Kurt Schwitters: l’artista dei collage

Kurt Schwitters è stato un artista tedesco che ha vissuto nella prima metà del XX secolo.

È stato un membro del movimento dadaista in Germania e la sua opera è stata influenzata da molti stili artistici diversi, tra cui l’espressionismo astratto, il cubismo e il futurismo.
La sua vita e le sue opere sono state caratterizzate da una continua sperimentazione e ricerca di nuove forme artistiche.

 

 

La vita

Kurt Schwitters nasce nel 1887 a Hanover, in Germania, dove ha iniziato la sua carriera artistica durante la Prima guerra mondiale.

Si unirà al movimento dadaista tedesco negli anni ’20.
Il Dadaismo è stato un movimento culturale – nato in Svizzera, precisamente nel Cabaret Voltaire, durante la Prima guerra mondiale -e ha avuto l’obiettivo di criticare la società e la cultura borghese attraverso l’arte.

L’arte dadaista nasce dall’influenza cubo-futurista che in quegli anni si andava diffondendo in tutta Europa e che si basava su una visione frammentaria della città.

La metropoli moderna, nella sua bellezza e contraddizione, non poteva essere concepita come unitaria ed omogenea (come lo era Roma, città eterna, di stabilità e fissità) ma era percepita in modo discontinuo.

A partire dal cubismo, questo carattere della città fu tradotto in “importazioni” della città urbana: nei quadri di Braque e Picasso iniziano a comparire scritte urbane, etichette di bottiglie e marche di oggetti commerciali (come il brodo KUB).

Durante la Seconda guerra mondiale, Schwitters fu costretto a fuggire dalla Germania e visse gli ultimi anni della sua vita in Inghilterra, dove morì nel 1948.

Le opere

 

Schwitters è stato un innovatore nel campo del collage, usando materiali di scarto come carta, cartone, giornali e mozziconi di sigaretta per creare le sue opere. Questi oggetti, prelevati direttamente dalla strada, trasmettono quella concezione di cui parlavamo prima: rispecchiano l’esperienza frammentaria della città.

La sua opera più importante, la Merzbau, era un’installazione ambientale in continua evoluzione che ha costruito nella sua casa a Hanover.Questa opera ha dato forma alla sua filosofia artistica, che si concentrava sull’uso di materiali di scarto e sulla continua evoluzione delle sue opere.

In conclusione, Kurt Schwitters è stato un artista e poeta di grande importanza che ha avuto un impatto significativo sulla cultura del collage e sulla filosofia dadaista.

La sua vita e le sue opere hanno dimostrato la sua dedizione alla sperimentazione e alla ricerca di nuove forme artistiche e la sua influenza è stata sentita per molti anni dopo la sua morte.




Torino, una città da vivere tra le righe

Alessandro, 58 anni, romano con laurea in matematica, lavora in un istituto di ricerca della Capitale dove si occupa, tra l’altro, di divulgazione scientifica. Tra i suoi interessi, culturali e di viaggiatore, ce n’è uno che ha iniziato a ‘praticare’ da poco, ma che gli dà molta soddisfazione, ed è quello di scrivere libri. Dopo ‘Dallo speaker’s corner di Campo de’ Fiori’ (ed. Kimerik), di recente ha pubblicato per l’editore Albatros, ‘Matematica e Poesia’, a cui il viaggio a Torino, che gentilmente condivide con i nostri lettori, è strettamente legato.

Torino, la sabauda

L’idea di andare a Torino non nasce dalla voglia di fare un viaggio di piacere, ma dalla partecipazione come firmacopie della mia ultima ‘fatica’ al recente ‘Salone del libro’ che si è svolto lo scorso mese di maggio nel capoluogo piemontese. La visita alla città è la naturale conseguenza: invece di fare toccata e fuga sono rimasto in città 3 notti, con informazioni e suggerimenti da parte di mio fratello, il mio amico/collega Andrea e le notizie che ho preso autonomamente sul web, consultando anche ‘le 10 cose più belle da vedere a …”. Quando viaggio da solo per lavoro e/o per diletto non porto molte cose, solo l’essenziale, anche se in questa occasione la giacca di rappresentanza non poteva mancare, dovendomi interfacciare con il pubblico del Salone. Ho soggiornato in un appartamento che si trova  a 10 minuti a piedi dalla stazione Porta Nuova, e a una ventina dalla famosa Piazza Castello.

A spasso per la città, e le visite ‘da non perdere’

Il Salone del libro di Torino è enorme ed attira una quantità di gente incredibile. Dal canto mio l’esperienza è stata positiva seppur il tempo che avevo a disposizione allo stand della casa editrice Albatros per il firmacopie era veramente poco (un’ora circa): vendere, però, il mio libro, che parla di matematica in sonetti romaneschi, ad un pubblico per la maggior parte piemontese, è stata una bella soddisfazione. Oltre a visitare le principali attrazioni della città, come amo fare spesso, ho respirato l’aria del luogo, ho girato in lungo e in largo per percepirne i profumi, il dialetto e le abitudini dei suoi abitanti. La città mi ha dato l’impressione di essere disegnata con le squadre, le strade si intersecano in modo per lo più perpendicolare, ed i loro nomi testimoniano fortemente il dominio sabaudo. Dal Palazzo Reale mi aspettavo un po’ di più, forse perché pochi altri possono competere con quello di Vienna, che ho visitato qualche tempo fa. La visita al museo Egizio, come da previsioni, è stata la cosa più emozionante. Il giovane archeologo che ci ha accompagnato nella visita ha saputo, con le sue conoscenze, rendere il tutto ancora più interessante, unendo, allo stupore di ciò che vedevo, una lunga serie di notizie storiche legate a quell’affascinante civiltà. Sono salito anche sulla Mole Antonelliana ed ho visitato il Museo del cinema, collocato in essa: la prima mi ha permesso di vedere tutta la città dall’alto e da una posizione centrale, il museo mi ha permesso di vedere cose molto interessanti e inaspettate.

Non potevo poi non fare una visita alla Basilica di Superga, attratto dal desiderio di gustare la città dall’alto e le Alpi che la sorvegliano da lontano, e dal mito che avvolge questo luogo dove nel maggio del 1949 si schiantò un aereo, proprio contro il muraglione del terrapieno posteriore alla Basilica. Nell’incidente  perse la vita l’intera squadra cittadina, il ‘Grande Torino’ di Valentino Mazzola e compagni, assieme ad accompagnatori e giornalisti al seguito, gruppo che rientrava da Lisbona dove aveva giocato una partita amichevole contro il Benfica. Non posso non menzionare tra i miei giri a piedi la bellissima passeggiata lungo il Po, che mi ha regalato un momento di tranquillità e spensieratezza. Come mi succede spesso non ho fatto molte fotografie se non quelle che man mano spedivo via chat alla mia famiglia, per condividere le esperienze del viaggio.

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Torino a tavola

In tutto questo, trovandomi da solo, ho mangiato in modo piuttosto ‘veloce’, pizza, panini e toast,  cercando però di gustarmi i dolci tipici. Ho mangiato un fantastico gianduiotto in Piazza San Carlo, dove tra l’altro ho bevuto il Bicerin, una nota bevanda di crema gianduia, appartenente all’antica cultura e tradizione torinese, che veniva servita in tutti i caffè della città sin dai primi anni del XIX secolo, e di cui ne ho riportato una bottiglia a forma di Mole Antonelliana, come souvenir.

Cosa suggerisci a chi voglia visitare la città?

Andare assolutamente al museo Egizio e camminare a piedi per respirarla in ogni suo aspetto!




#euapiedi: i tuoi occhi nella tua città

Chi possiede un account su Instagram lo sa bene: basta girare con uno smartphone e amare le fotografie, per poter creare la propria narrazione online. Il progetto narrativo #euapiedi nasce proprio così, grazie al desiderio di raccontare la propria città di Sergio Ragone (@ragons per gli utenti dell’applicazione). Nasce a Potenza, tra le strade girate a piedi che egli stesso calpesta tutti giorni e alle quali vuole dare colore e voce.

“Eu, che vuol dire Io in portoghese, nasce dall’esigenza di immaginare una narrazione digitale nuova e del tutto inedita, a differenza di quelle già presenti in rete. L’Io che vive in città, l’elemento umano nella dimensione urbana: è questo il focus che questo hashtag activism vuole ribadire come centrale. Ma Eu è anche lo spazio europeo, nel quale oggi ci muoviamo”.

Io vado a piedi, racconta Sergio già nel titolo del suo blog personale e mi spiega come mai abbia dato questo nome all’hashtag, che raggruppa le narrazioni di tutti su Instagram: ha cominciato lui a Potenza ed il potere digitale degli ambienti di Social Networking ha generato una veloce reazione a catena, che ha visto ognuno nella propria città continuare con la sua personale narrazione dei propri luoghi. Lo sguardo è nuovo: è quello partecipativo di chi esce e nella propria città ci resta, la osserva, la vive, la calpesta, le parla, la codifica, la fa propria, la racconta, la colora, la ama, le fa domande ed ella – miracolosamente – risponde!

“Quello che voleva essere un ‘luogo’ di narrazione di una sola città si è trasformato in un hashtag activism, che ci sta dando una mappatura in tempo reale della vita in città con le sue mille complessità. Tante città stanno diventando una sola”.

Sono affascinata dai mille occhi che vedo spuntare, cliccando sull’ipertesto #euapiedi, e così decido anche io di camminare a piedi insieme a loro. A loro, sì, a tutte le persone che, come me, camminano e alzano gli occhi al cielo e li fanno salire sui rami degli alberi e li infilano dentro ai vicoli scuri e li soffermano davanti ad una pila di panni stesi o di finestre spalancate o di luci allineate e simmetriche… O magari li spalancano, con dolore, di fronte ad uno scempio fatto di spazzatura davanti ai piedi.

Perché, dunque, raccontare le storie come #euapiedi? Sergio ce lo spiega con un pezzo di cuore tra le righe: “Perché gli spazi urbani appartengono ad ognuno di noi ed è arrivato il momento di abitarli, per renderli migliori, più sicuri e più belli”.

Il racconto di Sergio Ragone nel suo blog: http://iovadoapiedi.tumblr.com/

I racconti di tutti in #euapiedi: http://euapiedi.tumblr.com/

 

“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.

Italo Calvino, Le Città invisibili




La città di sera

Io e la dirimpettaia ci incontriamo da alcuni mesi sul balcone. Il buio intorno ci ricopre e la sera ci aspetta per la sigaretta in solitudine. Io con me, lei con se stessa, distante per un po’ dalla sua famiglia.

Così alta e sottile, è ricoperta da una nube di capelli corvini. Non so chi sia, in verità, ma conosco ogni segmento dei suoi gesti, tanto che la riconoscerei anche tra cento balconi affollati. Usa muoversi molto ed è sempre piena di cose da fare. Non esce per stare immobile, come faccio io, esce accompagnata da mille faccende.

Io resto lì, fissata ad osservare l’aria del giorno che è andato. Mi guardo intorno e mi perdo nel buio, senza neanche distinguere il grigiore dell’area industriale. Abbandono per sempre i pensieri. Quelli inutili sul traffico isterico incontrato durante la giornata, sulle buche ampie come laghi che si sono impossessate delle strade di tutti i giorni, su ciò che non va e non funziona e si rompe, generando crepe sempiterne, sulle ore di lavoro piene di tensioni fisiche ed interiori, sulle preghiere che paiono inascoltate, sulle luminarie del Natale sempre poche o inadatte, che in ogni città destano discussioni e falliscono nel loro desiderio di voler piacere a tutti, sulla stanchezza che appare ogni giorno come una morte, sulle scelte che comportano crudeli rinunce, sugli amori che dolgono ed i rapporti che si dissipano, sull’oroscopo che decreta che Saturno ora è contro e basta, sulle polemiche che mai fonderanno dei punti d’incontro.

Ieri sera la dirimpettaia era di nuovo con me. Di fronte, coperta da una vestaglia imbottita, rapida nei suoi panni da ritirare, la sua sigaretta ad accompagnarla nel suo fare. Nel tempo in cui lei ha ingoiato quei fumi stanchi, io ero ancora a metà e mi ha lasciato sola nel balcone di tutte le volte.

Sono belle le sere, belli i balconi, belle le persone con cui m’incontro, anche solo per pochi minuti, e sempre per caso. Il bello è in tutte le cose e in quelle fragili sembra ancora più straordinario. Di sera è meglio. È tutto più forte e vero, più sbiadito e incantevole. La città appare per ciò che è in tutta la sua ombra estesa: un involucro ripieno di vite che pulsano e s’incontrano – se vogliono – sul balcone.