“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

FEBBRAIO

FRAPPE

 

Le frappe come tutti noi sappiamo, sono i tipici dolci del Carnevale; vengono anche chiamate  cenci, chiacchiere, bugie. Quasi ogni regione ha un nome diverso per questi golosi dolcetti, ma la ricetta è più o meno la stessa.

Quando arrivava il Carnevale a casa mia le frappe, o cenci perché mia madre era toscana, si facevano seguendo scrupolosamente la ricetta del Talismano della Felicità.  Lei  impastava gli ingredienti e poi appoggiava canovacci un po’ dappertutto perché, una volta steso l’impasto, con la rotella dentata ritagliava la sfoglia e preparava fiocchetti e girandole, c’era bisogno quindi di spazio dove appoggiarle prima di friggerle. Una volta cotte spolverava i fiocchetti di zucchero a velo per me e mia sorella, e le girandole con il miele per mio padre, a casa sua in Abruzzo si facevano così.

Le frappe necessitano almeno un paio d’ore per essere preparate, ma il loro profumo e la loro fragranza meritano tutto il nostro tempo e la nostra dedizione, ne vale assolutamente la pena.

 

 

INGREDIENTI:

 

per 500 gr. di frappe

 

  • farina 500 gr.
  • strutto 30 gr.
  • tuorli d’uovo 2
  • 1 uovo intero
  • un pizzico di sale
  • un cucchiaio di zucchero
  • vino bianco
  • strutto per friggere

 

 

PROCEDIMENTO:

 

Formate una fontana con la farina sulla spianatoia, al centro mettete tutti gli altri ingredienti e impastate aiutandovi con il vino bianco, fino ad ottenere una pasta morbida e liscia. Fate una palla e avvolgetela con della pellicola, lasciate riposare almeno mezz’ora a temperatura ambiente.

Stendete l’impasto in una sfoglia molto sottile aiutandovi con un po’ di farina, utilizzando poi una rotella dentata ritagliate delle strisce e formate fiocchi o girandole. Appoggiate le forme ottenute su piani infarinati, vassoi o canovacci e aspettate che lo strutto diventi caldo a sufficienza. Per verificare la giusta temperatura fate la prova con un pezzetto di impasto.

Friggete le frappe finchè diventano dorate, e appoggiatele su un vassoio coperto di carta assorbente. Quando i dolci saranno pronti, aspettate che si freddino un pò e “conditeli” con lo zucchero a velo o il miele. Le frappe si conservano qualche giorno  ben coperte con un foglio di alluminio o messe in una scatola di latta per mantenerne intatta la fragranza.

 

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Perché Febbraio si chiama così?

Febbre, maschere e mascherine

Nel calendario romano più antico, febbraio era l’ultimo mese dell’anno, che iniziava a marzo, momento di risveglio della natura e degli uomini al suono delle armi del dio Marte.

Febbraio era dunque dedicato alla purificazione e alla preparazione di un nuovo ciclo, di un nuovo inizio.

In verità, l’origine del suo nome non è poi tanto nascosta… Ebbene sì: come in un gioco, possiamo rinvenire facilmente tra le sue lettere la parola febbre!

Occorre premettere che nell’antica Roma ogni aspetto della vita, anche il più piccolo, era sotto la protezione di una specifica divinità: ci sono quindi decine e decine di culti per noi quasi sconosciuti ma molto praticati dal popolo. Ad esempio, la dea Numeria tutelava e contava i mesi della gravidanza,  la dea Edula aveva in custodia le carni commestibili e la loro conservazione, il dio Redicolo proteggeva il ritorno dai viaggi.

E veniamo così alla dea Febbre, in latino Februa o Febris, che origina probabilmente da Februus, un dio antichissimo etrusco-italico ed è legata alla purificazione dalle febbri, in particolare da quelle malariche.

 

Febbraio – Mosaico dal Museo Archeologico di Sousse

 

In virtù della potenza purificatrice che si attribuiva al fenomeno della febbre, si è concretizzato nel nome Februarius il legame con questa fase dell’anno, segnata da una serie di riti e di feste molto caratteristiche.

Una festa in particolare merita la nostra attenzione: il 15 febbraio si festeggiavano nell’antica Roma i Lupercalia, una solennità celebrata dai Luperci, giovani e giovanissimi romani consacrati, di solito abbigliati con pelli di lupo, in onore della Lupa che aveva allattato i gemelli Romolo e Remo.

Frammento di rilievo con Luperci dal Museo Nazionale Romano

Nel corso della festa essi si raccoglievano nel Lupercale, una grotta ai piedi del colle Palatino, dove sacrificavano un gran numero di capre, tagliavano le pelli in lunghe strisce, dette februa, e poi si slanciavano seminudi in una folle corsa agitando queste fruste e colpendo tutti coloro che incontravano.

Le donne desiderose di gravidanza si esponevano ai colpi, certe del potere del rito, che propiziava la fecondazione.

Nella fase finale dell’Impero romano, quando ormai il Cristianesimo dominava, vari vescovi tentarono di sopprimere l’antica consuetudine pagana, ma nulla si poteva contro la tenacia dei Senatori, i quali attribuivano le pestilenze e ogni altro danno al fatto che si trascurasse la festa dei Lupercalia. La solennità era talmente radicata nella vita dell’antica Roma che si perpetuò anche nei secoli tardi, fino all’anno 468.

Infine pare che il rito sia stato abolito dal papa Gelasio ma tuttora lo si può riconoscere probabilmente nella processione con le candele del giorno della Candelora, il 2 febbraio.

L’evocazione di tali riti ancestrali dal fascino unico ci conducono a considerare legami insospettati tra la febbre e l’infiammazione rossa e calda lasciata dai colpi di februa, le strisce di capra usate come fruste.

E’ poi molto suggestivo pensare alla nostra modernità e al fatto che proprio a febbraio soprattutto capita di venir colti dalle influenze di stagione e da quelle purificanti sudate al caldo del letto.

A proposito: quanta nostalgia per… la solita influenza!

Oggi, immersi come siamo nell’atmosfera pandemica, viviamo mille inibizioni che ci precludono gli abbracci e ci impongono le mascherine.

Mascherine e maschere di Carnevale…

Febbraio è anche il mese delle tipiche atmosfere carnevalesche, che oggi possiamo godere a metà.

Ed emerge, forte più che mai, un desiderio di purificazione, di guarigione sociale, di annientamento del virus, per tornare a danzare scatenati, liberi e senza maschera.

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli