Qui tutto è fermo di Matteo Edoardo Paoloni
Romanzo d’esordio ambientato nella Maremma laziale
Non si fugge dal tempo che scorre via, qualsiasi sia la distanza che mettiamo tra ciò che rappresenta la nostra casa e ciò che trasformiamo nella nostra casa. Il passato non ci abbandona mai. Possiamo solo confrontarci con esso, confortare le ferite che sanguinano, curarle, perdonare e perdonarsi e tentare di guardare avanti.
Qui tutto è fermo è il primo romanzo pubblicato da Matteo Edoardo Paoloni per la casa editrice La Torre dei Venti.
È la storia di Guido ma potrebbe essere la storia di un qualsiasi ragazzo di provincia che si allontana da casa per studiare all’università, proseguire con un viaggio di studio all’estero, in questo caso a Madrid, e in quella terra straniera trovare la stabilità di un lavoro, di un amore e di un ritmo di vita perfetto tra teatri, bar e amici.
Non è difficile in fondo quando la terra di origine è un paese come Tarquinia, nella Maremma laziale, dove tutti sanno tutto, dove i sogni sembrano non voler prendere il volo e dove i ricordi e le assenze giocano un ruolo troppo doloroso per restare. Non è difficile andare via da un paese dove ci si sente stretti, dove quella cappa di provincialismo sembra frenare ogni ambizione e dove “tutto è fermo”
La vita ti lascia respirare per un po’ per poi bussare alla tua porta, come con quella inaspettata telefonata che annuncia una grave malattia della madre, e allora il ritorno a casa diventa inevitabile.
«Che malattia è?»
«Quello del tempo che passa.»
Il ritmo di Qui tutto è fermo è cadenzato da capitoli brevi, a volte brevissimi, che riportano nel passato aiutando il lettore con stralci in corsivo e offrendo una visuale dell’insieme molto simile ad una trasposizione cinematografica. Si sentono i profumi, si vedono i colori e si ascoltano i silenzi. Inizialmente sembra quasi che il testo stantuffi un po’, ma è solo una sensazione dovuta agli sbalzi temporali tra passato e presente, perché non appena si entra nel ritmo, la lettura è piacevolissima, i dialoghi diventano serrati e si entra serenamente nella mente di Guido.
Non è facile esaltare la propria terra senza mai dire che è bella; ammirare il panorama o soffermarsi sulla fotografia del nonno nella casa ormai disabitata e non ritrovarsi a pensare che lo abbiamo fatto tutti, almeno una volta nella vita; di chiedersi che fine abbiano fatto tutte le persone che abbiamo amato, le persone che hanno abitato una casa, un cortile, che hanno osservato gli stessi tetti di ardesia che osserva Guido dalla torretta.
Non è dalla provincia che si scappa, in fondo, ma da ciò che non riusciamo a perdonare, da ciò che ci graffia ancora sul cuore, da ciò che ci fa male.
Quando ce ne rendiamo conto, scopriamo che quella provincia è sì ferma ma possiede proprio nella sua capacità di cristallizzare il ricordo la sua grande ricchezza, quasi fosse uno scrigno dove raccogliere le gioie più preziose, come la vecchia cassetta VHS con la voce registrata di un vecchio spettacolo teatrale, o un antico amore incontrato per caso in un supermercato.
O memoria spietata, che hai tu fatto
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il venti.
Ritorno al paese di Vincenzo Cardarelli