La persistenza della memoria

La persistenza della memoria è uno dei quadri più famosi di Salvador Dalì, esponente della corrente artistica del Surrealismo nata agli inizi degli anni ’20 a Parigi.

Su cosa si basa il surrealismo?

Quando nel 1900 Sigmund Freud fece pubblicare “L’Interpretazione dei Sogni” il mondo fu rivoluzionato.
Freud diede una chiave d’accesso ad un mondo fino ad ora sconosciuto: l’inconscio.

E la prima metà del ‘900 è caratterizzata quindi da quest’esplorazione della psiche dell’uomo.
Il Surrealismo nasce qui, da questo desiderio di esplorare e portare a galla ed imprimere su tela il caos interiore.

Senza giudizio, senza la presenza dell’occhio “cosciente”: solo l’inconscio.
E la Persistenza della memoria è uno dei capolavori della corrente Surrealista


Il quadro presenta, ovviamente, quelle caratteristiche tipiche della nuova scuola d’espressione: un paesaggio fantastico, oggetti fantastici e irreali in una dimensione non soggetta alle leggi della fisica.Ed eccoci arrivati all’oggetto principe del dipinto: l’orologio.

Il senso di disorientamento è fortissimo, nonostante ciò che ci si presenta davanti gli occhi siano comunque oggetti della vita quotidiana, che ognuno di noi conosce.Ma questi non sono orologi normali, ma sono orologi molli, deformati, a metà tra la condizione solida e quella liquida: danno l’impressione di starsi sciogliendo, in un processo irreversibile.

Uno degli orologi si sta sciogliendo su un oggetto bianco.
All’inizio, sembra essere un grumo senza senso.

Tuttavia si può notare che sembra un volto, soprattutto se lo si guarda di lato. Si possono vedere le ciglia di un occhio chiuso, un naso e altre forme astratte. Questa creatura appare in molti dipinti di Dali ed è il suo autoritratto.

Accanto notiamo l’unico orologio solido di color arancio, con sopra alcune formiche nere, che sembrano divorarlo: queste formiche rappresentano l’allegoria per dell’annullamento del tempo cronologico, inconsistente e reversibile.

Perchè Salvador Dalì ha dipinto questo quadro?

Il pittore stesso rispose a questa domanda confessando di aver preso ispirazione da una fetta di formaggio che si stava sciogliendo al sole.
Questa visione gli ispirò l’idea degli orologi molli che subito dipinse sulla tela. L’immagine che stava dipingendo rappresentava un paesaggio di Port Lligat, in Spagna.

Questo quadro ci trasmette un messaggio molto chiaro: il tempo non funziona come noi pensiamo, nè tantomento la memoria.

E che cos’è, dunque, la memoria se non uno spazio dove ci si può muovere in modo non unilaterale nel tempo?
Nella nostra memoria possiamo tornare indietro ad un ricordo remoto, per poi svilupparlo in sequenza cronologica e poi tornare ancora più indietro: non ci sono leggi.




Un mondo di fantasia (e follia): Bosch

La vita di Hieronymus Bosch, pittore fiammingo che visse a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, è incerta e misteriosa.

Di lui si hanno poche notizie e molte leggende.

Per inquadrare bene lo stile di Bosch basta dire una cosa: le sue opere furono fonte di ispirazione per il Simbolismo, l’Espressionismo e il Surrealismo.
Dunque, uno stile fantastico, ricco di simboli e allegorie, che attinge alla tradizione medievale e alle miniature.

 

L’opera più celebre e decantata di Bosch è sicuramente il Trittico de Il Giardino delle Delizie.

Quest’opera è datata tra il 1480 e il 1490, nell’apice della maturità artistica dell’artista.

È composta da tre tavole richiudibili che rappresentano, in ordine: il giardino dell’Eden, il giardino delle delizie e l’inferno.

Il trittico chiuso, invece, svela un’immagine diversa: la nascita del pianeta Terra.

 

Nella prima tavola, quella rappresentante il Paradiso, troviamo Dio tra Adamo ed Eva.
Lo spazio che li circonda è un rigoglioso giardino popolato da strani e numerosi animali, con al centro una particolare struttura rosea, in asse con la figura – anch’essa rosata – di Dio.
E’ la Fontana della Vita.

Tutti gli animali, in un modo o nell’altro, rappresentano una virtù o un vizio. Sono presenti animali comuni, esotici e di fantasia, la cui interpretazione però è alquanto difficile.

Il pannello centrale è il più grande.
L’ambiente ricorda quello della tavola precedente, un giardino con delle fonti d’acqua, ma è fittamente popolato da nude figure di uomini e animali.

Si passa da un’ambientazione spirituale e di quiete, ad una carica di erotismo e sensualità.

 

 

E’, ad un primo impatto, sconvolgente.
Le figure sono ammassate e sovrapposte nello spazio ristretto della tela quadrata, ma possiamo dividerle in fasce orizzontali a partire dal livello inferiore:
nella prima fascia sono presenti gli uomini; in quella mediana invece vi è un anello di animali attorno ad un laghetto tondo; mentre il livello superiore è composto dal panorama all’orizzonte, con questi strani edifici rosa e azzurri.

Dal basso verso l’alto, le figure diminuiscono e finalmente si respira un po’ di quiete nella sezione superiore.

L’ultimo pannello è completamente diverso dai precedenti.
Una fortissima contrapposizione è data dall’utilizzo dei colori: dal verde del prato si passa al nero tetro della notte.

 

Anche questo pannello si può leggere dal basso verso l’alto, con lo stesso effetto di diradamento delle figure. Ma qui non so

no i piaceri carnali ad essere rappresentati, bensì la loro punizione infernale.
Quest’ultimo mondo è costituito da figure macabre e tormentate, sofferenti, antropomorfe e mostruose.

 

Possiamo notare, però, in mezzo a tutte queste figure, un’alta concentrazione di strumenti musicali: per questo motivo la tavola è nota con il nome di “Inferno musicale”.

 

Riguardando adesso l’opera, per un ultima volta, ci rendiamo conto di come sia estremamente attuale e vicina alle correnti artistiche di inizio Novecento, e di quanto artisti come Salvator Dalì siano stati influenzati da questo mondo fantastico e mostruoso di Hieronymus Bosch.




Un mistero iconografico: La Tempesta di Giorgione

La “Tempesta” di Giorgione

 

La Tempesta di Giorgione è ad oggi l’opera più discussa ed enigmatica studiata dai maggiori critici d’arte. Fu dipinta tra il 1506 ed il 1508 dal pittore veneziano Giorgione, maestro di Tiziano.

L’opera in sé è semplice: in primo piano, tre figure si trovano sulle due sponde di un torrente. Una donna con il proprio bambino e un giovane poggiato sul suo bastone.

Ma chi sono queste figure?

Qui si aprono dibattiti e ricerche e ipotesi di ogni genere!
Numerosissimi studiosi, come Adolfo Venturi, Carlo Zinelli e Salvatore Settis, hanno proposto le proprie teorie, ma la critica si divide maggiormente in due correnti: chi vede nel dipinto un soggetto storico, mitico e biblico e chi non ne vede alcuno.

Tra i sostenitori del non-soggetto e quelli del soggetto nascosto, ci concentreremo su quest’ultimi: in un viaggio tra le numerose storie e miti che richiama alla mente questo magico dipinto.

 

La Leggenda Aurea

 


La prima storia da raccontare è la Leggenda Aurea.

Maria Maddalena, giunta alla corte del re di Provenza, aiuta lui e la moglie ad avere un figlio.  Per ringraziare di questo miracolo, i tre intraprendono un pellegrinaggio per raggiungere Roma, ma durante il tragitto la moglie ed il figlio morti vengono abbandonati su un’isola.
Nel viaggio di ritorno, a causa di una tempesta la nave ritorna nei pressi dell’isola e il re ritrova miracolosamente la moglie ed il figlio in vita.

Questo dipinto potrebbe rappresentare il momento di ricongiungimento della famiglia reale, quando il re finalmente ritrova la moglie ed il figlio.

San Giovanni Crisostomo

La seconda storia è quella di San Crisostomo.

Giovanni Crisostomo, dopo aver commesso un gravissimo peccato gettando una giovane ragazza giù da una rupe, decise di fare penitenza camminando a quattro zampe e senza più parlare finché un neonato non lo avesse perdonato.

Quando l’imperatore gli perdonò il delitto commesso, la ragazza da lui violentata e uccisa fu miracolosamente ritrovata ai piedi della rupe.
Il momento rappresentato potrebbe essere quello in cui Crisostomo, dopo aver scontato la sua penitenza, si rincontri con la giovane ed il suo bambino.

Eppure sono numerosissime le teorie che ruotano attorno a questo dipinto.

 

 

 

Enea e i Vendramin


Oltre queste due storie, vi è anche un’ulteriore ipotesi: il giovane con il bastone potrebbe essere Enea che ritrova Lavinia e Silvio, costretti a vivere nel bosco per un periodo. Perché proprio Enea?
Sullo sfondo possiamo notare la città di Venezia, ed il doge in carica al momento della creazione era Gabriele Vendramin, discendente del famoso Andrea Vendramin.
Da tempo Venezia era legata al mito di Enea e lo stesso Silvio (figlio di Enea) era simbolo di Gabriele.

Questo potrebbe essere un grande indizio per identificare il soggetto dell’opera in base alla committenza.

 

Una donna misteriosa

Eppure, il dipinto è stato sottoposto a numerosi raggi x sin a partire dal 1939, e grandiose scoperte hanno rivoluzionato l’idea della composizione del dipinto dando maggior voce ai sostenitori del non-soggetto.
Perché?
Possiamo notare come al posto del giovane pellegrino vi fosse una donna intenta a lavarsi.
Chi fosse costei e come interagisse con l’altra figura, non si sa.

Il quadro di Giorgione è ad oggi uno dei più grandi misteri dell’iconografia.