Maze Runner – La fuga

Che Harry Potter abbia cambiato la vita di intere generazioni è un dato di fatto, basta vedere che – notizia di ieri – l’ottavo capitolo della saga (Harry Potter and the Cursed Child), che sarà rappresentato solo a teatro al West End di Londra, ha registrato in poche ore il sold out per tutto il 2016. Il fenomeno mondiale nato dall’immaginazione e dalla genialità di J. K. Rowling ha aperto la strada, infatti, a quelle che oggi possono considerarsi le cosiddette saghe young adult, dove il successo letterario è spesso seguito da una trasposizione cinematografica.

A Harry Potter, quindi, sono susseguiti Twilight, Hunger Games, Divergent e non ultima Maze Runner, ora al cinema con il secondo capitolo, Maze Runner – La fuga. Tutte con caratteristiche comuni e spesso ambientate in un mondo fantastico o in un futuro distopico, hanno rivoluzionato il mercato hollywoodiano, e reso i loro protagonisti delle vere star, basti pensare a Robert Pattinson, Jennifer Lawrence e ora Dylan O’Brien. Il suo Thomas, infatti, è il nuovo eroe delle ragazzine, bello e bravo quanto basta per non passare inosservato, cose che, inevitabilmente, ricade su Dylan stesso, già apprezzato dai più per la sua interpretazione di Stiles in Teen Wolf. Maze Runner, quindi, oltre ad una trama avvincente e diversa dalle altre, ha saputo costruire il proprio successo sui suoi personaggi, sul rapporto di amicizia che si crea e su quella dose di mistero che non guasta mai.

Avevamo lasciato i radurai abbandonare definitivamente il labirinto, convinti che quella fosse la strada per la libertà, salvo poi scoprire che il tutto era solo la prima prova di un piano molto più elaborato che rende la salvezza un miraggio ancora lontano. La Fuga si rivela un film più cupo del precedente, dove le mura “amiche” del labirinto sono sostituite da un paesaggio desertico e distrutto dalle eruzioni solari, nel quale Thomas, Newt (Thomas Brodie-Sangster) e Minho (Ki Hong Lee) cercano di farsi strada, tra “zombie” e nemici, per arrivare al porto sicuro. Nonostante manchi quella tensione e pathos che aveva contraddistinto il primo capitolo, la delusione più grande arriva dalla sceneggiatura, in quanto totalmente diversa dal libro da cui è tratto. E la domanda sorge spontanea: perché?

La gran parte dei fan di queste saghe, infatti, lo sono prima di tutto dei romanzi e nelle trasposizioni cinematografiche si aspettano di vedere tramutate in immagini le azioni che per mesi li avevano emozionati. Tralasciando il fatto che comunque non potrà esser riportato il libro parola per parola, sono i dettagli che fanno la differenza, quelli a cui ci si era affezionati, come un semplice “Tommy” pronunciato da Newt, o un Uomo Ratto vestito totalmente di bianco, senza contare una trama completamente stravolta nel raccontare il tradimento di Teresa (Kaya Scodelario) o la fuga dei radurai.

Il tutto che comunque non aiuta la comprensione di un film che per molti versi risulta poco incisivo e frammentario. Anche sui social network, infatti, i pareri sul giudizio del film sono discordanti, divisi tra chi è fan solamente dei film e chi dell’intera saga letteraria, concorde solo sulla bravura – e bellezza – di Dylan O’Brien. Fatto che da solo non basta, anche perché la qualità di Maze Runner – La fuga non riesce a giustificare le incongruenze della storia. Ci vorrebbe più fedeltà, perché, inutile negarlo, queste saghe devono la loro fortuna ai fan che da anni si appassionano e si affezionano alla vita dei loro beniamini, e che chiedono, anche a discapito della riuscita finale del film, almeno di rivivere sul grande schermo le scene più importanti e alle quali è davvero impossibile rinunciarvi. Detto questo, Thomas e gli altri vi aspettano al cinema, perché, comunque sia, l’avventura continua e merita di essere vista. Poi ditemi da che parte state.




10° Film Fest: Tremate le Dee son tornate!

di Martina Farci e Mauro Valentini

Una Festa per gli amanti del Cinema, ma del resto, cos’altro dovrebbe esser se non questo? E se il pubblico è il primo protagonista, allora ecco dunque che il “pubblico sovrano” ha votato e ha votato bene! Perché quest’anno vince Il film più bello, segno che le giurie più giuste sono quelle di chi il Cinema lo ama e non di chi lo fa o peggio di chi per mestiere lo recensisce.

Vince “Angry Indian Goddesses” Un film indiano, commovente e bellissimo, che racconta la forza delle donne contro ogni violenza e pregiudizio, tutto narrato con uno stile perfetto, mix geniale di colore canzoni “Bollywoodiane”, risate e dramma da “tutti i particolari in cronaca”. Un racconto allegro e spregiudicato, mai banale in ogni dialogo e che segna forse un punto di non ritorno da parte degli intellettuali indiani, finalmente a fianco delle lotte per l’emancipazione femminile. Fortuna doppia per questo premio perché non solo nobilita una Festa bellissima, ma anche rende possibile la sua distribuzione in Italia, mercato pigro e sempre con la paura di rischiare. Le Dee indiane arrabbiate siamo convinti sbancheranno al botteghino e conquisteranno tutti.

La scelta di non far decidere ad una giuria dunque è stata vincente! Anche se con una formula di voto un po’ caotica e che va migliorata il prossimo anno, ma che come detto restituisce il Cinema al pubblico. Scelta questa tutta del nuovo Direttore Antonio Monda, che sabato alla chiusura della Festa non ha trattenuto la propria soddisfazione per una rassegna davvero di grande qualità. Non tutto è rose e fiori, questo c’è da dirlo e non lo nasconde neanche Monda, che infatti ha chiesto più fondi per il prossimo anno, perché qualcosa andrà regalato anche allo “Star System” e al Red Carpet. Ma il cinema è “Cinema” in sala, non si nutre certo di autografi e selfie, anche se incastonare la perdita di biglietti (preoccupante meno 20%) soltanto alla mancanza di star internazionali sul tappeto rosso sarebbe sbagliato, perché il ridimensionamento c’è stato si, ma in termini di investimento, in pubblicità e nelle sale, non certo in qualità cinematografica.

Straordinario successo di pubblico al contrario per “Alice nella città”, una sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata ai giovani e alle famiglie, che da anni ormai si “preoccupa” di raccontare l’adolescenza ai ragazzi, rendendoli così partecipi di film in cui loro stessi possano immedesimarsi in prima persona. I cosiddetti young adult, infatti, stanno prendendo sempre più il sopravvento tra saghe, commedie e drammi sulla malattia, da risultare però coinvolgenti e maturi anche per gli adulti. Infatti le proiezioni dei film in programma ad Alice della Città sono quelle con il pubblico più variegato, dalle scolaresche che ogni anno invadono l’Auditorium con il loro entusiasmo e il loro “tifo da stadio” ai critici cinematografici che ancora oggi si commuovono nell’immedesimarsi con i problemi adolescenziali. I film proposti anche quest’anno, infatti, hanno saputo toccare argomenti talmente vari da risultare appetibili per chiunque. Si è passati dall’anteprima italiana del kolossal Pan, il film di Joe Wright con Hugh Jackman e Rooney Mara che ripercorre l’infanzia di Peter Pan al dramma familiare Une Enfance, dove il regista Philippe Claudel racconta con una tristezza infinita la storia di due ragazzini costretti a cavarsela da soli visto che la madre è finita nella trappola di alcool e droga. Departure di Andrew Steggall, invece, con delicatezza e sensibilità cerca di guardare l’omosessualità con gli occhi di un ragazzo, senza cadere nella trappola degli stereotipi, mentre Mustang, candidato per la Francia all’Oscar come miglior film straniero, ci porta nella Turchia dove cinque ragazzine sono costrette a vivere prigioniere in casa. A conquistare il pubblico, soprattutto femminile, però, ci ha pensato Game Therapy di Ryan Travis con i divi di Youtube, vale a dire Favij, Federico Clapis, Leonardo Decarli e Zoda, letteralmente presi d’assalto dalle teenager sul red carpet. Alice nella città, quindi, ha saputo calibrare perfettamente un’offerta di film che soddisfacesse chiunque, dai bambini con il proseguo dell’avventura di Belle & Sebastian o con il grande classico Il Piccolo principe, fino al documentario “più adulto” The Wolfpack di Crystal Moselle. E dopo otto giorni di rassegna si possono trarre i primi bilanci, i quali sono più che positivi, con un incremento del 14% tra pubblico e accreditati e un programma che nel complesso ha dato vita a ben 41 proiezioni. Un successo in partenza quasi annunciato visti i titoli presentati e che poi ha trovato conferma, meritatamente, anche nei numeri ufficiali.

Ed ecco i premiati della Sezione Alice nella città:

Premio miglior Film 2015 di Alice nella città è andato a “FOUR KINGS” della regista THERESA VON ELTZ con la seguente motivazione : Per la grande efficacia e sensibilità di quest’opera prima, per la la recitazione travolgente e studiata, per la sua fotografia dai colori freddi ma capaci di trasmettere calore e per il giusto equilibrio tra musiche e silenzi

 Menzione Speciale della giuria Taodue Camera d’oro è stata attribuita a “Mustang” di Deniz Gamze Erguven , con la seguente motivazione : Per la forza e la gioia con cui il film racconta, attraverso una regista forte e matura e un tono allo stesso tempo leggero e drammatico , l’animo di cinque giovani donne e il loro passaggio da un’adolescenza segregata ad un vita adulta imposta, attraverso l’elaborazione della vita e della libertà

Arrivederci dunque al 13 ottobre 2016, che il Cinema sia con Voi.




Festa del Cinema – Il cielo in una stanza

Martina Farci per Pomezianews –  Non sempre serve in film perfetto perché ci si emozioni. Anzi, spesso succede il contrario, perché è quell’imperfezione che ci permette di rimanere coinvolti a tal punto da farci dimenticare tutto il resto. Ed è quello che succede con Room, il film presentato in anteprima italiana alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma, e che sta già conquistando pubblico e critica di tutto il mondo raccontando la toccante di storia di Mà e Jack. I due sono madre e figlio di  cinque anni, rinchiusi in una stanza dove sono costretti a vivere dopo il rapimento di Mà. Nonostante la prigionia, però, la ragazza cerca in tutti i modi di far vivere al figlio una vita piena e soddisfacente, almeno fino al giorno in cui elaborano un piano per fuggire. Perché il mondo esterno non è esattamente come Jack se l’era immaginato.

Diretto da Lenny Abrahamson, Room è un film potente che si concentra sull’amore materno e su come questo non abbia barriere, e sulla forza che ne deriva. Coinvolgente e commovente – parecchio, bisogna ammetterlo – riesce a trasmettere una sensibilità toccante e ad emozionare per la semplicità con cui un bambino guarda il mondo con quell’innocenza pura e assoluta, impreziosito anche dall’interpretazione di una sorprendente Brie Larson. Assolutamente da vedere, quindi segnatevi questo titolo. Le lacrime, però, dovrebbero sempre essere compensate da risate sincere, ma ad un festival non è mai detto che ci sia questa possibilità. Bisogna essere fortunati, e questa volta, per fortuna, lo siamo.

Mistress America

Mistress America

Noah Baumbach, infatti, con Mistress America si ha trascinati in una New York elettrizzante, raccontandoci la storia di Tracy e Brooke, due sorellastre che non potrebbero interpretare la vita in maniera così diversa. Grazie ad un umorismo sofisticato a ad un’ironia leggera, Baumbach riesce a porre in maniera esaustiva  e convincente il ritratto di due ragazze che prendono la vita con leggerezza, e con quella nevrosi tipica di chi non sa dove andare. Ottime le interpretazioni di Greta Gerwing e di Lola Kirke. Detto questo, siamo ansiosi di scoprire così ci riserverà nei prossimi giorni la Festa del Cinema di Roma. Ad ora, questi sono i due film che più di tutti hanno coinvolto e convinto, per un motivo o per altro. Imperfetti, sì, ma molto emozionanti. E questo basta.

Martina Farci

 




L’addio di Claudio Caligari, la bellezza di Danish Girl

Come promesso, eccomi a parlarvi dei film visti finora alla 72.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Quando ormai ci stiamo avvicinando alla conclusione del festival, è possibile trarre i primi bilanci, tra delusioni, conferme e sorprese. Solo una premessa: giusti o sbagliati che siano, i miei giudizi sono dettati dal cuore e da quello che i film mi hanno trasmesso nel corso della proiezione o che mi hanno lasciato dentro una volta terminato.

Perché dovute sapere che, ad un festival, durante le preziose pause caffè, i pareri discordanti su un film sono all’ordine del giorno. Quindi ormai ci rinuncio: vado avanti per la mia strada e basta. Chi è d’accordo bene, altrimenti va benissimo lo stesso. Detto questo, sono pochi i film che mi hanno particolarmente colpita in tutto e per tutto. Uno di questi è sicuramente The Danish Girl di Tom Hooper con Eddie Redmayne e Alicia Vikander, tanto emozionante quanto delicato, sia nella regia che nelle interpretazioni.

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Convincente, poi, El Clan di Pablo Trapero, che racconta la vera storia della famiglia Pucci, la quale, nell’Argentina degli anni ottanta, rapiva delle persone a scopo economico. A strappare applausi a scena aperta, però, ci hanno pensato Anomalisa di Charlie Kaufman e Duke Johnson e 11 Minutes di Jerzy Skolimowski. Il primo è l’unico film d’animazione presente in concorso, ed è una favola agrodolce per soli adulti, il secondo racconta 11 minuti di dieci personaggi diversi, legate da una concatenazione di eventi, in un finale inaspettato e punto forza del film, grazie ad un effetto domino straordinario. Sperimentale, poi, il nuovo lavoro di Aleksander Sokurov, Francofonia, che ci porta all’interno del Louvre, tra passato e presente, arte e storia.

Gli italiani, invece, finora sono stati rappresentati da A Bigger Splash di Luca Guadagnino, Sangue del mio Sangue di Marco Bellocchio e L’Attesa di Piero Messina.  I primi due si sono rivelati al di sotto delle aspettative, nonostante il cast del primo (Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Dakota Johnson e Matthias Schoenaerts) e la trama intrigante del secondo, mentre il debutto cinematografico di Piero Messina ha sorpreso proprio per la maturazione mostrata, supportato anche da una bravissima Juliette Binoche.

Questi, finora, i film in concorso particolarmente degni di nota, a cui vanno aggiunti i già citati Beats of No Nation di Cary Joji Fukunava, Marguerite di Xavier Giannoli e Equals di Drake Doremus. Una menzione speciale, però, va fatta anche a Non essere cattivo, il film postumo di Claudio Caligari, presentato fuori concorso e vera rivelazione del festival, a Tanna, presentato alla Settimana Internazionale della Critica, e al documentario di Jake Paltrow e Noah Baumbach su Brian De Palma, presente al Lido anche per ritirare il premio Jaeger-LeCoultre. Ora ci aspettano le ultime proiezioni e i primi responsi, scommesse già iniziate.




L’autografo di Johnny Depp e di Eddie Redmayne…

per Martina ( e per Pomezianews!)

Dovete sapere che i giorni ad un festival cinematografico sono uno diverso dall’altro. Sembra strano, ma è così. E per me lo sono stati, in maniera diversa, questi ultimi tre alla 72.a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Il perché è semplice: mi sono ritrovata più fan che critica. Ogni tanto succede, ed è meraviglioso. Difficile rimanere indifferenti se il Lido si trasforma in una bolgia per l’arrivo di Johnny Depp o se uno dei tuoi attori preferiti, Eddie Redmayne, presenta il film da te – stranamente – più atteso. Perché, quindi, privarsi dell’entusiasmo e della gioia nel volere un autografo o nel provare a scambiarci due parole? In fondo, siamo qui per questo, per vivere il nostro sogno. Così, quando venerdì mattina ti accingi a seguire la prima proiezione mattutina (alle 8.30, per l’esattezza), ti accorgi che nell’aria c’è qualcosa di diverso, c’è più movimento… e molta più gente!

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Perché sì, per l’arrivo di Johnny Depp, c’è perfino chi ha passato la notte sul red carpet per riuscire ad assicurarsi la prima fila. Ma il delirio generale – in senso positivo –  è aumentato di ora in ora, quando ormai anche la conferenza stampa era gremita di giornalisti. E allora anch’io, trascinata dall’entusiasmo generale, non ho resistito e ho sfidato la sorte nel tentativo di riuscire a strappargli un autografo, che dopo quasi un’ora di attesa è prontamente arrivato.

Ma chi non lo farebbe per Johnny Depp? E se ve lo state chiedendo, sì, non era al suo massimo della forma, ma chi se ne importa! Niente a che vedere, però, con l’emozione provata per l’arrivo in conferenza stampa di Eddie Redmayne, quasi commosso dall’accoglienza trionfale ricevuta.

Il nostro privilegio, infatti, è proprio quello di vederli – per quel poco che ci è concesso – nella loro vita reale, senza interpretazioni che tengano, a confermare o smentire l’idea che ci eravamo fatti di loro. E Eddie si è prontamente rivelato per la bella persona che immaginavo fosse, timido e dolce allo stesso tempo, quasi imbarazzato da tanta attenzione. Quindi riuscire a farsi fare l’autografo, o a dirgli “your performance is incredibile!”, è solo il coronamento di una giornata già perfetta, dove i tuoi sogni per una volta sono diventati realtà. Se a questo, poi, si aggiunge l’emozione per la toccante visione di The Danish Girl – ad ora il miglior film visto – in cui regala un’altra interpretazione da Oscar, è facile comprendere con quanta felicità e gioia abbia vissuto il tutto. E sono giorni come questo che ci ricordano perché siamo qui e perché amiamo il cinema. Dei film vi parlerò la prossima volta, questo era il mio momento fan girl, scusate!




Un’escursione sull’Everest in 3 D

Pomezianews a Venezia 72 – Un’escursione sull’Everest in 3 D

 

spotlightveneziaEverest ha ufficialmente inaugurato la 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e dato il via così a proiezioni, red carpet e conferenze stampa. Questi primi due giorni, però, sono serviti principalmente a riassaporare il clima festivaliero, dove i ritmi quotidiani sono scanditi da un programma pieno di impegni, nell’ardua impresa di riuscire ad incastrare perfettamente quello che si dovrebbe e si vorrebbe fare.

Perché l’imprevedibilità è sempre dietro l’angolo, sia in senso negativo che positivo, ma fa parte del gioco. Così in fila per le proiezioni si spera di entrare senza rimanere fuori, come riuscire a prendere un autografo senza venire sommersi. Il bello, però, è proprio questo, quello di condividere con persone il tuo stesso sogno e ritrovare in loro la tua stessa passione. Perché tutti siamo stati  fan una volta, e allora quando alle 8.30 del mattino trovi già ragazzine appostate davanti al red carpet per Jake Gyllenhaal non puoi che sorridere, e ritenerti fortunata a vedere il film in anteprima stampa, seguito anche dalla conferenza in cui è presente il cast.

Ti rendi conto, così, di essere una privilegiata e di sognare ad occhi aperti, almeno per qualche giorno all’anno. Quello che alla fine rimane, però, oltre al ricordo e all’esperienza personale, è la visione di tanti, troppi film, che magari lasceranno il segno nella storia del cinema, o almeno nella corsa ai premi importanti. Di quelli visti finora si può già fare un primo bilancio, ovvero che la gran parte è tratta da fatti realmente accaduti. Questo, però, non significa una mancanza di idee, ma piuttosto un bisogno di attenersi ad una realtà che ci sta sfuggendo di mano.

Parliamo di Everest di Baltasar Kormàkur, interpretato da Jason Clarke, Josh Brolin e Jake Gyllenhaal, e della conquista della montagna più alta del mondo, che grazie ad un 3D spettacolare, fa provare la sensazione dell’altezza, e di Beats of No Nations, film in concorso del regista della prima stagione di True Detective, Cary Fukunaga, che racconta la tragica storia di un bambino africano educato per diventare soldato.

everestscenaA strappare applausi convinti, però, ci ha pensato Spotlight (fuori concorso), film di Thomas McCarthy che racconta lo scandalo dei preti pedofili a Boston. Una storia forte ma necessaria, interpretata da un grandissimo cast, nel quale spiaccano Michael Keatoon, Rachel McAdams, Stanley Tucci e Mark Ruffalo, questi ultimi due presenti al Lido e disponibilissimi con stampa e fan – oltre che molto eleganti. La 72.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, quindi, si appresta ad entrare nel vivo con quello si preannuncia un weekend di fuoco, dove sono attesi Johnny Depp, Kristen Stewart e Eddie Redmayne, oltre al primo film italiano in concorso, L’attesa, di Piero Messina, con Juliette Binoche. Ah, dimenticavo, Robert Pattinson ha dovuto dare forfait all’ultimo minuto. Peccato, perché un Festival vive anche di questo.




72° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Pomezianews alla 72° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Si sa, le occasioni vanno prese al volo…

Così, quando mi è stata data l’opportunità –grazie a Mauro Valentini – di raccontarvi la 72.a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, non ho avuto esitazioni.

Sarò io, quindi, per quel che può valere, a farvi rivivere quello che accadrà al Lido, tra film, red carpet, conferenze stampa e aneddoti vari, senza soffermarmi però troppo sull’aspetto tecnico, ma più su quello che percepisce il pubblico.

venezia72fotolidoPerché sì, anch’io una volta sono stata dall’altra parte, a fare ore di attesa per l’autografo di una star o semplicemente per immortalarla nella mia macchina fotografica. E anche se il “lavoro” adesso chiama, non ho perso comunque quella gioia nell’incontrare da vicino qualcuno che si ammiri a prescindere.

E come ogni buon festival internazionale può permettersi, anche quest’anno sfileranno al Lido i nomi importanti della Hollywood che conta, primo fra tutti un Johnny Depp sempre sulla cresta dell’onda, seguito dagli idoli dei teenager, Robert Pattinson e Kristen Stewart, per arrivare all’ultimo Premio Oscar, Eddie Redmayne. Non mancheranno, però, neanche Dakota Johnson, Juliette Binoche, Ralph Fiennes e Anthony Hopkins.

Ce n’è per tutti, compreso un programma fitto fitto di film, che il Direttore Artistico Alberto Barbera ha definito “sorprendente e per niente scontato”. Il Concorso, infatti, è composto da ben 21 film,  tra cui quattro italiani (Marco Bellocchio con Sangue del mio sangue, Giuseppe M. Gaudino e il suo Per amor vostro, Luca Guadagnino con A Bigger Splash e l’esordiente Piero Messina con L’attesa) e l’attesissimo The Danish Girl di Tom Hooper, oltre al ritorno al Lido di Aleksandr Sokurov con Francofonia e al debutto del Sud Africa con The Endless River di Oliver Hermanus. Fuori Concorso spiccano il nuovo lavoro di Scott Cooper, Black Mass, con Johny Depp e Joel Edgerton,  Spotlight, di Thomas McCarthy, con Michael Keaton e Mark Ruffalo e il documentario su Brian De Palma di Noah Bambach e Jake Paltrow.

Impossibile, quindi, non trovare qualcosa – o qualcuno – che catturi la curiosità, anche perché ad inaugurare la 72.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ci penserà Jake Gyllenhaal con Everest di Baltasar Kormákur. E se questo è solo l’inizio… ci sarà da divertirsi!