Dislessia, come riconoscerla ed affrontarla

 Sempre più spesso sentiamo parlare di Dislessia, ma cos’è e come si affronta?

La Dislessia (DSA) è un Disturbo Specificico dell’Apprendimento, che incide su alcuni aspetti in particolare che possono essere: la scrittura, la lettura, il calcolo. Il disturbo può incidere su tutti e tre gli aspetti o anche su uno solo di essi. Questo non significa che il bambino abbia dei deficit di intelligenza o neurologici, ma semplicemente che ha bisogno di trovare la sua strada ed il suo metodo di apprendimento che non sempre coincide con lo standard curricolare. I dislessici hanno un diverso modo di imparare ma comunque imparano.

Ma andiamo per ordine…

Come ci si può accorgere che un bambino è dislessico?

Esistono diversi segnali che possono aiutarci a capire, sia come genitori, sia per gli insegnanti, già dalla scuola primaria.

Il dislessico ha difficoltà nel copiare dalla lavagna, nell’organizzare lo spazio all’interno del foglio, usare correttamente la punteggiatura e memorizzare le regole dell’analisi logica. Per il dislessico la lettura è un momento molto impegnativo, questo fa si che perda facilmente il segno, o che, abbia difficoltà nella lettura a voce alta, o che l’impegno nella lettura faccia passare in secondo piano la comprensione del testo.

Nella matematica le possibili difficoltà sono: memorizzare le tabelline, operazioni veloci e mnemoniche, nuemrazione regressiva.

Il bambino solitamente non ha chiaro il concetto di tempo, ha difficoltà nella lettura dell’orologio, nelll’interiorizzare il concetto di tempo, nel ricordare e collocare nel tempo i giorni della settimana e i mesi dell’anno, e nella memorizzazione delle date, dimenticando a volte anche il suo stesso compleanno.

Queste sono solo alcuni dei segnali, molto spesso il tutto è associato ad un atteggiamento di rifiuto del sistema scuola da parte del bambino che può manifestarsi di fronte alle difficoltà incontrate.

A chi esporre i propri dubbi?

I genitori non devono avere paura di rivolgersi agli insegnanti per un primo confronto su quanto avviene a scuola e su come si svolgono i compiti a casa, entrambi noteranno degli aspetti che se messi a confronto possono essere molto utili ad individuare le aree di miglioramento e supporto.

Il passo successivo è quello di rivolgersi a degli specilasti per una valutazione. La diagnosi viene effettuata da un equipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatria Infantile, Psicologo e Logopedista, solitamente alla fine della seconda elementare.

Come affrontarla?

Una volta ottenuta la certificazione la scuola, quindi gli insegnanti, sono tenuti a stilare, condividendolo con i genitori, un Piano di studi personalizzato (il PDP che va rinnovato ogni anno entro fine novembre). In questo modo vengono individuati gli strumenti compensativi da adottare a scuola e a casa per agevolare il processo di appendimento dell’alunno e fare in modo che possa mantenersi in linea con la classe senza ulteriori difficoltà.

I possibili strumenti compesativi sono l’uso della tavola pitagorica per affrontare la difficoltà della memorizzazione delle tabelline, l’avere delle fotocopie da portare a casa pittosto che dover copiare un testo dalla lavagna, l’utilizzo di mappe concettuali per la memorizzazione degli elementi di grammatica, storia, geografia, scienze.

Un aspetto importante è quello psicologico, finchè non capisce cosa sta succedendo il bambino è frustrato, inizia a pensare di non essere in grado di affrontare la scuola e può arrivare anche al rifiuto dello studio. Per questo è importante riconoscere i sintomini ed intervenire prima possibile, anche perchè gli elementi di difficoltà elencati, riguardano spesso anche anche aspetti della vita quotidiana e non solo di quella scolastica.

Come genitori e insegnanti è importante agevolare il lavoro del bambino, non metterlo sotto pressione o in difficoltà. Il dislessico è più lento perchè ha bisogno di maggiore concentrazione quindi va facilemnte in ansia se messo sotto pressione ad esempio con un compito da svolgere entro un tempo limite. Evitare di chiedere al bambino di leggere ad alta voce se non ancora pronto, non sottolineare eventuali errori nel parlare mentre tenta di raccontare qualcosa. L’autostima di questi bambini è sempre in equilibrio precario perciò, finchè non prendono coscienza delle loro potenzialità e della loro strada la pazienza e la comprensione devono essere al primo posto.

Ma la cosa più importante che non dobbiamo mai dimenticare è che  questi bambini sono intelligenti, vivaci e molto spesso più creativi della media, come ad esempio Ingvar Kamprad, il creatore di IKEA, dimostrazione di come a volte, avere una visione diversa delle cose semplici, porti a grandi risultati.

 




Giocattoli né rosa né celesti

Sotto l’albero di Natale (e già pronti a riempire anche le calze con l’arrivo della Befana) i bambini hanno trovato tanti regali “adatti” a loro: dalle bambole, ai  ferri da stiro per le bambine, passando per giochi d’azione e macchinine per i bambini. Purtroppo la scelta dei giocattoli innesca la solita discriminazione fatta di stereotipi ancora oggi troppo forti da abbattere e che confinano maschi e femmine dentro artificiali recinti di genere: un esempio su tutti è la vendita per le bambine dei make up, comprati  anche per le piccolissime, che veicolano un modello estetico falso e fuorviante, per non dire assurdo.

I condizionamenti culturali iniziano fin dai primi mesi di vita (anzi già nella pancia con il corredino rosa e celeste) con la scelta dei giocattoli che indirizzano i bambini verso il ruolo assegnato all’uno o all’altro sesso dalla cultura. Ovviamente ci sono anche i giochi neutri come puzzle, giochi elettronici, costruzioni e strumenti musicali, ma per i  giochi che identificano il ruolo la differenza è netta. Le bambine giocano  con le bambole per addestrarsi alle future funzioni materne e si occupano della spesa e della pulizia della casa, per imparare così da subito i ruoli nella gestione dei compiti familiari; i bambini spaziano dai giochi di forza e abilità, a quelli di movimento.

Può sembrare superfluo, ma per superare questi cliché è bene ribadire ancora una volta che non esistono giochi da maschio e da femmina, che si tratta solo di una distinzione culturale (e non naturale) e se come si dice ‘il gioco è cibo per la mente’, perché un bambino non dovrebbe divertirsi e giocare con una bambola e una bambina fare per esempio esperimenti per diventare una scienziata?

I genitori si pongono la questione, ma non abbastanza. Anche quelli più sensibili hanno momenti di ripensamento e indecisione, pur seguendo le inclinazione dei propri figli come fa Mauro, papà di Alberto di 5 anni “Seguo le sue indicazioni  rispetto ai personaggi televisivi della Disney che preferisce. Senz’altro le sue richieste vengono veicolate dalla pubblicità all’interno di Rai Yoyo e di Disney Junior, vero pozzo senza fondo dei bambini in età pre-scolare”.

Sulla libertà di scelta si è espressa, tramite l’Huffington Post, anche la dott.ssa Federica Zanetti, dell’Università di Bologna: ”Il giocattolo dovrebbe poter effettivamente rappresentare una possibilità per il bambino e per la bambina di scegliere ciò che si vuole essere. La libertà di decidere ciò che si vuole diventare. Ciò che si sta sognando. Anche questo è l’aspetto interessante dell’infanzia”. Anche il blog “Un altro genere di comunicazione”, che ha lanciato recentemente la campagna “La discriminazione non è un gioco” e si batte contro il sessismo, si è mobilitato sulla scelta dei regali; dai dati di un’indagine condotta per alcuni mesi sui prodotti dell’infanzia, è stato sottolineato che alle bambine si riservano giocattoli per la cura della casa e della famiglia, mentre ai bambini giochi che simulano il lavoro e la forza fisica.

Anche se non è facile spezzare questa catena di condizionamenti, ognuno può provarci nel suo piccolo, rovesciando la legge del rosa e del celeste e lasciare la libertà ai bambini di tirare fuori creatività e fantasia al di là del genere di appartenenza. Loro saranno più liberi e tutti noi più ricchi.