L’arte classica: l’eterno splendore dell’antichità

Nel vasto panorama dell’arte antica, l’arte classica greca e romana occupa un posto di rilievo.
Queste due civiltà hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità, plasmando l’estetica,
il pensiero e l’evoluzione delle arti visive.

In questo articolo, esploreremo l’arte classica greca e romana, ammirando alcune delle opere più significative che testimoniano la maestria e la grandezza di questi periodi straordinari.

Esempi di arte classica in Grecia

L’arte classica greca rappresenta un momento di eccellenza artistica, caratterizzato dall’equilibrio tra forma e significato. Gli antichi greci cercavano di rappresentare la bellezza ideale e l’armonia dell’universo attraverso le loro opere.

Un esempio paradigmatico di questa estetica è la statua di “La Venere di Milo”.
Questa scultura in marmo, databile al II secolo a.C., incarna l’elevazione del corpo umano alla perfezione divina.

L’opera rappresenta la dea dell’amore e della bellezza, con i suoi lineamenti delicati e l’andamento sinuoso delle sue forme.
La Venere di Milo è un simbolo eterno dell’estetica greca, che ancora oggi continua ad affascinare gli spettatori.

Un altro esempio di una statua greca classica è il “Discobolo” di Mirone.
Questa scultura, risalente al V secolo a.C., raffigura un atleta in posizione di lancio del disco.

La figura è immortalata nel momento di massima tensione muscolare, con il corpo che si contorce in una composizione dinamica.
Il Discobolo cattura l’essenza dell’atletismo greco e la perfezione fisica, rappresentando la potenza e la bellezza del corpo umano in un equilibrio perfetto.

Ed infine, un opera classica non di scultura, bensì di architettura, è il Partenone, un tempio dedicato ad Atena Parthenos situato nell’Acropoli di Atene.

Questo straordinario edificio, progettato da Fidia nel V secolo a.C., è una testimonianza dell’architettura dorica greca.
Il Partenone si distingue per la sua precisione matematica e la perfezione delle proporzioni.

Ogni dettaglio, dal colonnato alle sculture dei metopi e dei fregi, rappresenta l’ideale estetico degli antichi greci. Questo monumento imponente celebra il connubio tra l’arte e la religione, incarnando la grandezza della civiltà greca.

L’arte classica a Roma

La civiltà romana ereditò molti elementi dall’arte greca e li trasformò, creando un linguaggio artistico unico.
L’arte classica romana si distingue per la sua natura pratica e celebrativa, con un’enfasi sul realismo e la rappresentazione di personaggi storici e mitologici.

Un esempio notevole di questa sintesi tra tradizione greca e influssi romani è la statua dell'”Augusto di Prima Porta”.
Questa scultura raffigura l’imperatore Augusto, il primo imperatore di Roma, in posa maestosa e trionfante.

L’opera combina elementi della tradizione greca, come il contrapposto, con l’iconografia romana, come il pettorale decorato e la presenza di simboli di potere.
L'”Augusto di Prima Porta” rappresenta il connubio tra la grandezza dell’arte greca e la potenza dell’impero romano.

Le statue romane classiche non si limitano solo a rappresentazioni imperiali, ma comprendono anche ritratti di cittadini romani e opere mitologiche.

Questo ritratto mostra un altissimo grado di realismo, con i dettagli accurati delle rughe e delle espressioni facciali.
Le statue romane classiche mitologiche includono anche figure come Venere, Marte, Apollo e molte altre divinità romane.

Sempre in ambito architettonico, però, c’è sicuramente bisogno di menzionare il Pantheon.

Il Pantheon è uno dei monumenti più iconici di Roma e un capolavoro dell’architettura romana.
Costruito nel II secolo d.C. dall’imperatore Adriano, il Pantheon si distingue per la sua struttura rotonda sormontata da una cupola emisferica.

L’interno del Pantheon è sorprendente, con un’enorme apertura centrale chiamata oculus che permette la luce naturale di filtrare all’interno.
La cupola, considerata un’opera ingegneristica innovativa per l’epoca, è ancora oggi la più grande cupola in cemento non rinforzato mai costruita.

Il Pantheon è stato originariamente dedicato a tutti gli dei dell’antica Roma ed è rimasto un simbolo dell’architettura romana e della grandezza dell’Impero romano.

 




L’Antigone di Sofocle

Sofocle, drammaturgo greco del V secolo a.C. di cui abbiamo già parlato in precedenza, trattando approfonditamente il suo capolavoro Edipo Re, è autore di altre numerose opere di grande successo.

Oggi parleremo insieme dell’Antigone, la quale fa parte insieme all’Edipo re e l’Edipo a Colono del Ciclo tebano, incentrato sulle vicende di Edipo e della sua dinastia.

A differenza dell’Edipo Re la cui data di composizione è sconosciuta, dell’Antigone si conosce la data della prima rappresentazione: il 442 a.C., ad Atene, durante le Grandi Dionisie.

Antigone è figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle, Polinice ed Ismene.
Quest’opera si pone in diretta continuità con l’Edipo Re; inizia perciò con la sua fine.

Edipo, cacciato da Tebe dopo aver scoperto di esser stato l’assassino di suo padre e di aver sposato la sua stessa madre, si cieca gli occhi e si esilia dalla città di cui è stato re.

I suoi quattro figli, dunque, avrebbero dovuto succedere il padre alla reggenza della città.

Tuttavia, Eteocle, il primo a ricoprire la carica di re, abusa del suo potere bandendo dalla città il fratello Polinice.
Quest’ultimo decide, perciò, di fare guerra al fratello.

Questo tema – la guerra tra Polinice e Eteocle – è il fulcro di un’altra famosissima tragedia, I Sette contro Tebe di Eschilo.

La guerra, però, non finisce bene per nessuno dei due fratelli: Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda.
Qui interviene lo zio Creonte, il quale decide che solo Eteocle può esser seppellito, poiché Polinice è divenuto un traditore della patria muovendo guerra al fratello.

Ed è in questo momento che entra in scena Antigone: personaggio dalla forte morale, emancipata dal contesto sociale, rigida e salda nei suoi ideali.
Antigone è emblema della giustizia personale rispetto alle leggi arcaiche; è l’eroina per eccellenza, portatrice di un sentimento morale molto moderno.

Infatti, Antigone confida alla sorella Ismene di voler seppellire il fratello Polinice e si assume tutta la responsabilità della sua decisione.
Ismene, al contrario, così rispettosa della legge, si rifiuta e cerca di dissuadere Antigone.

Scopriamo però, nella scena successiva, che Creonte scopre la sepoltura del corpo di Polinice e manda qualcuno a sorvegliare la sua tomba per scoprire chi è stato ad opporsi alla legge.

Antigone viene scoperta e portata al cospetto di Creonte. Quest’ultimo, adirato, la condanna a morte. Ma Antigone è ferma sul suo punto: il rito funebre va concesso a tutti gli uomini per volere delle divinità e nessuno può opporsi al loro volere.

L’atto finale è la tragicità pura: per non macchiarsi della colpa di uccidere un familiare, Creonte decide di condannare Antigone ad essere rinchiusa in una grotta dove resterà finché non troverà la morte.

Ma, senza saperlo, Creonte si è già macchiato di un crimine contro gli dèi: il rifiuto del funerale di Polinice.
L’indovino Tiresia gli ricorda questo, e così Creonte decide di andare alla grotta per salvare Antigone.

Tuttavia, giunto alla grotta, scopre cos’è accaduto.
Suo figlio, Emone, innamorato di Antigone, è andato alla grotta per salvarla, ma trovandola impiccata è impazzito di follia, giungendo a uccidersi a sua volta alla vista del padre, fautore di tutto ciò, trafiggendosi con una spada.

Dopo aver saputo di tutti questi avvenimenti, anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone, decide di darsi la morte.

L’opera si conclude con Creonte, il quale resosi conto dei peccati e dei crimini commessi, invoca gli dei di dargli la morte.




In giro per la Grecia, siga,siga!

Ivana, 2 figli, vive a Roma e lavora presso un istituto di ricerca dove, tra le varie mansioni e come unica donna, ‘guida’ il carro dinamometrico, una struttura mobile di circa 40 tonnellate preposta all’esecuzione di esperimenti di idrodinamica, primi fra tutti i test su modelli di navi. Ama viaggiare, dipingere e leggere: tra i suoi autori preferiti, ci sono Oriana Fallaci e Isabel Allende, il cui ultimo libro, ‘Violeta’, è pronto per essere letto. Per la nostra rubrica ci propone la ‘sua adorata’ Grecia, passione che condivide con il marito.

Direzione Grecia

La mia prima volta in terra ellenica risale al lontano 1985. L’ho amata da subito, e non l’ho più lasciata. Andammo a Paros, un’isola delle Cicladi, suggerita da alcuni nostri amici che già erano stati lì. Nel corso di tutti questi anni ho visitato, oltre alle isole Cicladi, Antiparos, Santorini, Kaufonissi, le Ionie, Corfù, Cefalonia, Itaca, oltre alla Grecia continentale, l’Epiro, la Calcidica, Creta e il Peloponneso, una penisola nel sud del Paese dove ho sempre vissuto la sensazione di ‘entrare’ nei libri di storia, di vivere in quei periodi e in quei territori che trasudano vissuti storici magici. Due località su tutte: Micene, dove i micenei, conosciuti anche come achei, furono coloro che sconfissero Troia, nella guerra di Troia. E poi Mani, una terra aspra, affascinante per paesaggi e cultura, lontana dal turismo di massa, che ti accoglie tra il mare, i villaggi di pescatori e i ristoranti sulla spiaggia.

La sensazione di stare a casa

Ogni volta che arrivo ho la sensazione di essere a casa, non torno mai nello stesso posto, ogni anno cambio isola o luogo della Grecia continentale. Dei greci mi piace la loro ospitalità, il loro modo di accogliere le persone, perché ti fanno sentire ‘uno di loro’. Nei ristoranti, per esempio, a fine pasto, ti offrono dolci o frutti, un modo per essere cordiali con i clienti. Ricordo con piacere, per esempio, alcuni anni fa a Naxos, quando la proprietaria del B&B in cui alloggiavamo, preparò una cena per tutti noi ospiti, ottima e con tutti i piatti tipici greci.

Come organizzi i tuoi soggiorni?

Mi piace organizzare il viaggio in autonomia. Già durante l’inverno penso  a quale sarà la mia meta estiva. Mi metto allora sul web alla ricerca della location che mi piacerebbe visitare, anche con l’aiuto di un gruppo fb a cui sono iscritta che si chiama ‘Grecia senza pensieri’, dove gli iscritti mettono a disposizione foto, consigli, pareri e strutture. Scelta la destinazione, mi metto in azione e da lì parte tutto il resto, volo o traghetto, noleggio auto e alloggio. Di solito viaggio con mio marito, ma capita anche di organizzare con amici, e  allora diventa tutto un pochino più complicato, non fosse altro per questioni logistiche, legate alle diverse aspettative ed esigenze di ognuno.

Qual è la location ‘più bella del reame’?

Sono stata in posti bellissimi, ma se qualcuno mi chiedesse: quale di questi luoghi ti è piaciuto di più? Dove torneresti? Dov’è il tuo posto del cuore? Io risponderei che il mio posto del cuore è un’isoletta piccolissima, a sud del Peloponneso, a cinque ore di auto da Atene, che si chiama Elafonissos (Cervi in italiano), di circa 20 km quadrati, raggiungibile grazie ad una traversata di soli dieci minuti di traghetto. Un’isola a misura d’uomo, un centro piccolissimo, un lungomare con qualche taverna per mangiare, un piccolo porto con le barche dei pescatori dove la mattina al loro arrivo puoi  incontrare le tartarughe “Carretta Carretta”. Ma quello che più mi ha colpito è il colore del mare che va dal celeste  al turchese, con sfumature caraibiche, e la spiaggia Simos o la piccola lefki. Sì, questo è il mio posto del cuore dove sicuramente tornerò, perché qui la vita scorre ‘Siga Siga’, lenta, lenta come dicono i greci, dove puoi trovare la carica per affrontare un nuovo anno di impegni e di lavoro. Spero che rimanga uguale, senza essere stravolta dalla frenesia del turismo. Lì mi rilasso, mi ‘ritrovo’ e vivo il mare. Lì ho conosciuto Francesca, una ragazza milanese che gestisce insieme ai genitori il “Vecchio Frantoio”, appartamenti ricavati appunto da un frantoio che hanno ristrutturato.  

Che piani hai per il prossimo tour?

Di ritornare nel Mani a settembre, periodo in cui viaggio volentieri, perché c’è meno affollamento e i ritmi sono più lenti. Siga siga!




L’Edipo Re di Sofocle

Oggi parliamo di un mito famosissimo nell’antica Grecia, il quale ha dato il nome al celebre “complesso di Edipo”.
Ma in quanti sanno qual è la vera storia di Edipo?

Edipo Re è una tragedia composta da Sofocle attorno al 430 e il 420 a.C. ed è unanimemente considerata il suo capolavoro.

Edipo è il re di Tebe, ma la città al momento è devastata da una pestilenza.
Consultando l’oracolo di Delfi, si scopre la causa dell’epidemia: il precedente re di Tebe, Laio, è stato ucciso ed il suo assassino vive in città impunito.

Il morbo, perciò, non libererà la città finché l’omicida non verrà identificato e cacciato.

Edipo vuole indagare per il bene del suo popolo, ma non sa assolutamente cosa lo aspetta.

Egli decide dunque di convocare Tiresia, l’indovino cieco, per scoprire l’identità di quest’uomo.
Tuttavia Tiresia, il quale conosce la verità, decide inizialmente di tacere per evitare numerose sventure. Il re si arrabbia, alza i toni e riesce infine a far parlare Tiresia, che confessa: l’uccisore di Laio è Edipo stesso.

Il Re, furibondo e sicuro di essere vittima di una congiura, lo caccia via.
Ma Tiresia prima di andarsene profetizza: “Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà”. Così sarà.

A questo punto della tragedia entra in scena un personaggio fondamentale: Giocasta, moglie di Edipo e vedova di Laio, la quale consola il proprio marito dicendogli di non credere alle profezie.

Infatti, gli racconta, a Laio era stato predetto che sarebbe morto per mano di suo figlio, quando invece furono dei banditi a ucciderlo sulla strada verso Delfi.

Edipo, per niente consolato, fa convocare il testimone di quell’omicidio. E piano piano inizia a mettere insieme i pezzi della sua storia…

Egli era figlio del re Polibo e principe di Corinto, ma un giorno scappò di casa in seguito ad un oracolo che gli predisse grandi sciagure: avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.
Per evitare tutto ciò, lasciò la sua casa natale e si diresse a Tebe.

Sulla strada per Tebe ebbe un litigio con un uomo, che uccise.
Questo ricordo provoca in Edipo un enorme turbamento. Possibile che quell’uomo fosse Laio?

Nel frattempo, giunge un messaggero da Corinto con una notizia: re Polibo è morto!
Edipo può dunque tirare un sospiro di sollievo, sapendo di non essere stato l’uccisore di suo padre.

Chiede dunque notizie della madre, ma il messaggero lo conforta dicendogli che non c’è pericolo che egli sposi sua madre, poiché è stato adottato.

Ed egli ne è proprio un testimone, poiché fu lui, quando era un pastore, a trovarlo neonato. Gli fu dato da un servo di Laio.

Giocasta a quel punto capisce tutto e supplica Edipo di smettere con le ricerca. Non essendo ascoltata, disperata, se ne va.

A quel punto arriva il servo di Laio che fa luce su tutta la vicenda.
Laio, essendo venuto a conoscenza della profezia, consegna suo figlio neonato al servo con l’ordine di ucciderlo.
Il servo, però, mosso da pietà, porta il bambino dal pastore.
Tutto coincide.
Il pastore lo porta a Corinto, dove viene adottato dai regnanti; nel viaggio verso Tebe uccide il suo vero padre Laio ed una volta divenuto Re sposa sua madre Giocasta.

Edipo è sconvolto.
Il finale, dunque, è vicino. Ed è tragico.

Giocasta, sconvolta per l’orrore, si toglie la vita ed Edipo, appena trovato il suo corpo, si acceca e si esilia, lontano dalla città che tanto ha amato e alla quale ha portato così tanta disperazione.
Si conclude così una delle tragedie più famosa di sempre.