In libreria “Quel sole e quel cielo”, ultimo libro di Geraldina Colotti

È uscito per i tipi de La Città del Sole, casa editrice di Napoli, l’ultimo libro di poesie di Geraldina Colotti. Questo il titolo: “Quel sole e quel cielo”. Il sole è quello dell’avvenire, dei movimenti socialisti e comunisti; il cielo è quello che tanti tentano di scalare nella loro vita, come ha cercato di fare la stessa autrice. È diviso in cinque parti: “Agliuto”, “Sbagli”, “Restituzioni”, “Tutto Finisce” e “Titoli Provvisori”. “Agliuto – si legge nella quarta di copertina del libro – è il flusso di coscienza di un essere che cerca la parola: parola politica, poetica e di genere. La cerca attraverso la scelta degli anni ‘70, la tensione verso l’autentico, la sconfitta e il carcere, il rapporto tra il caso e la storia dove tutto finisce e riprende: per crepe, spigoli e tempeste.” È anche il titolo della poesia che apre la stessa raccolta, è quello che, sbagliando parola, chiedeva da bambina l’autrice, una bambina considerata cattiva, sgraziata e analfabeta. Ma niente è dovuto, scrive la poeta, e lei, la bambina, doveva stare zitta. A detta del poeta Antonio Veneziani, quella di Geraldina Colotti è “una poesia civile, ma quella vera, quella buona, anche se smagata, che incide ed entra ancor più profondamente nella carne e nello spirito di ogni lettore attento”. “Una poesia – continua – in apparenza leggera, ma solo in apparenza. I livelli di lettura sono almeno tre: l’apparenza, appunto (divertimento, leggerezza, cantabile) ma basta spingersi un po’ oltre, sbiadire un po’ il colore, per scoprire una filosofia del vivere ineccepibile, e andando ancora un poco più a fondo si trova il dolore umano e quello della poeta sola, alla ricerca perenne di alleati e di amici. “Quel sole e quel cielo” è un gran libro, un libro che va letto e magari declamato. Non starò qui a trovare le ascendenze e gli echi che vi si incontrano, ma alcuni non riesco ad evitarli, penso a certa poesia popolare, alle canzoni anarchiche e di lotta, ma anche alla poesia colta e a molta poesia al femminile, soprattutto quella sudamericana, che la Colotti, che vive tra Roma e Caracas, frequenta e conosce bene. Nel libro di Geraldina Colotti – conclude Veneziani – ci sono continui salti di tono, da quello altamente poetico, all’aforisma, dalla rima colta, al gioco di parole, deragliamenti che colgono spesso il lettore di sorpresa e lo conducono dentro un vortice di versi sempre significanti”. Il libro è stato presentato ad Ancona, presso “Altra idea di Città”.

Ex brigatista, Geraldina Colotti è giornalista de Il Manifesto e cura l’edizione italiana de Le Monde Diplomatique.  Ha scritto racconti, poesie, romanzi per ragazzi e testi comici. Ha scritto diversi libri (racconti, saggi, poesie e romanzi per ragazzi). Eccone alcuni: “Versi cancellati”, “Sparge rosas”, “Certificato di esistenza in vita”, “Talpe a Caracas”, “Dopo Chavez. Come nascono le bandiere”, “Oscar Arnufo Romero. Beato fra i poveri”,  “Il segreto”, “Poesia contra el bloqueo” e, con Vauro, “Scuolabus”.




Raccolta di racconti e poesie: Voci Nuove

Lavoro finale del corso di scrittura creativa di Daniele Falcioni

Quando la mia amica Silvia mi ha portato il suo regalo di Natale si capiva fosse un libro, ma non capivo quel sorriso sicuro che le illuminava il viso «Questo non c’è nella tua libreria, contaci!» e solo dopo averlo scartato ho gioito e compreso: il libro in regalo è l’ultimo volume Voci Nuove edito da Rapsodia Edizioni uscito a dicembre.
Non poteva farmi regalo più bello, perché nel libro ci sono anche i racconti e le poesie a firma Silvia De Felice.

Voci Nuove volume 7 è una raccolta di racconti e poesie frutto di un anno di duro lavoro di otto autrici che seguono da alcuni anni il corso di scrittura creativa di Daniele Falcioni ad Aprilia.
Un lavoro certosino, fatto di idee, tagli, revisioni, fogli accartocciati, cancellature e frasi trasportate da pagina in pagina che si è svolto da remoto, visti i provvedimenti di distanziamento dovuti al Covid-19 e anche perché il loro docente è insegnante di Lingua Italiana all’Università di Edimburgo.

Incisiva e toccante la prefazione al libro del docente Falcioni il quale, prendendo a prestito le parole di Gottfriend Benn, afferma come durante quest’anno lui, insieme alle sue autrici

 

Abbiamo vissuto qualcosa di diverso, pensato qualcosa di diverso da ciò che ci aspettavamo, e ciò che rimane è qualcosa di diverso da ciò che avevamo in mente

 

Ho avuto il piacere di leggere i racconti di Silvia De Felice quando ancora erano in fase di revisione ma la forza della sua capacità narrativa è così insita nelle parole utilizzate che, leggendoli ora inseriti in un libro, mi hanno fatto dimenticare completamente chi fosse l’autrice spingendomi ad arrivare fino in fondo ad ogni racconto catturata dal ritmo incalzante.
Ha prevalso il testo rispetto al legame e credo che questo sia quanto di più bello possa sentirsi dire chi scrive per il puro piacere di creare storie, perché non conta chi sia a narrarle ma la capacità che hanno le parole di far viaggiare il lettore.

Ho amato il profondo senso di amicizia tra Elisabeth, Arthur e John in “Adagio” e sono rimasta piacevolmente catturata dall’energia di “Avventura di un’estate” mentre non oso dare un giudizio sulle poesie inserite nel volume in quanto considero l’arte della poesia come qualcosa di estremamente personale, capace di innalzare l’animo o di passare senza alcun smottamento interiore in relazione allo stato emotivo del lettore.

Ci tengo a inserire i nomi di tutte e otto le autrici del volume in ordine alfabetico: Laura Avati, Martina Belvisi, Meri Borriello, Ninni Caraglia, Cristina Cortelletti, Silvia De Felice, Valentina Pucillo e Silvia Zaccari.

Voci Nuove è volume che merita di essere letto per la grande capacità narrativa delle autrici, ciascuno con un proprio stile e, proprio per questo, capaci di soddisfare e di raggiungere il cuore di diversi tipi di lettori.

Voci Nuove è disponibile nelle librerie di Pomezia e Aprilia e mi auguro che presto possa esserci l’occasione di una bella presentazione in presenza.




Canto di Natale di Charles Dickens

Un classico della letteratura inglese

Canto di Natale è un romanzo breve scritto nel 1843 da Charles Dickens ed è la storia natalizia per eccellenza. Una favola per tutte le età da leggere in poche ore e magari proprio ad alta voce.

Il protagonista è il vecchio e tirchio Scrooge che la notte della vigilia riceve la visita del defunto socio Marley per metterlo in guardia sulle conseguenze dei suoi comportamenti. Per fargli comprendere cosa sta perdendo, gli annuncia la visita di tre spiriti, il Natale passato, il Natale presente e il Natale futuro.

Sarà un viaggio attraverso la povertà, la miseria e l’analfabetismo ma anche verso la bontà e la caparbietà del genere umano che riesce, nonostante tutto, a volersi bene e stringersi attorno a quel poco che si ha mettendo al centro la famiglia e l’amore.
Un viaggio che metterà Scrooge di fronte al vero significato della vita ribaltando il senso dell’avere a beneficio del valore di essere.

Canto di Natale esalta la magia del Natale. Sia che si voglia credere a Babbo Natale oppure no, sia che lo si viva in modo religioso o prettamente consumistico, in fondo nella memoria di tutti noi esiste quell’atmosfera fantastica racchiusa nelle lucine colorate che addobbano la casa, nella trepidazione di aprire un regalo, nella gioia di rivedere persone che non si vedono da tempo, di stare seduti tutti insieme attorno ad un tavolo per il solo piacere di godere della compagnia degli altri.

Il Natale, comunque lo si viva, resta una magia difficile da cancellare e se quest’anno la terribile pandemia del Covid-19 ce lo fa vivere distanti dagli affetti e per molti di noi, anche soli a casa, nulla potrà toglierci quella sensazione di vivere un giorno unico e indimenticabile dove tutti ci sentiamo davvero più buoni e più bravi.

Buon Natale a tutti voi!




Una donna di Sibilla Aleramo

Uno dei primi libri sul femminismo apparso in Italia

Lessi il romanzo Una donna di Sibilla Aleramo nel 1977, in concomitanza con l’uscita dello sceneggiato televisivo trasmesso su Rai1 in 6 puntate dal 16 ottobre al 20 novembre.
La protagonista fu interpretata dalla giovanissima Giuliana De Sio. Mi ricordo perfettamente quello sceneggiato perché chiesi e ottenni di leggere il libro e la data riportata sulla dedica che mi feci, è testimone di quanti anni ha la mia copia di Una donna: «Lottare sempre per la libertà della donna»

 

 

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Il romanzo fu pubblicato la prima volta nel 1906 ottenendo immediatamente un grande successo. È autobiografico e racconta la storia di Sibilla Aleramo da quando era solo una fanciulla fino all’età adulta.

Sibilla Aleramo ebbe un’infanzia belle e vivace bella nel primo periodo della sua vita ma fu costretta ad affrontare diversi drammi nell’età adulta. Il tentato suicidio e il successivo ricovero in una casa di cura della madre; la scoperta di una relazione extraconiugale del padre; la violenza sessuale subita e infine un matrimonio senza alcuna gioia dove i maltrattamenti sono, purtroppo, all’ordine del giorno e che neanche la nascita di un figlio riesce a placare.

Questi diversi eventi misero Sibilla di fronte alla consapevolezza di essere lei e soltanto lei la persona in grado di rivendicare la propria dignità. La sua energia e caparbietà la portano a riflettere sulla donna non solo come custode d’amore e maternità ma come un essere pensante e con una propria dignità. Ed ecco da dove scaturisce l’identificazione di Una donna come primo libro femminista.

Rilevante anche il particolare di come nel testo non appaia mai il nome del figlio, un figlio che lei stessa abbandonerà ma verso il quale sono dedicate parecchie pagine del romanzo.

«Un giorno avrà vent’anni. Partirà, allora, alla ventura, a cercare sua madre? O avrà già un’altra immagine femminile in cuore? Non sentirà allora che le mie braccia si tenderanno a lui nella lontananza, e che lo chiamerò, lo chiamerò per nome?»

Subilla è la figura di una donna forte, libera interiormente, che assorbe e combatte la falsa moralità, l’ipocrisia e le consuetudini dell’epoca e la scrittura ottocentesca del romanzo non deve allontanarci dalla grandezza e vivacità dell’autrice. Probabilmente siamo abituati ad uno stile di scrittura diverso, ma se scegliamo di immergerci nella lettura di Una donna, ci rendiamo conto di quanto grande sia stato il suo coraggio e la sua determinazione.

Una donna è un libro che tutte le donne dovrebbero leggere per comprendere davvero quante conquiste sono state raggiunte ma anche quante sono ancora da conquistare affinché l’uguaglianza di genere venga messa al primo posto per poter davvero dichiarare di vivere in una società civile.




Abbiamo un tempo in sospeso di Raffaella Cecchini

È di Pomezia la giovane scrittrice al suo esordio letterario

 

Scrivere un libro e vederlo pubblicato è il sogno nel cassetto di tantissimi italiani e Raffaella Cecchini ha esaudito il proprio desiderio alla giovanissima età di 14 anni. Abbiamo un tempo in sospeso, edito dalla Morphema Editrice è uscito a novembre ed è la storia di Ester e del suo sogno di diventare ballerina.

Raffaella Cecchini vive a Pomezia e, accompagnata dalla sua mamma Veronica Napolitano, ha accettato di rispondere ad alcune domande.

 

Iniziamo subito con il complimentarci per aver già pubblicato un romanzo alla sua età. Non è da tutti veder pubblicare il proprio libro ma farlo a soli 14 anni è davvero fuori dal comune. Ci racconta quando ha avuto l’idea della trama di Abbiamo un tempo in sospeso e intuito che potesse essere perfetta per trasformarla in un romanzo?

Grazie. Onestamente, non ho mai pensato che fosse un’idea perfetta per un libro, ma dentro questa storia ci sono pezzi di me, quindi ho pensato che valesse la pena inseguire il sogno della pubblicazione. L’idea è nata da un film visto in televisione con mia madre – da sempre mia grande sostenitrice – ma non immaginavo che sarebbe diventato un romanzo. Ho iniziato a scrivere le prime pagine non per vederle pubblicate, bensì per me stessa, per districarmi tra le mie emozioni e per spalancare liberamente le porte della mia anima, senza nessuna timidezza. La scrittura è libertà, perché permette di esprimere sé stessi attraverso le parole affidate ai personaggi e questo mi è sempre piaciuto. Non ricordo precisamente il momento nel quale ho pensato che sarebbe potuto diventare un libro che la gente avrebbe letto, so solo che a un certo punto il mio unico obiettivo era quello. Mi è sempre piaciuto scrivere, e pubblicare un libro è sempre stato il mio sogno: mi sono limitata a inseguirlo.

 

Viene naturale chiedersi quali libri abbiano formato la sua scrittura e se c’è un autore che predilige agli altri?

Adoro leggere, senza sosta. Sono una di quelle ragazze che ha sempre un libro in borsa, per ingannare le attese o per creare attese letterarie. Sono una divoratrice di libri: Gianrico Carofiglio, Chiara Gamberale, Massimo Gramellini, Anna Dalton, Arthur Conan Doyle, Louisa May Alcott, Bianca Pitzorno, Rowling, Elisabetta Gnome e chiudo l’elenco con il mio scrittore preferito: Alessandro Baricco.

 

Ogni scrittore ha una specie di rituale. C’è chi preferisce scrivere la mattina presto, chi non aggiunge una sola lettera se non al calar della luce, chi lo fa nella confusione di un bar e chi nel silenzio più totale. Siamo curiosissimi, ci racconti i suoi rituali di scrittura.

Non c’è un momento nel quale sono abituata a scrivere: non ho un vero e proprio appuntamento con le parole, ma se non scrivo non mi sento bene con me stessa, quindi utilizzo ogni giorno il poco tempo libero a mia disposizione. Ogni volta, prima di accendere il PC, mi affaccio alla finestra della mia camera e rimango ferma per un po’ a guardare il giardino tra i palazzi: mi vengono in mente colori, sensazioni o frammenti di storia, e ritrovo l’equilibrio interiore necessario per poter trasformare le parole in emozioni. Poi accendo la radio e alzo il volume. Solo allora sono pronta per iniziare a scrivere.

 

Ester è la protagonista di Abbiamo un tempo in sospeso che combatte per raggiungere il suo sogno di diventare una ballerina professionista. Quanto di autobiografico c’è nel carattere determinato e battagliero del personaggio femminile e quanto è solo frutto della sua immaginazione?

Penso di essere una persona molto determinata e molto testarda. Non mi arrendo facilmente. Vorrei, però, assomigliare di più a Ester: lei rappresenta la mia personalità ideale.

 

Una curiosità. In uno dei capitoli iniziali la canzone che Ester sceglie per candidarsi all’Accademia del Palcoscenico è “Quello che le donne non dicono” di Fiorella Mannoia. È una canzone del 1987. Ci racconta come e perché ha scelto proprio questo brano?

L’ho ascoltata per la prima volta un pomeriggio d’estate e me ne sono innamorata: la trovo di una bellezza disarmante. Mi sono rivista in quelle frasi, in quella descrizione di donna forte e fragile, delicata, complicata e difficile da decifrare come un codice matematico. Ma, soprattutto, ho riconosciuto me stessa in quel mondo sommerso e invisibile di cui la canzone parla.

 

Lei vive a Pomezia, oltre a studiare e a scrivere, in che modo trascorre il suo tempo libero?

Frequento il Liceo Blaise Pascal, con indirizzo classico. Mi piace disegnare, guardare film bevendo cioccolata calda o mangiando biscotti, chiacchierare con le persone a me care e trascorrere del tempo con i miei amici.  Amo andare a teatro, e per diversi anni ho frequentato un laboratorio di recitazione, che mi ha aperto questo mondo che mi ha completamente affascinata.

 

Ora, prima di salutarla, viene spontaneo chiederle quali progetti ha per il suo futuro e se pensa che la scrittura sarà il fulcro centrale della sua vita.

Assolutamente sì. Vorrei diventare giornalista, ma non intendo smettere di scrivere libri. La scrittura è il cuore pulsante delle mie giornate, solo imprimendo su carta le parole riesco a esprimermi, a trovare la chiave per capire me stessa e il mondo che mi circonda. La scrittura è nel mio sangue ed è inevitabile che faccia parte della mia vita.

 

 

Potete trovare Abbiamo un tempo in sospeso nelle librerie di Pomezia, disponibile anche con il packaging rosso con fiocchetto, idea originale e particolare già pronta per un bel regalo per Natale.




Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio il sequel de L’Arminuta

Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio edito da Einaudi è uscito ai primi di novembre e già raccoglie attorno a sé critiche entusiastiche e giudizi positivi.
E come poteva essere diversamente? Abbiamo già parlato di Donatella Di Pietrantonio in un articolo evidenziando l’amore per la sua terra natìa, l’Abruzzo, per la maternità e la predilezione di struggenti protagoniste femminili.

Sulla sua pagina Facebook l’autrice, simpaticamente, scrive

“Leggete piano. Ci ho messo due anni a scrivere Borgo Sud e voi lo divorate in una notte”

Ebbene sì, Borgo Sud è un libro che si divora. Catturati dalla sua scrittura se ne rimani folgorati e affascinati fino alla fine. Quella sua prosa pacata, dolce, incisiva. Quel suo narrare di dolori grandi e lacerazioni con quello stile così misurato e poetico da non poter far altro che assimilarle e giungere alla conclusione che è proprio questa la vita.<

 

Borgo Sud ci riporta le protagoniste de L’Arminuta ma da adulte. L’arrivo di Adriana a casa della voce narrante e del marito porta non solo scompiglio ma evidenzia anche le crepe di un matrimonio all’apparenza perfetto e quando, anni dopo, una telefonata la costringe a correre di nuovo a Pescara, la protagonista dovrà necessariamente fare i conti con il suo passato.

A differenza degli altri libri scritti, in quest’ultimo lavoro, l’autrice si addentra per la prima volta nel delineare anche un personaggio maschile, Piero, il marito della voce narrante.

Guardavo Piero e la solitudine delle sue orme. Non riuscivo a rintracciare un inizio in quello che ci stava succedendo. Avevo cancellato tutti i segni, ignorato una serie di dolci dinieghi, garbate insofferenze. Le sere nel letto avevo creduto a ogni stanchezza, di faccia alla sua schiena.

Donatella Di Pietrantonio supera brillantemente l’esame confermandosi come una delle voci più autorevoli della letteratura contemporanea italiana.




Intervista a Alice Urciuolo, autrice di “Adorazione”

Esordio letterario di un romanzo corale ambientato nell’Agro Pontino.

 

Ogni libro è un viaggio, su questo non ci sono dubbi. Nel caso di Adorazione, l’esordio letterario della venticinque Alice Urciuolo edito da 66thand2nd più che un viaggio nella cittadina di Pontinia, nell’Agro Pontino, è un viaggio corale nel misterioso mondo di un gruppo di liceali che si affaccia al mondo.

Il femminicidio di Elena fa da sfondo alle storie che si intrecciano in una calda estate, dalla fine dell’anno scolastico fino al primo anniversario della morte della loro amica.
I personaggi sono tanti, tutti ben delineati. Diana, Vera, Vanessa, Gianmarco, Christian, Giorgio e le loro rispettive famiglie, con genitori all’apparenza uniti in matrimonio ma che risultano tali solo di facciata perché, in realtà, ciascuno tradisce l’altro; padri fuggiti via per ricominciare una nuova vita altrove dimenticando i figli messi al mondo; madri fagocitate dalle apparenze oppure vittime del male oscuro.
Un incredibile alternarsi di dialoghi, di personaggi e di eventi che si rincorrono, si evidenziano, si scontrano per portare in luce una grande fame di comunicazione e una estenuante esigenza di un dialogo, di un abbraccio, di calore umano.

Come lettrice ho faticato a comprendere alcune dinamiche perché il gap generazionale tra la mie età e quella dei protagonisti mi impediva di comprendere il senso di quei dialoghi freddi e distaccati, rinchiusi nello spazio di un messaggio in Direct su Instagram, sulla necessità di seguire passo passo, gli spostamenti di una persona attraverso i social fino a rasentare lo stalking. Ma, superata la mia personale difficoltà, mi sono ritrovata catapultata in un universo generazionale molto ben descritto da
Alice Urciuolo.

In Adorazione emerge forte e dirompente la necessità di amore, di considerazione, di affermazione della propria identità e ho apprezzato moltissimo il personaggio della nonna Stella. Quel suo modo di accettazione della realtà senza obiezioni, mai invadente ma sempre presente. Quel suo combattere silenzioso, fino alla fine. Quel suo preferire i fiori di plastica a quelli veri perché sempre belli. Quella presenza non presenza che riporta profumi antichi, come il corredo che ha composto nel tempo per le due nipotine, fino alla tenera carezza sulla testa a Diana quasi a volerla spronare ad essere solo se stessa, ciò che lei, forse, non è mai riuscita a essere. Quasi un punto fermo di un passato al quale i ragazzi sembrano volersi attaccare mentre vivono in un presente senza punti di riferimento reali, dove tutto sembra già tracciato ma vuoto e dove la loro esigenza di emergere si scatena a gran voce attraverso rapporti sessuali occasionali e senza amore, risse, nottate a vagare, sigarette e alcool.

Ho apprezzato moltissimo il fatto che, sebbene Adorazione sia una storia ambientata in una zona ben definita tra Pontinia, Latina e Sabaudia, se togliamo i riferimenti al Duce e al fascismo tipici dell’Agro Pontino, l’autrice ci conduce nel quotidiano di ragazzi che possono abitare in una qualsiasi città di provincia italiana e questo, soprattutto, grazie al non-uso del dialetto o di un slang tipico giovanile.
Alice Urciuolo, infatti, descrive una generazione e non la contestualizza in un’area bensì in un’epoca, esattamente quella che siamo vivendo.

La sua notevole capacità di scrittura, l’abilità nei dialoghi e la tenuta della trama e delle sotto trame ha fatto in modo di evidenziare il forte grido di dolore di una generazione che arriva dritto al cuore di chi legge.
Quel grido l’ho percepito dirompente nelle scelte e non scelte dei protagonisti, nell’incapacità di parlare di un evento così drammatico come un femminicidio,  non solo tra i ragazzi stessi ma addirittura nell’intera comunità, nell’assenza totale di ascolto.
Adorazione si legge tutto d’un fiato e mi ha fatto riflettere su quanto, noi adulti, abbiamo mancato in qualcosa e di come averli lasciati vivere liberi e indipendenti, non li ha abbia resi migliori ma solo molto più soli.

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Nel corso della lettura sono nate alcune domande alle quali l’autrice, Alice Urciuolo, ha gentilmente accettato di rispondere.

Inizio subito con il farle i complimenti per essere riuscita a trasportare nel romanzo Adorazione, il disagio di una generazione che, a mio avviso, abbiamo lasciato troppo libera di andare senza dar loro, in contrappeso, un luogo caldo dove tornare per trovare rifugio, conforto e sostegno. È solo una mia impressione o anche questa è una chiave di lettura di Adorazione?

Di sicuro i ragazzi di Adorazione sono spaesati e non riescono a trovare attorno a loro esempi adeguati, che possano dare loro le risposte che cercano. Gli adulti provano in tutti i modi e in totale buona fede ad essere all’altezza del loro ruolo di genitori, ma non sempre ci riescono, non sempre riescono a fornire ai propri figli un’adeguata educazione sentimentale e sessuale. Diletta, Manuela, Enza, Massimo e tutti gli altri spesso non hanno gli strumenti per comprendere i loro figli, per capire i loro bisogni e i loro desideri, né per leggere la realtà che li circonda, anche perché a loro volta non hanno ricevuto quegli strumenti dai loro genitori. E poi in provincia – ma non solo – è ancora molto difficile parlare del dolore e delle proprie emozioni, di maschilismo, di cultura patriarcale e della differenza tra amore e possesso, motivo per cui la morte di Elena è stata rimossa e viene nominata solo per giri di parole – “la brutta cosa che è successa”, come dice Diletta. Ma nel romanzo ci sono anche dei genitori che si rivelano del tutto all’altezza del loro ruolo, come ad esempio Walter, il padre di Vanessa.

 

Parliamo di Diana. Una figura femminile centrale nel libro, nata con una enorme voglia sulla gamba che rappresenta prima uno scudo dietro il quale nascondersi e poi un motivo per l’affermazione di sé.  Davvero una donna può trovare affermazione di sé stessa concedendosi sessualmente a chi, semplicemente, la desidera?

Penso che donne diverse possano riuscire ad affermare loro stesse nei modi più disparati, e che ciascuna di noi sia libera di scegliere. Per quanto riguarda il mio personaggio, Diana è una ragazza molto insicura, che non si piace e che non si conosce, e che non ha mai ricevuto approvazione da parte del suo contesto. A un certo punto, quindi, decide di andarsela a prendere fuori, l’approvazione di cui ha bisogno. Ma il suo non lo definirei un percorso di affermazione di sé stessa al 100%: da una parte Diana si emancipa, diventa più sicura e più consapevole, dall’altra si riscopre di nuovo in una posizione di sottomissione. Il suo percorso è molto complesso e conflittuale, e non finisce di certo con la fine del romanzo. Diana ha ancora molta strada da fare prima di potersi dire veramente libera.

 

 

Leggendo Adorazione l’idea e la necessità di movimento è ben evidenziata. Dai continui “viaggi” sul Cotral vero il liceo e verso la spiaggia, ai passaggi in macchine e motorino. Questa idea di andare, di raggiungere i luoghi, di tornare e ri-tornare che appare quasi come danza e, metaforicamente, rappresentare proprio l’esigenza di muoversi verso il futuro dei protagonisti stessi. È una scelta voluta?

Prima di tutto questi continui spostamenti sono la trasposizione fedele del modo di muoversi dei ragazzi che abitano in quella città, Pontinia, e che raggiungono Latina e Sabaudia in auto oppure destreggiandosi tra autobus e navette, ma adesso che leggo la sua riflessione credo che in quegli spostamenti si possa leggere, come dice lei, anche un’esigenza di andare verso il futuro. O in generale di aprire un’altra strada, di iniziare un nuovo percorso.

 

 

Lei è una delle autrici della serie televisiva di successo Skam Italia e volevo chiederle, quanto ha influenzato questa esperienza lavorativa nella stesura di un romanzo corale come Adorazione?

Dalla mia esperienza di sceneggiatrice mi sono sicuramente portata dietro degli strumenti. L’osservazione della realtà, la cura per i dialoghi, la volontà di raccontare i personaggi e i luoghi in maniera fedele e sincera. Ma scrivere un romanzo è stata un’esperienza nuova, che mi ha posto davanti a sfide diverse. E poi è stato come tornare a casa, dato che prima che una sceneggiatrice sono sempre stata, fin da piccola, una lettrice appassionata.

 

 

Nel ringraziarla per le risposte, un’ultima domanda: qual è il suon sogno nel cassetto?

Per adesso sicuramente pubblicare un secondo romanzo!




ASTENERSI ASTEMI

ASTENERSI ASTEMI

Di Héléna Marienské

Ed. Clichy

 

 

 

Un romanzo questo a più voci, 291 pagine in cui Héléne Marienské ci parla senza moralismi di come la differenza tra passione sfrenata e dipendenza, sia estremamente sottile.

L’idea su cui è costruita la storia è veramente originale: curare dipendenze diverse senza creare gruppi omogenei di persone che ne sono affette, ma mischiando le varie ossessioni. La protagonista iniziale è Clarice, una terapeuta che decide di sperimentare un nuovo e personalissimo approccio per la cura delle dipendenze.

La sua convinzione è che riunendo più persone con nevrosi differenti, queste possano essere curate  annullandosi una con l’altra.

L’elemento dell’ unexpected arriva con l’inversione dei ruoli: i pazienti decidono di autocurarsi formando una squadra e diventando i protagonisti indiscussi della storia, la psichiatra quasi svanisce.

 

“Hai detto che avevi un’idea in testa…”

“Una grande idea”.

“Sentiamo”.

“Sarai d’accordo che per la maggior parte di noi il problema della dipendenza è rappresentato dalle conseguenze finanziarie”, inizia Pablo.

“Eh, sì! Esattamente. Essere dipendente non mi fa stare male. Sono dipendente, tutto qui. Il problema è permettersi i mezzi per la propria dipendenza”.

“Ma quel’è la tua idea? Rapiniamo una banca? Non sarebbe una cattiva idea…Al punto in cui sono, sono pronto a tutto pur di rifarmi. Ma non ho esperienza di rapine”.

“No. Formiamo una squadra”.

 

Probabilmente lo stile non sarà ineccepibile, ma quello che colpisce è l’assoluta mancanza di giudizio e condanna.

Il modo irriverente con cui Héléne Marienské descrive quelle che per la maggior parte delle persone normali sono pericolosi ossessioni, ci fa sorridere ma anche riflettere.

In una società come la nostra, le dipendenze non possono più essere circoscritte all’uso di droghe o al gioco d’azzardo. Oggi anche la passione più sana può, se portata all’eccesso, trasformarsi in un’ossessione letale con disastrose conseguenze per chi ne è affetto e per tutto ciò che lo circonda.

Quello che infine emerge, è una visione in controtendenza: chi lo dice che non si possa vivere una bella vita assecondando la propria dipendenza? Possono le diverse nevrosi, se dosate e incastrate nel modo giusto, essere la salvezza?

Al lettore il responso finale, pagina dopo pagina sarà lui, voi, a decidere se giudicare Héléne Marienské una persona immorale o una visionaria.

 

 

 

SINOSSI

 

Clarisse, psichiatra specializzata in dipendenze, decide di sperimentare una terapia di gruppo ispirata a principi del tutto nuovi. Decide così di riunire  persone completamente diverse, per estrazione e per ossessione: un prete cocainomane sosia di Papa Francesco, un’ alcolizzata, un professore universitario sessuomane, una giovane tossicodipendente, un giocatore d’azzardo, un bancario ossessionato da qualunque tipo di sport e una fashion-addict  dominata dall’acquisto compulsivo di abiti d’alta moda.

Devastati e sull’orlo del baratro sfidano la loro terapeuta, formando una squadra e scoprendo la solidarietà, la complicità, l’amicizia e perfino l’amore.




Il postino suona sempre due volte di James Cain

Un classico noir della letteratura americana

Chi non ha visto, almeno una volta, una delle versioni cinematografiche de Il postino suona sempre due volte? Immagino in tanti, e sebbene conoscessi bene anch’io la trama, quando mi è capitato tra le mani una vecchia edizione Oscar Mondadori con la traduzione di Giorgio Bassani, non ho resistito e ho voluto leggerlo.

Il postino suona sempre due volte è la storia di Frank Chambers, un girovago senza lavoro e senza casa e di Cora, la moglie bellissima e sensuale del greco Nick Pappadakis, titolare della Taverna delle due Querce. L’attrazione fatale tra i due è travolgente e si innesca sin dalle prime battute.

“Eccetto che per il corpo, non si poteva dire una gran bellezza; ma aveva una cartaria imbronciata, e le labbra sporte in fuori in modo tale da farmi venire subito voglia di mordergliele”

La scrittura di Cain è scarna, immediata, senza fronzoli. Esattamente come i personaggi del libro: sono tre e non c’è spazio per nessun altro. È tutto bianco o nero, non esistono sfumature ed è con questa certezza che viene cadenzato il ritmo serrato e avvincente del romanzo. La passione che diventa totalizzante, il crimine inevitabile e il destino immutabile.

Frank e Cora non accettano la realtà che vivono e sembra quasi che, nella loro individuale ricerca della felicità, scambino quella loro passione travolgente, nella spinta necessaria a darsi un futuro diverso per entrambi. Sono due personaggi tristi e persi che si accoppiano più per disperazione che per un reale sentimento e che, proprio per questa incapacità di adeguarsi e adattarsi al presente, corrono trafelati e ingenui verso l’ignoto, verso la fine.

Il postino suona sempre due volte venne pubblicato da James Cain nel 1934 in piena depressione economica arrivando in Italia solo nel 1946.
Il titolo sembra faccia riferimento ad un’usanza dei postini irlandesi di bussare sempre due volte per farsi riconoscere. Metafora del destino che passa a riscuotere il suo conto.
Il grande successo del romanzo fece di Cain uno dei maestri della scuola del noir e del giallo d’azione hard-boiled. Il romanzo ispirò grandi scrittori come Cesare Pavese e Albert Camus e diversi registi.

 

Versioni cinematografiche

Due registi hanno voluto trasportare sul grande schermo la loro visione del romanzo.
Il primo esce nel 1946 con la regia di Tay Garnett scegliendo Lana Turner nei panni di Cora e John Garfield nei panni di Frank.

Nel 1981 è la volta della regia di Bob Rafelson e due grandi attori americani: Jack Nicholson diventa Frank mentre la parte di Cora viene affidata a Jessica Lange.

 

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Film vs Libro

Ci sono sempre state ampie discussioni dividendo il pubblico tra chi è pro libro e chi pro film.
Personalmente sono favorevole alla lettura del libro perché amo immaginare le scene e non affidarle alla regia di un altra persona, senza nulla togliere all’arte della cinematografia che mi appassiona molto. . Affermo però, senza alcun timore, che se mi capita di vedere prima il film, difficilmente arrivo a leggere anche il libro perché il tocco del regista resta nella mia memoria influenzando troppo la lettura.
Se dovessi scegliere direi, in assoluto, prima il libro e poi film.

Nel caso de Il postino suona sempre due volte, ho visto la versione del 1981 con Jack Nicholson e Jessica Lange e spero di riuscire a breve a vedere anche la prima versione del 1946 dove, la pellicola in bianco e nero, regalerà di sicuro una magia particolare alla trama.




Manifestazioni Digital al tempo del Covid-19

Il digital arriva in aiuto alle manifestazioni 2020

In modo inconfutabile, il Covid-19 ha modificato e continua a modificare lo stile di vita di tutti. Ha ridotto le distanze obbligandoci a indossare le mascherine in presenza, limitandosi nell’uso di tutto quel corollario di espressioni facciali con le quali eravamo soliti rafforzare i nostri pensieri, ci ha tolto la possibilità di stringerci la mano e di abbracciarci, ci ha privato della possibilità di partecipare ad eventi culturali e professionali dove poter accrescere la propria formazione e per fare networking.

Ma, osservando sempre il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, ecco che proprio tutte quelle limitazioni hanno spinto le organizzazioni di grandi eventi a livello nazionale, a trovare una soluzione alternativa traslocando la propria presenza in modo esclusivo sull’online ottenendo il risultato di raggiungere un pubblico più ampio.

Se prima solamente alcune persone si potevano permettere di presiedere e partecipare ad alcuni evento clou dell’anno, ora chiunque, armato di curiosità, può seguire, informarsi, arricchirsi con eventi culturali.

Perché, diciamocelo chiaramente, non tutti potevano permettersi di pagare un viaggio in trasferta in un’altra città, sostenere le relative spese di trasporto e pernotto solo per il piacere di seguire in diretta lo scrittore di best seller del momento; quanti potevano permettersi di andare fuori ogni fine settimana in un luogo diverso senza far vacillare il proprio bilancio famigliare?

È vero, abbiamo perso il fascino racchiuso nell’andare ad un evento, la possibilità di creare connessioni, di relazionarsi tra un panel e l’altro, di sedersi al tavolino del bar per chiacchierare e conoscersi tra uno spritz e uno stuzzichino, ma è necessario ampliare la visione e scorgere il grande lato positivo: ora tutti possono permettersi di seguire dirette e webinar sulle diverse piattaforme social o video conferenza online.

Non ci sono più scuse per ampliare le proprie conoscenze!

Grandi poli fieristici, come VeronaFiere e FieradiRoma, si sono già organizzati pianificando i propri eventi in forma digitale ottenendo un ragguardevole successo proprio per la facilità di essere raggiunti da un numero alto di visitatori, soprattutto stranieri, tanto che la soluzione verrà implementata anche in futuro.

A dimostrazione che è proprio dalle difficoltà che l’uomo è in grado di lanciarsi in idee che portano a un reale miglioramento alla vita economica e sociale di tutti.

 

Manifestazioni in veste digital 2020

Di seguito, alcuni manifestazioni che si terranno tra novembre e dicembre 2020. Alcuni richiedono la registrazione, per altri sarà sufficiente collegarsi al momento.
Vediamoli nel dettaglio

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BookCity Milano 11-15 novembre 2020
BookCity Milano è una manifestazione il cui scopo è di proporre la lettura come esperienza di valore e si esplica attraverso incontri, presentazioni, dialoghi, letture ad alta voce, mostre, spettacoli e seminari.

Fà la cosa giusta 20-29 novembre 2020
Fà la cosa giusta, la fiera nazionale del consumo critico e stili di vita sostenibili che si tiene a Milano quest’anno si è organizzata con oltre 100 appuntamenti online trasmessi sui canali Facebook e Youtube.

Maker Faire Rome – The European Edition 10 – 13 dicembre 2020
Maker Faire Rome – The European Edition è una fiera della innovazione (startup, PMI e innovatori, anche provenienti da centri di ricerca, università e istituti scolastici) dove sognatori e talenti si mescolano e creano una magica alchimia.

 

 

Foto di copertina di Freepik.




Gli affamati di Mattia Insolia

Romanzo d’esordio pubblicato da Ponte alle Grazie

Leggendo Gli affamati si apprezza, sin dalle prime battute, il talento di Mattia Insolia.

Frasi brevi con una accurata scelte delle parole; tempi d’azione ben calibrati capaci di lasciare con il fiato sospeso; introspezione dei personaggi vivida e e ben delineata; dialoghi mai fuori luogo e eccessivi.

Mattia Insolia è siciliano, ha conseguito una laurea in Lettere a Roma e ha soltanto 25 anni. Dico soltanto perché il Gli affamati dimostra una tale maturità di scrittura che sorprende ritrovarla in un uomo così giovane.

I protagonisti dl romanzo sono Paolo e Antonio. Due fratelli giovanissimi che vivono in un luogo non ben definito del sud d’Italia. A seguito della morte dei genitori, tentano di portare avanti una vita normale, cercando di sopravvivere al dolore che vivono dentro, alla povertà che li circonda e alla totale mancanza di un futuro avanti a sé.

 

«Camporotondo era un pezzo di terra sconclusionato dal quale la gente cercava di fuggire in tutti i modi e chi restava quasi si vergognava a farlo. Di continuare la propria vita. Sposarsi, mettere al mondo delle creature. Mancava tutto, lì. Aria, luce, spazio vitale per la speranza che l’inatteso accadesse: un recinto per polli, un purgatorio terrestre»

 

Una mancanza di futuro che diventa, essa stessa, protagonista del romanzo.
Come si vive quando non si hanno prospettive di cambiamento? Quando il futuro non è altro che il vuoto che ti circonda, quando non ti senti neanche all’altezza di riceverlo quel futuro perché sei vissuto talmente tanto nella povertà, nella miseria, nella mancanza di dialogo, che anche quando la vita di offre un’occasione, rinunci e fuggi via perché non ti senti mai all’altezza.

 

«Era tutto troppo grande, troppo bello, troppo pulito per lui»

 

Paolo e Antonio appaiono come personaggi sporchi. Sono violenti, irascibili, bevono, si drogano, si trastullano nel niente, eppure non hanno nulla di sporco se non il passato di dolore vissuto, di miseria, di vuoto che li schiaccia e li immobilizza senza alcuna possibilità di riscatto.

Gli affamati è un romanzo duro. Forte come un pugno allo stomaco. Pagine talmente crude e reali da lasciarti con la sensazione di non poter andare avanti a leggere.

Perché è più facile vivere senza sapere invece di capire che c’è chi si sente inadatto anche solo a sognarlo un futuro, così impotente e solo davanti a un mondo che cammina a due velocità.

Gli affamati ha la forza di farti entrare nei panni di chi usa la violenza come scudo per un dolore così profondo e abissale da togliere il fiato e qualsiasi forma di progettualità e riscatto.
Gli affamati è un muro che affanna e toglie il fiato; alza la crosta della violenza, senza volerla giustificare, ma lasciandoti intravedere, attraverso le sue ferite, quanto bisogno di respirare aria nuova ci sia anche da chi usa la violenza e la droga per tentare di urlare la propria esistenza.

 

 

SINOSSI

Antonio e Paolo sono fratelli,diciannove e ventidue anni. Vivono soli da quando il padre è morto e la madre è andata via di casa. Insieme hanno costruito una quotidianità che, seppur precaria, parrebbe funzionare. Vivono alla giornata, tirano avanti in un presente che non concede di elaborare progetti futuri. E abitano in un paese minuscolo, una periferia immaginaria nel centro Sud che sembra quasi un confino, degradato e gretto. È un’estate torrida. Antonio cerca un lavoro, Paolo di tenersi stretto il proprio. L’esistenza dei due procede senza grandi avvenimenti, tra notti allucinate, feste con gli amici, giornate al mare e serate di sesso, alcol e droga. Finché poi, un giorno di quiete apparente, qualcosa si spezza, e vecchi scheletri saltano fuori dall’armadio, mostri del passato seppelliti in malo modo. La madre, fuggita anni prima dal marito violento, torna da loro, un amore quasi dimenticato bussa alla porta di uno dei due fratelli e crimini di cui non è mai stata scontata la pena si affacciano all’orizzonte dell’altro. E tutto dev’essere rimesso in discussione. Una nuova narrazione contemporanea che sa illuminare la nostra rabbia e la nostra solitudine, che lo fa attraverso una lingua precisa e scarna, uno sguardo maturo e senza paura. Un desiderio autentico di denudare la realtà per comprenderla e forse, domani, trasformarla.




A Parigi con Colette. Qui tutto inizia e insieme si compie di Angelo Molica Franco

Passaggi di Dogana di Giulio Perrone Editore

La casa editrice romana Giulio Perrone Editore ha creato una collana di libri molto particolare, Passaggi di dogana. Si tratta di una raccolta di guide letterarie che, seguendo le tracce di scrittori, ci portano alla scoperta di luoghi e città nel mondo. Si va da Stoccolma a Lisbona, da Napoli a New York, da Dublino a San Francisco, da Genova a Londra e Parigi.

Inizialmente l’idea era quella di coniugare l’amore per la letteratura con quella per i viaggi ma, successivamente, si è ampliata inserendo testi che si lasciano contagiare dal mondo della musica e del cinema dedicando un titolo a Totò parlando di Napoli o a Genova parlando di De Andrè.

Durante l’evento Insieme Festival non ho resistito alla tentazione e mi sono regalata un cofanetto di Passaggi in Dogana con le città di Parigi, Londra, Lisbona e Stoccolma.

 

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A Parigi con Colette. Qui tutto inizia e insieme si compie

Ho iniziato a leggere da questo volume affascinata dalla bellissima copertina e dall’idea di immergermi nel mondo della belle époque francese.

L’autore, Angelo Molica Franco ci conduce nel profondo dell’anima francese di inizi del ‘900 attraverso la storia e la vita di Colette.

È scrittrice, giornalista, attrice, critica letteraria ma, Colette, è soprattutto una donna esuberante, trasgressiva libertina e libera che non si preoccupa certo di far mostra del suo essere come quando bacia la sua amica e compagna Missy.  Clamore e scalpore che le aprono anche le porte di un rinomato salotto come quello di Gertrude Stein, dove non è difficile incontrare personaggi illustri come Picasso e Matisse.

Colette ebbe tre mariti e un amante, e fu più volte al centro di scandali per le sue disinibite relazioni sentimentali con personalità di ambo i sessi. Per quanto fosse definita amorale per le sue scelte anticonformiste, in effetti per la sua vita e le sue opere letterarie Colette rappresenta un inno alla libertà della donna.

Basti pensare che le prime opere che scrisse furono firmate dal suo primo marito nonché editore e, solo grazie alla sua grande determinazione, riuscì a liberarsi dal marito e apporre la propria firma alle proprie opere.

 

A Parigi con Colette

Nel corso della lettura di A Parigi con Colette si vive tutta l’atmosfera parigina di inizi secolo; e sembra di sentire le musiche del Moulin Rouge, il vociare dei salotti più in voga, tra abiti, merletti e baldoria di artisti notturni. La più classica Parigi bohèmienne, con i suoi salotti e i suoi teatri, i suoi caffé chantant, i circoli, i ristoranti e quel nuovo rivoluzionario impulso dell’arte e della cultura del periodo, tra pittori, scrittori e artisti vari.

Leggere A Parigi con Colette è sì viaggiare, ma nel tempo, riscoprendo una Parigi che sembra unirsi come un’unica anima con il personaggio della indimenticabile Colette.

Per Passaggi di Dogana ecco il link a Giulio Perrone Editore