«Per arrivare alla verità occorre incontrare molti bugiardi»

Il cast al completo (foto di Mauro Valentini)

Il cast al completo (foto di Mauro Valentini)

Commuove e indigna il film di Roberto Faenza sul caso di Emanuela Orlandi 

Dal 6 ottobre in uscita anche a Pomezia

Trentatré anni di vuoto, innumerevoli depistaggi e tanta, tanta sofferenza. Tutto questo è stato ed è ancora il “caso Orlandi”, il rapimento della giovane cittadina vaticana avvenuto nel 1983.

Un rapimento che non ha mai avuto un colpevole, che chiaramente ruota attorno alle vicende dello stato vaticano ed è legato agli affari poco leciti della sua banca, lo IOR, che all’epoca dei fatti era attivissima nel movimentare capitali che spostavano le geometrie politiche internazionali e gli affari della criminalità organizzata.

Questa è la strada che il regista Roberto Faenza intraprende per dare una chiave di lettura al rapimento di Emanuela, questo è il plot narrativo che si dipana da subito ne: “La verità sta in cielo”, film prodotto dalla Rai e dalla casa di produzione del regista, un Faenza deciso nel rivendicare in conferenza stampa la vocazione del suo film, quella di documentare la realtà. Una realtà che esplode nel film immediatamente, divampando attorno alla famiglia Orlandi per poi scorrere come un fiume in piena nei salotti del cardinale Marcinkus, inquietante capo della banca di dio e del suo intreccio con la banda della Magliana, raccontata nella sua figura principale di Renatino De Pedis.  Poteri forti che muovono le fila di questo intrigo spietato, di questo ricatto scellerato in cui rimane stritolata l’innocenza di Emanuela e la sua famiglia, di cui nessuno avrà pietà.

tutto inizia da una giornalista inglese, Maria, che viene inviata a Roma per approfondire quella che anche a Londra chiamano “Mafia Capitale”, e che vede coinvolti personaggi che a vario titolo ruotavano nel caso mai risolto nel sequestro del 1983 di Emanuela. E partendo dalle conversazioni con Raffaella Notariale, giornalista Rai che tanto si è occupata degli intrecci della Banda e che a suo tempo intervistò Sabrina Minardi, l’amante di Renatino De Pedis, Maria si avvicinerà pericolosamente alle alte sfere del Vaticano che in una bilancia tra bene e male, tra verità e bugie la lascerà attonita.

Una ricostruzione perfetta; cinematograficamente parlando è un film bellissimo, che seppur pronto a raccontare trame oscure riesce ad esser avvincente, superbo nello stile e nella ricostruzione scenica. Un film che per dirlo con le parole del regista: «ricorda Guernica, il quadro di Picasso, perché è una raccolta di immagini forti e diverse che raccontano un unico misfatto. Questo film del resto abbozza una sorta di Guernica all’italiana, dove entrano dentro bande di malviventi, malaffare e uomini più vicini all’inferno che al paradiso, banchieri e notai, tutta gente al disopra di ogni sospetto».

Un cast ricchissimo e diretto con sapienza fa da grancassa ad un’opera che andrà incasellata e conservata negli archivi della nostra storia, come per “Vajont”, per “Buongiorno notte” o per “Il muro di gomma” solo per citarne alcuni, perché la scomparsa di Emanuela è una macchia indelebile per il paese e per i rapporti tra Stato e Chiesa. Riccardo Scamarcio è praticamente perfetto nel ruolo di De Pedis, ma ci piace citare le tre donne protagoniste del film, Valentina Lodovini nel ruolo di Raffaella Notariale, Maya Sansa nel ruolo di Maria e la trasformista Greta Scarano, già impegnata in un ruolo chiave in “Suburra” e che qui interpreta Sabrina Minardi prima e dopo le tragedie della sua vita, sottoponendosi per questa prova ad un trucco faticosissimo.

Un cameo nel film lo offre proprio Pietro Orlandi, che da sempre lotta per trovare chi ha fatto del male a sua sorella. «Ci ho messo la faccia, del resto sono 33 anni che ce la metto» ci sussurra con quel suo sorriso delicato e disarmante che è anche la sua forza. Molto si è polemizzato attorno a questa sua presenza, arricchita anche dalla piccola apparizione di sua figlia Elettra, nipote di Emanuela e che nei primi minuti del film interpreta una delle sorelle Orlandi. Ed è sempre Pietro a stemperare tutto senza un briciolo di risentimento: «aver visto mia figlia in quella scena mi ha riportato un pezzo di Emanuela viva, è stato bellissimo e commovente».

“La verità sta in cielo” parafrasa il titolo del film, che però indica nel suo scorrere  con fermezza quanto essa sia invece terrena e quasi a portata di mano. Un racconto oscuro che trova la chiosa nella frase finale dell’anziano monsignore che aiuterà Maria nella sua infruttuosa ricerca filmica: «nel paese delle menzogne, per arrivare alla verità occorre incontrare molti bugiardi

Mauro Valentini

 




Suburra Roma senza legge e senza speranza

una scena del film

una scena del film

Una pioggia incessante. La città eterna allagata da un’acqua fredda e livida, tante cravatte e cravattari che come formiche agguerrite riempiono e si agitano dentro locali biechi e abbietti. Sua Santità sta meditando le dimissioni, mentre al contrario le dimissioni le sta cercando di evitare il governo Berlusconi. Inizia così, in quel novembre del 2011 quello che sta diventando senza dubbio il caso cinematografico dell’anno: “Suburra”, ovvero la Gomorra romana, il romanzo criminale degli anni duemila, di Mafia Capitale e di un vorticoso intreccio di interessi malavitosi tra curie, uffici politici, boss del litorale e della periferia, la Sub-Urbe appunto, violenta cinica e maledetta.

Il regista Stefano Sollima ha ormai un’abilità narrativa collaudata da due grandi serie TV come appunto Gomorra e Romanzo Criminale, ma sa anche che il cinema ha altri tempi, altri piani stilistici e che quando ci si è cimentato in passato non ha avuto i risultati che invece gli hanno riconosciuto tutti nel piccolo schermo. Giusto allora chiedere l’aiuto di due grandi sceneggiatori, dai nomi forse non troppo noti al grande pubblico, ma con un curriculum incredibilmente prolifico di successi come Stefano Rulli e Sandro Petraglia.

Ed il tocco si vede subito, perché il progetto (che diventerà neanche a dirlo una serie TV quanto prima) riesce completamente; una storia che si dipana in sette giorni, dal 5 al 12 novembre, sette capitoli distinti che raccontano il tentativo da parte di grandi gruppi criminali di ottenere da politici corrotti la possibilità di trasformare a colpi di cemento e di pistola il litorale della Capitale nella Las Vegas “de’ noantri”.

C’è il referente delle grandi famiglie mafiose, c’è il boss malefico e pazzoide che controlla Ostia, il capo degli zingari e in mezzo a questi “galantuomini” c’è la politica e la chiesa, che sembrano dirigere ma che in realtà appaiono manovrati da chi sa esser così spietato da non risparmiare amici, bambini e giovani donne pur di arrivare al Dio denaro.

Impossibile e sarebbe anche un esercizio di stile inutile raccontare gli intrecci del film, che va vissuto più che visto, tanta è la capacità avvolgente che esprime ad ogni inquadratura. Quello che rimane dentro è un senso di potente impotenza difronte a quello che, si comprende subito dai precisi riferimenti durante tutto il film, non è purtroppo figlio della fantasia degli autori ma aderente alla realtà criminale capitolina. Ed alla “realpolitik”.

Quello che forse nell’opera di Sollima si guadagna in termini di ritmo e spettacolo si perde però in chiarezza narrativa, con qualche inciampo nella logicità del racconto ma che non pregiudica la qualità di un film davvero molto bello e che sarà destinato a far discutere.

Claudio Amendola

Claudio Amendola

Gli attori sono stati scelti con cura, hanno una fisicità prorompente ed esplosiva nei comprimari (ma tutt’altro che coprotagonisti) come Adamo Dionisi e Alessandro Borghi, due boss perfetti nei loro sguardi spietati, mentre un gradino più sotto le “star” di Pier Francesco Favino ed Elio Germano che non brillano come sempre, un po’ travolti dalla cattiveria e dalla velocità di una sceneggiatura scritta senza nessuno sconto stilistico ed emozionale. Un discorso a parte merita Claudio Amendola, che ha un ruolo cardine in questa epopea criminale, è il “deus ex machina” di questa sporca Suburra, un protagonista scritto così bene da lasciare il dubbio che forse la sua bravura sia anche merito delle penne di chi ha creato il suo personaggio.

Mauro Valentini