Fiscal Compact

Europa_bandiera14Cosa condizionerà la nostra vita in futuro.

Siamo nel pieno della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo. I leader e i maggiori esponenti politici dei partiti in lizza imperversano ovunque, in tutte le trasmissioni televisive, nelle piazze e addirittura nei cantieri. C’è chi attacca l’euro, chi se la prende con la Germania, chi invece preferisce gridare al complotto e infine chi tenta di limitare i danni cercando di convincere gli elettori che una revisione delle scelte passate è possibile. A prescindere da come la pensino tutti, i discorsi pro o contro l’Europa fanno un uso o un abuso spropositato del termine inglese fiscal compact. Ma che cosa si nasconde dietro questa parola?

Innanzitutto  per fare chiarezza dovremmo parlare di Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea. Accordo europeo firmato il 2 Marzo 2012 da 25 paesi dell’UE tra cui l’Italia. Gli unici paesi a non firmarlo sono stati  la Gran Bretagna, guidata dal conservatore David Cameron e la Repubblica Ceca. Il nostro paese ha approvato il trattato al Senato il 12 Luglio 2012 e alla Camera dei Deputati il 19 Luglio 2012.

Alla base di questo accordo c’è l’esigenza di rafforzare gli obiettivi di stabilità economica e finanziaria dell’Unione Europea attraverso il rispetto di alcune regole vincolanti per tutti i paesi dell’unione. I sostenitori dei «conti in ordine» sono fermamente convinti che l’equilibrio finanziario dei bilanci sia una condizione essenziale per affrontare al meglio gli effetti negativi dei cicli economici. Per amore della verità non tutti gli economisti ed esperti di politiche pubbliche condividono il proposito. Molti pensano che in periodi di grandi crisi l’obiettivo fondamentale sia  la riduzione della disoccupazione attraverso l’aumento della spesa pubblica che può aumentare deficit e debito pubblico. Il grande economista Keynes sottolineava come ci si dovesse occupare dei «conti in ordine» solo in periodi di crescita economica sostenuta.

Sono molti i precetti e le definizioni  che si possono estrapolare dalla lettura dei 16 articoli che compongono il Trattato, i più significativi possono essere sintetizzati in questa lista:

1. Il bilancio delle amministrazioni pubbliche deve essere in pareggio o in avanzo. Il pareggio dei conti è rispettato se il saldo strutturale annuo è pari all’obiettivo di medio periodo specifico per il paese. E’ previsto un margine di sforamento della regola nella misura dello 0,5% del Pil a prezzi di mercato per gli stati che hanno un rapporto debito pubblico/pil maggiore del 60%, per gli altri esiste la possibilità di un sforamento dell’1%. Per saldo strutturale annuo si intende il saldo annuo corretto per il ciclo al netto di misure una tantum e temporanee. L’obiettivo di medio periodo diverso per ogni singolo paese europeo può essere modificato in base a circostanze eccezionali.

2.  I paesi con un rapporto debito pubblico/pil superiore al 60% hanno l’obbligo, da rispettare in 20 anni, di  ridurre il  rapporto nella misura di un ventesimo della parte eccedente il parametro di Maastricht, ovvero eccedente il 60%.

3. Il piano d’emissione del debito pubblico dei paesi aderenti al Trattato deve essere coordinato con il Consiglio dell’Unione e con la Commissione Europea.

Seguendo la campagna elettorale è il punto 2 della lista che suscita più preoccupazioni e risentimenti nei confronti delle istituzioni europee. Il rispetto di tale punto viene considerato una salasso per i cittadini italiani. Le cifre che girano in rete o in tv nei talk show,  si attestano all’incirca tra i 40 e 50 miliardi di euro di risparmi pubblici o aumenti della tassazione per il primo anno. Prendendo le stime del Fondo Monetario Internazionale per l’economia italiana nel 2014 otteniamo il seguente risultato che molto si avvicina alle cifre dichiarate dai politici.

( D )

Debito Pubblico

2134*

( P )

Pil

1586*

D/P(%)

134,6 %

( A )

Parte eccedente il 60%

74,6 %

1/20 di A

3,7 %

Manovra per il rispetto del Fiscal C.

59,158**

*cifre in miliardi di euro  ** è il risultato dell’applicazione della percentuale del 3,7% al Pil.

In realtà ci sono molti osservatori che fanno notare che il calcolo precedente è  semplicistico perché non prende in considerazione alcuni aspetti della questione. Innanzitutto la manovra del governo per il rispetto del fiscal compact non è fissa ma cala al calare del rapporto debito/pil. Va inoltre sottolineato che il prodotto interno lordo da usare per il calcolo del rapporto con il debito è in termini nominali e non reali come siamo stati abituati a pensare. Questo implica un effetto benefico dell’inflazione sulla crescita del prodotto interno, effetto che aiuta ad alleviare la portata dell’intervento governativo.  In questa pagina è possibile consultare un fact checking sulle dichiarazioni degli euro scettici, dove si possono trovare alcuni calcoli  più sofisticati   http://www.linkiesta.it/fiscal-compact-fact-checking-vere-cifre.

Ora mettendo da parte la discussione sulla reale portata degli interventi degli amministratori pubblici italiani possiamo trarre alcune considerazioni del tutto generali. La qualità della nostra esistenza dipenderà sempre di più dalle scelte fatte dalle istituzioni europee, credo sia fondamentale che i cittadini possano comprendere a pieno le conseguenze economiche e sociali di tali scelte. Spero che il parlamento italiano e il parlamento europeo si facciano carico dell’esigenza di informare in modo sempre più chiaro e accessibile tutte le persone che vogliono partecipare alle consultazioni elettorali in piena coscienza. Spero inoltre che prima o poi i nostri governanti permettano ai cittadini di partecipare alle scelte economiche che hanno un forte impatto come il fiscal compact, attraverso gli strumenti della democrazia diretta e della partecipazione.

 

 

 




Resilienza

Come affrontare il cambiamento.

Potrà sembrare un’affermazione cinica ma non c’è dubbio che i momenti di crisi con conseguenti difficoltà economiche e sociali, sono i periodi più fecondi per la riflessione e il ripensamento delle scelte passate. La forza della necessità apre le menti all’analisi e predispone al cambiamento dello status quo. Guardando all’economia e alla politica, le turbolenze derivate dallo scoppio della bolla speculativa sui mercati finanziari, hanno stimolato copiosi dibattiti a tutti i livelli, dal mondo accademico alle grandi conferenze internazionali. Tra gli argomenti più discussi per la vastità del fenomeno e per la varietà dei punti di vista vorrei brevemente sottolienare il discorso intorno al concetto di resilienza.

Che cosa è la resilienza?

E’ un concetto che si trova in molti contesti dall’agricoltura alla meccanica dalla psicologia all’ecologia per questo è difficile darne una definizione generica. Diciamo che la resilienza è la risposta che un’entità dà al cambiamento del proprio stato di equilibrio, una reazione che, prendendo atto che non si può ripristinare totalmente la condizione di partenza, tende a limitare i danni del cambiamento cercando un nuovo adattamento all’ambiente. Quindi adattamento e riduzione dei danni sono gli elementi fondamentali di un’azione resiliente.

Le implicazioni nel campo economico e politico sono molto importanti. Tra i primi governanti a menzionare la necessità di un cambiamento di mentalità in ottica resiliente è stato Barack Obama nei suoi discorsi di insediamento alla Casa Bianca. Il Presidente ha sottolineato la necessità di un’inversione di rotta della politica nazionale e internazionale perchè le sfide della modernità non sono più affrontabili con gli strumenti del passato. Il Word Economic Forum nell’ultimo incontro a Davos ha sottolineato che le crisi, le disuguaglianze sociali, il rapporto tra attività economica e preservazione dell’ambiente sono questioni dove l’approccio resiliente potrebbe dare il suo meglio. Anche in Italia l’argomento sembra aver fatto breccia nelle discussioni pubbliche, ne è una testimonanza la recente visita di Rob Hopkins uno dei fondatori del movimento «Transition Town Transition Network» che tra i suoi obiettivi si pone la trasformazione delle comunità locali in comunità resilienti. Cercando in rete il blog di Beppe Grillo ne ha parlato in questo post.

Per passare dalla teoria astratta alla pratica come dovrebbero cambiare i comportamenti dei cittadini, delle aggregazioni sociali e delle istituzioni per essere in linea con la nuova filosofia?

Il primo mutamento di mentalità ce lo suggerisce il professor Alberto Sangiovanni Vincentelli che sprona la nostra società a non aver paura di assumere i rischi derivanti dalle innovazioni. Il fattore psicologico è fondamentale. L’apertura mentale, la tolleranza, la cultura dell’inclusione delle minoranze sono tutti fattori essenziali per affrontare i cambiamenti e le incertezze del futuro. Società più solidali sono società che possono addattarsi nel miglior modo possibile all’ambiente caotico, immerso nell’instabilità perpetua. Per quanto riguarda il ruolo delle istituzioni, le politiche dovrebbero incentivare e favorire l’accumulazione di capitale umano e la flessibilità dei sistemi produttivi. I  governi non dovrebbero mai sottovalutare l’importanza degli investimenti nella ricerca scientifica, nella tutela del territorio, nell’arte e nella cultura in generale. Infine gli enti locali dovrebbero favorire il più possibile la cultura della condivisione e della cooperazione. Esempi di cooperazione sono i gruppi di acquisto solidale (vedi il mio post precendente), programmi di risparmio energetico e di riciclo dei materiali di scarto.

Per concludere, vivremo in un mondo sempre di più instabile, più interdipendente e iperconnesso, se vogliamo sopravvivere degnamente dovremo imparare ad adattarci e cambiare velocemente, prima ne prendiamo atto e meglio è.




IUC la nuova imposta con il nome di un ghiacciolo ma il gusto di un cetriolo

liukIl Governo per il 2014 ci ha regalato la IUC, l’Imposta Unica Comunale, in sostituzione di Imu e Tares (che aveva appena preso il posto della Tarsu).

Si chiama “imposta unica” ma in realtà è la somma di tre tasse diverse tra loro, sia per modalità di calcolo, sia per i soggetti obbligati al pagamento.

Anche il Comune di Pomezia dovrà dotarsi, entro il termine di approvazione del bilancio preventivo 2014 (30 aprile salvo proroghe), del regolamento di questo nuovo sistema di tassazione e stabilire le tariffe con le quali calcolare quanto dovremo pagare.

Le tre tasse che compongono la IUC si chiamano: IMU, TASI e TARI

La parte IMU ha le stesse regole dell’imposta pagata fino al 2013,  ma rimangono esclusi dal tributo gli immobili (non di lusso) adibiti ad abitazione principale.

A tal fine e’ indispensabile che oltre alla dimora, anche la residenza anagrafica coincida con l’indirizzo dell’immobile.

Le aliquote per il 2014 saranno stabilite con successiva delibera, per l’anno 2013 l’aliquota base era il 10,6 per mille.

Si pagherà in due rate scadenti il 16 giugno ed il 16 dicembre di ogni anno tramite bollettino postale oppure utilizzando il modello di pagamento F24.

Non grava in alcun modo sugli inquilini degli immobili affittati.

La seconda componente (molto simile all’Imu e per questo accolta con pareri discordanti circa la sua legittimità) si chiama TASI, tassa sui servizi indivisibili.

Sarà pagata da tutti i proprietari di immobili incluse le prime case e per una quota variabile dal 10 al 30 per cento anche dagli inquilini. E’ finalizzata alla copertura dei servizi indivisibili dei Comuni, quali ad esempio l’illuminazione e la manutenzione stradale.

L’aliquota base e’ dell’1 per mille da applicare ai valori Imu degli immobili, ma per il 2014 i comuni potranno alzarla fino al 2,5 per mille.

Attenzione però perchè la somma tra Imu e Tasi per il 2014 non potrà comunque superare il 10,6 per mille.

Il recente decreto Renzi Salva Roma, ha previsto una ulteriore possibile maggiorazione dello 0,8% utilizzabile dai comuni per finanziare detrazioni.

Le scadenze e le modalità di pagamento dovrebbero essere le stesse dell’Imu.

La terza componente della IUC si chiama TARI e non è altro che la vecchia TARES, dovuta sia dai proprietari che dagli inquilini.

Il gettito sarà destinato a finanziare tutti i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti a carico dell’utilizzatore.

Si pagherà in due rate semestrali ma non è escluso che per questa componente il comune possa prevedere un maggior numero di rate.

Ricapitolando la IUC,  la nuova imposta unica sugli immobili, sarà pagata da tutti i detentori di immobili, la quota IMU non graverà sulle prime case, la quota TASI sarà pagata parte dai proprietari e in piccola parte dagli inquilini, la parte TARI sara’ pagata da chi produce i rifiuti.




Job Meeting

Un piccolo contributo contro la crisi.

Ci sono molte ragioni economiche che portano un paese ad avere forti tassi di disoccupazione. La prima, di natura keynesiana, ovvero suggerita dal grande economista inglese John Maynard Keynes, postula una relazione tra la mancanza di domanda di beni e servizi da parte dei consumatori, mancanza che porta le imprese a ridurre la produzione e quindi il numero dei lavoratori. Un’ altra motivazione, ad esempio descrive il ruolo della tecnologia nel sistema economico.

Il cambiamento tecnologico aumenta la produttività dei lavoratori che a sua volta crea un incentivo a risparmiare sul fattore produttivo umano. Ci sono poi teorie che sottolineano l’influsso nefasto della tassazione che raggiunti livelli inaccettabili disincentiva l’attività economica e quindi la produzione delle imprese. A mio avviso quella più interessante è l’ultima che cito: ci sono economisti che pensano che la disoccupazione sia il prodotto del mancato incontro tra domanda di lavoro  (le imprese) e l’offerta di lavoro (i lavoratori). Questo disallineamento, in inglese “mismatching” non è imputabile solo a un mancato accordo sul salario o sullo stipendio, ma deriva soprattutto dal fatto che le imprese hanno bisogno di coprire funzioni organizzative o ruoli particolari, che non riescono a trovare nel mondo impiegatizio.

Come ovviare a questo tipo di fenomeno? Ci sono interventi che hanno bisogno di molto tempo come la riforma della scuola e del sistema formativo nazionale e piccoli interventi che possono limitare i danni nel breve periodo. Un provvedimento che un’istituzione pubblica può prendere, tra l’altro senza grandi coperture economiche, è l’organizzazione dei “job meeting”. Un job meeting è un evento pubblico dove imprese e cittadini in cerca di lavoro, soprattutto studenti delle scuole superiori e dell’università, possono incontrarsi, dialogare e quindi abbattere le distanze, ma soprattutto possono ridurre il gap di informazioni. Uno studente ad esempio potrebbe scoprire che applicarsi nella conoscenza di un determinato software potrebbe aprirgli una carriera in un’azienda locale.

Per passare dall’astratto al concreto, mi permetto di suggerire all’Amministrazione Fucci di prendere in seria considerazione l’idea di organizzare questo tipo di incontri nei locali del ex-Campus Universitario. Si potrebbero coinvolgere le aziende grandi e piccole del territorio e gli istituti scolastici, in particolare gli istituti tecnici. Ogni azienda potrebbe allestire uno stand dove accogliere i presenti cercando di raccontare un po’ della propria vita produttiva. Sempre le aziende potrebbero raccogliere curricula e gestire dei colloqui preselettivi di possibili risorse umane candidate all’assunzione. Ancora, potrebbero essere animati convegni sul mondo del lavoro con esperti del settore, o corsi di aiuto alla ricerca dell’impiego. Il tutto inoltre potrebbe essere finanziato con il contributo del privato, che potrebbe essere interessato al miglioramento della propria immagine e il proprio prestigio sociale a Pomezia e dintorni.

In tempi di austerity, le amministrazioni pubbliche devono imparare ad ottenere il massimo dell’impatto sociale, con il minimo sforzo finanziario. Il job meeting potrebbe rivelarsi uno strumento utile che va in questa direzione. Inoltre i sindaci non hanno il compito di trovare personalmente un’occupazione al cittadino x, o a quello y, ma hanno l’obbligo morale di creare le condizioni affinché a tutti i cittadini possa essere data l’opportunità di dimostrare le proprie capacità professionali.
Speriamo che prima o poi anche Pomezia possa dare un calcio al pessimismo, smentendo nei fatti le cassandre del declino.




Le monete virtuali

Litecoin, Namecoin, Peercoin, Primecoin, Ripple; quella comunque, che più spesso viene citata sui giornali nonché quella più usata è il Bitcoin.

Silk Road, famoso bazar virtuale basato sulle transazioni anonime,dove si usava il Bitcoin come mezzo di regolazione degli scambi.La situazione è in pieno divenire vedremo se in futuro le monete virtuali saranno in grado di affermarsi definitivamente o sarà l’ennesimo fuoco di paglia, d’altronde non tutto quello che viene pensato per internet,col passare del tempo è destinato a modificare gli stili di vita dei cittadini internauti e non.