Festa del Cinema di Roma #RomaFF11 Vince Captain Fantastic

La locandina del film di Michele Placido in uscita

La locandina del film di Michele Placido in uscita

Vince il visionario Captain Fantastic di Mike Ross, presentato in collaborazione con Alice nella Città.

Vince una gara molto condizionata da una modalità di voto che indubbiamente ha favorito il voto dei giovanissimi (a cui il film di con Viggo Mortensen era dedicato) perché votare con le “app” su smartphone è obiettivamente penalizzante per un pubblico più maturo. Il regolamento infatti prevedeva il voto non più come era accaduto negli anni passati appena usciti dalla sala ma solo tramite internet o appunto app ma entro le 5 ore successive la proiezione. Considerando che le proiezioni più importanti sono state effettuate tra le 20:00 e le 22:00 ecco che obiettivamente votare nel cuore della notte tornando a casa ha fatto si che moltissimi non abbiamo affatto votato.  Lacuna grave da migliorare assolutamente.

Ma cosa ha di speciale Captain Fantastic? Il film è bello, brillante e costellato da temi importanti. Nel cuore delle foreste del Nord America, lontano dalla società, un padre dedica la propria vita a trasformare i suoi sei figli in adulti straordinari. Costretti a lasciare il loro “paradiso”, però, si affronteranno con i problemi della vita reale. Captain Fantastic fa affidamento su uno straordinario Viggo Mortensen per esplicare al meglio il suo modo di essere padre. Folle o geniale?

Vedremo come andrà al botteghino.

Stesso quesito che è al centro di Genius, presentato nella sezione Tutti ne parlano, opera prima del regista teatrale Michael Grandage e che ha come protagonisti Jude Law, Colin Firth e Nicole Kidman.

Il film, dall’impostazione classica, ci immerge nel mondo dell’editoria e ci fa conoscere l’editor Max Perkins, colui che ha scoperto scrittori come Hemingway e Scott Fitzgerald, e che qui incontra Thomas Wolfe. Quest’ultimo, genio e sregolatezza, stringe con Parkins un’amicizia che va oltre il rapporto lavorativo, ma che ci fa comprendere come anche i romanzi più celebri siano frutto della mente di più persone.

Per chi ama la letteratura e non si aspetta niente di troppo originale, Genius merita la visione anche, e soprattutto, in funzione delle prove attoriali.

Attori che risultano fondamentali anche in un altro film presentato nella selezione ufficiale, ovvero Florence Foster Jenkins di Stephen Frears. Protagonista, sia nel film che al festival, un’immensa Meryl Streep, che interpreta l’ereditiera Florence, appassionata di musica classica, e che ha dedicato la vita a incredibili performance live, con una voce per lei meravigliosa e per tutti gli altri assolutamente stonata.

Protetta dal marito, ha condotto una vita tra menzogne e sogni realizzati. Frears torna a raccontare una storia vera, ma questa volta dandogli i toni della commedia, anche se, come prevedibile, non manca la drammaticità dovuta alla mancanza di realtà, scenica o reale che sia.

Le emozioni, l’indignazione e il tema così attuale del lavoro e della paura di non averlo più è invece il tema del film più atteso dal pubblico italiano: “7 Minuti” di Michele Placido. Una fabbrica dell’agro Pontino rischia di chiudere a seguito di una fuzione con una multinazionale francese, ma ecco che alle RSU tutte al femminile viene proposto un accordo che prevede “soltanto” la cancellazione di 7 minuti di pausa tra un turno e l’altro. Sembra una cosa da poco, eppure… Nel cast una Ottavia Piccolo al suo massimo che fa da trade union con le altre protagoniste, splendide per intensità e colore. Un film imperdibile, che sta uscendo al cinema e di cui Pomezianews tratterà separatamente e con dovizia in prossimità del suo lancio in sala.

Si chiude qui, molto Cinema, poche sorprese, quasi scomparse le cinematografie dell’estremo oriente e del sud America che avevano regalato originalità negli anni passati. Roma Film Fest è diventata una vetrina, un luogo dove celebrare grandi autori che richiamano il grande pubblico. E chissà, forse è meglio così.

Perché il Cinema sia Festa.

Martina Farci & Mauro Valentini




Festa del Cinema È il momento dei cinefili

Piccole perle di grande Cinema pescate nel mare di un programma così ricco

dai nostri inviati Martina Farci & Mauro Valentini

Continuano le proiezioni e le giornate di cinema all’11.ma Festa del Cinema di Roma, e come da tradizione di ogni festival, ecco che arrivano puntualmente le sorprese.

Perché è questo il bello di quando si hanno tanti, troppo film da vedere che a volte, andando per esclusione o per curiosità, ecco che si pescano delle piccole perle. Tra questi è indubbiamente da segnalare Hell or High Water di David Mackenzie, presentato nella sezione ufficiale. Tutti in sala stampa ne parlano e se è stato inserito in questa categoria, è evidente come il film sia riuscito a catturare l’attenzione.

goodbyeberlin

Goodbye Berlin

Prodotto da Netflix – che continua a non sbagliare un colpo  – Hell or High Water è un western ambientato in Texas ai giorni nostri, dove non mancano rapine, vendette e riconciliazioni, in un’opera carica di emotività, dove il paesaggio è importante tanto quanto la storia dei protagonisti, alla ricerca di un futuro migliore o semplicemente di momento familiare da ricordare.

Nel cast spiccano i nomi di Jess Bridges, Ben Foster e Chris Pine: da segnalare, poi, che la colonna sonora è stata composta da Nick Cave, il quale aggiunge ulteriormente qualità ad un film già di per sé quasi perfetto. A conquistare, poi, c’è anche Goodbye Berlin di Faith Akin, presentato nella sezione parallela e autonoma Alice nella Città. Il regista di Soul Kitchen porta sullo schermo il romanzo cult di Wolfgang Herndorf, raccontandoci la storia di due ragazzi quattordicenni che, esclusi dal resto della classe, decidono di partire per un viaggio on the road, con tutti i rischi del caso, ma che cambierà per sempre le loro vite. Rivelandosi una commedia brillante e ironica, Goodbye Berlin incanta per la poeticità e per i toni accesi con cui racconta le differenze tra due ragazzi che insieme decidono di prendere la vita di petto, incominciando semplicemente a vivere.

Marina Fois in Irreprochable

Marina Fois in Irreprochable

Altra sorpresa l’ha destata il francesissimo “Irreprochable” del giovane regista Sebastien Marnier, un film che merita e crediamo avrà distribuzione anche in Italia. Una storia come tante, una donna che perde il lavoro a Parigi e torna alla soglia dei 40 anni a casa della mamma malata. Ma il suo ritorno, complice la diffidenza che ispira la sua persona in chi la conosce bene, la spingeranno verso azioni criminali. Un noir che si colora di tinte fosche piano piano, in uno stato di tensione sempre crescente e che lascia colpiti per la banalità del male che si nutre, in quest’epoca, anche dell’aiuto semplice ed immediato dei social. La protagonista Marina Fois è la vera rivelazione di Roma 2016.

Martina Farci & Mauro Valentini




È qui la festa! Pomezianews al Roma Film 2016

La Festa del Cinema di Roma si svolgerà dal 13 al 23 ottobre 2016 all’Auditorium Parco della Musica. Una festa dentro la città più cinematografica del mondo.

di Mauro Valentini & Martina Farci

Noi siamo pronti, tutto è pronto: proiezioni, incontri, eventi, mostre, installazioni, convegni e dibattiti. I 1300 mq del viale che conduce alla Cavea saranno trasformati in uno dei più grandi red carpet al mondo. Il pubblico avrà a disposizione numerose sale: da quelle presso il Parco della Musica ai cinema Farnese Persol, The Space Cinema Moderno, Broadway fino al Cineland Ostia.

festa-cinema-romaLa Selezione Ufficiale ospiterà 44 film, come al solito provenienti da tantissimi paesi ed ha l’obiettivo di offrire tutte le espressioni cinematografiche: nel cinema: da quello per così dire indipendente, alla produzione di genere, siano essi opera di autori affermati o di registi emergenti. La novità importante in questa edizione saranno i fittissimi “Incontri Ravvicinati” con autori, attori e protagonisti della cultura italiana e internazionale, con ospiti del calibro di Tom Hanks e Meryl Streep ma anche il nostro Roberto Benigni che incontreranno il pubblico cercando di raccontare la loro visione del Cinema. Accanto alla Festa, come sezione autonoma e parallela, Alice nella città organizzerà, secondo un proprio regolamento, una rassegna di film per ragazzi.

Unico premio voluto dal direttore Antonio Monda sarà come per la precedente edizione quello della Giuria Popolare, saranno dunque gli spettatori che potranno votare il miglior film, segno proprio della visione popolare e non elitaria di questa Festa.

Tra gli italiani in gara si segnalano Daniele Vicari con “Sole cuore amore” una storia tutt’altro che melensa di amicizia al femminile e Michele Placido con il suo “7 Minuti” dove farà ingresso anche nell’Auditorium la crisi del tessile e del lavoro, con un cast straordinariamente italiano tra cui spicca la presenza di Fiorella Mannoia nell’inedito ruolo di attrice.

Tra le firme straniere nomi di prestigio come Oliver Stone che porta in scena la vita di Edward Snowden e “Florence” del grandissimo Stephen Frears.

una scena di / Minuti film di Michele Placido

una scena di / Minuti film di Michele Placido

La Sindaca Virginia Raggi ha definito la festa: «un appuntamento irrinunciabile, dedicato non solo ad appassionati e ad addetti ai lavori ma anche e soprattutto a coloro che vogliono vivere queste giornate di cinema immersi nelle bellezze della Capitale immortalate più e più volte dal grande schermo».

E questa è la speranza del direttore Monda, quella di portare più appassionati possibile dentro una manifestazione che sarà occasione unica per vedere cinematografie come quella giapponese o mediorientale spesso non distribuite in Italia ma così vive da esser cuore pulsante della settima arte nel mondo.

Si apre con “Moonlight” di Barry Jenkins, giovedì 13, film impegnato e suggestivo, dove in una Miami senza lussi si percorre con tante difficoltà una ricerca poetica del cammino dall’infanzia all’età adulta.

«Moonlight è un film straordinario, che riesce ad essere potente e tenero, realistico e poetico: per me è un grande onore aprire l’undicesima edizione della Festa del Cinema con un’opera d’arte come questa» ha detto in conferenza  il direttore Antonio Monda: «un film che andrà lontano e rimarrà nei nostri cuori, e che conferma il grande, sincero talento di Barry Jenkins».

Pomezianews seguirà giorno per giorno l’evento con filmati e foto sulla pagina Facebook e con articoli giornalieri con due inviati.

Per ogni informazione e per acquistare i biglietti per i tantissimi spettacoli a disposizione si può accedere al sito : http://www.romacinemafest.it/

 




Venezia 73 – Un Leone impossibile ma anche tanto Cinema d’autore

Lav Diaz discusso vincitore del Lene d'oro 73

Lav Diaz discusso vincitore del Lene d’oro 73

Da Venezia all’Oscar, la scommessa di Martina Farci

Nonostante i quasi quaranta film visti in dieci giorni alla 73.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, mi sono persa, quasi volutamente, quello che ha vinto il Leone d’Oro, ovvero The Woman Who Left di Lav Diaz.

Il “quasi” perché la proiezione stampa è stata fatta dopo una settimana abbondante di festival, quando ormai la stanchezza ne era padrona e un film da quattro ore è veramente difficile da digerire, e perché quando avevo la possibilità di recuperarlo dopo l’assegnazione del premio, non l’ho fatto, pur consapevole che probabilmente non avrei avuto altre occasioni.

Quindi mi dispiace, ma non posso e non riesco a darvi un parere sul film, se non che la giuria presieduta da Sam Mendes ha voluto premiare il cinema d’autore di Diaz, che con la sua lunghezza sfida i sistemi classici per spingersi verso un nuovo tipo di cinema che però, indubbiamente, farà fatica ad uscire dall’ambiente festivaliero.

Per quanto riguarda gli altri premi, invece, la giuria ha cercato, a mio parere, di equilibrarli tra i migliori film passati in concorso e vi posso assicurare che mai come quest’anno c’era una qualità di altissimo valore. Il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria è andato a Tom Ford con Nocturnal Animals, perché nel suo secondo lungometraggio lo stilista ha dimostrato di saper gestire (e scrivere) perfettamente una storia cruenta e complicata, dirigere al meglio attori del calibro di Amy Adams, Jake Gyllenhaall e Michael Shannon e non rinunciare ad un’estetica fuori dal comune – e ci mancherebbe!. Ex equo, invece, il Leone d’Argento per la Miglior Regia, andato a due film che non potevano essere più diversi, soprattutto in fatto di temi narrati, ovvero La Region Salvaje di Amat Escalante e Paradise di Andrej Koncalovskij. Il Premio Speciale della Giuria, invece, è andato ad Ana Lily Amirpour con The Bad Batch, film ambientato in un deserto texano apocalittico, tra cannibali e una cittadina del tutto particolare. Per quanto riguarda gli attori, invece, il Premio Marcello Mastroianni è andato a Paula Beer per Frantz di Francois Ozon (che forse meritava qualcosa di più), mentre la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile è stata assegnata a Oscar Martinez per El Ciudadano Ilustre di Mariano Cohn e Gaston Duprat. La Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, invece, ha premiato Emma Stone in La La Land di Damien Chazelle e non poteva essere altrimenti, perché questo musical non poteva e non doveva rimanere a mani vuote. Chi invece si è portato a casa solamente un premio minore, ovvero quello per la Miglior Sceneggiatura, andato a Noah Oppenheim, è Jackie di Pablo Larrain. Ma siamo certi che gran parte di questi film, compreso Arrival di Denis Villeneuve, li ritroveremo protagonisti ai prossimi Oscar, perché la 73.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è riuscita a regalarci gran parte dei titoli più interessanti previsti in uscita quest’anno. Appuntamento, quindi, a febbraio per vedere se ci abbiamo visto giusto.

Martina Farci




Venezia 73 – Sorrentino non delude, Mel Gibson si veste da pacifista

venezia73A più di una settimana dall’inizio della 73.ma Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia, è già tempo di bilanci

di Martina Farci

Vi avevo lasciato con la curiosità di scoprire cosa poteva nascondersi dietro le prime due puntate della serie televisiva The Young Pope di Paolo Sorrentino con Jude Law. Ebbene, le altissime premesse non hanno deluso le aspettative, ma anzi hanno alzato l’asticella per il proseguo della serie.

Divertente, ironica, visivamente impeccabile, The Young Pope ci parla di un mondo, quello della Chiesa, molto contradditorio, con un ipnotico Jude Law nei panni di Papa Pio XIII, il primo americano della storia, tra sigarette, Coca Cola Zero e richieste assurde. Nel cast troviamo anche Diane Keaton e Silvio Orlando. E se ne avete l’occasione, non perdetela su Sky Atlantic dal prossimo 21 ottobre.

In concorso, poi, è stato presentato il sedicesimo film di Francois Ozon, “Frantz“, con Pierre Niney e Paula Beer. Elegante e in bianco e nero, l’opera racconta la storia di una giovane ragazza tedesca che, finita la prima Guerra Mondiale, si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato morto. Lì incontra un ragazzo francese che piange anche lui un amico. Tra i due nasce un’amicizia, ma le ferite della guerra sono ancora troppo profonde per entrambi. Frantz, che ha trovato consenso unanime da parte di critica e pubblico, è uno dei favoriti per il Leone d’Oro, oltre a candidare i propri protagonisti per la Coppa Volpi per le migliori interpretazioni.

Chi invece non concorre per nessun premio, ma è stato ugualmente capace di emozionare con il suo nuovo film da regista, è James Franco, con In Dubious Battle. Ambientato durante la Grande Depressione americana in un campo di agricoltori che si occupano della raccolta della mele, il film si rivela una visione corale molto realistica su un periodo della storia che ha lasciato dietro di sé molte ferite, sia fisiche sia psicologiche. Ad imprimere discorsi coinvolgenti e, per certi versi attuali, ci pensano un convincete James Franco e un sorprendente Nat Wolff. Nel cast, oltre a loro, anche Josh Hutcherson, Selana Gomez e i camei di Bryan Cranston e Robert Duvall.

Potrei stare qui ancora ore a parlarvi dei film visti, perché sono davvero tanti. E come ogni anno qualcuno ti resta nel cuore, qualcuno purtroppo si dimentica facilmente e qualcuno ti fa pensare, come Hacksaw Rodge di Mel Gibson con Andrew Garfield nei panni di Desmond Doss, che a Okinawa, durante uno degli episodi più cruenti della Seconda Guerra Mondiale, salvò settantacinque uomini senza mai sparare un colpo di pistola.

Temi non sempre facili quelli affrontati quest’anno, ma che indubbiamente portano a più di qualche riflessione. Ora, però, sfidando la stanchezza degli ultimi giorni, bisogna guarda quel che resta, sperando in qualche gradita sorpresa. Poi, sarà tempo dei pronostici.

Martina Farci




Pomezianews a Venezia 73 tra musical, alieni e vendette

Michael Fassbender e Alicia Vikander in conferenza (Foto di Martina Farci)

Michael Fassbender e Alicia Vikander in conferenza (Foto di Martina Farci)

La 73.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è ufficialmente entrata nel vivo con le prime proiezioni, i red carpet affollati e il pubblico accorso al Lido per ammirare le star.

Dalla nostra inviata Martina Farci

Ma sono i film i veri protagonisti di questi giorni, spesso accompagnati da grossi applausi a favore di un consenso unanime da parte di critica e pubblico. Su tutti un La La Land che ha incantato e dato il via a dieci giorni di cinema, cinema e poi ancora cinema.

Il film di Damien Chazelle, già autore dell’esuberante Whiplash, è un’autentica opera audiovisiva che lascia ammaliati per la bellezza della messa in scena e l’alchimia degli interpreti. Protagonisti Emma Stone e Ryan Gosling – grande assente, però, al Lido – in un musical che è un inno alla musica, ai sogni e all’amore, ma che non riserva un pizzico di amarezza a malinconia.

Per una rossa, Emma Stone, che parte, un’altra, Amy Adams, si rende protagonista di ben due film: Arrival di Denis Villeneuve e Nocturnal Animals di Tom Ford. Entrambi in concorso, il primo è un film di fantascienza che però racconta temi molto più umani, come l’importanza della parola e del linguaggio, in un emozionante viaggio tra presente e futuro, dove gli alieni sono solo un tramite per una comprensione ben più profonda. Nel cast anche Jeremy Renner, presente anche lui a Venezia. In Nocturnal Animals, invece, la Adams condivide la scena con Jake Gyllenhall, Michael Shannon e Aaron Taylor-Johnson in un film dove l’estetica è padrona grazie alla maestria di Tom Ford, ma che è anche a servizio di una storia sulla vendetta, sui rimorsi e sulla difficoltà di perdonare.

A deludere, invece, è la nuova coppia più glamour di Hollywood, ovvero Michael Fassbender e Alicia Vikander, con The Light Between Oceans di Derek Cianfrence. Un melodramma che non restituisce l’intensità dell’omonimo romanzo, perdendosi in un racconto sulla maternità che non trova il giusto approfondimento su un tema di attualità, nonostante sia ambientato dopo la Grande Guerra.

Ora, però, ci attendono i primi due episodi di The Young Pope, la nuova serie televisiva di Paolo Sorrentino con protagonista Jude Law, e Hacksaw Ridge di Mel Gibson.

Ma siamo solo agli inizi.




Alice attraverso lo specchio

locandina del film

 

Ogni qual volta si nomini Alice nel Paese delle Meraviglie…

…in ognuno di noi scatta un’immagine ben precisa. Chi lo fa con il romanzo originale di Lewis Carroll, chi con il cartone animato della Disney, o chi con l’ultima trasposizione cinematografica diretta da Tim Burton. Ora, sei anni dopo il successo al botteghino del film, arriva al cinema il seguito, Alice attraverso lo specchio. Ritroviamo quindi una Alice (Mia Wasikowska) capitana della Wonder e intenta a navigare in mezzo ai mari, arrivando fino in Cina. Una volta rientrata a Londra, però, scopre che il suo ex fidanzato Hamish Ascot (Leo Bill) ha preso in mano la compagnia del defunto padre, ma prima di trovare una soluzione, segue una farfalla, che riconosce nel Brucaliffo, e si ritrova nuovamente nel Sottomondo. Qui viene accolta dalla Regina Bianca (Anne Hathaway) e dalle altre creature, ma ben presto scopre che il Cappellaio (Johnny Depp) ha perso la sua Moltezza. Per aiutarlo Alice dovrà tornare indietro nel tempo e salvare la sua famiglia.

Alice attraverso lo specchio si affida alla regia di James Bobin, dopo che Tim Burton si è riservato il “solo” compito di produttore. Basato sull’omonimo seguito scritto da Carroll, il film ricrea le stesse atmosfere del precedente, sia per affinità stilistica sia per volontà della stessa Disney di dar una continuazione evidente e rimarcata. A partire dal cast, quindi, ritroviamo tutti i protagonisti, da Mia Wasikowska a Johnny Depp, da Anne Hathaway a Helena Bonham Carter, a cui si aggiunge il nuovo entrato Sacha Baron Cohen. Ed è proprio lui, impersonando il tempo, a dettare il ritmo del film. Tutto ruota, infatti, tra passato, presente e futuro, evidenziando quanto importante sia il corso degli avvenimenti, anche nel paese delle meraviglie, e quanto stravolgerlo possa essere pericoloso. Come la tradizione vuole, però, non mancano le creature inventate dall’immaginazione di Carroll, e neanche la stravagante Regina di cuori, ma questa volta il risultato finale è condizionato da una sceneggiatura debole che ne influenza tutto il film. Peccato, perché indubbiamente c’erano i presupposti, quantomeno, per ripetere l’opera precedente. Sta di fatto, però, che Alice attraverso lo specchio si perde nel suo stesso Sottomondo e nulla possono neanche Mia Wasikoska e Johnny Depp: a quest’ultimo non è perfino concessa la sua amata “deliranza”.

Martina Farci




The Danish Girl

Lili e Gerda, il coraggio di amare oltre ogni limite

Copenaghen, anni ’20. Gerda (Alicia Vikander) e Einar Wegener (Eddie Redmayne) sono felicemente sposati: entrambi artisti, lui già affermato, lei ancora alla ricerca del soggetto ideale da dipingere che le faccia avere successo. Un giorno, però, Gerda chiede al marito di posare per lei al posto della modella donna. Qualcosa in lui cambierà per sempre, diventando ben presto Lili Elbe, la prima persona al mondo a sottoporsi ad un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale.

The Danish Girl è un film che racconta in maniera poetica il coraggio di un uomo nel voler cercare la propria identità e di una donna che fa tutto il possibile per realizzarlo. È una storia d’amore senza condizioni, che supera tutte le barriere e gli ostacoli del tempo, diventando una fonte d’ispirazione per entrambi. È la ricerca del vero io e della propria anima; è la nascita di Lili, resa possibile grazie al sostegno di Gerda, aldilà del loro matrimonio e grazie ad un amore universale.

Locandina del film

Locandina del film

Tom Hooper, già regista de Il Discorso del Re e Les Misérables percepisce l’importanza della storia, tratta dall’omonimo romanzo di David Ebershoff, e porta sullo schermo le sfumature di due personaggi che sono in continua evoluzione, grazie ad una regia impeccabile e ad una fotografia che sembra quasi un’opera d’arte, aiutato anche da una messa in scena che rasenta la perfezione. Tutto è studiato nei minimi dettagli, dai costumi alla toccante colonna sonora di Alexandre Desplat, nel tentativo, riuscito, di dare colore e bellezza a quella che in fondo è una grande storia d’amore, verso sé stessi e verso gli altri. Le lenta e commovente trasformazione di Lili è resa possibile grazie ad un’altra straordinaria interpretazione di Eddie Redmayne, lo Stephen Hawking de La Teoria del Tutto, perfetto nel far emergere tutta la propria sensibilità e dolcezza nei panni di una donna, supportato da una Alicia Vikander in stato di grazia e vera rivelazione del film. Il suo è un personaggio è la forza portante di una storia che commuove proprio perché elogia quell’amore puro e incondizionato che in pochi saprebbero provare e, soprattutto, dare. The Danish Girl, quindi, si rivela un film elegante in tutto e per tutto, tanto emozionante quanto delicato, dove la storia è così appagante da togliere il respiro, perché Lili e Gerda incarnano il coraggio essere sé stessi e di amare oltre ogni limite.

Martina Farci




Carol

New York, anni ’50. Therese Belivet (Rooney Mara) è una ragazza ventenne che lavora come commessa in un grande magazzino, sognando una vita più gratificante. Un giorno incontra Carol (Cate Blanchett), una donna attraente bloccata in un matrimonio di convenienza e senza amore. Tra le due scatta subito una forte intesa, che incontro dopo incontro si trasforma in un’importante e irrefrenabile passione. La società del tempo, però, non è così tollerante, e Carol dovrà scegliere tra la propria felicità e la custodia della figlia.

Tratto dal romanzo The Price of Salt di Patricia Highsmith, “Carol” è il nuovo film di Todd Haynes che, dopo “Lontano dal Paradiso” , torna a parlare dei difficili anni ’50, soprattutto per le donne. In questo caso, però, si concentra su un amore impossibile per il tempo, per le differenze sociali ma difficile da ignorare. Haynes dedica tutta l’attenzione possibile alle due protagoniste, grazie ad una regia raffinata ed elegante che gioca con più di qualche scelta coraggiosa e degna di nota. Tra queste un costante dentro/fuori che simboleggia più di qualche significato, soprattutto se paragonato all’apparenza e al proprio io interiore. Il tutto, però, è perfezionato da una messa in scena sublime e da costumi rigorosi, che accentuano la totalità dell’opera. Cate Blanchett e Rooney Mara, poi, sono magnetiche nelle loro interpretazioni, così sensibili da rendere Carol e Therese vere e profonde. Perché il loro amore è qualcosa in cui credere e in cui aggrapparsi, soprattutto se vissuto in un periodo storico ancora fortemente segnato dalle classi sociali e dai pregiudizi. Ma nulla si può contro un amore così passionale e totalitario, in un finale che riesce ad innalzare ulteriormente l’asticella del film e della storia: libere delle proprie scelte, consapevoli del rischio ma convinte che la felicità e la realizzazione personale debba essere al proprio posto. Todd Haynes, quindi, ci regala un film meraviglioso che parla di difficoltà, speranza, famiglia e amore con una sensibilità e un’eleganza più unica che rara al giorno d’oggi.

 

Martina Farci




Quel fantastico peggior anno della mia vita

Capita che alcuni film vengano giudicati ancora prima di esser visti, e non stiamo certo parlando dei cinepanettoni (con quelli sarebbe lecito farlo). C’è un altro genere che ultimamente ha preso sempre più piede, i cosiddetti young adult. Tralasciando quelli delle saghe, come Hunger Games o Maze Runner, siamo di fronte a numerosi film talvolta sottovalutati o che non hanno ricevuto la giusta importanza. Per fortuna non è il caso di Quel fantastico peggior anno della mia vita. Tralasciando la traduzione italiana (il titolo originale è Me & Earl & the Dying Girl), il film, già vincitore al Sundance Film Festival 2015, è uno dei migliori film dell’anno.

Greg (Thomas Mann) è all’ultimo anno di liceo, ma decide di trascorrerlo cercando di evitare il più possibile i rapporti sociali, in modo da passare inosservato. L’unica persona che accetta è Earl (RY Cyler), un suo amico con il quale realizza bizzarri film amatoriali; almeno fino al giorno in cui sua madre non lo costringe a stringere amicizia con Rachel (Olivia Cooke), sua compagna di classe affetta da leucemia. Quello che all’apparenza potrebbe sembrare il tipico teen movie con propensione per il drammatico, viene prontamente smentito da un film maturo e pieno di citazioni colte che si rivolge sì ai più giovani, ma che riesce a coinvolgere allo stesso modo anche il pubblico adulto. Paragonarlo a Colpa delle Stelle, ultimo grande successo di questo genere, è più che lecito, sia per la difficile tematica della malattia, sia per quel modo quasi spensierato di elaborare il lutto.

Eppure, anche l’inedito Now is Good di Ol Parker o Restless di Gus Van Sant, sono dei chiari ma preziosi esempi di come questi cancer movie parlino con un linguaggio universale, nonostante i protagonisti siano degli adolescenti. Quel fantastico peggior anno della sua vita, però, aggiunge un qualcosa in più. Siamo, infatti, introdotti nel mondo di Greg grazie alla sua voce narrante che ci accompagna nella sua vita, nella sua difficoltà a relazionarsi con i compagni e nella sua paura di crescere.

Quel disadattamento tipico nell’età adolescenziale, quel sentirsi diversi che emoziona e coinvolge ancora di più, come già successo con il cult Noi siamo infinito di Stephen Chbosky o con L’arte di cavarsela di Gavin Wiesen. Tutti film intensi che lasciano il segno, ricordandoci che la vita a quell’età non è solo la scelta del college o il ballo di fine anno, ma che è tanto difficile e ingiusta anche per loro. Solo che la vivono fino in fondo, sempre con il sorriso e con quella voglia pazza e spensierata di non arrendersi mai. Messaggio che vale per chiunque, non solo, quindi, per gli “young adult”. E ce lo ricorda anche Greg in Quel fantastico peggior anno della vita, dove l’ironia e il cinismo si mescolano perfettamente alla drammaticità della storia. Però vi avverto, i pacchetti di fazzoletti servono comunque.

Martina Farci




Hunger Games – Il canto della rivolta parte 2

Hunger Games giunge al termine. Con Il Canto della Rivolta parte 2, infatti, si conclude una delle saghe più di successo degli ultimi anni, tanto da rivelarsi un vero e proprio fenomeno. Per qualcuno una liberazione di cui sicuramente non sentirà la mancanza, per gli altri un mix di emozioni dovuto alla parola fine. Perché come ogni tradizione che si rispetti, i milioni di fan sparsi in giro per il mondo hanno dovuto dire addio, tra lacrime e tristezza, a quei personaggi che li hanno accompagnati nel corso degli anni, prima supportati tra le pagine dei romanzi originali scritti da Suzanne Collins e poi incitati negli adattamenti cinematografici, tanto da creare alleanze e raduni specifici. Hunger Games, quindi, ha saputo ritagliarsi una vetrina importante nel cuore dei giovani, grazie soprattutto alla sua protagonista, quella Katniss diventata simbolo della rivoluzione e idolo dei tributi.

Un personaggio diverso dal solito, arrogante, anticonformista, duro, ma diventato eroico proprio per questo e per non essere sinonimo di perfezione (non a livello fisico, s’intende). Il Canto della Rivolta parte 2 è la degna conclusione di una saga partita come young adult ma che con il tempo ha saputo trasformarsi in qualcosa di molto più profondo e, purtroppo, attuale. L’ultimo capitolo, infatti, si concentra sulla guerra conclusiva che Katniss e i ribelli conducono contro Capitol City e il Presidente Snow per un mondo libero e una democrazia equa per tutti i distretti.

Ma, soprattutto, viene evidenziato il ruolo che Katniss ha avuto in tutto questo: usata e manipolata per la causa, lei che voleva solamente salvare sua sorella Prim dai primi Hunger Games si è ritrovata in una lotta per la sopravvivenza continua, a prestare il suo volto e il suo “fuoco interiore” per qualcosa di molto più grande. Per il potere dei media e del successo. Alle ferite psicologiche e mentali della guerra, rese perfettamente nella seconda parte del film, si è aggiunta quella componente sentimentale sempre molto cara ai fan, con un Peeta che trasmette dolcezza anche se depistato e un Gale che si rivela un combattente nato, in un triangolo che si conclude con un epilogo che, per una volta, mostra un pò di pace.

Una pace avuta dopo perdite importanti di personaggi che con coraggio hanno saputo lottare per un obiettivo comune. Hunger Games, quindi, lascia in eredità una storia di formazione, giustizia e ribellione e consacra Jennifer Lawrence come una delle attrici più significative della sua generazione. Il successo dell’intera saga, infatti, è dovuto principalmente a lei e al resto del cast, Josh Hutcherson e Liam Hemsworth su tutti, ma impreziosito anche da nomi importanti come Julianne Moore, Donald Sutherland e Philip Seymour Hoffman, senza contare la simpatia riscontrata da Woody Harrelson e Sam Claflin. Il resto l’hanno fatta una trama coinvolgente e una eroina fuori dagli schemi. In attesa che Hollywood scopra la prossima trilogia da raccontare, consoliamoci con la consapevolezza che certe emozioni saranno difficili da ripetere e dimenticare. Vero o falso?

Martina Farci




Pan – Viaggio sull’isola che non c’è

Di Martina Farci
“Io non credo alle favole della buona notte” dice un bambino ad un adulto. Solo che il bambino si chiama Peter, l’adulto è il pirata Barbanera e la favola in questione è Peter Pan. Nell’ennesima trasposizione dell’ormai classico romanzo di J. M. Barrie, il regista Joe Wright riporta sul grande schermo l’origine della leggenda del bambino che non voleva crescere. Perché noi, invece, a quella favola ci abbiamo sempre creduto. Abbandonato dalla madre nei pressi di un orfanotrofio a Kensington, Londra, Peter (Levi Miller) cresce con un ciondolo lasciatole da lei a forma di flauto e una lettera in cui gli dice che un giorno si rivedranno “in questo mondo o in un altro”. Per dodici anni, però, non vede altro che il luogo dove è costretto a vivere, almeno fino al giorno in cui, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, viene rapito, insieme ad altri bambini, dal pirata Barbanera (Hugh Jackman), e portato sull’Isola Che non C’è. Qui incontra James Uncino (Garrett Hedlund) e, successivamente, Giglio Tigrato (Rooney Mara).
Se l’ultimo film proposto al grande pubblico era Neverland – Un sogno per la vita, dove veniva narrata, in modo quasi biografico, la vita di J. M. Barrie, ora con Pan – Viaggio sull’isola che non c’è si torna a raccontare la storia di fantasia, speranza e commozione che ha incantato bambini e adulti di tutto il mondo per intere generazioni. Joe Wright, grazie anche ad un budget degno dei migliori blockbuster – 150 milioni di dollari, cifra che però ha rischiato di far fallire la Warner Bros, dato il deludente incasso – si affida ad un cast stellare e a un susseguirsi di effetti speciali, impreziositi anche dall’uso del 3D. Tutto sembra impeccabile, forse troppo, compresa una colonna sonora audace che racchiude addirittura alcuni brani dei Nirvana e dei Ramones. Eppure quello che ci viene raccontato può definirsi quasi un prequel, che trova senza ombra di dubbio il favore dei più piccoli, meno, forse, quello dei più grandi. Hugh Jackman è un Barbanera più preoccupato del suo aspetto fisico che di salvaguardare la profezia, mentre Rooney Mara è una perfetta Giglio Tigrato, tra fate, tribù e un bambino da convincere che è speciale. E lo è veramente, soprattutto grazie a quegli occhi azzurri che rendono Levi Miller un impeccabile Peter Pan. Perché, nonostante tutto, è difficile rimanere impassibili di fronte a quel ragazzino che non voleva crescere ma che sapeva volare e che, ancora una volta, ci ha permesso di andare con lui sull’isola che non c’è. E di ricordarci che alle favole della buona notte, noi, ci abbiamo sempre creduto, compreso quella “seconda stella a destra fino al mattino” che ci ha fatto sognare un mondo diverso.
Martina Farci