I miei stupidi intenti di Bernardo Zannoni

Il più giovane vincitore del Premio Campiello

Vincitore della sessantesima edizione del Premio Campiello 2022, I miei stupidi intenti è il romanzo di esordio di Bernardo Zannoni edito dalla Sellerio Editore.

Il protagonista e voce narrante è Archy, una faina zoppa che sin dall’incipit ha ben chiaro cosa voglia dire essere un animale e dover affrontare le difficoltà della vita per sopravvivere.

«Mio padre morì perché era un ladro. Rubò per tre volte nei campi di Zò, e alla quarta l’uomo lo prese. Gli sparò nella pancia, gli strappò la gallina di bocca e poi lo legò a un palo del recinto come avvertimento. Lasciava la sua compagna con sei cuccioli sulla testa, in pieno inverno, con la neve»

E saranno proprio le difficoltà per la sopravvivenza a spingere la madre a scambiare il piccolo Archy per una gallina offrendolo ad un usuraio, la vecchia volpe Solomon presso il quale Archy proverà sulla pelle la paura, la solitudine, la tristezza ma imparerà anche il potere di saper leggere e scrivere, scoprirà Dio, la morte e si raffronterà con la propria coscienza.

Zannoni, utilizzando come espediente un’animale, conduce il lettore in un’analisi tra istinto e ragione con un risultato sorprendente, mai pesante e con dialoghi essenziali e efficaci

«Sa cos’è la morte, Archy?»
«È quando gli altri se ne vanno. Si addormentano per sempre»
«La morte è la prima volontà di Dio. […] E gli altri non c’entrano nulla, perché tocca a ciascuno di noi»

Sarà proprio la consapevolezza della morte che indurrà Archy a fare i conti con sé stesso e con il mondo che lo circonda; come animale non «mi era mai balenato in testa di poter morire. […] La morte aveva toccato chi mi circondava, mai me.» Un continuo raffronto con il mondo animale a cui appartiene e con la realtà dell’uomo verso il quale si sente sempre più vicino e simile.

La coscienza di Archy diventa l’altro protagonista in controluce, come una sottile velina che copre la storia. Archy si tortura per le proprie pulsioni che si scontrano con la ragione. Saranno la fame, il sesso e gli istinti animaleschi che si evolveranno sempre più verso una concezione umana.

 

 

I miei stupidi intenti è impostato come una fiaba ma si comprende sin da subito come voglia (e ci riesce benissimo!) trattare temi filosofici fondamentali come la religione, il senso della vita e, soprattutto, il significato della morte.

Un esordio letterario sorprendente vista la giovane età di Bernardo Zannoni. In una intervista ha dichiarato di aver iniziato il romanzo a soli 21 anni e se questi sono i risultati ottenuti non ci resta che congratularsi con lui e aspettare quale altra magia ci riserverà in futuro.

L’unica caduta di stile, a mio avviso, è stata la scelta del nome per la volpe: chiamarla con un nome ebraico, Salomon, e fargli interpretare il ruolo di usuraio mi sembra una mossa stereotipata.




Qui tutto è fermo di Matteo Edoardo Paoloni

Romanzo d’esordio ambientato nella Maremma laziale

 

Non si fugge dal tempo che scorre via, qualsiasi sia la distanza che mettiamo tra ciò che rappresenta la nostra casa e ciò che trasformiamo nella nostra casa. Il passato non ci abbandona mai. Possiamo solo confrontarci con esso, confortare le ferite che sanguinano, curarle, perdonare e perdonarsi e tentare di guardare avanti.

Qui tutto è fermo è il primo romanzo pubblicato da Matteo Edoardo Paoloni per la casa editrice La Torre dei Venti.

È la storia di Guido ma potrebbe essere la storia di un qualsiasi ragazzo di provincia che si allontana da casa per studiare all’università, proseguire con un viaggio di studio all’estero, in questo caso a Madrid, e in quella terra straniera trovare la stabilità di un lavoro, di un amore e di un ritmo di vita perfetto tra teatri, bar e amici.

Non è difficile in fondo quando la terra di origine è un paese come Tarquinia, nella Maremma laziale, dove tutti sanno tutto, dove i sogni sembrano non voler prendere il volo e dove i ricordi e le assenze giocano un ruolo troppo doloroso per restare. Non è difficile andare via da un paese dove ci si sente stretti, dove quella cappa di provincialismo sembra frenare ogni ambizione e dove “tutto è fermo”

La vita ti lascia respirare per un po’ per poi bussare alla tua porta, come con quella inaspettata telefonata che annuncia una grave malattia della madre, e allora il ritorno a casa diventa inevitabile.

«Che malattia è?»
«Quello del tempo che passa.»

Il ritmo di Qui tutto è fermo è cadenzato da capitoli brevi, a volte brevissimi, che riportano nel passato aiutando il lettore con stralci in corsivo e offrendo una visuale dell’insieme molto simile ad una trasposizione cinematografica. Si sentono i profumi, si vedono i colori e si ascoltano i silenzi. Inizialmente sembra quasi che il testo stantuffi un po’, ma è solo una sensazione dovuta agli sbalzi temporali tra passato e presente, perché non appena si entra nel ritmo, la lettura è piacevolissima, i dialoghi diventano serrati e si entra serenamente nella mente di Guido.

Non è facile esaltare la propria terra senza mai dire che è bella; ammirare il panorama o soffermarsi sulla fotografia del nonno nella casa ormai disabitata e non ritrovarsi a pensare che lo abbiamo fatto tutti, almeno una volta nella vita; di chiedersi che fine abbiano fatto tutte le persone che abbiamo amato, le persone che hanno abitato una casa, un cortile, che hanno osservato gli stessi tetti di ardesia che osserva Guido dalla torretta.

Non è dalla provincia che si scappa, in fondo, ma da ciò che non riusciamo a perdonare, da ciò che ci graffia ancora sul cuore, da ciò che ci fa male.
Quando ce ne rendiamo conto, scopriamo che quella provincia è sì ferma ma possiede proprio nella sua capacità di cristallizzare il ricordo la sua grande ricchezza, quasi fosse uno scrigno dove raccogliere le gioie più preziose, come la vecchia cassetta VHS con la voce registrata di un vecchio spettacolo teatrale, o un antico amore incontrato per caso in un supermercato.

 

 

O memoria spietata, che hai tu fatto
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il venti.

Ritorno al paese di Vincenzo Cardarelli




Gli affamati di Mattia Insolia

Romanzo d’esordio pubblicato da Ponte alle Grazie

Leggendo Gli affamati si apprezza, sin dalle prime battute, il talento di Mattia Insolia.

Frasi brevi con una accurata scelte delle parole; tempi d’azione ben calibrati capaci di lasciare con il fiato sospeso; introspezione dei personaggi vivida e e ben delineata; dialoghi mai fuori luogo e eccessivi.

Mattia Insolia è siciliano, ha conseguito una laurea in Lettere a Roma e ha soltanto 25 anni. Dico soltanto perché il Gli affamati dimostra una tale maturità di scrittura che sorprende ritrovarla in un uomo così giovane.

I protagonisti dl romanzo sono Paolo e Antonio. Due fratelli giovanissimi che vivono in un luogo non ben definito del sud d’Italia. A seguito della morte dei genitori, tentano di portare avanti una vita normale, cercando di sopravvivere al dolore che vivono dentro, alla povertà che li circonda e alla totale mancanza di un futuro avanti a sé.

 

«Camporotondo era un pezzo di terra sconclusionato dal quale la gente cercava di fuggire in tutti i modi e chi restava quasi si vergognava a farlo. Di continuare la propria vita. Sposarsi, mettere al mondo delle creature. Mancava tutto, lì. Aria, luce, spazio vitale per la speranza che l’inatteso accadesse: un recinto per polli, un purgatorio terrestre»

 

Una mancanza di futuro che diventa, essa stessa, protagonista del romanzo.
Come si vive quando non si hanno prospettive di cambiamento? Quando il futuro non è altro che il vuoto che ti circonda, quando non ti senti neanche all’altezza di riceverlo quel futuro perché sei vissuto talmente tanto nella povertà, nella miseria, nella mancanza di dialogo, che anche quando la vita di offre un’occasione, rinunci e fuggi via perché non ti senti mai all’altezza.

 

«Era tutto troppo grande, troppo bello, troppo pulito per lui»

 

Paolo e Antonio appaiono come personaggi sporchi. Sono violenti, irascibili, bevono, si drogano, si trastullano nel niente, eppure non hanno nulla di sporco se non il passato di dolore vissuto, di miseria, di vuoto che li schiaccia e li immobilizza senza alcuna possibilità di riscatto.

Gli affamati è un romanzo duro. Forte come un pugno allo stomaco. Pagine talmente crude e reali da lasciarti con la sensazione di non poter andare avanti a leggere.

Perché è più facile vivere senza sapere invece di capire che c’è chi si sente inadatto anche solo a sognarlo un futuro, così impotente e solo davanti a un mondo che cammina a due velocità.

Gli affamati ha la forza di farti entrare nei panni di chi usa la violenza come scudo per un dolore così profondo e abissale da togliere il fiato e qualsiasi forma di progettualità e riscatto.
Gli affamati è un muro che affanna e toglie il fiato; alza la crosta della violenza, senza volerla giustificare, ma lasciandoti intravedere, attraverso le sue ferite, quanto bisogno di respirare aria nuova ci sia anche da chi usa la violenza e la droga per tentare di urlare la propria esistenza.

 

 

SINOSSI

Antonio e Paolo sono fratelli,diciannove e ventidue anni. Vivono soli da quando il padre è morto e la madre è andata via di casa. Insieme hanno costruito una quotidianità che, seppur precaria, parrebbe funzionare. Vivono alla giornata, tirano avanti in un presente che non concede di elaborare progetti futuri. E abitano in un paese minuscolo, una periferia immaginaria nel centro Sud che sembra quasi un confino, degradato e gretto. È un’estate torrida. Antonio cerca un lavoro, Paolo di tenersi stretto il proprio. L’esistenza dei due procede senza grandi avvenimenti, tra notti allucinate, feste con gli amici, giornate al mare e serate di sesso, alcol e droga. Finché poi, un giorno di quiete apparente, qualcosa si spezza, e vecchi scheletri saltano fuori dall’armadio, mostri del passato seppelliti in malo modo. La madre, fuggita anni prima dal marito violento, torna da loro, un amore quasi dimenticato bussa alla porta di uno dei due fratelli e crimini di cui non è mai stata scontata la pena si affacciano all’orizzonte dell’altro. E tutto dev’essere rimesso in discussione. Una nuova narrazione contemporanea che sa illuminare la nostra rabbia e la nostra solitudine, che lo fa attraverso una lingua precisa e scarna, uno sguardo maturo e senza paura. Un desiderio autentico di denudare la realtà per comprenderla e forse, domani, trasformarla.