FUORI PORTA – IL ROMANZO  “LE STORIE NON VOLANO” DI ROBERTO CAMPAGNA APPRODA A ROCCAGORGA

 

 Il libro verrà presentato, nell’ambito del “Maggio dei Libri” organizzato dalla Compagnia dei Lepini, martedì 30 maggio, alle 18, nella Biblioteca comunale       

 

È il terzultimo appuntamento del “Maggio dei libri” organizzato dalla Compagnia dei Lepini.

Martedì 30 maggio, alle 18, presso la Biblioteca comunale di Roccagorga, sarà presentato il romanzo “Le storie non volano” di Roberto Campagna. Dopo i saluti di Carla Amici, sindaco di Roccagorga, e di Quirino Briganti, presidente della Compagnmia dei Lepini, interverranno Claudio Marrucci, poeta e scrittore, Chiara Mancini, scrittrice e blogger, e Antonio Veneziani poeta e saggista. Modererà l’incontro lo storico Alessandro Pucci; letture di Maria Borgese, attrice e danzatrice.

A detta di Briganti, questo romanzo “ci coinvolge dentro un’introspezione intimistica che tocca gli aspetti più reconditi dell’animo umano. La storia – continua –  si sviluppa in un continuo oscillare tra basso e alto, dove coesistono l’aridità dello spirito e la poetica della vita”.

IL ROMANZO

Il romanzo ha vinto il Premio speciale “Antica Pyrgos” per la poeticità della prosa.  Così come in altri suoi libri, Campagna, in “Le storie non volano” ricorre alla metanarrazione. In pratica, racconta fatti realmente accaduti mischiandoli con altri creati artatamente da lui stesso. Ciò per rendere gli stessi fatti accaduti più credibili e quelli inventati più veritieri.  Quattro i principali protagonisti del romanzo, che inizia nel 1985 e finisce nel 2010: tre maschi e una femmina. Nella narrazione si incrociano le vite di questi quattro personaggi, che sembrano determinati verso un destino già definito prima della loro nascita, che marchia indelebilmente la loro esistenza senza possibilità di riscatto. L’autore, attraverso efficaci flashback narrativi, ci mostra le loro personalità insieme alle debolezze e ai peculiari tratti caratteristici. Ne viene fuori un ritratto davvero originale nel contesto sociale e politico di un’antica comunità lepina, quella di Borgomanunzio. Fanno da sfondo le lotte politiche degli anni Ottanta, con strategie come quella del ‘compromesso storico’, che ebbe una forte ricaduta in una competizione elettorale di quegli anni. Le vite dei quattro protagonisti principali sono segnate dalla sfortuna atavica e le partite improbabili a briscola e tressette, che spesso non vedono né vinti né vincitori, sembrano sospese e sono la metafora delle loro stesse vite. Quello di Campagna  è un romanzo esistenzialista. Nelle sue pagine, oltre alla sfortuna, ci sono la depressione, la follia, il tradimento, la prostituzione, l’emarginazione, l’aborto e la morte. Ma anche l’amore, la solidarietà e la comprensione.

LA RASSEGNA

Tornando alla rassegna organizzata dalla Compagnia dei Lepini, il suo tema è “Il territorio si racconta”. “Gli scrittori, i libri e le letture – ha spiegato il presidente della Compagnia dei Lepini – sono i protagonisti assoluti delle presentazioni che spero possano contribuire a far conoscere la vivacità culturale ed editoriale presente sui Lepini. Il contributo di scrittori, amanti della letteratura e associazioni ha permesso di dare vita a un progetto che mette in rete la cultura in tutto il territorio. L’evento è stato possibile grazie alla sinergia con i Comuni e le biblioteche del territorio”. Direttore artistico della rassegna è lo scrittore Antonio Scarsella.




Le otto montagne, storia di una grande amicizia

Le otto montagne, tratto dall’omonimo romanzo, si è aggiudicato il premio come miglior film dell’anno ai David di Donatello 2023, insieme alla miglior sceneggiatura adattata, fotografia e suono.

Diretto dai registi svedesi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, narra la storia di una grande amicizia nata tra due bambini, Pietro e Bruno, che una volta uomini si allontanano dai propri padri e, tra le mille difficoltà della vita, finiscono sempre per tornare alla loro casa sulle montagne.

    

I due protagonisti sono stati interpretati da Luca Marinelli e Alessandro Borghi, due tra i migliori attori del cinema italiano e cari amici da diversi anni anche nella vita reale. Borghi ha infatti dichiarato che lui e Luca, come i loro personaggi, sono due persone diverse che cercano di entrare uno nell’altro, senza aver bisogno di dirsi nulla.

In quanto alle montagne invece, le vere protagoniste, ci lasciano sbalorditi a ogni ripresa. Si tratta dei monti della Valle d’Aosta, in particolare della Val d’Ayas, la più soleggiata e quella con i panorami più belli. Grande proposta di turismo, già messa in atto la scorsa estate, è l’organizzazione di tour nei luoghi del film, accompagnati da guide naturalistiche e alpine.

Quello che però molti si chiedono è se effettivamente la storia di Pietro e Bruno sia vera. La realtà è che il personaggio di Pietro è l’alter ego di Paolo Cognetti, autore del romanzo, il quale dopo l’adolescenza ha abbandonato la montagna per poi tornarci verso i trent’anni, trasferendosi proprio in Valle d’Aosta. Il personaggio di Bruno è invece inventato, ma ispirato a tutte le persone del posto che lo scrittore aveva incontrato.

Il film è veramente commovente e la fotografia, dai colori sbiaditi, riflette al meglio l’animo dei protagonisti. Il tutto poi è contornato da un suono struggente che rimane scolpito in noi.

Insomma, le otto montagne merita sicuramente il tanto ambito premio, in quanto rappresenta l’aspetto più importante della vita di tutti noi: l’amicizia, quella che resiste al tempo.

Virginia Porcelli

 




I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni

Il più giovane vincitore del Premio Campiello

Vincitore della sessantesima edizione del Premio Campiello 2022, I miei stupidi intenti è il romanzo di esordio di Bernardo Zannoni edito dalla Sellerio Editore.

Il protagonista e voce narrante è Archy, una faina zoppa che sin dall’incipit ha ben chiaro cosa voglia dire essere un animale e dover affrontare le difficoltà della vita per sopravvivere.

«Mio padre morì perché era un ladro. Rubò per tre volte nei campi di Zò, e alla quarta l’uomo lo prese. Gli sparò nella pancia, gli strappò la gallina di bocca e poi lo legò a un palo del recinto come avvertimento. Lasciava la sua compagna con sei cuccioli sulla testa, in pieno inverno, con la neve»

E saranno proprio le difficoltà per la sopravvivenza a spingere la madre a scambiare il piccolo Archy per una gallina offrendolo ad un usuraio, la vecchia volpe Solomon presso il quale Archy proverà sulla pelle la paura, la solitudine, la tristezza ma imparerà anche il potere di saper leggere e scrivere, scoprirà Dio, la morte e si raffronterà con la propria coscienza.

Zannoni, utilizzando come espediente un’animale, conduce il lettore in un’analisi tra istinto e ragione con un risultato sorprendente, mai pesante e con dialoghi essenziali e efficaci

«Sa cos’è la morte, Archy?»
«È quando gli altri se ne vanno. Si addormentano per sempre»
«La morte è la prima volontà di Dio. […] E gli altri non c’entrano nulla, perché tocca a ciascuno di noi»

Sarà proprio la consapevolezza della morte che indurrà Archy a fare i conti con sé stesso e con il mondo che lo circonda; come animale non «mi era mai balenato in testa di poter morire. […] La morte aveva toccato chi mi circondava, mai me.» Un continuo raffronto con il mondo animale a cui appartiene e con la realtà dell’uomo verso il quale si sente sempre più vicino e simile.

La coscienza di Archy diventa l’altro protagonista in controluce, come una sottile velina che copre la storia. Archy si tortura per le proprie pulsioni che si scontrano con la ragione. Saranno la fame, il sesso e gli istinti animaleschi che si evolveranno sempre più verso una concezione umana.

 

 

I miei stupidi intenti è impostato come una fiaba ma si comprende sin da subito come voglia (e ci riesce benissimo!) trattare temi filosofici fondamentali come la religione, il senso della vita e, soprattutto, il significato della morte.

Un esordio letterario sorprendente vista la giovane età di Bernardo Zannoni. In una intervista ha dichiarato di aver iniziato il romanzo a soli 21 anni e se questi sono i risultati ottenuti non ci resta che congratularsi con lui e aspettare quale altra magia ci riserverà in futuro.

L’unica caduta di stile, a mio avviso, è stata la scelta del nome per la volpe: chiamarla con un nome ebraico, Salomon, e fargli interpretare il ruolo di usuraio mi sembra una mossa stereotipata.




MAENZA. PRESENTAZIONE DE “LE STORIE NON VOLANO”, ROMANZO DI ROBERTO CAMPAGNA

Organizzato dall’Associazione “La Macchia” di Sezze e dalla Compagnia dei Lepini , l’incontro si terrà sabato 24 settembre alle 18, presso il Castello Baronale      

 

È un romanzo esistenzialista. Nelle pagine de “Le storie non volano” di Roberto Campagna, oltre alla sfortuna, ci sono la depressione, la follia, il tradimento, la prostituzione, l’emarginazione, l’aborto e la morte. Ma anche l’amore, la solidarietà e la comprensione. In tali pagine, così riconoscibili nello stile, l’autore va oltre ciò a cui ha abituato i suoi lettori e lentamente, quasi senza rendersene conto, li spinge dentro i colori più cupi dell’animo umano, in un continuo oscillare tra basso e alto, aridità dello spirito e poetica della vita.

Verrà presentato nell’ambito della rassegna “Incontri letterari a castello”, sabato 24 settembre alle 18.00, a Maenza, nel Castello Baronale. L’incontro è organizzato dall’Associazione “La Macchia” di Sezze e dalla Compagnia dei Lepini.

Dopo i saluti di Claudio Sperduti e Dorina Risi rispettivamente sindaco e assessore alla cultura di Maenza, introdurrà l’incontro lo storico Alessandro Pucci. Interveranno Quirino Briganti, presidente della Compagnia dei Lepini, e il poeta Antonio Veneziani. Dialogherà con l’autore lo storico Nino Cardone, mentre Maria Borgese, attrice e danzatrice, leggerà alcune pagine del romanzo.  Romanzo che ha vinto il Premio speciale “Antica Pyrgos” per la poeticità della prosa.

Così come in altri suoi libri, Campagna, in questo romanzo  (edizionicroce, pagg. 160, euro 15.00) ricorre alla metanarrazione. In pratica, racconta fatti realmente accaduti mischiandoli con altri creati artatamente da lui stesso. Ciò per rendere gli stessi fatti accaduti più credibili e quelli inventati più veritieri.

Quattro i principali protagonisti del racconto, che inizia nel 1985 e finisce nel 2010: tre maschi e una femmina. Più che amici, sono compagni di gioco a carte. Le loro vite sono segnate dalla sfiga e le partite interminabili a briscola e tressette, che spesso non vedono né vinti né vincitori, sono la metafora delle loro stesse vite. Nel quadro narrativo, a fare in qualche modo da cornice, ci sono altre partite: gli scontri elettorali di Borgomanuzio. È qui, in questo borgo medievale, che è incentrato il romanzo.

“L’idea iniziale – afferma l’autore – era quella di raccontare questi scontri elettorali, in particolare quello del rinnovo del Consiglio comunale dell’85, quando avvenne un incomprensibile ‘compromesso storico casereccio’. Ma rendendomi conto che, al di là delle lotte di partito, delle fazioni facinorose e dei tentativi di alleanze, il racconto sarebbe stato, oltre che striminzito, troppo asettico, pieno di numeri, liste e nomi, ho inventato le storie di questi quattro sfortunati personaggi. Quella degli scontri politici, dei canditati, dei rapporti fra i partiti, dei risultati elettorali e degli amministratori locali è diventata così la parte secondaria e storica del libro, a tratti romanzata”.

Ne “Le storie non volano” non è prevista redenzione per coloro che ne popolano il racconto. Le vite dei personaggi principali sembrano marchiate da un fato ineluttabile, pronto a stroncare sul nascere ogni velleità di riscatto o di fuga. I quattro amici seguiranno il destino che per loro è stato tracciato, vittime di una tragica catena di cause ed effetti, iniziata prima della loro nascita. Ognuno di loro ha lo stigma del perdente e tali li si considererebbe, se l’autore, attraverso emozionanti flashback, non ce li mostrasse in tutta la loro purezza di angeli caduti. In questo romanzo, per la prima volta, le parole, le frasi, le volute ripetizioni, che Campagna solitamente utilizza nei suoi scritti per costringere il lettore sul sentiero da lui mirabilmente tracciato, si trasformano in messaggio metalinguistico che travalica la razionalità.

 

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La composizione del grigio di Sara Notaristefano

«Pertanto solo nel grigio coesistono la presenza di tutti i colori e loro assenza, la realizzazione dei colori e la loro perdita, la nascita e la morte.»

La composizione del grigio è un romanzo di formazione di Sara Notaristefano pubblicato per la casa editrice Divergenze ad aprile 2021.

Tutti i protagonisti del romanzo non hanno un nome proprio ma sono semplicemente la mamma, il papà, la zia, la nonna così come la protagonista, la voce narrante, che racconta la sua storia in prima persona iniziando dalla sua infanzia fino a diventare adulta e da figlia divenire anch’essa madre.

Il nucleo centrale della storia è racchiuso nei difficili rapporti famigliari quando, oltre al classico trio padre/madre/figlia, si aggiunge la pesante presenza del “male oscuro” di cui è affetta la madre e le relative conseguenze soprattutto quando questa non viene considerata dal padre come una reale malattia bensì come una mancanza di volontà «Riteneva la malattia della moglie una fissazione, un masochistico puntiglio, un amore malato, e considerava gli psicofarmaci dei placebo»

Se da un lato la trama del romanzo sembra seguire un iter quasi scontato, come l’inesistente dialogo con la madre, un tenero affetto nei riguardi del padre sebbene burbero e all’antica, il desiderio di studiare lontano da casa pur di allontanarsi, l’incontro con un uomo, il successo lavorativo e infine il matrimonio e la maternità, dall’altro la bravura di Sara Notaristefano nello stile stilistico adottato, ci permette di seguire l’autoanalisi, le sofferenze e lo sviluppo emotivo conquistato della protagonista senza cadere nel già visto e già letto.

Procedendo nella lettura del romanzo, si percepisce l’innalzamento di un vero e proprio muro che la protagonista crea per difendersi dalla paura di amare, per la difficoltà di esprimere i sentimenti, come quando inizia a vivere «come studentessa fuori sede in un’amena cittadina di montagna molto distante dalla mia città natale: più chilometri avessi messo tra me e quest’ultima, più chances avrei avuto di rifarmi una vita» dove le montagne con le quali si circonda sembrano rappresentare le barriere che prova nel relazionarsi con la madre e, successivamente, con la propria figlia fino a realizzare come per entrambe sia stato difficile pronunciare la parola mamma, la parola d’amore per antonomasia.

Sara Notaristefano è davvero abile nel far percepire la distanza che la protagonista crea con tutto ciò che la circonda e che la soffoca. L’essere così algida, così distaccata nella scelte dei dialoghi, nell’uso degli aggettivi e nel ritmo narrativo usato riescono a calare il lettore nel disagio e nella freddezza che vive la protagonista stessa.

 

 

La depressione, come dichiara la nonna […] non è contagiosa? eppure le conseguenze e i disagi si ripercuotono su tutta la famiglia con esiti spesso devastanti e determinanti per le scelte future e Sara Notaristefano riesce ad affrontare con maestria il non facile solco tracciato dalla depressione.

E poi ci sono i colori! I colori che sembrano ricoprire la storia come una carta velina posta al di sopra e che si sbriciola e si sfuma a mano a mano che si giunge alla conclusione del romanzo. I colori sono parte integrante della trama e non solo il vezzo con il quale intitolare i capitoli: la prima parte con il bianco, il giallo, il rosso, il ciano; la seconda viene intitolata al nero, e infine si arriva al grigio.

«Non ha luminosità il nero. Assorbe la luce, la divora, la fagocita e non ne restituisce alcun raggio. È il colore più avido che ci sia, l’esasperazione egoistica del grigio quanto il bianco ne è quella altruistica.»

Come in un percorso di nascita e rinascita, la protagonista attraverserà le diverse fasi della sua vita con i diversi colori fino alla consapevolezza del grande valore del grigio, il colore della pienezza, perché in fondo è sempre nell’insieme di tutte le verità che si raggiunge la piena serenità del sapere vivere e convivere con sé stessi e con gli altri.




L’estate che sciolse ogni cosa di Tiffany McDaniel

Esordio letterario e best seller edito in Italia da Atlantide Edizioni

 

L’estate che sciolse ogni cosa è il romanzo di esordio di Tiffany McDaniel uscito negli Stati Uniti nel 2016 e diventato in breve un best seller. In Italia è arrivato nel 2017 grazie alla casa editrice Atlantide Edizioni con la traduzione di Lucia Olivieri.

La voce narrante è quella dell’ottantaquattrenne Fielding Bliss che racconta la caldissima estate del 1984 quando aveva solo tredici anni e suo padre, il giudice Autopsy Bliss, pubblica sul giornale locale un’invito particolare:

Egregio Satana, Diavolo chiarissimo, esimio Lucifero e tutte le altre croci che siete costretto a sopportare, vi invito cordialmente a Breathed, in Ohio. Terra di colline e di balle di fieno, di peccatori e di uomini capaci di perdonare. Che possiate venire in pace.

E il diavolo si presenta davvero sotto le sembianze di un ragazzino nero, Sal (dalle iniziali di Satana e Lucifero) con indosso una logora tuta di jeans, e con gli occhi di un verde intenso come a ricordare il paradiso.

Il caldo arrivò insieme al diavolo. […] C’era da aspettarselo che arrivassero insieme. Dopo tutto, il caldo non è forse il volto del diavolo? E a chi è mai capitato di uscire di casa senza portarselo dietro?

Nel corso di quella torrida estate nasce e si consolida l’intensa amicizia tra Bliss e Sal che li porterà a vivere sulla propria pelle il male che si annida sia nella società statunitense che nella piccola comunità di Breathed. Saranno i comportamenti dei vicini di casa, dei compagni di scuola, dei semplici conoscenti a far emergere temi come il razzismo, il dramma dell’AIDS e il tabù dell’omosessualità.

Argomenti che restano avvinghiati al pensiero di tanti e che ne determinano i comportamenti, le discrepanze e le divergenze fino ad arrivare a trasformare persone che sembrano essere per bene in catalizzatori e portatori di male.

 

 

La scrittura di McDaniele è coraggiosa, conturbante e spietata e i dialoghi sono diretti e le domande che Bliss pone a Sal conducono piano piano il lettore a chiarire come in ciascuno di noi viva e conviva sia il male che il bene.

«Pensavo, se tu sei il diavolo, hai incontrato Dio. Com’è?» […] Sal si sollevò su un gomito e mi chiese di raccontargli di un giorno in cui mi ero sentito amato.»

Tiffany McDaniel ha creato un intenso romanzo di fiction letteraria toccando temi non semplici ma riuscendo a estrapolarli per renderli accessibili, possibili quasi avvicinabili. Il male esiste nella stessa misura in cui esiste il bene e noi umani possiamo solo imparare a conviverci equilibrando e dosando i due pesi. Il nostro pensiero e le nostre azioni hanno bisogno di controllo perché raccolgono in sé sia il male che il bene e le conseguenze segnano per sempre sia noi che chi ci vive accanto.

Se dovessi trovare un difetto in L’estate che sciolse ogni cosa, sicuramente direi l’uso eccessivo e ridondante di metafore ma è una piccola cosa davanti ad un romanzo ben strutturato, con argomenti riflessivi importanti e con una trama assolutamente non banale.

«Perché quei lacci sono ogni cosa, e quando ogni cosa rimane slacciata, si finisce per inciampare anche se si va in giro scalzi»




Di seconda mano di Chris Offutt

Raccolta di racconti editi da Minimum Fax

 

Di seconda mano è una raccolta di racconti dello scrittore americano contemporaneo Chris Offutt pubblicato dalla casa editrice romana Minimum Fax e uscito a luglio 2022 con la traduzione di Roberto Serrai.

Leggere racconti è un po’ come sedersi ad un tavolino di un bar e ascoltare di nascosto le chiacchiere dei vicini. Non arriverà l’intera storia ma solo uno stralcio. Non si conosceranno le vicissitudine prima e dopo quell’intervallo di tempo in cui si ha avuto modo di ascoltare e spesso non si saprà neanche come andrà a finire ed è proprio questo il fascino del racconto: riportare una storia succinta, incisiva, determinante senza entrare troppo nelle descrizioni, lasciando al lettore ampia possibilità di immaginare.

Di seconda mano raccoglie storie intime di solitudine, disagi e povertà dove non si trovano gli Stati Uniti stereotipati del sogno americano bensì quella degli ultimi, dei dimenticati, di coloro che non fanno notizia, in poche parole quelli di seconda mano, di coloro che fanno fatica ad andare avanti, coloro che non hanno più santi ai quali rivolgersi, coloro che si adattano e sopravvivono.

Chris Offutt ha una penna che non lascia spazio a alternative e i suoi personaggi sono pieni, tondi, indimenticabili.

 

 

Come la protagonista del primo racconto che dà il titolo al libro che impegna la cosa più preziosa che ha, un paio di stivali di pelle di struzzo, per regalare una bicicletta alla figlia del suo compagno per conquistarne la fiducia. Si può permettere solo un oggetto usato, da acquistare in un luogo dove «Ogni cosa, lì dentro, è appartenuta a gente al capolinea, e la loro disperazione la senti nell’aria» esattamente come lei che dichiara «I miei vestiti hanno già coperto il corpo di un altro. Anche il mio ragazzo prima era sposato» però è capace di rinunciare ai propri amati stivali perché «le mani di una bambina che tremano di gioia sono lo spettacolo più bello che abbia mai visto».

Chris Offutt ha un stile pungente e diretto che si intrufola nelle pagine senza inutili fronzoli per schermarsi nella mente del lettore togliendo il fiato perché sono personaggi sofferenti, soli e malmenati dal destino ma sono soprattutto persone reali, vere, concrete e sincere.

Il bello dei racconti è che non c’è bisogno di terminare il libro per fermarsi a riflettere; bastano poche pagine, anche sotto l’ombrellone, in riva ad un fiume o in cima ad una montagna, per leggere una storia e poi fermarsi a riflettere come Darla, la protagonista del terzo racconto che «si sdraiò nel letto basso del torrente, allargò le braccia e lasciò andare l’anello [fede nuziale]. L’acqua fredda le scorse sul volto, mescolandosi alle lacrime, e le sembrò che il torrente, adesso, sgorgasse dai suoi occhi

Non bastano questi brevi stralci per innamorarsi della scrittura di Offutt?




Spazio Sette Libreria apre nel centro storico di Roma

Nello storico palazzo Cavallerini Lazzaroni a due passi da Largo Argentina

 

 

A Roma, nei pressi di Largo Argentina, esattamente in via Barbieri 7, nello storico palazzo barocco Cavallerini Lazzaroni, ha aperto i battenti una nuova libreria grazie all’entusiasmo di cinque giovani sognatori, Davide, Irene, Piero, Paola e Daniele e alla rete di librerie in franchising Ubik.

Per il nome hanno preferito lasciare quello del prestigioso negozio di design che per oltre 30 anni è stata una vetrina importante di design contemporaneo sia italiano che internazionale, quindi, ecco a voi Spazio Sette Libreria, tre piani espositivi che avvolgono, abbracciano e accolgono ogni lettore e curioso per lasciarlo senza fiato.

Per gli appassionati della lettura il libro non è soltanto la porta per esplorare mondi sconosciuti ma anche un oggetto bello da accarezzare, annusare e ammirare. Tantissime sono le manie dei lettori e altrettante sono le caratteristiche che si cercano in una libreria come, per esempio, la bellezza di trovarli divisi per casa editrice e non solo per autore, oppure l’idea favolosa di creare delle sezioni dove si possono cercare nuovi autori perché divisi per aree geografiche.

Spazio Sette Libreria ha pensato anche a questo, creando una sezione dove cercare nuovi autori da leggere suddivisi in Narrativa Africana, Asiatica, Sudamericana e Israeliana (e sono certa che ne nasceranno presto anche altre!).

 

Narrativa suddivisa in aree geografiche

 

E cosa dire della ricca e invitante sezione tutta dedicata alla casa editrice Iperborea specializzata in letteratura del Nord Europa con i libri riconoscibili non solo per le bellissime copertine colorate ma anche per l’insolito formato.

 

Una sezione dedicata ai libri di Iperborea

 

Ampio spazio alle piccole case editrici indipendenti e accanto alla cassa non potevano mancare i primi quattro volumi della neo casa editrice di racconti, Tetra Edizioni.

La libreria si sviluppa su tre piani e grandi spazi sono già predisposti per l’organizzazione di presentazioni, reading e eventuali corsi e seguendo la loro pagina Facebook o iscrivendosi alla loro mailing list, è possibile restare in contatto evitando di perdersi eventuali chicche.

 

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Personalmente non ce l’ho fatta a uscire senza acquistare un libro. La scelta era vastissima. Mi sono divertita a fotografare Il giovane Holden sul grande camino in pietra ma avendolo già letto, ho optato per Un lutto insolito di Yewande Omotoso, scrittrice nata alle Barbados, trasferitasi da piccola in Nigeria e infine in Sudafrica,  edito dalla casa editrice romana 66tha2nd.

 

 




Atti di sottomissione di Megan Nolan

Grande successo internazionale per la scrittrice irlandese pubblicato in Italia dalla NNEditore

 

Atti di sottomissione è il romanzo di esordio della scrittrice irlandese Megan Nolan pubblicato dalla NNEditore nel settembre 2021 inserito nella neo collana Le fuggitive, con la traduzione di Tiziana Lo Porto.

Atti di sottomissione è un viaggio di legami, dipendenze, consapevolezza  e liberazione della protagonista femminile dal momento in cui, nel corso di un vernissage, si innamorata di un avvenente critico d’arte, Ciaran.

«… non era solo incredibilmente bello, il suo corpo irradiava anche un’immensa tranquillità. […] Lui non cercava nulla di ciò che aveva intorno. […] E anche se non sembrava particolarmente felice, appariva senza dubbio integro, come se contenesse tutto il suo mondo dentro di sé.»

Prima di incontrare Ciarana, lei vive in modo affamato il presente, perdendosi nell’eccesso di alcol, di cibo, di droghe e di sesso e diventa quasi automatico idealizzare la nuova relazione come la panacea di tutti i problemi confondendo l’aridità dei sentimenti di lui per una mera forma caratteriale, accettando di isolarsi dagli amici,  rinunciando ad uscire da sola, preferendo le condizioni imposte dal nuovo compagno piuttosto che guardarsi dentro e accettarsi.

 

 

Così la relazione che pare iniziare sotto i migliori auspici si rivela sempre più ostica, tossica e degradante fino ad arrivare a momenti di violenza.

La grandezza di Megan Nolan è da ricercare nella sua tecnica stilistica che permette al lettore di indossare realmente i panni della protagonista e di sentire con fermezza l’insoddisfazione, l’insicurezza, l’esigenza di sentirsi amata e accettata dagli altri per la sua paura della solitudine.

«Pensavo che una vita così – pulita, gentile e di nobili sentimenti – mi avrebbe garantito ciò che volevo veramente, ovvero conquistare più gente possibile, le loro attenzioni, il loro desiderio, la loro curiosità.»

Un viaggio doloroso ma allo stesso tempo salvifico perché è come la nascita di una donna, di una nuova donna che elimina a colpi di piccone le sue paure, convivendoci e prendendo in mano le redini della propria vita, smettendo di pensare che «l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei più avuto bisogno di bere, mangiare, tagliarmi o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio.»

Megan Nolan è una voce dirompente nel panorama letterario europeo e questo suo esordio raccoglie le insidie, le paure e il mal di vivere delle nuove generazioni dei Millennial riportando tutte le voci dell’essere giovani.




La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato

La figlia femmina è il sorprendente esordio letterario della scrittrice catanese Anna Giurickovic Dato pubblicato dalla Fazi Editore nel 2017 e tradotto in cinque paesi tra cui Francia, Germania e Spagna ottenendo un successo di critica e di pubblico.

È la storia di Maria, la figlia e dei suoi genitori, Silvia e Giorgio con un segreto inconfessabile che scivola tra le loro vite segnandole in modo indelebile.

Paragonato ad una versione moderna di Lolita di Nabokov, la trama assume un sfumatura più sottile vista la scelta di dare la voce a Silvia, la madre. È lei che racconta, o forse è meglio dire che sussurra, la storia quasi fosse accaduta da un’altra parte, quasi non facesse parte di lei, quasi non la toccasse.

 

 

La trama del romanzo ha due piani temporali, una parte si svolge in Marocco a Rabat dove Giorgio è un diplomatico e la seconda parte a Roma dopo che un ulteriore evento drammatico sconvolge la vita della famiglia.

L’autrice, fin dalle prime pagine, rivela al lettore il rapporto incestuoso tra la piccola Maria e Giorgio ma è con l’evolversi della trama che riesce, con maestria e delicatezza, a evidenziare i drammi psicologici di tutti e tre i personaggi dando loro, di volta in volta, sia il ruolo della vittima che del carnefice.

«Dio almeno mi crede»
«Tutti ti crediamo»
«Tu non mi crederesti mai»
«A cosa non dovrei credere, Maria?»
«Che io sono il diavolo»
«Tu sei un angioletto, sei una bimba»
«Non è vero. Io il diavolo ce l’ho qua. […] Ma non lo so chi ce l’ha messo, ci sono nata così»

La figlia femmina è un libro duro, spietato, un vero pugno nello stomaco e l’abilità di Anna Giurickovic Dato è nell’essere riuscita a caratterizzare e scandagliare ciascun personaggio tenendo il lettore avvinghiato alla trama.

Giorgio è il cattivo? Forse, eppure parla con amore alla moglie «Sei la parte più importante della mia vita. Se qualche volta sono freddo o sono sgarbato è perché sento che mi sei indispensabile e questo mi fa paura. Provo a tenerti lontana, ma più ti allontano più mi sei vicina e il tuo grande amore per me è un laccio che non si slega»

Silvia è la cattiva? Forse è nella solitudine che si materializza il suo errore sebbene nella successiva consapevolezza si intravede uno spiraglio di salvezza «Vorrei poter dare la colpa a qualcuno, essere giovane e bella, aver tutto da imparare e non aver sbagliato ancora nulla»

La figlia femmina non lascia indifferenti per la capacità di trattare argomenti difficili che spesso si nascondono come tabù, per il ritmo narrativo non privo di grandi colpi di scena, per i dialoghi equilibrati e le ambientazioni perfette.

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Per chi volesse leggere anche altro di Anna Giurickovic Dato, nel 2020, sempre per la Fazi Editore, è stato pubblicato Il grande me.




Il cane di Falcone di Dario Levantino

Un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano

 

Il cane di Falcone di Dario Levantino è il quarto romanzo dello scrittore palermitano edito dalla Fazi Editore, con la prefazione di Maria Falcone, uscito in tutte le librerie nell’aprile del 2022 e già in ristampa.

Il romanzo è la storia di un’amicizia speciale tra un cane randagio e il magistrato palermitano e la trama prende spunto da un reale fatto di cronaca: la morte del cane randagio Uccio.
Non si sa da dove venisse ma, un giorno il cane arrivò e decise che la sua nuova dimora sarebbe stato il tappeto erboso ai piedi della statua di bronzo di Falcone e Borsellino eretta in loro onore, nel cortile del Palazzo di Giustizia di Palermo.

Questa notizia colpì la mente di Dario Levantino soprattutto perché, con il suo quotidiano contatto con gli studenti nel liceo di Monza dove insegna lettere, era nata in lui l’esigenza di spiegare la mafia in modo semplice e più facile. Nasce, quindi, come un testo per ragazzi ma, in realtà, Il cane di Falcone è un libro che oltrepassa l’età per arrivare al cuore del lettore.

 

 

Una caratteristica singolare e determinante del romanzo è quella della voce narrante visto che è proprio il cane Uccio a raccontare in prima persona la sua vita e il suo incontro con Giovanni Falcone e questo insolito punto di vista permette di scandagliare e mettere in risalto i tormenti, la solitudine e la bontà dei protagonisti.

Il cane di Falcone si completa con una struttura narrativa specchiata dove l’amico a quattro zampe e il magistrato si ritrovano a vivere le stesse solitudini e a soffrire per gli stessi stati d’animo.

Uccio risponde al magistrato ogni volta che Falcone gli pone delle domande, ma è inutile perché l‘uomo non è in grado di capire, di ascoltare, esattamente come diversi figure a livello politico e giudiziario non sono stati in grado di comprendere e capire le parole di Falone.

Uccio si vede costretto a rinunciare alla sua storia d’amore e soffre in silenzio la sua mancanza di paternità e probabilmente è stato un cruccio silenzioso anche per il magistrato che non ha mai avuto figli (e forse non ha voluto) per non mettere a rischio la loro vita.

Uccio ha il dono di intuire l’imminenza di attentati nella città proprio come Falcone con il suo naturale intuito di comprendere la mentalità mafiosa e riuscire a conquistare la loro fiducia durante gli interrogatori.

Il cane di Falcone è un piccolo gioiello, scritto con fantasia (i cani, si sa non parlano e tantomeno possono scrivere un libro) e che si arricchisce di un filo narrativo avvincente e coinvolgente perché animato da un profondo amore che Dario Levantino ha per la città di Palermo, per la figura del magistrato Giovanni Falcone e dal profondo desiderio di parlare di una grande piaga che dilaga senza sosta nella società e che ha sempre più bisogno di qualcuno che ne parli per non finire del dimenticatoio.

«Guardavo Palermo da una prospettiva diversa e prendevo coscienza di tutti i limiti dei miei filtri. Dal basso era una città poetica e mostruosa, dall’alto prodigiosa e idilliaca; dal basso era sofisticata e inospitale, dall’alto confortevole e schietta; dal basso era vorticosa e sinuosa; dall’alto lineare e mite.»




Quando tutto è detto di Anne Griffin

Il primo romanzo della scrittrice irlandese edito da Atlantide Edizioni

 

Quando tutto è detto, è il primo romanzo della scrittrice irlandese Anne Griffin edito dalla casa editrice Atlantide Edizioni nel 2020 con la traduzione di Bianca Rita Cataldi.

«Sono qui per ricordare: tutto ciò che sono stato e tutto ciò che non sarò mai più.»

La storia è semplice ma è lo stile della Griffin nel raccontarla a trasformare il romanzo in un testo delicato, magistrale e a tratti poetico tanto che il romanzo ha ottenuto un grandissimo successo in Irlanda ed è in corso di traduzione in 16 lingue straniere.

Maurice Hannigan è un uomo anziano di ottantaquattro anni che inizia a raccontare la propria vita seduto al bancone del bar del Rainsford House Hotel brindando a cinque diverse persone che sono state fondamentali per la sua vita: Tony, Molly, Noreen, Kevin, Sadie

Cinque brindisi, cinque personaggi, cinque bevute diverse tra whisky e birra, per raccontare al proprio unico figlio, Kevin, e a sé stesso i punti salienti, le verità nascoste, le difficoltà ma anche le soddisfazioni ottenute nel corso della sua vita e che fanno di lui l’uomo posato, garbato e possidente sebbene sia nato povero, anzi poverissimo, contadino e analfabeta.

La penna stilistica di Griffin è abilissima nel caratterizzare perfettamente il personaggio di Maurice permeando la trama con la classica cultura irlandese, ricca di figure trascendenti, che superano il confine tra la vita e la morte e regalandoci pagine ricamate tra magia e realtà e trasformando Maurice in un personaggio indimenticabile.

Incantevole il personaggio del fratello più grande, Tony, morto giovanissimo, ma sempre al fianco del protagonista con il suo costante ruolo di figura di riferimento “un uomo che mi ha formato, guidato, che ha badato a me e, soprattutto, che mi ha insegnato a non arrendermi mai.“

Intenso e solido il legame che ha con la moglie, Sadie, un amore verso il quale non ha dimostrato davvero tutto ciò che provava ma che ne riconosce l’intensità quando resta da solo, perché “nessuno conosce davvero la perdita finché non si tratta di qualcuno che ami di quell’amore profondo che ti tiene insieme le ossa e che scava a fondo fin sotto le unghie, difficile da scalfire come anni e anni di terra compatta”.

Superbo il modo in cui si relazione con il figlio Kevin, per amore del quale, impara a leggere attraverso gli articoli che il giovane pubblica dal momento che diventa un giornalista importante oltreoceano e al quale riesce a dichiarare “mi dispiace essere stato il padre che sono stato. So, davvero lo so, che avrei potuto essere migliore. Che avrei potuto ascoltare di più, e accettare te e tutto ciò che sei diventato con più benevolenza.”

A legare tutta la trama di questo bellissimo romanzo c’è il segreto celato dietro una moneta d’oro con l’effige di Edoardo VIII del 1936, un mistero che attraverserà e scombussolerà i destini di due famiglie e farà tenere il fiato sospeso ai lettori.

Quando tutto è detto è arrivato a me attraverso le parole e la commozione dell’editor della casa editrice Atlantide al Salone del Libro di Torino a maggio scorso. Mentre lui me ne parlava aveva uno strano luccichio negli occhi, una voce tremolante e una mimica facciale che lasciava trasparire una profonda e intima gioia contagiosa. Non mi stava proponendo semplicemente un romanzo da leggere, sembrava piuttosto mi pregasse di ascoltare una storia che mi avrebbe riempita e appagata. Ed è stato così per me.

Ed è quella la luce che mi auguro possiate provare lasciandovi coinvolgere nella vita di Maurice in Quando tutto è detto.