Quando tutto è detto di Anne Griffin

Il primo romanzo della scrittrice irlandese edito da Atlantide Edizioni

 

Quando tutto è detto, è il primo romanzo della scrittrice irlandese Anne Griffin edito dalla casa editrice Atlantide Edizioni nel 2020 con la traduzione di Bianca Rita Cataldi.

«Sono qui per ricordare: tutto ciò che sono stato e tutto ciò che non sarò mai più.»

La storia è semplice ma è lo stile della Griffin nel raccontarla a trasformare il romanzo in un testo delicato, magistrale e a tratti poetico tanto che il romanzo ha ottenuto un grandissimo successo in Irlanda ed è in corso di traduzione in 16 lingue straniere.

Maurice Hannigan è un uomo anziano di ottantaquattro anni che inizia a raccontare la propria vita seduto al bancone del bar del Rainsford House Hotel brindando a cinque diverse persone che sono state fondamentali per la sua vita: Tony, Molly, Noreen, Kevin, Sadie

Cinque brindisi, cinque personaggi, cinque bevute diverse tra whisky e birra, per raccontare al proprio unico figlio, Kevin, e a sé stesso i punti salienti, le verità nascoste, le difficoltà ma anche le soddisfazioni ottenute nel corso della sua vita e che fanno di lui l’uomo posato, garbato e possidente sebbene sia nato povero, anzi poverissimo, contadino e analfabeta.

La penna stilistica di Griffin è abilissima nel caratterizzare perfettamente il personaggio di Maurice permeando la trama con la classica cultura irlandese, ricca di figure trascendenti, che superano il confine tra la vita e la morte e regalandoci pagine ricamate tra magia e realtà e trasformando Maurice in un personaggio indimenticabile.

Incantevole il personaggio del fratello più grande, Tony, morto giovanissimo, ma sempre al fianco del protagonista con il suo costante ruolo di figura di riferimento “un uomo che mi ha formato, guidato, che ha badato a me e, soprattutto, che mi ha insegnato a non arrendermi mai.“

Intenso e solido il legame che ha con la moglie, Sadie, un amore verso il quale non ha dimostrato davvero tutto ciò che provava ma che ne riconosce l’intensità quando resta da solo, perché “nessuno conosce davvero la perdita finché non si tratta di qualcuno che ami di quell’amore profondo che ti tiene insieme le ossa e che scava a fondo fin sotto le unghie, difficile da scalfire come anni e anni di terra compatta”.

Superbo il modo in cui si relazione con il figlio Kevin, per amore del quale, impara a leggere attraverso gli articoli che il giovane pubblica dal momento che diventa un giornalista importante oltreoceano e al quale riesce a dichiarare “mi dispiace essere stato il padre che sono stato. So, davvero lo so, che avrei potuto essere migliore. Che avrei potuto ascoltare di più, e accettare te e tutto ciò che sei diventato con più benevolenza.”

A legare tutta la trama di questo bellissimo romanzo c’è il segreto celato dietro una moneta d’oro con l’effige di Edoardo VIII del 1936, un mistero che attraverserà e scombussolerà i destini di due famiglie e farà tenere il fiato sospeso ai lettori.

Quando tutto è detto è arrivato a me attraverso le parole e la commozione dell’editor della casa editrice Atlantide al Salone del Libro di Torino a maggio scorso. Mentre lui me ne parlava aveva uno strano luccichio negli occhi, una voce tremolante e una mimica facciale che lasciava trasparire una profonda e intima gioia contagiosa. Non mi stava proponendo semplicemente un romanzo da leggere, sembrava piuttosto mi pregasse di ascoltare una storia che mi avrebbe riempita e appagata. Ed è stato così per me.

Ed è quella la luce che mi auguro possiate provare lasciandovi coinvolgere nella vita di Maurice in Quando tutto è detto.




La strategia dell’opossum di Roberto Alajmo

La strategia dell’opossum di Roberto Alaimo è stato pubblicato a aprile 2022 dalla casa editrice siciliana Sellerio Editore.

Un mix tra un noir e una commedia, La strategia dell’opossum vede come protagonista Giovanni Di Dio, detto Giovà, guardia giurata di Partanna, borgata di Palermo, eterno figlio cinquantenne pigro e scansafatiche di Antonietta e fratello gemello di Mariella.

 

 

Tutto ha inizio con l’annuncio a sorpresa dell’imminente matrimonio della sorella di Giovà, dopo decenni di fidanzamento a distanza con Toni. Sarebbe tutto nella norma se non fosse che il giorno dello sposalizio lo sposo non si presenta all’altare dando l’avvio ad una esilarante e bizzarra indagine investigativa al fine di scoprire cosa sia accaduto al futuro cognato.

Roberto Alajmo è bravissimo a ironizzare sugli stereotipi siciliani e, laddove il maschio è il capofamiglia indiscusso troviamo una famiglia matriarcale, laddove il maschio è colui che impartisce ordini e trova le soluzioni troviamo una donna capace di parlare a testa alta ai boss della zona mentre il figlio evita anche solo di parlare pur non essere invischiato in discussioni inutili e essere costretto a agire e prendere decisioni.

 

«Non devi fare niente. Niente di niente. Non è difficile, ma ti devi impegnare, figlio mio! Perché ogni cosa che fai, rischi di fare danno. Soprattutto guai a te se scopri qualsiasi cosa.»
«Io non voglio scoprire niente, ma mi pare che sono sempre le cose che mi vengono a scoprire a me.»
«E tu non ti fare trovare.»

 

Ed è la strategia migliore sulla quale si impernia l’intera vita di Giovà che anela a fingersi morto esattamente come fa l’opossum quando si trova braccato dai predatori! Peccato che, nonostante tutte le sue migliori intenzioni, siano proprio gli eventi casuali a costringerlo ad agire allontanando il povero Giovà dal suo amato divano.

Divertente, ironico e con un ritmo inarrestabile, La strategia dell’opossum si rivela una lettura piacevolissima e perfetta per un fine settimana sotto l’ombrellone, ma che riporta in controluce la vita reale di una Sicilia troppo spesso legata a immagini stantie e stereotipate.




Numeri da capogiro per la XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino

Si è respirata un’aria frizzante, energica quasi rivoluzionaria alla XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino che si è svolta dal 19 al 23 maggio al Lingotto.

Abbandonata l’esibizione del green pass, ritornati ai visi sorridenti e non più coperti dalle mascherina (fatta eccezione all’interno delle diverse sale per i singoli eventi), finalmente non più in fila con quella distanza minima di un metro l’uno dall’altro ma entusiasti e composti davanti alla biglietteria con anche la possibilità di sgomitare casualmente il vicino e avere la possibilità di scambiare due chiacchiere con uno sconosciuto, scoprire da dove arriva e quale evento pensa sia imperdibile.

 

 

Cinque giorni durante i quali il titolo dato all’evento, Cuori Selvaggi, è risultato magnifico, grandioso e perfetto perché nei 110mila metri di superficie espositiva correva una grande voglia di libertà, di condivisione, di abbracci, di sorrisi e di serene pacche sulle spalle.

Le grandi sale del Salone sono state invase da migliaia di visitatori e le loro voci si sono unite in un unico sereno e composto grido di ribellione liberatorio dopo il nefasto periodo di lockdown; lo si percepiva nell’aria, lo si vedeva nelle file composte, nei drappelli di giovani seduti per terra, nella musica che risuonava nella zona esterna Palco Live, nei cappelli colorati dei bambini delle scuole, negli innumerevoli abbracci che si incrociavano ovunque ci si girasse.

Eh, sì! Perché va bene condividere le proprie letture su Instagram e Facebook con sconosciuti dai nickname difficili da ricordare ma che bello quando poi capitano occasioni come quella del Salone del Libro e quell’account sui social diventa una persona con tanto di occhi brillanti, sorriso smagliante e risata fragorosa! E allora è contagiosa la gioia di scoprire che la voglia di leggere è vera, genuina e non rincorre la metrica dei like ma è la reale condivisione di una passione che ti spinge a impazzire per il desiderio di leggere in un gruppo di lettura su Telegram due romanzi di narrativa di scrittori esordienti per poi ritrovarsi di persona e abbracciarsi come vecchi amici.

«Ma che bello rivederti!» Già rivedersi… dimenticando che spesso al SalTo ci si è incontrati in presenza per la prima volta e nessuno conosceva dell’altro niente di più di quello che appare dalle foto pubblicate sui social.

 

Torino, Lingotto 19 05 22
Salone del Libro di Torino
©Chiara Pasqualini, Alessandro Fucilla/MIP

Questo è il reale successo di questa strepitosa edizione del SalTo: certo, chi esce dal Salone del Libro è sicuramente stanco ma raccoglie a sé molte più parole e emozioni di quelle racchiuse nei libri acquistati.

I numeri sono stratosferici: 168.732 cuori selvaggi con il picco di affluenza  mai raggiunta nella storia del SalTo nella giornata di sabato 21 maggio.
Numeri da capogiro anche per i dati relativi allo storytelling narrato attraverso 60.000 scatti, oltre 4000 pagine di rassegna stampa e oltre 450 passaggi tra radio e televisione. Interessante anche l’aumento degli accrediti che ha visto un 58% in più rispetto alla scorsa edizione con un aumento del 100% per i blogger per un totale di 4000 accreditati.

 

Torino, Lingotto 18 05 22
Salone del Libro di Torino
©Chiara Pasqualini, Alessandro Fucilla/MIP

 

Il SalTo 2022 si è dimostrato davvero un Cuore Selvaggio benevolmente contagioso e non resta che leggere, divorare, commentare i libri appena acquistati e organizzarsi per la prossima primavera con la XXXV edizione dal 18 al 22 maggio 2023.




L’odore del sangue di Goffredo Parise

L’odore del sangue è il romanzo postumo di Goffredo Parise arricchito dalla preziosa peculiarità di essere arrivato a noi lettori senza alcuna rettifica o modifica da parte dell’autore.

Parise lavorò al manoscritto nell’estate del 1979 per poi sigillarlo con la ceralacca e nasconderlo in un cassetto perché ritenuto da lui stesso materiale che “non deve essere pubblicato mai, ma distrutto”. Solo nel giugno del 1986 decise di rileggerlo ma la morte, sopraggiunta qualche mese dopo, non gli diede il tempo di apportare ulteriori rielaborazioni regalandoci un romanzo intimo e potente dove “la battitura porta i segni inequivocabili di una costante e concentrata ispirazione” come dichiara l’amico e critico letterario Cesare Garboli nella prefazione del 1997 per l’edizione Rizzoli.

Questa particolarità de L’odore del sangue ci permette di avere tra le mani un flusso di pensiero scritto di getto, senza correzioni, ritocchi, e ripensamenti, una scrittura talvolta ripetitiva, come nel caso di ripugnata e ripugnante, ma mai ridondante che ci rivela la grandezza dello scrittore vicentino e ci permette di avvicinarci ai suoi più intimi e celati tormenti dell’animo.

«Ho guardato, anzi visto Silvia per la prima volta quando ho avuto la sensazione che mi tradisse.»

Questo l’incipit de L’odore del sangue dove Parise coinvolge senza indugio il lettore utilizzando la prima persona e mettendo subito in chiaro il tormento della gelosia che devasta il protagonista, che ha il significato d’indagare sull’amore e sull’ossessione per Silvia e seguire lo spasmodico desiderio di capire cosa spinga sua moglie, sposata da oltre vent’anni, a vivere una “sbandatina”, cadendo tra le braccia di un giovane venticinquenne della Roma bene, fascista, scapestrato, prepotente, che indossa sempre una giacca di pelle nera e con il cazzo costantemente in erezione, pronto ad entrare in azione.

Due diversi verbi di percezione che permettono di vedere ora ciò che aveva sempre solo guardato e ciò che vede è proprio l’odore del sangue, cioè “l’odore dell’origine della gioventù, della passione, della vita.
Concetto che ripete e rafforza ancora di più nelle diverse pagine dedicate a descrivere, immaginare e a sognare scene di sesso tra Silvia e il suo amante, dove la figura del fallo e dello sperma tornano in modo preponderante perché è certo che rappresentino in modo inequivocabile l’odore del sangue, un odore di vita: “il cazzo cioè la forza tanto propulsiva quanto irruente del cazzo, è il significato della vita stessa […] e poiché il sesso, cioè la vita, ecco l’attrazione verso chi porta con sé la vita e non la morte

 

 

La bellezza e la profondità del romanzo è tutta nel mettere a nudo le fragilità, le debolezze, la noia, le contraddizioni ma anche le certezze di un uomo di cinquant’anni che vede avvicinarsi sempre più la fine della propria vita con la consapevolezza che il meglio sia ormai passato, perché nulla è più potente, vitale e energico della giovinezza.

E questa necessità di tornare indietro ai tempi gioiosi e focosi della giovinezza è concesso a lui come uomo, visto che si concede da anni una relazione con Paloma, una ragazza giovanissima, ma non riesce a controllare, a considerare e ad accettare che le medesime esigenze possano scaturire anche in sua moglie.

Qui emerge un lato spigoloso di Parise che, non solo pensa che “Silvia fosse impazzita, o in quella condizione di squilibrio molto nota, che può provare l’avvicinarsi della menopausa” ma in una scena finale tenta addirittura di strangolarla per poi rientrare in sé ravvedendosi della sua ira fuori controllo. Contraddizioni che possono far accapponare la pelle ad una lettrice del terzo millennio ma che Parise ci rivela con una sincerità e un’armonia tale da farsi perdonare.

Spesso tra le pagine la figura di Silvia appare come una crocerossina, tutta propensa a prendersi cura di lui, a coccolarlo, a viziarlo; una immagine che rappresenta più una figura materna che una reale compagnia di vita. L’amore stesso tra i due viene definito platonico, giustificando così quella mancanza di intesa sessualità in grado di giustificare la sua noia e le sue continue fughe.

La relazione tra Filippo e Silvia è tenuta e trattenuta dal telefono, strumento attraverso il quale riescono a mantenersi in contatto e che rappresenta quel cordone ombelicale che il protagonista maschile non riesce a tagliare. Molto probabile che il telefono sia un simbolo di legame materno e il suo uso quotidiano più vicino ad un dovere filiare che ad una reale necessità della coppia, tanto è vero che è proprio Silvia a interrompere le telefonate, quasi non potesse essere diversamente, come se fosse un gesto la cui decisione spettasse alla figura femminile/materna tanto che a seguito della dipartita di Silvia, Filippo prosegue candidamente la sua vita con Paloma, sposandola e mettendo al mondo dei figli.

L’intensità del flusso di coscienza che Parise offre a Filippo mette in luce un uomo in continuo movimento, incuriosito e impaurito dalla vita e non del tutto consapevole del suo più intimo bisogno di amore sebbene dichiari «io avevo bisogno di essere amato più che di amare, e Silvia di amare più che di essere amata.»

L’amore per Parise è un sentimento primario ma raro, ricercato con bramosia ma allo stesso un legame pericoloso dal quale fuggire. Incisiva la descrizione del primo incontro con Silvia a Piazza del Popolo dove la bocca è “gonfia, dura, etrusca pareva quasi contorta al tempo stesso di sfida, quasi di disprezzo […]. Era bellissima, una cavalla, impennata, pareva di sentire l’afrore delle sue ascelle, dei suoi capelli, del sesso, muscoloso, nervoso e contorto come l’espressione, appunto, ripugnata e ripugnante delle sue labbra protese e imbronciate.”

L’odore del sangue è un inteso gioiello della letteratura italiana e Parise ha regalato ai posteri tutta la contraddizione e la purezza di un uomo del Novecento.

È consigliabile abbandonarsi alle parole di Parisi con la straordinaria definizione di Cesare Garboli che dichiara “E così interroga, e ritorna in eterno sulle stesse domande, con un’ossessione e una ripetitività concentriche e maniacali che danno al romanzo un ritmo da bolero” perché davvero L’odore del sangue è un bolero impetuoso.




A Tu Per Tu Con L’autore: Pieramici Roberta

A Cura Dell’Associazione Culturale Tema-Hesperia

 

Sabato 21 maggio alle 17:30 presso la Galleria Hesperia, in Via Silvio Spaventa 24/B a Pomezia il quinto incontro della rassegna letteraria A tu per tu con l’autore  organizzato dall’Associazione Culturale Tema-Hesperia (ne abbiamo parlato qui).

 

Verrà presentato il romanzo di Pieramici Roberta “L’erede universale” uscito a dicembre del 2021.

 

La partecipazione all’evento è gratuita e l’ingresso è consentito nel rispetto delle norme Covid attualmente in vigore.
Per informazioni 3335095699/3385692095 email: temahesperiaps@gmail.com




Patchwork, esordio letterario in versi di Sara Concato

Presso la libreria Odradek di Pomezia

Venerdì 20 maggio alle ore 18:00, presso la libreria Odradek di Pomezia, presentazione di “Patchwork” (L’Erudita, 2022), esordio letterario in versi di Sara Concato.
“Sara Concato conosce bene le parole, il gioco sottile dei significati, il meccanismo delle sintassi complesse”, scrive nella prefazione del libro Marina Geat, Prof.ssa di Lingua e Letteratura francese Roma Tre.
La tecnica del patchwork consiste nel cucire insieme diverse parti di tessuto per un risultato creativo, talvolta stravagante, ma ricco di colori. Sara Concato applica questa tecnica ai suoi sessanta componimenti che investono il lettore con ritagli di vita e di pensiero. Sedici le sezioni in cui è divisa la raccolta: Dissesti, Cicli, Sabbia, Ricordi, Rosso, Apnee, Disarticolazioni, Amore nuovo, Attesa, Assenze, Lacci, Abiezione, Cocci, Confinamenti, Bisticci, Equivoci. Piccole parti i cui componimenti sfiorano sensazioni, attimi e gesti quotidiani. Ritagli di vita che tentano di comporsi per diventare, in puro “stile patchwork”, un’unica tela variopinta.



Concerto di Primavera e Visita Culturale con Ardeafilarmonica

Domenica 8 maggio con il Patrocinio del Comune di Ardea

 

Domenica 8 Maggio 2022 in occasione della Festa dellaMamma Ardeafilarmonica propone un pomeriggio culturale con passeggiata al centro storico di Ardea e visita alla Chiesa di San Pietro e al Museo Giacomo Manzù.

Per l’occasione apertura straordinaria della Casa Museo Franco Califano. A seguire Concerto di Ardeafilarmonica con aperitivo finale.

Appuntamento alle ore 14.30 al sito archeologico Casarinaccio in Via Francesco Crispi Ardea.
L’evento è del tutto gratuito ma con prenotazione obbligatoria. info: 3471437326 mail: ardefilarmonica@tiscali.it

 

 

 

COMUNICATO STAMPA




La lettrice di Čechov di Giulia Corsalini

Pubblicato da Nottetempo scandaglia il dramma di chi lascia la propria terra per emigrare all’estero come badante

 

La lettrice di Čechov è il primo romanzo di Giulia Corsalini pubblicato da Nottetempo nel 2018 che ci porta a scandagliare il dramma individuale delle donne dell’est europeo costrette ad abbandonare la propria terra e gli affetti per emigrare all’estero per lavorare come badante.

Nina è una quarantenne ucraina, laureata in letteratura che lascia Kiev, sua figlia Kàtja e il marito malato per permettere alla figlia di studiare all’università e al marito di essere curato.

Nina raggiunge Macerata per prendersi cura dell’anziana Mariangela portando con sé solo alcuni libri: La Bibbia, Tolstoj, Dostoevskij e Čechov.
Ed è proprio attraverso la lettura e la frequentazione della biblioteca nel suo unico giorno libero, che Nina inizia a valutare la possibilità di tornare a studiare, di darsi una nuova possibilità e ricominciare a vivere.

Ma il dolore per gli affetti che ha lasciato si rivelano sempre più forti e il distacco con la figlia una ferita che aumenta giorno dopo giorno fino a farle perdere ogni volontà di guardare avanti con ottimismo creando un parallelismo con il racconto Storia noiosa di Čechov dove il vecchio professore si ritrova alla fine della sua vita a analizzare dolorosamente il freddo distacco delle persone a lui care.

 

 

La lettrice di Čechov è narrato in prima persona permettendo al lettore di entrare nell’intimo di Nina e portandoci ad ascoltare la povertà di Kiev, il freddo intenso degli inverni nevosi, la semplicità di una vita povera ma sincera.

Un uso magistrale della punteggiatura e la bellezza della tripletta di aggettivi qualificati rende fluido e piacevole il ritmo del testo al punto che diventa impossibile non sentirsi Nina mentre passeggia la mattina presto con il marito, o non riuscire a percepire la luce che entra di traverso nella sala della biblioteca di Macerata, così come si sente tutto il dolore di Nina nel prendere atto di come il suo allontanarsi abbia lacerato i suoi affetti e di resi vani i successi lavorativi raggiunti.

 

«A quel tempo vivevamo, a Kiev, in via Anna Achmatova, nel distretto di Darnycja; abitavamo al sesto piano di un alto condominio dignitoso […] Dalle finestre, prive di tende e di serrande, coglievo ogni giorno tutte le variazioni del cielo.»

La scrittura di Corsalini è sussurrata e mai urlata e, il dolore di una donna che sacrifica tutto per amore, si trasforma in un leitmotiv sottile che pervade tutte le pagine senza mai graffiare, senza mai sgomitare come se quella scelta non fosse stata in effetti una scelta bensì l’unica strada possibile, un disegno più alto dettato dal fato e come tale debba essere seguito senza alcuna esitazione.

Se la cruda realtà di ciò che perdono lasciando affetti e patria è perentorio in tutto il romanzo, l’amore profondo per la letteratura di Nina appare come quella zattera capace di salvare se non il fisico almeno la mente degli esseri umani.




Silvia Celani e Andrea Camillo per il Maggio dei Libri a Pomezia

Il Club del Libro Pomezia dell’Associazione Mamme di Pomezia ha organizzato due presentazioni con autori del territorio in occasione del Maggio dei Libri, appuntamento annuale de Il Centro per il Libro e per la Lettura.
Venerdì 6 maggio ore 18:00 l’ospite è Silvia Celani con il suo ultimo libro Quello che si salva edito da Garzanti nel 2020.
L’evento si terrà presso lo splendido anfiteatro dell’Associazione Chiara e Francesco
Lungomare delle Sirene, a Torvajanica
Per partecipare inviare email di prenotazione a: eventi.associazioneaps@gmail.com
Sabato 7 maggio l’ore 18:00 ospite è Andrea Camillo con il romanzo La Chimica dell’attimo edito da  Ianieri a dicembre 2021.
L’evento, con il Patrocinio del Comune di Pomezia. si terrà presso Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento
Piazza Indipendenza 11/12 Pomezia
Per partecipare inviare email di prenotazione a: museocittadipomezia@comune.pomezia.rm.it
COMUNICATO STAMPA
Foto di Copertina Pixabay



Lei che non tocca mai terra di Andrea Donaera

Il secondo romanzo del giovane scrittore salentino pubblicato da NNEditore

 

Lei che non tocca mai terra è il secondo libro del giovane scrittore salentino pubblicato da NNEditore a settembre 2021, candidato per la LXXVI edizione del Premio Strega grazie alla presentazione di Daniele Mencarelli che in finale alle sue motivazioni dichiara «Il sud di Donaera è il sud di ogni mondo su questa terra, gotico e bestemmiante, dove tutti, a partire da Dio, si negano all’uomo che brama di essere salvato, da sé stesso e da tutti i falsi profeti. Donaera è un narratore lirico come pochi altri in circolazione e questo suo viaggio risplende di luce propria

Andrea Donaera ha scritto un romanzo corale dove le voci dei diversi personaggi si intersecano come in una ragnatela e sbattono, rimbalzano, si rialzano e ricadono senza soluzione di continuità.

All’apparenza sembra che la protagonista centrale del romanzo sia Miriam, l’adolescente dormiente in stato comatoso su di un letto dalle lenzuola candide attorno alla quale si alternano il padre, la madre, il fidanzato e l’amica del cuore che sono le coscienze di Lucio, Mara, Andrea e Gabry. Ma, in effetti, il vero attore di Lei che non tocca mai terra non sono loro, bensì il coma stesso, quello stato di impotenza, quel muro di incomunicabilità, quel deserto di non-futuro che attanaglia ogni personaggio, che incombe sulla città di Gallipoli, che struscia tra le fronde degli uliveti salentini, che oscura l’orizzonte del mare.

 

 

Generazioni che si alternano, si rinnovano, si incastrano a forza bloccati in pregiudizi atavici, in silenzi ventennali, in depressioni abissali, dove una donna/moglie/mamma resta seduta immobile sul lato del divano in cui per l’ultima volta si è seduto il marito, dove il senso di colpa per non aver notato le pene corporali auto inflitte dalla sorella conducono un’intera famiglia a non guardarsi più negli occhi, dove si preferisce credere al potere di esorcizzare il Male attraverso le preghiere di un santone dalla lunga barba bianca.

“Mia madre è malata di vuoto. Quando mio padre ha sparato è successo che il proiettile ha fatto molti buchi: uno è nell’anima di mia madre – un altro nella mia testa.”

Alcune scene sono descritte con una ritmica tribale, simile ad una taranta, dove il ripetersi degli aggettivi, l’alternarsi dei verbi, sembrano girare in tondo sempre più velocemente fino ad esplodere. Scene dove non è difficile percepire in sottofondo anche lo strusciare dei piedi sul pavimento del palcoscenico di uno spettacolo teatrale. Ebbene sì, questo ultimo lavoro di Andrea Donaera potrebbe benissimo essere trasportato su di un palcoscenico così da far vibrare ogni spettatore, non solo dalle parole, ma anche dei gesti teatrali degli attori. L’intero romanzo mi è intriso di un ritmico tarantismo, coinvolgente e primordiale.

Lei che non tocca mai terra è un grido di dolore abbarbicato a diversi livelli nella società in cui viviamo; un urlo desideroso di rompere quel muro, di scoperchiare quel silenzio, di dare finalmente un indirizzo ad un futuro che scorre, caspita se scorre, se solo si avesse la forza di estirpare la paura dagli esseri umani affinché tornino a guardarsi negli occhi per parlarsi tra loro.

Andrea o Andrea, bravo davvero!




Resto qui di Marco Balzano

Resto qui di Marco Balzano, pubblicato da Einaudi nel 2018, vincitore di numerosi premi e piazzatosi al secondo posto del Premio Strega.

Resto qui di Marco Balzano è un libro sulla resistenza nella sua accezione più ampia; resistenza alla guerra; resistenza alla persecuzione linguistica, etnica, culturale e morale avviata con l’italianizzazione nelle vallate del Sudtirolo; resistenza alla creazione della diga che sommergerà anche il paese di Curon; resistenza alla scomparsa della figlia.

La figura centrale del romanzo è Trina e si racconta della sua infanzia con le amiche di sempre Maja e Barbara, del periodo della scuola per diventare insegnante perché credeva «che il sapere più grande, specie per una donna, fossero le parole», dell’insegnamento clandestino, del suo amore per il marito Erich, della loro fuga sulle montagne in attesa della fine della guerra per rientrare al loro maso, alla loro vallata, alla loro terra.

Trina è una donna forte, determinata, coraggiosa “affamata di solitudine” che non recide mai i legami della sua vita, nonostante il tempo e le distanze, ma che deve fare i conti con la guerra, con la perdita e con la costruzione della diga che sommergerà tutto.

Non ti racconterò la tua assenza. Non ti dirò una sola parola sugli anni passati a cercarti, dei giorni sulla soglia a fissare la strada. […] Non ti dirò dei mesi in cui ciascuno di noi all’improvviso scappava, senza avvisare gli altri, e trovando la casa vuota pensava che prima o poi i boschi ci avrebbero inghiottito. Persi per sempre nell’insensato tentativo di riportarti qui, Dove non volevi stare.

Resto qui si basa su avvenimenti realmente accaduti romanzando una trama che riesce a mettere in primo piano le storie di chi ha vissuto la guerra nel quotidiano, facendo vivere al lettore quali devastazioni interiori e quali ferite creino un conflitto.

 

 

Spesso è necessario assumere un altra prospettiva per riuscire a comprendere scelte e non scelte e la scrittura di Marco Balzano riesce a mettere in luce la disperazione e i sentimenti di una piccola area territoriale incastrando benissimo le vicende personali con la tragedia della Seconda Guerra Mondiale.

Un romanzo da leggere e che, con l’attuale Guerra in Ucraina, diventa ancora più importate per ricordare e non dimenticare mai quali devastazioni comportano una guerra per gli uomini e le donne che la vivono sulla propria pelle, ovunque si trovino nel mondo.




L’altra figlia di Annie Ernaux

Romanzo breve della grande scrittrice francese contemporanea

 

L’altra figlia è un romanzo breve scritto da Annie Ernaux nel 2011 e pubblicato in Italia da L’Orma editore nel 2016 con la traduzione di Lorenzo Flabbi.

Come in tutta la produzione della Ernaux anche l’evento centrale de L’altra figlia ha origini da un episodio di vita vissuta e il testo è imperniato in una lettera scritta ad una sorella mai conosciuta se non casualmente all’età di dieci anni quando ascolta una conversazione di sua madre.

Così, per puro caso, la figura della sorella morta due anni prima della sua nascita, diventa l’interlocutrice di un dialogo serrato, sofferente e con profondi sensi di colpa. Ernaux dialoga con Ginette con la quale condivide gli stessi genitori sebbene in piani temporali diversi visto che la sorella li ha conosciuti ancora giovani e appena sposati e, soprattutto, liberi dal dolore della morte, mentre lei li ha vissuti dopo, con tutta la pesantezza della vita vissuta con un dolore nel cuore.

La grandezza della scrittura di Ernaux si conferma nella sua capacità di sintetizzare momenti di vita personale trasformandoli in una narrazione universale dove la nota autobiografica si innalza e diviene il mezzo attraverso il quale comunicare emozioni intime e senza tempo.

L’altra figlia è una lettera cruda, a volte spietata dove la scrittrice riesce a dichiarare che «sono venuta al mondo perché tu sei morta e ti ho sostituita» nel momento in cui realizza che i suoi genitori non avrebbero mai potuto permettersi di mantenere due figli. Non potremmo fare per due ciò che facciamo per una, implicando inevitabilmente che la sua nascita è avvenuta solo ed esclusivamente grazie alla morte della sorella e che la sua vita come quella della sorella Ginette vivranno sempre lontane e separate, senza incontrarsi mai.

«Questa lettera – è evidente – non è destinata a te, e tu non la leggerai. Saranno altri a riceverla, dei lettori, che mentre scrivo sono invisibili quanto lo sei tu. Eppure un residuo di pensiero magico dentro di me vorrebbe che, in maniera inconcepibile, analogica, questa lettera ti raggiungesse come la notizia della tua esistenza mi ha raggiunta una domenica d’estate, […], tramite un racconto di cui a mia volta non ero la destinataria

 

L’altra figlia è un romanzo breve che si legge in poche ore ma che scalfisce e impone riflessioni nel lettore per lungo tempo.