Il vero ritratto di Dante

Il Sommo Poeta

 

Dante Alighieri è il padre della letteratura italiana, conosciuto in tutto il mondo per aver creato un’opera maestosa e imponente come la Divina Commedia.

Tutti noi, pensando a Dante, immaginiamo un uomo vestito di rosso, con una corona d’alloro, il naso aquilino e il volto serio rappresentato di profilo: l’immagine del poeta per eccellenza.
Ma tutte le raffigurazioni di Dante sono successive alla sua morte, nessuno lo ha mai visto e ritratto quando era ancora in vita.

  Dante: cavaliere in armatura

Sappiamo però che in vita fu un cavaliere, poiché combatté a Campaldino e ricoprì numerose cariche politiche a Firenze prima di essere esiliato.
Queste notizie biografiche creano un ritratto molto distante da quello che noi abbiamo in mente: un uomo politico, un uomo di guerra, un pellegrino senza terra e senza riconoscimenti.

 

Quando mai, in tutta la sua vita, Dante ebbe occasione di vestirsi di rosso e indossare una corona d’alloro in testa?

 

Piuttosto, dovremmo immaginarlo in sella ad un cavallo e con un’armatura addosso, come era abituato a vestirsi nei suoi anni fiorentini.

A venticinque anni, nella battaglia di Campaldino, Dante era in prima fila, vestito con una cotta di maglia da quindici o venti chili, con lo scudo in un braccio recante i colori della famiglia (oro e nero, con una fascia bianca verticale), una lancia in pugno e l’elmo sulla testa.

Chi mai si immagina Dante in armatura? Eppure, è l’unica cosa di cui siamo certi.

Se, dunque, negli anni giovanili Dante era solito indossare un’armatura, nel periodo successivo all’esilio lo vediamo intento a vagare di corte in corte per ricevere l’appoggio di un Signore o di un Duca. 

In quegli anni aveva appena cominciato a scrivere la Divina Commedia, un’opera che gli porterà via vent’anni di lavoro, e la sua fama di poeta era circoscritta nella sola zona di Firenze.

Al di fuori della Toscana, era un uomo qualunque in cerca di lavoro come poeta e filosofo di corte, non sicuramente il famosissimo scrittore incoronato d’alloro.

 

La tradizione pittorica a partire da Boccaccio: vestito rosso e corona d’alloro

 

A trasmettere quest’immagine di Dante vestito di rosso e con la corona fu Giovanni Boccaccio.

Quando tra il 1351 e il 1365, a quarant’anni dalla morte di Dante, egli scrisse la prima biografia sul poeta, fornì una descrizione fisica totalmente idealizzata.

Boccaccio non conobbe personalmente Dante e alla sua morte non vi erano rimasti ritratti o dipinti; perciò,
decise di descriverlo in base a caratteri generali e idealizzati che potessero trasmettere valori come la sensibilità, la gloria, l’autorità. 

Immaginò un uomo robusto, con il naso aquilino simbolo di potere, il volto severo e malinconico espressione della condizione d’esiliato, l’abito rosso simbolo della gloria poetica e la corona d’alloro, che Dante a lungo sognò di ricevere come celebrazione per la Commedia, di ritorno a Firenze.

Malgrado questi sogni, Dante morì esule a Ravenna nel 1321 e di lui non ci sono pervenuti alcuni ritratti o disegni.

 

 

 

  

 

 

 

 




“Fatti non foste a viver come bruti”

750 anni dopo la nascita di Dante Alighieri

750 anni fa nasceva uno dei capisaldi della letteratura italiana, unico ed inimitabile: Dante Alighieri. Quest’anno ricordiamo il suo anniversario di nascita tramite eventi organizzati in tutta Italia. Nonostante siano passati così tanti secoli da quell’epoca così distante a noi quale è il Medioevo, ritroviamo ancora temi di grandissima attualità all’interno delle sue opere.

Dante è sempre stato un uomo di cultura e non solo: era appassionato di politica, innamorato della filosofia e un uomo esiliato e condannato. Egli fu uno dei primi ad interessarsi allo studio della lingua e dei dialetti, definendo anche l’italiano che parliamo oggi. Fu il creatore della famosa “donna angelo” e il primo a coniare i termini “bello stilo” e “stilnovismo”, corrente letteraria di cui lui stesso sarà uno dei massimi esponenti. Fu anche un uomo di Chiesa, ma capace di condannare gli stessi papi che hanno abusato del loro potere.

Superbo, insicuro, combattuto. Insomma, fu un uomo in ogni senso e visse una vita tormentata, tra passione e dolore. Nella sua più grande opera, Dante esprime se stesso, la sua evoluzione e ascensione.Analizza l’amore lussurioso, provocato dalla stessa letteratura, definendolo primordiale e peccaminoso. Amore che si contrappone a quello spirituale e di elevazione. Condanna anche se stesso, mettendosi così in discussione. Condanna i corrotti, i politici e gli ecclesiastici.

Ecco come magicamente tutto si ricollega in quelle pagine, capaci di farci scorgere i fili conduttori che collegano la storia, tutta la storia, letteraria e non. Per questo motivo ci sentiamo tanto coinvolti nelle celebri terzine della “Divina Commedia”: possiamo rivederci ed identificarci in esse. Oggi forse più che mai, un passo in particolare ci coinvolge maggiormente, ossia quello del canto XXVI dell’inferno. Le parole di Ulisse, il cui spirito arde nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, sono così d’impatto tanto da non poter essere mai dimenticate. Perché nella vita ci vuole curiosità, ci vuole passione, ci vuole coraggio. Bisogna viaggiare, conoscere e avere sete di sapere. Bisogna avere uno sguardo capace di puntare più in là dell’orizzonte, ma al contempo bisogna essere consapevoli dei propri limiti.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza