Umberto Boccioni e il Futurismo

Umberto Boccioni: Una Visione Dinamica dell’Arte Moderna

Nel tumultuoso panorama dell’arte moderna, pochi artisti possono vantare una visione tanto audace e rivoluzionaria quanto Umberto Boccioni.

Nato nel 1882 a Reggio Calabria, Boccioni si affermò come uno dei principali esponenti del Futurismo, un movimento artistico che sfidava le convenzioni e celebrava il dinamismo della vita moderna.

La Vita di Boccioni: Un Percorso Verso la Modernità

 

La formazione artistica di Boccioni iniziò all’Accademia di Belle Arti di Roma, ma il suo spirito ribelle e desiderio di esplorare nuove direzioni lo portarono a entrare in contatto con le idee rivoluzionarie dei futuristi.

Boccioni divenne uno dei principali teorici del movimento, contribuendo in modo significativo al “Manifesto dei Pittori Futuristi” nel 1910, insieme a artisti del calibro di Giacomo Balla e Gino Severini.

Le Opere Rivoluzionarie di Boccioni: Un Inno al Movimento

Le opere di Boccioni, spesso caratterizzate da una fusione di forma e movimento, riflettono la sua concezione dinamica del mondo. Tra le sue creazioni più celebri, “La città che sale” e “Dinamismo di un ciclista” evidenziano la sua abilità nel catturare il ritmo frenetico della vita urbana e il dinamismo della modernità.

“La città che sale” del 1910, ad esempio, ritrae una città in crescita, con edifici che sembrano emergere come manifestazione di energia e progresso. Boccioni utilizza colori vibranti e forme astratte per rappresentare l’esperienza futurista della metropoli in rapido sviluppo.

 

“Dinamismo di un ciclista” (1913), invece, coglie il movimento inarrestabile di un ciclista in corsa. Le linee spezzate e i colori intensi comunicano la velocità e la forza centrifuga, trasmettendo l’idea che l’arte non dovrebbe essere statica, ma dovrebbe riflettere la dinamica sempre in evoluzione della società moderna.

Il Futurismo e il Contributo Duraturo di Boccioni all’Arte

Il Futurismo di Boccioni è un movimento che abbraccia il progresso, la tecnologia e il dinamismo, ma è anche un invito a riconsiderare la percezione stessa dell’arte. La sua influenza si estende ben oltre il periodo futurista, e il suo impatto sull’arte moderna è ancora evidente oggi.

Umberto Boccioni morì prematuramente nel 1916, ma il suo lascito persiste attraverso le sue opere rivoluzionarie e la sua visione audace. Oggi, i dipinti di Boccioni sono oggetto di studio e ammirazione, dimostrando che la sua concezione dinamica dell’arte ha resistito al passare del tempo, continuando a ispirare generazioni di artisti e appassionati d’arte in tutto il mondo.




Giorgio De Chirico: nascita della Metafisica

Giorgio de Chirico, nato in Grecia nel 1888 e morto a Roma nel 1978, è il co-fondatore ed uno dei maggior esponenti della corrente artistica conosciuta come “Metafisica”.

Cosa vuol dire questo termine? Metafisica nasce con Aristotele nel IV secolo a.C. e significa “oltre la fisica” ovvero oltre le cose visibili.

Nel panorama italiano del primo Novecento spiccano per importanza due correnti artistiche: la prima è quella del Futurismo, fondata da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909 e la seconda è la Metafisica fondata nel 1917 da Giorgio de Chirico e Carlo Carrà a Ferrara.

Lo scopo della Metafisica è quello di rappresentare l’essenza della realtà, ciò che va oltre l’esperienza sensibile dell’apparenza.

Metafisico è, inoltre, tutto ciò che è estraneo alla logica circostanziale in cui siamo abituati a vederlo. Per questo i quadri metafisici sono ricchi di elementi accostati tra di loro senza un’apparente logica, in ambienti del tutto generici e privi di vita umana.

Insieme a Giorgio de Chirico, gli altri esponenti della Metafisica sono suo fratello Andrea, ma meglio conosciuto come Alberto Savinio, Carlo Carrà e Giorgio Morandi.

In realtà risalgono al 1909 i primi esperimenti di Giorgio de Chirico in materia di metafisica; proprio lo stesso anno del Manifesto del Futurismo. Eppure, la Metafisica, è una concezione diametralmente opposta a quella Futurismo: dove là c’è dinamismo e velocità, la Metafisica contrappone staticità e

solidità; dove c’è caos e vitalità, lì c’è silenzio e vuoto.

Dunque, mentre il Futurismo parla il linguaggio dell’innovazione e della modernità, la Metafisica cerca di recuperare la tradizione pittorica della prospettiva, colorando il tutto di una triste nostalgia per il passato.

I quadri Metafisici, seppur nella loro concezione filosofica possono apparire tortuosi, sono di una semplicità disarmante.

Se ci troviamo di fronte ad un quadro, come per esempio Piazza d’Italia del 1913 di De Chirico, il nostro occhio a primo impatto non percepisce niente di strano.
Ci appare come una delle tante piazze italiane a noi note.

Ma poi piano piano iniziamo a renderci conto di vari elementi che vanno in contrasto con la nostra percezione comune di una piazza: in primo luogo le luci e le tinte.
Da un cielo verde nasce una luce irreale che allunga, deformandole, tutte le ombre; e così anche la prospettiva, così apparentemente rigida, è del tutto deformata, tanto da rendere lo spazio irreale.

E così, nel ciclo dechirichiano di Piazze di Italia – una serie iniziata nel 1910 – sono presenti tutti gli elementi ideologici e strutturali di cui abbiamo parlato fino ad adesso: il senso di solitudine, l’atmosfera irreale, la prospettiva esacerbata, le ombre lunghe, i portici e le statue classiche.

Il linguaggio artistico della Metafisica ha influenzato l’arte nata sotto il Fascismo, conosciuta come il “Ritorno all’ordine” per il suo caratteristico recupero della tradizione. Così, i portici con i numerosissimi archi a tutto sesto ordinati danno vita ad un monumento moderno come il Palazzo della Civiltà Italiana di Roma.

Ultimo, ma non meno importante, è il tema dei manichini.
I quadri di De Chirico sono ricchissimi di queste presenze antropomorfe ma immobili, statiche, senza vita.

E’ il caso di “Le Muse Inquietanti”, opera del 1917.
Ritroviamo tutti gli elementi sopracitati come la solitudine, le ombre lunghe e la prospettiva mentre sullo sfondo troneggia il castello estense di Ferrara.

Ma, nonostante il quadro sia abitato da numerose figure, queste non trasmettono alcun senso di vitalità.
Sono manichini deformati, con teste terribilmente piccole o terribilmente grandi, posizionate in modo casuale nello spazio di questa grande piazza fluttuante nel nulla.




Giacomo Balla e il Futurismo

Quando nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti dà vita al movimento Futurista, Giacomo Balla, prontamente, firma il manifesto.

Balla nasce a Torino nel 1871 e studia all’Accademia Albertina di Belle Arti: le sue prime opere seguono il pointillisme di Signac e Seurat, ma quando si trasferisce a Roma – definitivamente, potremmo dire – e conosce Umberto Boccioni, tutto cambia.

Così, per tornare alla frase d’esordio, firma il Manifesto Futurista assieme a Boccioni. Carrà e Russolo.

Cos’è dunque il Futurismo?
Possiamo definirlo il più importante movimento d’avanguardia italiano del Novecento.

Nato dall’idea di Marinetti di rinnegare il passato ed aspirare ad un rinnovamento dell’uomo proiettandosi nel futuro (da qui il nome Futurismo), è una corrente che si sviluppa e si diffonde in tutti i campi, dalla letteratura al teatro, dall’architettura al cinema.

Ma è soprattutto nella pittura e nella scultura che ritroviamo i capolavori dei più importanti esponenti del Futurismo.

I suoi principi fondanti sono l’esaltazione dell’audacia, del movimento, della velocità, del coraggio e della modernità. Si dice che Marinetti abbia tratto ispirazione a seguito di un incidente nel 1908: mentre guidava la sua automobile, per evitare due ciclisti sterzò bruscamente e finì in un fossato a causa dell’alta velocità.

 

Nel 1912 si tenne la prima mostra dei pittori futuristi a Parigi alla Galerie Bernheim.
Nonostante Balla fosse il più anziano e fosse ormai riconosciuto come un maestro del divisionismo, fu in questo periodo che creò i suoi capolavori.

 

Parliamo di opere come “Bambina che corre sul balcone” e “Dinamismo di un cane al guinzaglio”.

 

Bambina che corre sul balcone è un’opera del 1912.
Con qualche difficoltà, è possibile riconoscere una figura ripetuta in sequenza – più facilmente se si pone l’attenzione sullo stivaletto in basso – quella di una bambina che corre, Luce, la figlia di otto anni di Balla.
Il movimento e la velocità, come abbiamo detto, sono alla base della ricerca futurista: Balla vuole tradurre in pittura un’azione, un gesto, una sequenza di scatti.

Solamente attraverso una visione totale dell’opera è possibile cogliere il tentativo di rappresentazione del movimento, poiché una visione più centrata sul particolare fa sgretolare il senso dell’opera.

Inserito in  un contesto spaziale più organico, invece, è Dinamismo di un cane al guinzaglio, sempre del 1912.

L’elemento dinamico è rappresentato dai piedi della donna e dalle zampe dell’animale, che creano una sequenza ripetuta all’interno di uno spazio circoscritto.
Anche la strada è dotata di un senso di velocità grazie alle spennellate lineari e parallele.
Il movimento è rappresentato, in entrambi i casi, attraverso la registrazione contemporanea dell’oggetto che compie il suo movimento nello spazio.

 

Dal 2021 è possibile finalmente visitare Casa Balla, ovvero la casa dove Giacomo visse a Roma.
Si trova in via Oslavia 39B ed è essa stessa manifesto della corrente artistica a cui Balla dedicò la sua produzione artistica: ogni ambiente è organizzato e dipinto secondo i dettami del futurismo, attraverso pareti dai colori vivaci e dinamici e mobili dai lineamenti spazzati e confusi.
Un capolavoro di design a pochi passi da noi.