Respirando arte in un giorno d’estate

Una chiacchierata con Pietro Mancini

Durante la prima settimana di Agosto ho avuto modo di poter scambiare due parole con l’artista pometino Pietro Mancini. Egli è da molto tempo che vive a Pomezia, anche se rimane comunque attaccato alle terre calabresi nelle quali è nato. Pietro è la dimostrazione del fatto che, anche in una piccola città come quella di Pomezia, si può ospitare l’arte, può nascere arte e si può diffondere arte. Tra un caffè e qualche canzone suonata in piazza, abbiamo affrontato e discusso del tema dell’arte ai giorni nostri, che io cercherò -goffamente e con forse molta poco professionalità- di riportare qui.

“E’ difficile” , spiega Pietro, “poter dire cosa ci spinge ad avvicinarci al mondo dell’arte”. Non esiste un solo motivo, una sola causa o una sola attrazione: la moltitudine di elementi, le sfaccettature, le piccole e grandi variazioni, sono quelle che ci spingono e che ci attraggono verso esso. Tanti elementi -delle volte casuali e delle volte non- compongono questo meraviglioso ma sempre più dimenticato mondo.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere e proviamo a chiudere gli occhi, la parola “arte” vi farà scorrere una serie di immagini, suoni, dipinti. Ecco, la vedete? Le opere nella loro integrità e morbidezza, il marmo scolpito, i grandi tomi scritti a mano, le ombre dei quadri e i dettagli enigmatici… L’arte, quella dei grandi nomi. Michelangelo, Dante, Caravaggio, Leonardo. La lista potrebbe continuare a lungo. Nella parola “arte” pulsa il sangue italiano. Italia, nido di tanta magnificenza e ora covo di tanta ignoranza.

Pietro continua dicendo: “viviamo in un paradosso”. Ed è vero. Quante difficoltà incontrano ora gli artisti per poter emergere? E’ rimasto ancora spazio per loro? Il patrimonio italiano, così ricco e vasto e di una potenzialità che i Paesi di tutto il mondo ci invidiano, viene attualmente gestito con troppa poca sufficienza, senza neanche investire per il contemporaneo. Viviamo in una situazione statica, ferma, immobile. Manca il dinamismo, il movimento che faccia avvicinare la gente e ridare una “seconda vita” all’arte.

Come possono i giovani ragazzi poter avere ancora qualche speranza di poter emergere e poter riuscire in questo campo, in un’epoca che non lascia scampo ai sogni? Non è una domanda semplice e, purtroppo, forse un po’ amara. Pietro ha provato a dare qualche consiglio, spiegando che non c’è un unico modo per entrare in questo campo. “Bisogna avere coscienza” dice. Molti dei giovani, ormai, si basano solo su notizie prese da internet, ma questo non basta. In quello che si fa, nelle proprie opere, bisogna essere personali e usare solo “la propria creatività”. Se non si è se stessi nell’arte, si è bugiardi, perché l’unico momento in cui si può mettere a nudo la propria anima è in uno scatto, tra le righe di un foglio o le pennellate di un quadro. Non basta essere sognatori, ma bisogna avere la forza di rendere i propri sogni concreti. Per questo è importante tenersi stretti i consigli di persone che già da tempo hanno avuto modo di capire e di affrontare il mondo travagliato, ma incantevole, che è quello dell’arte e per questo ringrazio Pietro per avermi concesso un po’ del suo tempo e aver condiviso le sue riflessioni al riguardo.

“Si può esistere senza arte, ma senza di essa non si può vivere.”

(Oscar Wilde) 

 




Resilienza

Come affrontare il cambiamento.

Potrà sembrare un’affermazione cinica ma non c’è dubbio che i momenti di crisi con conseguenti difficoltà economiche e sociali, sono i periodi più fecondi per la riflessione e il ripensamento delle scelte passate. La forza della necessità apre le menti all’analisi e predispone al cambiamento dello status quo. Guardando all’economia e alla politica, le turbolenze derivate dallo scoppio della bolla speculativa sui mercati finanziari, hanno stimolato copiosi dibattiti a tutti i livelli, dal mondo accademico alle grandi conferenze internazionali. Tra gli argomenti più discussi per la vastità del fenomeno e per la varietà dei punti di vista vorrei brevemente sottolienare il discorso intorno al concetto di resilienza.

Che cosa è la resilienza?

E’ un concetto che si trova in molti contesti dall’agricoltura alla meccanica dalla psicologia all’ecologia per questo è difficile darne una definizione generica. Diciamo che la resilienza è la risposta che un’entità dà al cambiamento del proprio stato di equilibrio, una reazione che, prendendo atto che non si può ripristinare totalmente la condizione di partenza, tende a limitare i danni del cambiamento cercando un nuovo adattamento all’ambiente. Quindi adattamento e riduzione dei danni sono gli elementi fondamentali di un’azione resiliente.

Le implicazioni nel campo economico e politico sono molto importanti. Tra i primi governanti a menzionare la necessità di un cambiamento di mentalità in ottica resiliente è stato Barack Obama nei suoi discorsi di insediamento alla Casa Bianca. Il Presidente ha sottolineato la necessità di un’inversione di rotta della politica nazionale e internazionale perchè le sfide della modernità non sono più affrontabili con gli strumenti del passato. Il Word Economic Forum nell’ultimo incontro a Davos ha sottolineato che le crisi, le disuguaglianze sociali, il rapporto tra attività economica e preservazione dell’ambiente sono questioni dove l’approccio resiliente potrebbe dare il suo meglio. Anche in Italia l’argomento sembra aver fatto breccia nelle discussioni pubbliche, ne è una testimonanza la recente visita di Rob Hopkins uno dei fondatori del movimento «Transition Town Transition Network» che tra i suoi obiettivi si pone la trasformazione delle comunità locali in comunità resilienti. Cercando in rete il blog di Beppe Grillo ne ha parlato in questo post.

Per passare dalla teoria astratta alla pratica come dovrebbero cambiare i comportamenti dei cittadini, delle aggregazioni sociali e delle istituzioni per essere in linea con la nuova filosofia?

Il primo mutamento di mentalità ce lo suggerisce il professor Alberto Sangiovanni Vincentelli che sprona la nostra società a non aver paura di assumere i rischi derivanti dalle innovazioni. Il fattore psicologico è fondamentale. L’apertura mentale, la tolleranza, la cultura dell’inclusione delle minoranze sono tutti fattori essenziali per affrontare i cambiamenti e le incertezze del futuro. Società più solidali sono società che possono addattarsi nel miglior modo possibile all’ambiente caotico, immerso nell’instabilità perpetua. Per quanto riguarda il ruolo delle istituzioni, le politiche dovrebbero incentivare e favorire l’accumulazione di capitale umano e la flessibilità dei sistemi produttivi. I  governi non dovrebbero mai sottovalutare l’importanza degli investimenti nella ricerca scientifica, nella tutela del territorio, nell’arte e nella cultura in generale. Infine gli enti locali dovrebbero favorire il più possibile la cultura della condivisione e della cooperazione. Esempi di cooperazione sono i gruppi di acquisto solidale (vedi il mio post precendente), programmi di risparmio energetico e di riciclo dei materiali di scarto.

Per concludere, vivremo in un mondo sempre di più instabile, più interdipendente e iperconnesso, se vogliamo sopravvivere degnamente dovremo imparare ad adattarci e cambiare velocemente, prima ne prendiamo atto e meglio è.