanità (Oms) e, in Italia, dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) negli ultimi anni si è andata sempre più sviluppando la medicina di genere, che si occupa di relazionare l’appartenenza al genere sessuale con l’efficacia delle terapie nel trattamento di determinate patologie, con l’obiettivo di garantire a ogni individuo, maschio o femmina, la giusta cura.
In quest’ottica la definizione del concetto di genere si amplia e va oltre alla differenza dei caratteri sessuali per raggiungere fattori relativi all’ambiente, alla società, all’educazione, alla cultura e alla psicologia dell’individuo. Per lungo tempo la differenza tra uomini e donne è stata considerata un fattore secondario (quando non è stata addirittura ignorata) nello sviluppo di nuove soluzioni farmacologiche e nell’individuazione di trattamenti e forme di prevenzione delle patologie.
Non solo differenze nell’apparato sessuale, ma anche nel cuore, nella circolazione, nel sistema immunitario, con diversità consistenti in cardiologia: le donne vanno meno dal medico per controlli e disturbi cardiocircolatori, con conseguenti diagnosi tardive rispetto agli uomini. Il 43% delle morti femminili è rappresentato da malattie cardiovascolari rispetto al 35% degli uomini (Istat 2014) soprattutto intorno ai 75 anni perché: a) i medici sottostimano il rischio infarto per le donne; b)le donne non riconoscono per tempo i sintomi dell’infarto acuto, che spesso le porta in ritardo al pronto soccorso; c) le cure farmacologiche possono risultare meno efficaci per il sesso femminile anche perché i farmaci che vengono prescritti sono essenzialmente stati studiati sugli uomini. Il movimento e l’attività sportiva, come si sa, è un toccasana per la salute: a fronte però di un 31% di uomini sedentari si è registrato per il 2012 (dati Iss) un 41% di donne che non svolgeva nessuna attività sportiva, importante nella prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolare, ma anche di altre patologie tipicamente femminili, come i tumori mammari e l’osteoporosi.




L’occasione mancata della ricerca medica in Italia

Leggere ‘Il bagnino e i samurai’ di Daniela Minerva, giornalista scientifica e di Silvio Monfardini, oncologo di fama internazionale, accende emozioni e stati d’animo molto diversi tra loro, come sdegno, rabbia, combattività e speranza. Nel libro, a partire dal titolo, tali sentimenti tratteggiano due posizioni antitetiche, protagoniste del mancato sviluppo della ricerca medica in Italia negli anni ’60.
Da una parte, sdegno e rabbia verso una classe politica rapace e ignorante e imprenditori miopi che, tra mazzette ed errori gestionali, non hanno raccolto le sfide della grande industria in grado di fare ricerca biomedica, rinunciando così ad entrare nella modernità.
Dall’altra, la combattività dei samurai, i sette giovani ricercatori che, circa 50 anni fa e sotto la guida di Gianni Bonadonna dell’Istituto Tumori di Milano, fecero le prime sperimentazioni della chemioterapia: Mario De Lena, Emilio Bajetta, Gabriele Tancini, Gianni Beretta, Pinuccia Valagusa e Silvio Monfardini, l’autore del libro. Scoprirono l’adriamicina, molecola tutta italiana (il nome è ispirato al Mar Adriatico), che si impose poi in tutto il mondo per curare diverse forme di cancro, a partire da quello al seno. I samurai raccolsero la sfida statunitense capeggiata dal presidente R. Nixon di fare guerra al cancro ma che poi si fermò lì, collocandoci così fuori dal gotha del mercato farmaceutico mondiale (che vale oltre mille miliardi di dollari e che cresce dell’8% l’anno).
Il personaggio scelto dagli autori per rappresentare il sistema Paese, è Carlo Sama, il bagnino, playboy sulle spiagge romagnole poi sposato ad Alessandra, rampolla Ferruzzi. Amministratore delegato di Montedison, l’azienda che poteva divenire un colosso nazionale delle medicine, nel 1993 Sama vende Farmitalia-Carlo Erba agli svedesi della Kabi Pharmacia per 2 mila miliardi di lire, per evitare il tracollo finanziario del gruppo industriale, dopo anni di tangenti e gestione dissennata.
Il quadro è desolante: pochi investimenti nella ricerca (1,2%del Pil, metà di Germania e Stati uniti, e un terzo di Giappone e Corea) e tanti farmaci comprati all’estero perché le aziende farmaceutiche hanno scelto il co-marketing, accordandosi con quelle internazionali per assicurarsi i profitti sui farmaci.
Il messaggio finale degli autori è di fiducia e passa anche attraverso le parole di Ignazio Marino (medico e sindaco di Roma) e del prof. Umberto Veronesi. L’incitamento è di puntare ancora sulla ricerca biomedica, in sinergia con politici e industriali, con una nuova mentalità e un’opinione pubblica più ottimista nei confronti della scienza.
Marina Landolfi
Titolo: Il bagnino e i samurai
Autore: Daniela Minerva, Silvio Monfardini
Editore: Codice edizioni
Data di pubblicazione: 2013
Pagine: 293
Prezzo: 16,90