C’è ancora domani, il film dedicato a noi donne

Il nuovo film della Cortellesi, uscito nelle sale a fine ottobre, sta ottenendo sempre più successo. Dopo aver vinto tre premi al Festival del cinema di Roma, infatti, negli ultimi giorni è rientrato nella top 10 dei film italiani con più incassi, sfiorando quota 27 milioni e diventando il miglior titolo della stagione 23/24.

Ambientato a Roma nei tempi del dopoguerra, ci racconta la toccante storia di Delia, donna di casa costretta ad occuparsi ogni giorno dei tre figli, del suocero e dell’irascibile marito, che ritiene giusto riempirla di schiaffi e umiliarla. “Ho voluto realizzare un film contemporaneo ambientato nel passato, perché penso che purtroppo molte cose siano rimaste le stesse. Naturalmente ci sono stati dei progressi, sono cambiati i diritti, sono cambiate le leggi, ma non del tutto, non nella mentalità”, spiega l’attrice e regista in un’intervista.

La Cortellesi è impeccabile su tutti i fronti. Che fosse una magnifica attrice era già ben noto a chiunque, ma il suo esordio come regista è stato di certo pieno di sorprese. Non solo interpreta il suo ruolo alla perfezione, accompagnata tra l’altro da un cast spettacolare, ma tratta anche temi come la violenza domestica e i diritti delle donne in modo estremamente delicato e commovente.

Infatti, tra la comicità di alcune scene che strappano un sorriso e la drammaticità di altre, che provocano nel pubblico tristezza e compassione, ci tiene fissi allo schermo con gli occhi lucidi.

Tutto ciò, inoltre, arriva in un momento in cui tutta Italia soffre ancora per l’omicidio di Giulia Cecchettin, l’ennesima vittima di una cieca gelosia e violenza che non dovrebbe essere propria dell’amore, ma che purtroppo lo è sempre più spesso.

Insomma, il film è un vero e proprio omaggio alle donne, alla solidarietà femminile, all’amicizia e, in particolare, al rapporto madre figlia. La Cortellesi, infatti, ha deciso di dedicarlo a sua figlia Laura, o meglio “Lauretta”, come possiamo leggere prima dei titoli di coda; dedica in cui possiamo scorgere l’amore materno, più forte di qualsiasi altro legame.

“C’è ancora domani” dà forza a ognuna di noi e ci ricorda l’importanza di reagire, di avere coraggio e soprattutto di chiedere aiuto quando ci viene fatto del male o quando veniamo private dei nostri diritti. Alla prima offesa, al primo schiaffo, dobbiamo tenere in mente che c’è sempre domani e che meritiamo molto di più di qualcuno che ci tarpa le ali. È per questo che ogni donna dovrebbe vederlo, per imparare ad amare sé stessa e per far sì che tutte quelle morti non siano state vane.

Virginia Porcelli




Le mamme di Pomezia contro la violenza sulle donne

L’associazione Le Mamme di Pomezia ha organizzato per la giornata del 25 novembre 2022 un flash mob in Piazza Indipendenza, che si svolgerà alle ore 16.30.

In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, tutti i partecipanti – invitati ad indossare un accessorio o un abito rosso – lasceranno volare dei palloncini rossi in memoria di tutte le vittime di violenza.

 

 

 

“Secondo il dossier del Viminale sono 96 le vittime donne negli ultimi 12 mesi, di queste, 84 in ambito familiare affettivo e 49 per mano del partner o ex partner.
Sono diminuite le denunce di stalking ma aumentati gli ammonimenti contro i persecutori.
Si rende necessario fare informazione, sensibilizzare ed essere coesi, tutta la società è chiamata in campo essere parte attiva verso queste donne che vivono nel privato violenze e soprusi che devono riguardare noi tutti.
Dietro questi omicidi etichettati come femminicidio si nasconde la componente di genere: l’UCCISIONE DI UNA DONNA IN QUANTO DONNA.”

 

“E’ “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
Così recita l’art. 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne.”




Storia di una collezionista: Peggy Guggenheim a Venezia

Oggi parliamo di una donna straordinaria e importantissima per il mondo dell’arte: Peggy Guggenheim.
Forse il nome Guggenheim vi ricorda qualcosa, forse un famoso museo di New York?
Ebbene sì, lo zio di Peggy, Solomon R. Guggenheim fondò nel 1937 la Fondazione Guggenheim, che viene ospitata nel 1943 nel Museum of Non-Objective Painting costruito da Frank Lloyd Wright su richiesta dello stesso Solomon.
La famiglia di Peggy, di origine ebraica e provenienti dalla Svizzera, aveva messo su una bella fortuna grazie all’estrazione di argento e rame, ma il padre il 15 aprile 1912 naufragò sul Titanic.
Peggy si ritrovò in possesso di una cospicua somma di denaro. Cominciò a lavorare in una libreria di New York e a frequentare circoli e salotti dove entrò subito in contatto con le avanguardie artistiche (prima di tutto il dadaismo).
Si trasferì poi a Parigi, dove sposerà nel 1922 Laurence Vail e dove farà amicizia con artisti del calibro di Man Ray e Marcel Duchamp.
Tra le varie opere esposte nella sua collezione ci sono anche quelle di Pegeen Vail: sua figlia. Vicino alle figurine di vetro e ai quadri esposti, c’è una commovente lettera della madre che la ricorda con amore.
Dopo il divorzio da Vail, Peggy decise di viaggiare con i figli per l’Europa.
Piano piano, però, stava iniziando a collezionare numerose opere di artisti più o meno conosciuti (Kandinsky e Tanguy erano allora artisti emergenti).
Tra gli artisti che Peggy aiutò a consacrare alla memoria artistica dei posteri c’è da ricordare sicuramente Jackson Pollock.
È, infatti, da ascrivere a Peggy il merito della sua “scoperta” poiché Pollock espose per la prima volta proprio nella galleria che la Guggenheim aveva aperto a New York per scappare alla guerra in Europa.
Con la fine del conflitto mondiale, tuttavia, Peggy decise di tornare in Europa e scelse per la sua collezione una meta definitiva: Venezia.
È qui che infatti, ancora oggi, sorge il Peggy Guggenheim Museum, uno dei più importanti musei d’arte contemporanea in Italia.
Ho avuto il piacere di visitare questa meravigliosa collezione proprio qualche giorno fa, così da poter allegare alla storia della fantastica vita di Peggy anche il frutto del suo duro lavoro da collezionista.



Gauguin e la Polinesia

La vita

 

Paul Gauguin nacque a Parigi nel 1848. Dopo aver trascorso la sua prima infanzia a Lima, in Perù, si traferisce nuovamente in Francia con la madre, ad Orléans.

Ma la sua permanenza in Francia durerà poco: a diciassette anni si mette in viaggio per mare, girovagando per il mondo.

Terminato questo lungo periodo girovago decide di dedicarsi completamente alla pittura.
Uno dei momenti più importanti della vita di Gauguin è infatti l’incontro con Vincent Van Gogh: i due condivideranno anche un appartamento ad Arles, la famosa casa gialla.

Celeberrima, inoltre, è la vicenda dell’orecchio di Van Gogh, la cui causa sembra esser stato proprio un litigio tra i due!

 

Tuttavia, improvvisamente, Gauguin decide di vendere e liberarsi di tutti i suoi averi per trasferirsi a Tahiti, in Polinesia, alla ricerca di quel “paradiso perduto” tanto agognato.
Il primo soggiorno dura solamente due anni, ma nel 1895 Paul vi si trasferisce per non fare più ritorno.
Infatti lì morì, nel 1903.

 

La Polinesia

 

Possiamo dire che tutta la pittura precedente al periodo polinesiano è attesa e agonia.
E’ solamente

in questi quadri che si sprigiona tutta la vivacità e la vitalità di Gauguin; è in Polinesia che egli ritrova il suo io libero e selvaggio.

I colori accesi, vivaci e brillanti richiamano un’atmosfera magica, così lontana nello spazio e nel tempo da agitare nell’animo dello spettatore i desideri più reconditi e infantili.

Tutti quanti, almeno una volta, guardando un quadro di Gauguin abbiamo pensato “vorrei trovarmi lì”.
E questa è parte della sua magia: creare l’illusione di essere lì, di sentire il caldo ed il vento, i profumi dei frutti e il sole che scotta sulla pelle.

 

 

Ma Gauguin non è  interessato solamente alle atmosfere esotiche e alle donne polinesiane. Egli, piano piano, inizia a scavare in profondità, alimentando sempre di più il desiderio di conoscere ogni tradizione e ogni simbolo di una società così lontana dalla sua.

E anche se apparentemente Gauguin si dedica alla rappresentazione di scene di vita quotidiana, come donne in riva al fiume, sdraiate addormentate o intente ad acconciarsi i capelli, è possibile riconoscere un significato più profondo.

In un certo senso, le donne sono simbolo ed emblema della Madre terra, rappresentate quasi come divinità, pure ed irraggiungibili.

È assente qui ogni tipo di contesto sociale. Queste donne sono libere, selvagge e sempre silenziose.

 

La spiritualità

 

 

Affianco alle numerose tele di carattere quotidiano, ne esistono altre in cui Gauguin inserisce l’elemento cristiano cattolico nella contesto selvaggio e naturale: la ricerca spirituale non si limita perciò solamente nello scoprire le tradizioni e la religiosità indigena, bensì nel riconoscere una sacralità universale: egli arriva ad identificare la Madonna con il bambino in una donna tahitiana con il suo piccolo.

Insomma, Gauguin intende eguagliare tutte le religioni sotto una sola virtù: l’amore.

 

 

 

 

Ma l’opera più complessa, organica e misteriose fra tutte quelle prodotte nel periodo polinesiano è senza dubbio Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

L’opera va letta da destra a sinistra: numerosi gruppi di figure si succedono uno dopo l’altro, ognuno indipendente ma interconnesso con l’altro. Sono tutti allegorie e metafore dell’esistenza umana e degli stadi della vita.




La lettrice di Čechov di Giulia Corsalini

Pubblicato da Nottetempo scandaglia il dramma di chi lascia la propria terra per emigrare all’estero come badante

 

La lettrice di Čechov è il primo romanzo di Giulia Corsalini pubblicato da Nottetempo nel 2018 che ci porta a scandagliare il dramma individuale delle donne dell’est europeo costrette ad abbandonare la propria terra e gli affetti per emigrare all’estero per lavorare come badante.

Nina è una quarantenne ucraina, laureata in letteratura che lascia Kiev, sua figlia Kàtja e il marito malato per permettere alla figlia di studiare all’università e al marito di essere curato.

Nina raggiunge Macerata per prendersi cura dell’anziana Mariangela portando con sé solo alcuni libri: La Bibbia, Tolstoj, Dostoevskij e Čechov.
Ed è proprio attraverso la lettura e la frequentazione della biblioteca nel suo unico giorno libero, che Nina inizia a valutare la possibilità di tornare a studiare, di darsi una nuova possibilità e ricominciare a vivere.

Ma il dolore per gli affetti che ha lasciato si rivelano sempre più forti e il distacco con la figlia una ferita che aumenta giorno dopo giorno fino a farle perdere ogni volontà di guardare avanti con ottimismo creando un parallelismo con il racconto Storia noiosa di Čechov dove il vecchio professore si ritrova alla fine della sua vita a analizzare dolorosamente il freddo distacco delle persone a lui care.

 

 

La lettrice di Čechov è narrato in prima persona permettendo al lettore di entrare nell’intimo di Nina e portandoci ad ascoltare la povertà di Kiev, il freddo intenso degli inverni nevosi, la semplicità di una vita povera ma sincera.

Un uso magistrale della punteggiatura e la bellezza della tripletta di aggettivi qualificati rende fluido e piacevole il ritmo del testo al punto che diventa impossibile non sentirsi Nina mentre passeggia la mattina presto con il marito, o non riuscire a percepire la luce che entra di traverso nella sala della biblioteca di Macerata, così come si sente tutto il dolore di Nina nel prendere atto di come il suo allontanarsi abbia lacerato i suoi affetti e di resi vani i successi lavorativi raggiunti.

 

«A quel tempo vivevamo, a Kiev, in via Anna Achmatova, nel distretto di Darnycja; abitavamo al sesto piano di un alto condominio dignitoso […] Dalle finestre, prive di tende e di serrande, coglievo ogni giorno tutte le variazioni del cielo.»

La scrittura di Corsalini è sussurrata e mai urlata e, il dolore di una donna che sacrifica tutto per amore, si trasforma in un leitmotiv sottile che pervade tutte le pagine senza mai graffiare, senza mai sgomitare come se quella scelta non fosse stata in effetti una scelta bensì l’unica strada possibile, un disegno più alto dettato dal fato e come tale debba essere seguito senza alcuna esitazione.

Se la cruda realtà di ciò che perdono lasciando affetti e patria è perentorio in tutto il romanzo, l’amore profondo per la letteratura di Nina appare come quella zattera capace di salvare se non il fisico almeno la mente degli esseri umani.




Equità di genere l’incontro al circolo cittadino di Latina

Un mosaico di storie di donne dei nostri giorni alle prese con un’uguaglianza apparente

 

Si parla di Equità di Genere questo sabato 19 Marzo alle ore 17.30 al Circolo Cittadino “Sante Palumbo” in piazza del Popolo a Latina. L’incontro organizzato dall’Associazione Culturale Officine della Fantasia, pone l’accento sulle persistenti disuguaglianze di genere che, sia in Italia che nel mondo, continuano a creare forti disparità tra uomini e donne, fra bambine e bambini.  Al tavolo dei relatori un crogiolo di professionalità al femminile pronte a raccontarsi fra routine e luoghi comuni.

Fra le ospiti del pomeriggio il sindaco di Sermoneta Giuseppina Giovannoli recentemente insignita del prestigioso Premio Minerva, il primo riconoscimento al femminile in Italia. Simona Iacovacci titolare dell’omonima ditta di Autotrasporti, una delle prime donne a dirigere una ditta prevalentemente al maschile in provincia. Sara Mariani, avvocato e mediatore Civile e Familiare, Alba Faraoni Ispettore Superiore della Questura di Latina, la Psicologa e Psicoterapeuta Cristina Panzera, la giornalista Dina Tomezzoli e la modella ed influencer Celeste Silvestro. Nello speciale sabato dedicato anche alla Festa del Papà si parlerà anche di com’è cambiata la famiglia nel terzo millennio e del ruolo dei nuovi genitori.

Il pomeriggio di riflessione sarà allietato dall’esibizione del Soprano Sabrina Fardello accompagnata al pianoforte dal Maestro Nicola Franco. A moderare l’incontro la Presidente dell’Associazione “Officine della Fantasia” Antonella Castiello.

 

 

La partecipazione è libera ma nel rispetto delle vigenti normative AntiCovid-19.

 

COMUNICATO STAMPA




A Roma, l’arte del flamenco

Parlare di flamenco è parlare di arte. Un’arte che unisce canto, danza e accompagnamento musicale (cante, baile y toque) che nasce in Spagna, soprattutto in Andalucia, una terra ricca di cultura, contrasti ed influenze di diversi popoli provenienti da Oriente, Europa dell’Est, territori del nostro Mediterraneo e che lì hanno messo radici o lasciato tracce del loro passaggio. Autentico segno di riconoscimento di varie comunità, tra cui quella gitana, il flamenco è un’espressione culturale che gli esperti fanno risalire al 1700 e che si trasmette di generazione in generazione, con festival, circoli di flamenco e scuole. Dal 2010 fa parte del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Tra le varie scuole e iniziative di flamenco promosse a Roma presentiamo le performance di Alessia Demofonti, danzatrice, coreografa, insegnante, che ha scelto il flamenco come mezzo di espressione personale, anche se in realtà, come dice lei, è il flamenco che l’ha trovata. L’abbiamo intervistata per conoscere quest’arte meravigliosa e le sue prossime proposte ‘flamenche’, ringraziandola per la disponibilità.

Lei e il rapporto con il flamenco

Da sempre sono un’appassionata di danza. Il flamenco mi accompagna da quando ero adolescente, quindi che dire… è proprio parte di me! Non potrei vivere senza. Nonostante non sia la mia cultura d’origine, lo considero il ‘mio’ modo di esprimere quello che sento e che provo e che, a parole, non sono affatto brava a mostrare. Ho iniziato gli studi di flamenco negli anni Novanta a Roma con maestri italiani e spagnoli, ma ben presto mi sono recata in Spagna, Siviglia e Madrid principalmente, per approfondire lo studio di questa meravigliosa cultura dove ho avuto l’opportunità di studiare con molti maestri, qualche nome fra tutti, Manolo Marìn, La Tati, Angel Atienza, Marco Flores, Belen Maya ed ho lavorato con alcune delle più famose compagnie italiane come Cantares di M. Lanza, Pasion Gitana di C. Costa, Danzarteflamenco di S. Javier e, ancora oggi, con Flamenco Tango Neapolis di Salvo Russo.

Alessia insegnante

Alla fine degli anni Novanta ho iniziato l’attività di insegnante e coreografa. Il flamenco è sempre più soggetto a fusioni, contaminazioni ed integrazione con altre culture e forme d’arte, anche se ancora c’è chi rimane fortemente legato alla sua forma più pura.  Io stessa collaboro ad un progetto molto interessante che si chiama ’Flamenco Tango Neapolis’, un‘originale contaminazione di stili fra la canzone napoletana, il flamenco ed il tango argentino, nato da un’idea di Salvo Russo, musicista e compositore napoletano. Sempre parlando di contaminazione, sto sperimentando una personale interpretazione del cosiddetto ‘flamenco arabo’ assieme a Nadia Slimani, insegnante di danza orientale: si tratta di un genere non ‘codificato’, ma che appartiene ai moderni stili di fusione, pur affondando le radici nella storia della Spagna arabo-andalusa.

Chi può ballare il flamenco?

Direi che può ballare chiunque abbia qualcosa da dire … Il flamenco non ha età, né genere, né forma fisica. il flamenco rappresenta lo stato dell’animo umano, per cui se hai un’anima… puoi ballare flamenco.

Su cosa sta lavorando in questo periodo? 

Sto lavorando su “Flamenco Terapia. Il corpo che sente”, un Laboratorio online su piattaforma Zoom dedicato al mondo femminile che partirà il prossimo giovedì 10 febbraio (18,30/20,00), con incontri quindicinali. E’ un’idea, anzi un vero e proprio desiderio che ho nel cuore da tempo, che ha iniziato a prendere forma e sostanza negli ultimi anni (quando ho incontrato la danzaterapia di Maria Fux) e che si è rafforzato in questo periodo particolare che tutti noi stiamo vivendo. Il Laboratorio non è un corso dove si insegnano “ricette magiche per una vita felice”, ma è un luogo di scoperta e di crescita continua, un momento di connessione con sé e con gli altri, un laboratorio esperienziale per ritrovar-Si e conoscer-Si attraverso il libero movimento danzato, aperto a tutte.

Il flamenco è un potente mezzo di espressione personale, permette di esplorarsi a fondo. Attraverso il linguaggio del corpo e la connessione con le emozioni più profonde può essere di aiuto per  connetterci con la nostra forza interiore, per risvegliare “la Donna selvaggia” che è in noi, per dirlo con le parole della scrittrice statunitense Clarissa Pinkola Estès. Il Laboratorio non è incentrato sull’apprendimento didattico (per quello ci sono i corsi di flamenco tradizionale), ma sull’utilizzo delle modalità espressive del flamenco per la ricerca e la scoperta di Sé. Per raggiungere questo obiettivo ci faremo ‘aiutare’ anche da altre discipline, come lo yoga e la danzaterapia in generale. Questo lavoro intende intraprendere un viaggio in due direzioni: verso ‘l’interno’, per trovare o semplicemente RI-trovare la propria essenza ed il proprio potenziale creativo, e verso ‘l’esterno’ per esprimere tutto ciò che siamo.

Informazioni Whatsapp – 333/6145935

www.corsoflamencoroma.com

 




27 NOVEMBRE 2021 – NON UNA DI MENO! CORTEO NAZIONALE A ROMA

ORE 14 PIAZZA DELLA REPUBBLICA – PIAZZA SAN GIOVANNI

– SAREMO MAREA CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE E DI GENERE –

CI VOGLIAMO VIVE!

 

Il 27 novembre la marea femminista e transfemminista ritorna in piazza per il corteo nazionale a Roma al grido di “Non una di meno”.

Dopo un anno di stop imposto dalla pandemia, è quanto mai urgente riprendere la parola e lo spazio pubblico contro la violenza maschile sulle donne e di genere approfondita dalla crisi pandemica e da una politica istituzionale preoccupante e ostile alle donne, alle persone lgbtqia+ e alle persone più esposte alla crisi economica, sociale e sanitaria.

 

 

 

 

“Da una parte, il governo dell’uomo solo al comando riprogramma in peggio le condizioni delle nostre esistenze, con riforme non contrattate né contrattabili che ipotecano il nostro futuro.

Dall’altra, la deriva xenofoba, patriarcale e individualista che attraversa il dibattito pubblico e che attacca la solidarietà, la cura collettiva, l’accesso alla salute per tutt* come priorità dell’agenda politica post pandemica” dicono le attiviste.

 

Mentre una donna ogni 72 ore muore per femminicidio e si registra un aumento della violenza domestica, il piano triennale antiviolenza istituzionale è scaduto e non viene ancora rinnovato.

Pubblicheremo e porteremo in piazza e in rete i dati dell’osservatorio sui femminicidi, lesbicidi e transcidi avviato da Non Una DI Meno per ribadire che la violenza è strutturale e si alimenta in condizioni di dipendenza economica, ricatto, giustizia patriarcale e politiche istituzionali inadeguate e sessiste.

 

Saremo in corteo e lo faremo insieme con tutte le cautele necessarie per garantire la sicurezza e la tutela della salute di chi vorrà partecipare. La manifestazione sarà segnata da azioni performative e collettive, tra queste il grido muto, ossia un minuto di silenzio che coinvolgerà l’intero corteo per ricordare le vittime di femminicidi e transcidi; la performance sensibili-invisibili per il riconoscimento delle malattie cosiddette “femminili” ignorate dalla medicina, quali, ad esempio, vulvodinia, neuropatia del pudendo, fibromialgia, endometriosi e tutte le varie forme di dolore pelvico. Ci saranno performance per segnalare l’intreccio tra le migrazioni e le frontiere dello sfruttamento lavorativo, oltre alle numerose vertenze in piazza, tra cui quelle delle lavoratrici della Rgis e GKN.

 

Lo spazio della lotta politica pubblica è una priorità irrinunciabile, lo è a maggior ragione nel quadro di una emergenza sociale e di grandi trasformazioni come quelle innescate dal covid 19.

 

 

Ufficio stampa «Non Una di Meno»




OLIVA DENARO di Viola Ardone

OLIVA DENARO

Di Viola Ardone

Ed. Einaudi

 

 

 

“La femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia, così dice mia madre”.

 

Viola Ardone è una scrittrice contemporanea dalla penna che scava, e non ha remore mentre scrive e denuncia; nel suo ultimo romanzo “Oliva Denaro” ci fa calare in un tunnel buio e aspro che sembra non avere fine.

Di miseria si parla, ma soprattutto di donne, anzi di femmine, al plurale perché al singolare non si può neanche dire.

 

“La donna singolare non esiste. Se è in casa, sta con i figli, se esce va in chiesa o al mercato o ai funerali, e anche lì si trova insieme alle altre. E se non ci sono femmine che la guardano, ci deve stare un maschio che la accompagna.”

 

Il sostantivo femmina la dice lunga, non donna, ma femmina, come una pecora, o una vacca. Fino ai primi anni ‘60 questa era la condizione delle donne, al pari di un animale, o di un oggetto; asservite ad una società patriarcale, bigotta, nella quale anche il solo alzare lo sguardo, era peccato.

Oliva ci viene subito tracciata con due personalità opposte: la prima è quella di una persona che si rende conto di avere un proprio pensiero, e di volerlo esternare a dispetto di tutto e tutti. La seconda è invece quella di una figlia che tenta di non far addolorare sua madre, di somigliarle, di fare e dire solo ciò che si deve. E il dire, secondo la mentalità del periodo, per una donna, anzi femmina, è veramente ridotto al niente.

Ci sembra, oggi, così naturale leggere di autrici e poetesse, politiche e dottoresse. Ma l’essere donna e non femmina è il risultato di lunghe battaglie e di atroci sofferenze tutt’ora non del tutto sopite.

Leggendomi noterete che ripeto e ripeto ancora quel sostantivo animalesco, non è un refuso e neanche un errore o una svista.

Voglio sottolineare, scrivendolo più volte, la sua accezione dispregiativa che fa male; considerate che parliamo di situazioni vissute fino a poche decine di anni fa, e non di medioevo o prima ancora.

Il tratto che usa la nostra Ardone, ha un forte sentore di sofferenza, i colori sono scuri, la paura è dietro ogni angolo.

 

E così sono le paure: sono porte che esistono solo fino a quando non abbiamo il coraggio di attraversarle.

 

I caratteri della Ardone cambiano quando descrive il padre di Oliva, o è lui che parla: un omuncolo a detta di molti nel paese, a volte anche sua moglie lo definisce così.

È invece un padre sui generis: lui la figlia la capisce più di tutti gli altri, e la sorregge, e l’aiuta a rialzarsi con una forza e con una determinazione che non sembra essergli propria.

Oliva Denaro non è un romanzo che ci lascia con delle domande, negli ultimi capitoli risponde a tutto ciò che il lettore vorrebbe. Sul finale poi, abbiamo due voci differenti, al contrario di ciò che accade prima, e che ci viene narrato esclusivamente in prima persona dalla protagonista.

Prima di chiudere il libro, o anche prima di iniziarlo, provate a fare l’anagramma del titolo.

 

SINOSSI

Oliva Denaro è una ragazzina che vive in un paese della Sicilia. Cosimino, suo fratello, può correre, fare tardi, può esercitare una libertà che a lei è negata. Perché Oliva Denaro è nata donna e come dice sempre la madre…

 




Ivg, un videoconsulto per ridurre i tempi di attesa

La telemedicina, che ha avuto un notevole input con la pandemia, come per esempio con le ricette dematerializzate mandate via mail, rientra nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) del Governo italiano, con consulti e certificazioni online previste anche nell’accordo tra Stato e regioni “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina” del dicembre 2020 (atto n. 215/CSR).

 

Questa procedura potrebbe essere utilizzata anche nell’ambito dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) su iniziativa di un gruppo di mediche di Pro-choice della Rete italiana contraccezione aborto (Rica), associazione che difende il diritto alla scelta, all’aborto sicuro e alla salute riproduttiva in Italia. Si tratta di una certificazione online tramite videoconsulto gratuito per le donne, effettuata da ginecologhe e medici di famiglia, che invitano colleghi e colleghe ad unirsi al gruppo.

Il certificato (attestato) per l’interruzione volontaria di gravidanza è necessario alla donna per abortire entro i primi 90 giorni. Durante il colloquio nel quale viene redatto il documento, i medici  verificano il test di gravidanza (sia il test delle urine che si compra in farmacia sia l’esame del sangue per la Beta Hcg) e si informano sulla situazione clinica, socio-economica e psichica della donna, come indicato dalla legge 194/78. Tale legge prevede anche che il medico, se necessario, indichi sul documento che l’intervento abortivo deve essere effettuato con urgenza, evitando così alla donna di aspettare 7 giorni prima di rivolgersi in ospedale.

Questo “telecertificato” potrebbe risolvere alcune difficoltà che le donne incontrano, dovute a problematiche legate alla ormai scarsa rete dei Consultori pubblici, alla scarsa informazione sulle procedure da seguire, alla assenza di siti istituzionali di orientamento ai servizi, e al rifiuto da parte di molti ginecologi e medici di base di redigere questo documento perché si dicono obiettori di coscienza. In realtà la legge consente di rifiutarsi di praticare l’intervento, ma non esonera da tutto ciò che precede e che segue l’intervento stesso.

Per ottenere il teleconsulto serve una connessione internet e con cellulare, pc o tablet si contatta l’Associazione Vita di donna  via telefono al cell 366.3540689 o via mail all’indirizzo [email protected]. Dopo aver ricevuto via mail il link ci si collega con il medico in videochiamata per il colloquio. Dopo il colloquio il ‘certificato’ con la firma elettronica del medico certificatore verrà mandato via email. La tutela dei dati personali è garantita dalla piattaforma stessa su cui si lavora. Per informazioni:  [email protected].

Inoltre si precisa che l’Associazione Vita di donna offre consulenza sanitaria gratuita sulla contraccezione alle donne che ne fanno richiesta (via telefono 366/3540689 o scrivendo una mail a [email protected]): pillola, spirale, diaframma e preservativo sono scelte che possono essere, almeno inizialmente, valutate senza una visita effettiva, ma tramite un parere sanitario per dare informazioni sulle scelte rispetto alla vita riproduttiva. Questa videoconsulenza contraccettiva è stata riconosciuta dal Ministero della Salute assieme ad altri consulti medici utili per entrare in contatto con i pazienti, qualora non sia necessario visitarli fisicamente. (Foto di Tumisu da Pixabay)

 

 

 




Sport: oro alle Farfalle di ginnastica ritmica e Coppa Italia alla Roma Femminile calcio

La squadra nazionale di Ginnastica artistica ha vinto ieri due medaglie d’oro nelle finali di specialità della World Cup di Pesaro 2021, sulla strada verso le Olimpiadi di Tokyo. Le Farfalle si sono aggiudicate la Final Eight con le 5 palle con il punteggio di 46.950, davanti alla Russia ,45.350  e il Giappone, 43.800 e  con tre cerchi e quattro clavette, con 44.150 punti battendo Russia  e Israele. Le azzurre, allenate da Emanuela Maccarani,  Alessia Maurelli, Martina Centofanti, Martina Santandrea, Agnese Duranti, Daniela Mogurean  e la riserva Laura Paris, sono ancora una volta tra le migliori a livello internazionale a pochi giorni dagli Europei di Varna in Bulgaria, in programma dal 9 al 13 giugno e dopo i tre argenti conquistati nella tappa di Baku. Nelle finali individuali sono state impegnate le azzurre Sofia Raffaeli e Alexandra Agiurgiuculese: la prima  ha concluso rispettivamente al quinto posto al nastro, dove ha totalizzato 22.350 punti e  al sesto con le clavette, con il punteggio di 26.600. Nella stessa finale, la seconda ha ottenuto il settimo posto  con 24.150 punti. Nel corso dell’evento le gemelle russe Averina vincono molte medaglie: Arina due ori, con clavette e nastro, e due bronzi con cerchio e palla, mentre Dina oro al cerchio, due argenti a palla e nastro e bronzo alle clavette. L’israeliana Linoy Ashram, vince l’oro con la palla e due posizioni sul podio per cerchio e clavette, e si aggiudica il titolo di migliore ginnasta All-Around nel circuito di World Cup Series.  La bielorussa Alina Harnasko si classifica terza nella specialità al nastro. A premiare le nostre Farfalle e le altre vincitrici il presidente della Federginnastica Gherardo Tecchi, il numero uno della Federazione Internazionale Morinari Watanabe, la delegata del sottosegretario di Stato con delega allo Sport, Linda Elezi, l’assessore allo sport del Comune di Pesaro, e il presidente del Coni Marche.

Per rimanere nelle vittorie di ieri portate a casa da atlete italiane più legate alla nostra regione, ricordiamo la vittoria della Roma Femminile calcio che ha vinto la Coppa Italia 2020-21, per la prima volta nella sua storia. Le giallorosse, guidate da Betty Bavagnoli, hanno superato il Milan ai calci di rigore, dopo un risultato che è rimasto bloccato sullo 0 a 0 nei ’90, e due rigori parati dal portiere giallorosso Ceasar. (Foto di Omar Medina Films da Pixabay)

 

 




Non Una Di Meno lancia lo sciopero femminista e transfemminista dell’8 marzo

Essenziali sono le nostre vite, essenziale è il nostro sciopero!

L’8 marzo sarà sciopero femminista e transfemminista: sciopero generale della produzione e della riproduzione, del consumo, dai ruoli sociali imposti dai generi. La sfida di uno sciopero generale transnazionale nell’emergenza è ardua quanto urgente.

Diversi sindacati di base hanno già accolto l’appello di Non Una Di Meno e hanno proclamato lo sciopero generale di 24 ore. Sul blog di Non Una Di meno sarà reperibile un Vademecum dove reperire informazioni su come fare per scioperare. L’8 marzo interromperemo ogni tipo di lavoro, senza distinzioni di categoria e di contratto, lo scioperò coinvolgerà anche le figure non riconosciute del lavoro, chi con la pandemia ha perso ogni forma di reddito e le persone migranti che con il lavoro rischiano di perdere anche i documenti di soggiorno. Attraverserà lo spazio pubblico e i luoghi di lavoro ma anche la rete con pratiche di sciopero della connessione, connetterà chi cura e chi è curato per un sistema sanitario pubblico, diffuso e territoriale, le studenti e le insegnanti per portare la scuola fuori dall’emergenza, anche culturale, dando vita a “zone fuxia” nell’Italia segnata dai colori dell’emergenza.

Il 26 febbraio in molte città (Bologna, Reggio Emilia, Pisa, Torino, Livorno, Roma, Pavia…) partirà il countdown con azioni e conferenze stampa per presentare le iniziative della giornata dell’8 marzo dislocate nel paese.

La crisi sanitaria, sociale e economica ha colpito e colpirà ancora una volta il lavoro femminile, migrante, non tutelato, precario, gratuito. La gestione dell’emergenza ha fatto leva sull’assenza completa della tutela della salute in particolare nei settori essenziali; sull’intensificarsi di forme di lavoro a distanza non normato e sul sovrapporsi del lavoro produttivo e di cura nello spazio domestico, più che mai luogo di violenza per le donne e le soggettività lgbtqia+. I centri anti-violenza si sono trovati a gestire un’emergenza nell’emergenza, i numeri dei femminicidi delle ultime settimane lo testimoniano e impongono misure urgenti e strutturali.

I dati Istat mostrano come il crollo dell’occupazione riguardi soprattutto le donne (a dicembre 2020, 99mila posti di lavoro persi su 101mila sono di donne). L’8 marzo ci troveremo alla vigilia dello sblocco dei licenziamenti e nel pieno della definizione del Recovery Plan. I 209 miliardi per la “ricostruzione” arriveranno in Italia, ma sul loro impiego lo scontro è aperto. La gestione dei fondi europei ha determinato la caduta del governo Conte bis e l’insediamento del governo Draghi. Le politiche di inclusione di genere sono uno dei punti chiave del programma di rilancio e resilienza. Ma al di là di ogni falsa retorica sull’inclusione lavorativa e sulle politiche di conciliazione vita- lavoro, sono e saranno le donne, le migranti e le soggettività lgbtqia+ a pagare il prezzo più alto.

Alla prospettiva di un piano di ricostruzione patriarcale e confindustriale, vogliamo opporre un piano femminista di trasformazione sociale: un salario minimo europeo e reddito di autodeterminazione, socializzazione della cura, welfare universale e non familistico, un permesso di soggiorno europeo non condizionato al lavoro e alla famiglia, diritto alla salute e all’autodeterminazione, priorità della salute ecosistemica rispetto ai profitti.

Essenziali sono le nostre vite, essenziale è il nostro sciopero!

 

COMUNICATO STAMPA