MINERVA TRITONIA

Minerva Tritonia V sec. a.C. Wikicommons

 

La Minerva Tritonia

 

Fascino arcaico e sensuale al Museo Archeologico Lavinium

 

Se stai al mare sulle coste di Torvaianica o se ti aggiri in zona per i più diversi motivi, potresti provare

un’emozione forte e sensuale, arcaica e terribile percorrendo solo pochi chilometri.

Sì, un incontro speciale è pronto per te se ti recherai presso il Museo archeologico Lavinium, a Pratica di Mare, presso Pomezia.

Varcando la soglia del museo, ti accorgerai ben presto di essere entrato in uno scrigno preziosissimo, i cui tesori meritano tutti di essere conosciuti e approfonditi.

Ma il particolare fascino arcaico e sensuale che ti colpisce è tutto concentrato in lei e da lei promana.

 

Lei, Minerva Tritonia

Lei è Minerva, ovvero la greca Pallade Atena, dea della Sapienza e della Strategia bellica, dea protettrice e terribile al tempo stesso.

Lei è qui che aspetta il solerte turista così come il pigro bagnante, il fine studioso come la famiglia di passaggio, le scolaresche come i gruppi in visita culturale, per lasciare in ciascuno il segno di un incontro indimenticabile.

Si tratta di una statua chiara in terracotta con tracce di colore, del V sec. a.C.

È chiamata Minerva Tritonia perché al fianco, la accompagna un tritone, elemento molto raro nelle rappresentazioni di Minerva, che si riferisce a una leggenda poco nota, secondo cui la dea sarebbe stata allevata vicino a un fiume chiamato Tritone.

 

Minerva Tritonia. Ass.Rotta di Enea

 

Virgilio

Il particolare del tritone ci riporta al poeta Virgilio.

Egli nell’undicesimo libro dell’Eneide ci dona i bellissimi versi di invocazione alla dea, chiamandola

“Armipotens, praeses belli, Tritonia Virgo”, cioè “Vergine Tritonia, potente di armi, dea della guerra”.

Gli occhi di Virgilio, mentre cercavano l’ispirazione per creare l’Eneide, che scrisse tra il 26 e il 19 a.C., devono aver visto proprio questa statua di Lavinium, che si presenta con il tritone, suo rarissimo attributo.

 

Ventisei secoli di vita

Realizzata nel V sec. a.C., la Minerva Tritonia ha oggi 26 secoli.

Fu a lungo regina del suo santuario che qui sorgeva per accogliere i cosiddetti

riti di passaggio:

fanciulli e fanciulle lasciavano qui la loro infanzia, simboleggiata da giochi e oggetti da bambini, per accedere all’età adulta, al matrimonio, alla fecondità sotto lo sguardo e la protezione della dea.

Circondata da moltissime statue ex-voto, Minerva venne infine sepolta in un deposito votivo, quando il santuario fu abbandonato, per ragioni sconosciute.

Finchè, alla fine degli anni settanta, fu ritrovata in pezzi, insieme ad altre circa cento statue conservate nel medesimo deposito e fu accuratamente restaurata dalla professoressa Maria Fenelli, che da poco ci ha lasciato.

Una targa, posta quest’anno, in occasione del 17° anniversario dell’apertura del Museo archeologico Lavinium, ci riporta proprio le commosse parole di Maria Fenelli in merito al ritrovamento della Minerva Tritonia:

“La statua è entrata nella mia vita la mattina di un sabato di ottobre 1977, quando ne sono emersi dalla terra i primi frammenti e non ne è più uscita.”

 

Minerva Tritonia, gorgoneion. picasa

 

Fantastici dettagli

Ora onoriamo Minerva Tritonia osservando i fantastici dettagli, che rappresentano i tipici attributi della dea.

Ha un alto elmo imponente.

Indossa una corazza ornata da squame, con al centro il gorgoneion, cioè la testa della gorgone medusa.

Reca un grande scudo ovale profilato da serpenti, quadrupedi e uccelli e inciso esternamente da crescenti lunari.

E’ fasciata da un sensuale chitone (antica veste leggera) che scende in fitte pieghe fino ai piedi calzati da sandali.

Il tritone, al suo fianco, ci richiama la virgiliana Tritonia Virgo di cui abbiamo parlato.

E così, come Virgilio, hai l’onore anche tu di riporre nella tua memoria una delle più belle emozioni che ci possa regalare un mondo così arcaico e quasi del tutto perduto.




Gauguin e la Polinesia

La vita

 

Paul Gauguin nacque a Parigi nel 1848. Dopo aver trascorso la sua prima infanzia a Lima, in Perù, si traferisce nuovamente in Francia con la madre, ad Orléans.

Ma la sua permanenza in Francia durerà poco: a diciassette anni si mette in viaggio per mare, girovagando per il mondo.

Terminato questo lungo periodo girovago decide di dedicarsi completamente alla pittura.
Uno dei momenti più importanti della vita di Gauguin è infatti l’incontro con Vincent Van Gogh: i due condivideranno anche un appartamento ad Arles, la famosa casa gialla.

Celeberrima, inoltre, è la vicenda dell’orecchio di Van Gogh, la cui causa sembra esser stato proprio un litigio tra i due!

 

Tuttavia, improvvisamente, Gauguin decide di vendere e liberarsi di tutti i suoi averi per trasferirsi a Tahiti, in Polinesia, alla ricerca di quel “paradiso perduto” tanto agognato.
Il primo soggiorno dura solamente due anni, ma nel 1895 Paul vi si trasferisce per non fare più ritorno.
Infatti lì morì, nel 1903.

 

La Polinesia

 

Possiamo dire che tutta la pittura precedente al periodo polinesiano è attesa e agonia.
E’ solamente

in questi quadri che si sprigiona tutta la vivacità e la vitalità di Gauguin; è in Polinesia che egli ritrova il suo io libero e selvaggio.

I colori accesi, vivaci e brillanti richiamano un’atmosfera magica, così lontana nello spazio e nel tempo da agitare nell’animo dello spettatore i desideri più reconditi e infantili.

Tutti quanti, almeno una volta, guardando un quadro di Gauguin abbiamo pensato “vorrei trovarmi lì”.
E questa è parte della sua magia: creare l’illusione di essere lì, di sentire il caldo ed il vento, i profumi dei frutti e il sole che scotta sulla pelle.

 

 

Ma Gauguin non è  interessato solamente alle atmosfere esotiche e alle donne polinesiane. Egli, piano piano, inizia a scavare in profondità, alimentando sempre di più il desiderio di conoscere ogni tradizione e ogni simbolo di una società così lontana dalla sua.

E anche se apparentemente Gauguin si dedica alla rappresentazione di scene di vita quotidiana, come donne in riva al fiume, sdraiate addormentate o intente ad acconciarsi i capelli, è possibile riconoscere un significato più profondo.

In un certo senso, le donne sono simbolo ed emblema della Madre terra, rappresentate quasi come divinità, pure ed irraggiungibili.

È assente qui ogni tipo di contesto sociale. Queste donne sono libere, selvagge e sempre silenziose.

 

La spiritualità

 

 

Affianco alle numerose tele di carattere quotidiano, ne esistono altre in cui Gauguin inserisce l’elemento cristiano cattolico nella contesto selvaggio e naturale: la ricerca spirituale non si limita perciò solamente nello scoprire le tradizioni e la religiosità indigena, bensì nel riconoscere una sacralità universale: egli arriva ad identificare la Madonna con il bambino in una donna tahitiana con il suo piccolo.

Insomma, Gauguin intende eguagliare tutte le religioni sotto una sola virtù: l’amore.

 

 

 

 

Ma l’opera più complessa, organica e misteriose fra tutte quelle prodotte nel periodo polinesiano è senza dubbio Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

L’opera va letta da destra a sinistra: numerosi gruppi di figure si succedono uno dopo l’altro, ognuno indipendente ma interconnesso con l’altro. Sono tutti allegorie e metafore dell’esistenza umana e degli stadi della vita.




Lo strano caso dell’extraterrestre che è in te

Desta l’extraterrestre che è in te

Incontri ravvicinati con l’implacabile, aliena bellezza del Fontanone di Roma

 

Fontanone in notturna.
Pinterest

 

C’è in noi un’anima “extraterrestre”

Un’anima, cioè, che sa guardare il mondo con occhi nuovi.

Ed è un’anima molto sapiente.

Anche se non ce ne accorgiamo, essa ci abita e sa quando emergere, aprendo il nostro sguardo e lasciandoci poi immersi nello stupore.

 

Lo spirito camminatore

Destare l’extraterrestre che è in noi si può ed è un’esperienza ludica che di questi tempi fa molto bene: ve la consiglio.

Non è poi così difficile: un modo è lasciarsi guidare dal proprio spirito camminatore, che sa sempre come raggiungere, nelle sue vicinanze, un luogo sospeso tra spazio e tempo.

Un luogo eletto, magari conosciuto da sempre, ma da vivere come un’esperienza totalmente nuova.

E noi, sospesi sul cielo di Roma in un’atmosfera straniante, intraprendiamo la nostra esperienza da extraterrestri.

 

Er Fontanone

Siamo sopra Trastevere, presso l’alto colle del Gianicolo, di fronte alla Mostra terminale dell’Acquedotto Traiano-Paolo, chiamata dai Romani “er Fontanone”.

Certo, questo non è proprio un luogo “dimenticato”.

È invece famosissimo: un panorama mozzafiato giace ai piedi di questa spettacolare fontana, voluta dal papa Paolo V Borghese.

 

Fontanone – Mostra/Fontana dell’Acquedotto Traiano-Paolo.
Wikipedia

 

Sospensione spazio-temporale

Entriamo in un vero e proprio vortice di sospensione spazio-temporale…

Come veri visitatori alieni, giriamo lentamente su noi stessi, in preda a un’emozione sconvolgente.

A 360 gradi ci avvolge un’implacabile, superba bellezza, indifferente a ogni umana miseria.

Ci raggiunge, come un’eco lontana, la suggestiva melodia sacra che, nelle prime scene del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, sfocia in un tragico epilogo, con il turista giapponese colto da infarto mentre scatta una foto al sublime, indescrivibile scenario di Roma.

Il Fontanone è per sua natura una grandiosa scena teatrale: il simbolo perfetto della Roma papale e barocca.

Il messaggio di un potere ecclesiastico grandioso e temibile arriva chiaro anche all’extraterrestre che è in noi, trasmettendo vibrazioni, suoni, profumi, luci che hanno un sapore eterno.

 

Draghi e aquile

Fontanone. Particolare del Drago, emblema del Papa Paolo V Borghese.
Roma interactive

Draghi e aquile, gli emblemi del papa Paolo V Borghese, si rincorrono ripetutamente sul monumento.

Nel 1612 il papa volle ripristinare l’antico acquedotto di Traiano, che dal 109 d.C. portava l’acqua a Roma per l’approvvigionamento idrico dell’area di Trastevere, partendo dal Lago di Bracciano.

Purtroppo, i condotti antichi erano stati “tagliati” e resi inutilizzabili più volte durante le invasioni dei barbari a Roma, a cominciare dall’assedio del 537 da parte di Vitige, capo dei Goti.

L’antica, crudele regola era infatti questa: se vuoi conquistare una città, la devi assetare.

L’acquedotto, dunque, venne ripristinato dopo 10 secoli e prese il nome di Acqua Paola, dal papa Paolo V.

La realizzazione della grande mostra terminale dell’acquedotto Traiano-Paolo fu affidata agli architetti Giovanni Fontana e Flaminio Ponzio e allo scultore Ippolito Buzio.

L’opera presenta cinque arcate monumentali, incorniciate ai lati da colonne e in alto da una grande iscrizione dedicatoria.

Come per tantissimi monumenti della Roma dei papi, per realizzare il Fontanone furono utilizzati materiali di reimpiego presi da solenni opere della Roma antica ormai decaduta.

I marmi vengono dal Foro Romano e dal Foro di Nerva.

Le colonne in granito giungono dall’antica Basilica di San Pietro.

 

Il Fontanone – uno sguardo dall’interno.
EventiRoma

 

Profumo di pane

Intanto, alle nostre narici aliene giunge un leggero profumo di pane che, incredibilmente, arriva qui in alto, salendo da qualche forno trasteverino.

E’ tempo di tornare terrestri, di lasciarsi alle spalle questa meravigliosa quinta teatrale per scendere verso Trastevere, alla ricerca di un buon pezzo di pizza…

 

 




Il brand di Caravaggio

IL BRAND DI CARAVAGGIO

 

Cos’è il brand?

E che c’entra Caravaggio, il grande pittore vissuto tra il 1571 e il 1610, col concetto di brand?

 

Conversione di San Paolo, Caravaggio.
Foto cosafarearoma.it

 

Brand

Brand è una parola del tedesco antico e vuol dire “fuoco”, evoca l’immagine del “marchiare a fuoco”.

È evidente il collegamento con il termine “marca”. E con il termine “marchio”.

Nel mondo commerciale e imprenditoriale, “brand” è la combinazione di elementi come nome, logo, slogan, storia, valori, comunicazione, reputazione di un’azienda.

Una combinazione costruita in modo consapevole, su cui si gioca la maggiore o minore fidelizzazione del “consumatore”, del cliente.

Brand risponde al concetto di “marca”, che è qualcosa di diverso dal “marchio”.

 

Il marchio si deposita

Il marchio, come sappiamo, è un oggetto molto concreto, che si formula come risultato finale e simbolico di un percorso creativo relativo alla commercializzazione di un prodotto o di un servizio e infine si deposita,

allo scopo di tutelare l’originalità e la proprietà dell’idea, del prodotto, del servizio.

 

Brand e marca sono intangibili

Invece, “brand” e “marca” sono elementi intangibili.

Hanno a che fare con l’immagine che si costruisce di sé, della propria attività, della propria affidabilità, della propria storia, dei propri valori.

Hanno bisogno di molto tempo di sedimentazione e sono in continua evoluzione.

 

Anche tu esprimi un brand

Ora, proviamo a uscire dal piano esclusivamente commerciale e consumistico.

Se mettiamo la questione sul piano squisitamente umano, ti do una notizia: anche tu, sì, proprio tu che leggi, esprimi un brand, che tu lo sappia o no.

E già, perché, umanamente parlando, potremmo dire che in ogni tuo modo di essere, in ogni tuo comportamento, esprimi la tua “sostanza”, i valori in cui credi, come vuoi che ti percepiscano gli altri.

In altre parole, esprimi il tuo “brand”, forse inconsapevole, cioè l’immagine che trasmetti agli altri, la tua credibilità, la tua reputazione.

 

Brand è anima

In ultima analisi, brand è anima.

Infatti, nel mondo aziendale, i brand che funzionano meglio sono quelli più “sinceri”, quelli che riescono a “parlare” al consumatore dei valori, dei più alti obiettivi di un’impresa.

I brand che funzionano meglio sono quelli che esprimono brillantemente l’anima dell’uomo, della donna, delle donne e degli uomini che guidano l’azienda, che ne portano avanti le idee.

 

Michelangelo Merisi da Caravaggio

Se brand è anima, allora possiamo accorgerci del brand di Caravaggio.

Pictor praestantissimus, ovvero, il pittore più prestante della sua epoca, è un artista estremamente riconoscibile e non solo per i suoi cultori.

La vita di Caravaggio fu un succedersi di vicende maledette,

ma anche di fortunati incontri con veri e propri mecenati, affascinati dalla sua arte.

Eppure né l’adulazione, né le avversità, né gli eccessi, né la fuga cui fu costretto negli ultimi anni della sua vita, inseguito dalla pena di morte, riuscirono mai a distrarlo dal suo rigore pittorico, geniale e rivoluzionario.

Avrebbe potuto, per interesse o per disperazione, seguire strade espressive molto più comuni e tirate via.

Ma il suo brand si è imperiosamente imposto su ogni necessità.

Gli era impossibile venir meno all’istanza profonda di dare sempre voce all’autenticità, cercando l’equilibrio tra l’esplosione creativa e la disciplina pittorica.

Se ti fai un minimo di occhio, riconoscerai un quadro di Caravaggio tra mille.

 

Come nel set di un film

 

La vocazione di Matteo, Caravaggio.
Foto cosafarearoma.it

 

Il tempo di Caravaggio era il tempo della Controriforma, di una Chiesa che commissionava quadri di storia sacra capaci di elevare gli animi e suscitare sentimenti commoventi.

L’artista rispose a tale richiesta senza mai adagiarsi su moduli espressivi già noti.

Si oppose così all’accademismo corrente, generando una pittura diretta, rivoluzionaria, espressa dal vero, con un naturalismo che ti coinvolge, come il set di un film drammatico, qualsiasi età tu abbia.

Non è solo stile, ma rigorosa scelta pittorica, felice immediatezza “fotografica”, immersione fulminea, brutale, senza concessioni o abbellimenti dentro scene nutrite dell’anima di Caravaggio, della sua esperienza, fatta di contrasti e di travagli, di intensa ricerca di sapore, odore, colore, piacere e dannazione.

 

Come uno scatto rubato

L’effetto di ogni suo quadro somiglia allo scatto di una foto ante litteram, lo scatto rubato nel momento più significativo del dramma in atto, con una inedita trattazione della luce, ottenendo effetti drammatici per mezzo del chiaroscuro, con un violento contrasto di ombre e luci quale si trova solo nelle cantine o alla luce artificiale.

L’effetto, inoltre, era spesso dissacrante: i contenuti sacri dovevano riflettersi in azioni vere e rispecchiare la vita popolare, fatta di piedi sporchi, espressioni di dolore, luci oblique.

Caravaggio dipingeva “alla prima”, senza analitici disegni preparatori, con la visione completa maturata nell’intimo e fissata di getto sulla tela.

Riuscì così a rigenerare l’arte del suo tempo.

Tale intenso realismo, così diverso dal metodo pittorico allora in voga, ebbe una portata enorme in tutta l’Europa.

 

Ritratto di Caravaggio, Ottavio Leoni.
Foto aboutartonline.com

 

Se sei a Roma…

 

La Madonna dei Pellegrini, Caravaggio.
Foto cosafarearoma.it

 

Se sei a Roma, non ti sarà difficile seguire le orme di Michelangelo Merisi da Caravaggio, specchiandoti in molti suoi capolavori, esposti in chiese e musei.

Per citare solo le chiese, ecco il tuo facile itinerario.

Nella chiesa di San Luigi dei Francesi, vicino a Piazza Navona, c’è la Cappella Contarelli, con tre dipinti: la “Vocazione di San Matteo”, il “Martirio di San Matteo” e “S. Matteo e l’Angelo”.
Alla fine di Corso Rinascimento, dalla parte di Piazza delle Cinque Lune, trovi la Chiesa di Sant’Agostino, dove è la “Madonna dei Pellegrini”, conservata nella prima cappella a sinistra, proprio vicino all’ingresso.
Presso la Basilica di Santa Maria del Popolo, a Piazza del Popolo, ti aspetta la Cappella Cerasi, dove sono la “Conversione di S. Paolo” e la “Crocifissione di S. Pietro”.



Ritratti d’Autori, torna la mostra all’Acattolico di Roma

L’insolita e sorprendente location del Cimitero Acattolico di Roma ospiterà dal 6 al 15 maggio 2022  “Ritratti d’Autori”, la mostra personale dell’artista italiano GulVin che racconta, attraverso uno sguardo approfondito, il mondo emotivo di 21 tra scrittori e poeti italiani e internazionali  del Novecento. Tra questi Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Oscar Wilde, Jorge Luis Borges e Thomas Mann, legati tra loro da un sottile fil rouge esteso anche al  Cimitero stesso, luogo di raccolta e meditazione, quasi di culto, per i testi del poeta Keats e il pensiero di Gramsci. Per l’occasione, e per la prima volta, saranno esposti i ritratti di nuovi scrittori sepolti nel Cimitero: Carlo Emilio Gadda, Amelia Rosselli, Gregory Corso, e il più recente  Andrea Camilleri.

La mostra presenta l’impianto artistico di GulVin, già proposto nel settembre 2021 presso la Chiesa Episcopale San Paolo entro le Mura, e accolto dai visitatori romani e stranieri con grande attenzione e consenso. Il progetto nasce dall’idea di dare un volto a personaggi della cultura italiana e internazionale del Novecento che hanno accompagnato la giovinezza dell’artista toccandone il cuore, e suscitato emozioni e buone vibrazioni anche nei visitatori. Il tratto dell’autore ben racconta le emozioni che ‘emergono’ dai lineamenti e dall’espressione del volto nel ritratto dei vari autori selezionati, legati ai testi dei loro scritti come elementi espressivi delle loro personalità.

Il Cimitero Acattolico, fin dal 1716 circa, è uno dei luoghi di sepoltura in uso tra i più antichi d’Europa con le sue 4 mila sepolture: presenta tombe di scrittori, scultori, pittori e poeti protestanti, ortodossi orientali, buddisti e dell’Islam. Le iscrizioni sono effettuate in più di 15 lingue diverse. Informazioni: 342/1453241; Gulvin@me.com

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 Portraits of Artists” Exhibition at Romes Non-Catholic Cemetery

The Non-Catholic Cemetery in Rome is hosting from May 6 to 15, 2022, an exhibition “Portraits of Authors” by the Italian artist GulVin. His paintings depict the emotional world of Italian and international writers and poets, with an in-depth look at the faces of selected authors.In the unusual and surprising setting of the Non-Catholic Cemetery, next to the Pyramid of Cestius, the artist presents 21 poets and writers of the twentieth century: including Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Oscar Wilde, Jorge Luis Borges, and Thomas Mann. The portraits are linked together with references to the cemetery and are in harmony with the cemetery as a place of gathering and meditation for people from around the world who come to honor the grave of Keats and his poetry as well as the philosophy of Gramsci.

GulVin’s portraits of well-known writers buried in the cemetery are exhibited for the first time: Carlo Emilio Gadda, Amelia Rosselli, Gregory Corso, and the most recent and beloved Andrea Camilleri.

Gulvin continues in this exhibition his presentation of paintings in the same way he showed his work at St. Paul within the Walls Eliscopal Church which was well received by the people of Rome. The portrayals of emotion appear from the features and facial expressions in the portraits and these are linked to the texts of author’s writings as expressive elements of their personalities.This project was born from the idea of ​​giving a face to Italian and international authors of the twentieth century who were part of GulVin’s youth and enchanted his heart. The artist hopes visitors will also be enchanted as the experience the exhibition.

The Non-Catholic Cemetery has been the final resting place ​​among pines, laurels and flowers, for people of all races, countries, ages and languages since the 1700s. Among the four thousand people who are buried in the cemetery are many writers, sculptors, painters and poets from around the world. For information:

Gulvin@me.com; +39 342 1453241




Kandinsky prima dell’astrattismo

Tutti noi conosciamo Kandinksy, il grande pittore che con i suoi motivi astratti e geometrici ha fatto innamorare il mondo.
Ma è sempre stato così?

Wassily Kandinsky (o Vasilij Kandinskij) nacque a Mosca nel 1866 ma visse per larga parte della sua vita in Europa, soprattutto in Germania.

 

Agli inizi

 

Sin dall’infanzia fu attratto dai colori e dalla loro espressività. I primi dipinti, databili attorno al 1902-1907, periodo che lui chiama dei “disegni colorati” sono per noi ciò che più si discosta dall’idea che abbiamo di Kandinsky.

 

Sono dipinti ricchi di colori accesi e vivaci e caratterizzati da una prepotente linea di contorno.
Essi richiamano un po’ le vetrate gotiche come se fossero composti da piccoli pezzi di vetri dai colori vibranti.

Il folklore russo è vivo nella memoria di Kandinsky al momento della produzione di queste opere.

 

 

 

 

L’impressionismo in Italia

 

Successivamente, nel suo soggiorno italiano a Rapallo, Kandinsky si avvicina all’impressionismo e inizia a produrre dipinti aventi come soggetto la costa ligure.

 

Memore del suo incontro con le opere di Monet, ed essendo affascinato da questa pittura non lineare che gioca con i colori, dipinge dolcissimi quadri come “Rapallo. Paesaggio con battello a vapore.”

Il cambiamento di stile è evidente e sconvolgente. Ma questo rappresenterà solo un breve intervallo nella carriera pittorica dell’artista, poiché negli anni subito seguenti la presenza espressionista diverrà protagonista delle opere di Kandinsky.

 

 

L’incontro con l’espressionismo

 

In questa fase il pittore, seguendo quella che difatti è la poetica dell’espressionismo tedesco, deforma e stilizza la realtà usando colori accesi e contrastanti. Da questo momento in poi Kandinsky si dedicherà alla creazione delle sue opere più celebri.

Nel 1905 fonda a Dresda “Die Brucke” (Il Ponte), mentre nel 1910 pubblica Lo spirituale dell’arte, un caposaldo nella storia dell’arte mondiale.

 

 

 

 

 

 

Le prime opere appartenenti a questo nuovo influsso espressionista sono caratterizzate da colori violenti e rappresentano principalmente vedute di Murnau, un paese a sud di Monaco: la chiesa, la torre, case.
Sono dipinti straordinari ed estremamente coinvolgenti.

 

 

 

La via per l’astrattismo

 

Ma cosa succede poi? Lentamente, i soggetti dei suoi dipinti vengono meno… le figure sono sempre più sfocate, più confuse, i colori si fondono tra di loro senza più un linee di contorno.

Tutti i soggetti si fondono insieme e divengono un uno, come nel caso di Suono Bianco del 1908.

 

Finché, ad un certo punto, tutte le forme spariscono e non resta che il colore.
Senza titolo (Studio per Composizione VII, Prima astrazione) è stata a lungo considerata la prima opera astratta della storia. Kandinsky dipinge quest’opera nel 1910, apportando dietro la scritta “acquerello astratto”.

 

 

 

In quest’opera è centrale il ritmo, il linguaggio è rappresentato da forme e linee vibranti.

Da questo momento in poi, il grande Kandinsky comincerà a produrre le sue opere geometriche più famose, che tutti noi conosciamo.
Ma è stato un viaggio lungo e tortuoso quello che l’ha condotto all’astrattismo.




Sebastião Salgado. Amazônia (al MAXXI, Roma fino al 25 aprile)

Sebastião Salgado. Amazônia

 

Un pellegrinaggio immersivo

tra le braccia della grande Madre

 

MAXXI_Salgado: Rio Jutaí. Stato of Amazonas, Brasile, 2017.

 

 

 

La mostra fotografica “Amazônia” è ospitata presso il MAXXI, in via Guido Reni a Roma.

Vi sono esposti, con un effetto di grande suggestione, gli scatti potenti di Sebastião Salgado, grandissimo fotografo e ricercatore che per più di 6 anni ha viaggiato nell’Amazzonia brasiliana, per documentare un mondo vivo e palpitante, primordiale e fragile.

 

La mostra è stata prorogata fino al 25 aprile 2022.

Una buona ragione per non perdervela, se non ci siete già stati.

 

Piomberete in un’atmosfera straniante, ancestrale e avvolgente, lasciando per strada la luce romana ed entrando tra le curve pareti del MAXXI per raggiungere la Galleria 4.

Nella penombra, grandi foto in bianco e nero pendono dal soffitto e sembrano segnalare un percorso al visitatore. Oppure no…

Sceglierete di non seguire alcun percorso e vi lascerete condurre in modo destrutturato all’interno di un mondo estatico.

 

MAXXI_Salgado: Rio Negro. Stato di Amazonas, Brasile, 2019

 

 

Sogno di un paradiso non ancora perduto, il percorso si fa anche sonoro, con un sommesso e pervasivo concerto di suoni reali, raccolti nella foresta stessa da Jean-Michel Jarre.

Frusciano alberi, cantano uccelli e verseggiano moltitudini di animali, accompagnati dal fragore delle acque che scendono dalla cima delle montagne.

È maestoso e fragilissimo, questo immenso ambiente naturale, un ecosistema al quale siamo legati come da un cordone ombelicale.

Per poter cogliere le reali dimensioni della foresta, che occupa un terzo del continente sudamericano, ci soccorre l’osservazione dallo spazio.

E siamo al cospetto di un vasto manto verde, sottilmente ricamato dal corso di lenti fiumi dalle linee curve e sinuose.

Il Rio delle Amazzoni attraversa la foresta e costituisce il 20% dell’acqua dolce di tutta la Terra con i suoi circa 1.100 affluenti, riversandosi infine nell’Oceano Atlantico.

Per milioni di anni, qui, un potente ciclo naturale ha perpetuato se stesso e la vita sul pianeta.

E, come silenziosi custodi, gli indigeni popolano l’ambiente e respirano con noi in questa mostra, presenti in fotografie davvero iconiche.

 

MAXXI_Salgado_Amazonia

 

Straordinaria, tra le mille suggestioni offerte dalle didascalie,  è l’immagine dei cosiddetti “fiumi volanti” o “fiumi atmosferici”.

Sono veri e propri fiumi, ma volano. Sono “fiumi aerei” carichi di umidità, che si estendono su gran parte del continente sudamericano, garantendo un magico equilibrio biologico .

La Foresta appare come un “Oceano verde” e l’infinità dei fenomeni che la abitano è in grado di influenzare i modelli climatici dell’intero pianeta.

 

MAXXI_Salgado: Anavilhanas, isole boscose del Río Negro. Stato di Amazonas, Brasile, 2009

 

Purtroppo, il fenomeno tutto umano della deforestazione sta minando l’immensa foresta pluviale, soprattutto ai suoi margini.

All’interno, le terre indigene e i parchi nazionali restano per ora più protetti.

Come in un pellegrinaggio immersivo quanto artificiale, proviamo a immaginarci nell’abbraccio di questa grande Madre, amorevole e selvaggia.

È il momento del rispetto, del silenzio, del risveglio, una volta per tutte.




Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

 

Perché la guerra?
La visita di uno straordinario mitreo ci richiama alla terribile domanda

Mitreo di Marino, Tauroctonia (Mitra uccide il toro). Foto di Marion Weber

La domanda – Perché la guerra? – è un elemento di continuità che lega l’essere umano a se stesso attraverso generazioni, secoli, millenni.
È una domanda antica e moderna.
Sorge continuamente in questi giorni ed è sorta in occasione della recente visita guidata che ho svolto al Mitreo di Marino.

Il Mitreo di Marino, un ritrovamento stupefacente sepolto da 18 secoli
A Marino, comune dei Castelli Romani, è rimasto sepolto per 18 secoli un mitreo, luogo di culto del dio Mitra databile al II sec. d.C.
Venuto alla luce per caso nel 1962, venne usato come cantina per la vendita del vino, fino al suo definitivo riconoscimento, che lo ha poi reso oggetto di una complessa e contorta vicenda lunga quasi 60 anni, prima di venir valorizzato come merita.
Il mitreo ha la caratteristica struttura di un corridoio, la cui parete di fondo è dipinta con il dio Mitra che uccide il toro.
Questa rappresentazione è ricorrente nei mitrei, spesso come scultura, rilievo, mosaico, ma abbiamo solo tre casi al mondo di mitrei dipinti.
E il mitreo dipinto di Marino ha il migliore stato di conservazione: per la brillantezza dei colori e la completezza della composizione costituisce un unicum a livello mondiale.

 

Mitreo di Marino, Dadoforo. Foto di Marion Weber

 

Chi è Mitra?
Mitra è una divinità di origine indo-iranica e persiana legata al Sole. 
Secondo il mito, nasce il 25 dicembre in una grotta, emergendo dalla roccia, simile alla luce che indora le creste dei monti al mattino. E’ perciò detto “petrogenito”.
E’ protagonista di un patto sacro di collaborazione tra l’uomo e il cosmo che richiede la costruzione del bene e l’uccisione delle forze avverse.

E’ un dio antichissimo che cavalca i secoli e, attraverso la conquista di Alessandro Magno, raggiunge la Grecia ellenistica e infine Roma, rigenerandosi con nuove caratteristiche. 

Il culto di Mitra, tra il primo e il quarto sec. d.C. si espande gradualmente su tutto il territorio dell’Impero romano, fino ai più lontani confini. 
Proprio in quegli anni nasce e si espande il Cristianesimo, che assorbe moltissimi caratteri del Mitraismo e alla fine lo soppianterà. Ma di questo argomento complesso e di tanti altri temi connessi parleremo un’altra volta.

Il culto di Mitra è seguito da ogni classe sociale dell’Impero e anche i soldati, lontani dalle loro terre, vi trovano conforto e senso, vi trovano un’identità. Vediamo perché.

 

Mitra si diffonde moltissimo tra le legioni antiche romane
La domanda – Perché la guerra?- serpeggia persino tra le legioni dell’antico Impero romano, soprattutto quelle poste a presidio degli immensi confini dell’Impero stesso. 
Infatti, l’esercito di Roma non è più quello delle origini, il luogo compatto dell’orgoglio romano “d.o.c.”, il cui nucleo era in grado di creare un forte senso di appartenenza e di invincibilità. 
I soldati in grandissima parte non sono più romani, nè italici, ma vengono ormai dalle lontane province, sono di nascita iberica, africana, numidica, gallica, macedone, trace… 
Roma raggiunge con l’imperatore Traiano, nel 117 d.C., la sua massima estensione e per secoli è impegnata principalmente a difendere i suoi sterminati confini.  
Le sue legioni sono dislocate in luoghi davvero lontani e i soldati si sentono sempre più soli e sempre meno motivati, hanno bisogno di qualcosa che li tenga uniti e coesi.

Queste esigenze, particolarmente tra I e IV sec. d.C., si coagulano intorno all’antichissimo culto di Mitra.

Il culto di Mitra
Si tratta di un culto iniziatico (vi si entra per gradi), misterico (si trasmette da bocca a orecchio, in modo segreto e senza testi scritti di riferimento), riservato ai soli uomini.
Mitra porta la luce nel mondo e stringe un patto sacro di amicizia con il Sole e con gli uomini per la vittoria del bene sul male, attraverso un combattimento che porta alla pace finale.
Mitra uccide il Toro cosmico, simbolo della natura animale e della forza incoercibile di Madre Natura, per irrorare la terra col suo sangue e renderla feconda.
Il Toro cosmico abbattuto rappresenta la vittoria delle forze del Bene contro le forze ostili che ostacolano l’ascesa dell’uomo alla dimensione divina.
Mitra è il dio del patto sacro tra l’ordine cosmico degli astri e l’ordine interiore dell’uomo, cui è richiesto di essere retto e di operare per il bene.
Il seguace, attraverso sette gradi d’iniziazione, trova la strada per imitare Mitra e per partecipare all’ordine cosmico nel rispetto del patto sacro.
Miles, cioè soldato, è il terzo grado iniziatico nel percorso dell’adepto. Ecco un elemento di forte identità per i legionari romani…
Il culto si svolge nel mitreo, luogo di culto sotterraneo in forma di grotta, illuminato da fiaccole.

I mitrei
I mitrei sono ambienti sotterranei dove si pratica il culto, riproducendo la grotta dove sarebbe nato Mitra. Sono numerosissimi in tutto il territorio imperiale: se ne trovano in Italia, Francia, Austria, Germania, Inghilterra, Asia, Africa e moltissimi altri luoghi.
Solo a Ostia ne sono stati rinvenuti ben 18. A Roma se ne ipotizzano fino a 2000, anche se ne sono stati ritrovati 7.
Ogni mitreo è frequentato da un piccolo gruppo di adepti con a capo un pater, che è colui che ha raggiunto il settimo grado del percorso iniziatico.
Molti imperatori in questo periodo sono fedeli a Mitra e incoraggiano moltissimo l’espandersi del culto tra i legionari, poiché colgono l’importanza di tale forza spirituale per la coesione dei loro soldati.

 

La recente visita al Mitreo di Marino. Foto di Marion Weber

Ma, ieri come oggi, alla domanda – Come stai, soldato? Come ti senti dentro? –, si continua a rispondere con
un’altra domanda: -Perché la guerra?-

E no, non c’è risposta, non ci può essere.

(N.B.: Prossima visita sabato 23 aprile ore 16,30, prenotazione obbligatoria al 3488464099)




Intersezioni. Terzo appuntamento al Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento

Prosegue il ciclo di mini-conferenze in collaborazione con C. Luzi e G.M.Bagordo

 

Il Museo Città di Pomezia – Laboratorio del Novecento propone per venerdì 18 marzo dalle 16.00 alle 18.30 il terzo appuntamento di , il ciclo di mini-conferenze a cura del Museo in collaborazione con C. Luzi e G. M. Bagordo.

Si parlerà del territorio pometino, ricco di testimonianze storico-artistiche e strettamente legato al mito di Enea, fino ad arrivare a Ovidio, alle e alla figura della dea Pomona.

L’ingresso è gratuito. La prenotazione è obbligatoria e l’accesso è contingentato e consentito solo con Green Pass rafforzato.
Obbligo di mascherina FFP2.

 

:
☎️0691146500
museocittadipomezia@comune.pomezia.rm.it
Piazza Indipendenza 11/12 Pomezia




Inaugurazione della kermesse TorrEdintorni

Curata dall’associazione Fag con il patrocinio del Comune di Pomezia

 

Sabato 5 marzo presso la Torre Civica di Pomezia si inaugura la mostra TorrEdintorni una kermesse curata da Monica Bisin, presidente dell’associazione di promozione social Foto Art Group – Fag, con il patrocinio del Comune di Pomezia.

Sul pagina del sito dell’associazione si legge che Fag è « è un’associazione di promozione sociale, che utilizza l’arte…in particolar modo la fotografia, come strumento di sensibilizzazione verso tematiche di interesse sociale allo scopo di aiutare la crescita dell’individuo e della collettività.»

 

 

La kermesse raccoglie:

· La collettiva fotografica Dentro, un percorso di scoperta, uno sguardo insolito e originale per capire l’essenza dell’atto creativo: la genesi dell’opera, analizzando la sua componente psicologica con i seguenti autori: Agata Mancini, Elisabetta Nottola, Lolita Mariani, Grazia Randone, Annamaria Giordo, Stefano Montinaro, Max Callari, Giorgio Busignani, Liliana Tomarchio, Ornella Latrofa, Ida Di Pasquale, Stefania Pascucci, Salvatore Montemagno, Monica Zorzi, Maria Grazia Margiotta, Cristina Suruciuc, Massimo Marcotulli, Diego Salvador, Flavia Carbonetti.

Lettura psicologica: Dott.Dario Sanfratello

Note poetiche: Daniela Bisin

 

 

· La mostra fotografica personale di Maria Serra con Carne di pietra. Carne di pietra sono corpi che seducono lo sguardo con uno straordinario equilibrio di forme e proporzioni. Carne di pietra è fisicità prepotente che arriva a sciogliere ogni rigore dello sguardo. Corpi come modello di naturalezza e libertà che non conosce stigmi di morbosità o oscenità.

· La mini esposizione della pittrice Erika Capobianco “Stati d’animo

· Infine ulteriori attività come laboratori per le scuole e progetti per gli anziani.

 

 

La kermesse TorreEdintorni sarà aperta dal 5 marzo fino al 13 marzo.
Ingresso libero con super green pass

https://www.artivisivefag.it




“Klimt. La Secessione e l’Italia”, in corso a Roma fino a fine marzo 2022

Alla scoperta del grande artista austriaco uno dei più significativi artisti della secessione viennese.

 

Gustav Klimt abita il nostro immaginario. Anche chi non è particolarmente esperto d’arte, al solo nome dell’artista sa evocare in sé immediatamente l’oro, la bidimensionalità, la passione, il talento, tutti elementi che lo contraddistinguono fortemente.

 

Gustav Klimt, Giuditta I
Foto da notiziarte.com

 

Precisiamo subito che la grandezza di Klimt trascende le immagini dorate che ne hanno decretato l’immensa fama e risiede soprattutto nel suo eclettico talento e nella sua instancabile ricerca del nuovo, che si esprimono in tutta la sua produzione, dai ritratti, alle allegorie, ai paesaggi, ai manifesti.

Certo, essere annoverati tra gli artisti più noti e “familiari” al grande pubblico non è poco, in quest’epoca di ricordi sommari e di memorie facilmente dilavabili in una sovrapposizione di immagini davvero velocissima.

Giova quindi fare quattro passi nel mondo di Klimt, la cui vicenda è incorniciata da Vienna, a cavallo tra fine ‘800 e inizi ‘900.

La città cambia volto proprio in quegli anni a opera dell’imperatore Francesco Giuseppe: fin dal 1857 egli avvia il progetto dell’abbattimento delle antiche mura – possente difesa contro i Turchi nel 1529 e nel 1683 – per costruire la grande strada alberata chiamata Ringstrasse, coronata dai più importanti edifici pubblici dell’intera Austria.
Il fermento è enorme e il centro storico è assai invitante per artisti attratti dai mille concorsi banditi per decorare le nuove architetture, con l’esplicito appoggio delle autorità. Vienna raggiunge in questi anni i due milioni di abitanti, è vivace e mondana, vive soprattutto una straordinaria fioritura culturale.

Tra caffè, circoli, sale da concerto, teatri, scuole e associazioni d’arte, circolano le idee più innovative e si celebra, non senza traumi, il tramonto di un’epoca e la nascita di un mondo nuovo.

Convivono e proliferano, in questo clima, personaggi come Freud, Wittgenstain, Mahler, Musil e moltissimi altri, che con le loro idee nutrono e stimolano la creatività degli artisti, e contribuiscono al montare della mareggiata che si abbatterà sulla sonnacchiosa “Austria felix” per dare voce a nuove, profonde, inconfessabili pulsioni.

L’Austria è in effetti come un giardino sopra un vulcano, metafora di grande successo per descrivere la situazione: covano fermenti sociali fatti di insoddisfazione, desiderio di rivalsa del mondo proletario, istanze politiche antiimperiali.

Tutto sta per sfaldarsi, ma si mantiene un clima sonnolento, ignaro di tutto quanto sta per accadere in un prossimo futuro che si rivelerà drammaticamente bellico e rivoluzionario.

Questo è l’ambiente in cui cresce Klimt, dotato di uno spiccato talento naturale, anche grazie al clima familiare determinato da un padre orafo e da due fratelli con i quali Gustav frequenta la Scuola di Arti e Mestieri, entrando in forte sodalizio con tanti artisti.

Sono giovani artisti tutti diversi, ma tutti accomunati da una prepotente voglia di infrangere le barriere del già noto, della tradizione, dell’ufficialità. Un’ufficialità che vuole fare dell’arte una sorta di porto sicuro, confortante, rassicurante.

Klimt intanto eccelle nella ritrattistica, con una cura del dettaglio quasi fotografica e la capacità di rinnovarsi continuamente e diventa ben presto celebre e molto richiesto.

Gustav Klimt, Ritratto di signora
foto da katarte.it

Accoglie completamente l’idea della Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, concetto wagneriano che vede l’arte esprimersi in ogni forma, senza disdegnare nulla, dalle architetture alle scenografie, dagli oggetti ai mobili, dal vasellame ai gioielli.

L’arte sposa così anche il design, la grafica, la scenografia: non è più privilegio delle classi più elevate, ma si rivolge a ogni livello della società.

In verità, il mondo politico e l’ufficialità contemporanea sembrano riservare attenzione e dar voce alle nuove espressioni artistiche.

Il motto è “a ogni tempo la sua arte” e Klimt e compagni vengono inizialmente molto coinvolti in creazioni artistiche influenzate dai forti venti incrociati dell’Art Nouveau e del Simbolismo, che circolano in Europa.

Si fa spazio l’istanza erotica, diventata, con Freud, chiave di lettura quasi universale per ogni vicenda. È un’istanza che emerge nell’arte come motivo espressivo sempre più esplicito. Certo, le autorità non possono che approvare che trapelino le novità espressive, condite con un che di erotismo. Il problema è che l’arte deve per loro restare pur sempre fondata sulle solide basi tradizionali, in particolare attraverso il rassicurante uso dell’allegoria classica e storica. Dunque, esprimersi, sì… ma mai in modo esplicito!

Ben presto matura una prepotente ribellione a tale atteggiamento ufficiale e nasce giocoforza la Secessione viennese, sorella di altri movimenti europei di ribellione artistica alle forme e agli stili classici, come la Secessione di Monaco e quella di Berlino.

La fondazione della Secessione viennese avviene il 3 aprile del 1897 per opera di un gruppo di artisti che nominano ben presto Klimt come presidente. Il manifesto da lui disegnato resta ancora oggi tra le immagini più eloquenti del movimento: Teseo combatte contro il Minotauro; il nuovo abbatte il vecchio.

Ma su questo manifesto cala una vera e propria censura che costringe Klimt a nascondere la zona genitale di Teseo dietro tronchi e cespugli.

Ecco di seguito i due manifesti, prima e dopo la censura.

 

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Nel frattempo Klimt viaggia, incontra l’Italia, il Lago di Garda, Trieste, Venezia, Firenze, Pisa, Roma, ma soprattutto Ravenna e i suoi mosaici. Ammira la maestosa eternità delle figure a due dimensioni e gli sfondi dorati. Ecco: uscire dalla tridimensionalità è la chiave per ribellarsi all’imperante naturalismo dell’arte tradizionale e per cercare nuove strade espressive che diano vita a immagini iconiche.

Le figure di Klimt “alloggiano” e si affacciano da sfondi preziosi e dorati, rese immortali dalla loro estraneità rispetto al mondo reale, dalla loro iconicità.

 

Gustav Klimt, Il fregio di Beethoven (particolare)
foto da skandorinasdiary.com

 

Grazie alla Mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia”, in corso a Roma fino a fine marzo 2022, possiamo sperimentare di persona la complessità e la ricchezza di questa fase artistica viennese, che ebbe forti influenze anche nel mondo artistico italiano.

 

Possiamo così approfondire la conoscenza di Klimt, uno spirito sempre in ricerca, capace di ribellarsi in ogni circostanza della sua vita d’artista, rischiando in prima persona e contribuendo a operare quel passaggio rivoluzionario che ha traghettato l’Europa fin dentro un secolo tormentato, il Novecento, i cui echi risuonano ancora fortemente, come a voler risvegliare questo nostro assopito presente.

 

di Maria Cristina Zitelli

 




Keith Haring: Il linguaggio universale dell’Arte Contemporanea

Keith Haring è stato un’icona nell’ambito dell’arte contemporanea, noto per il suo stile distintivo e il linguaggio visivo universalmente riconoscibile.

 

Le sue opere, vibranti e dinamiche, hanno lasciato un’impronta indelebile nell’arte e nella cultura popolare.

L’artista statunitense ha utilizzato le sue creazioni per comunicare messaggi sociali e politici, raggiungendo un vasto pubblico e lasciando un segno duraturo nel panorama artistico mondiale.

L’Infanzia e l’Influenza sulla sua Arte

Nato nel 1958 a Reading, Pennsylvania, Keith Haring ha manifestato un precoce interesse per l’arte sin da giovane.

La sua passione si è sviluppata ulteriormente durante gli studi alla Ivy School of Professional Art a Pittsburgh e successivamente all’Accademia delle Belle Arti di New York. L’influenza del graffiti e della street art degli anni ’70 e ’80 è stata determinante nel plasmare il suo stile artistico.

L’iconografia di Keith Haring

Uno degli aspetti più distintivi delle opere di Haring è l’iconografia che ha creato. Simboli come il “Bambino Radiante”, il “Cane Saltante” e l'”Uomo Danzante” sono diventati marchi riconoscibili in tutto il mondo.

La sua scelta di simboli semplici e universali ha reso le sue opere accessibili a un vasto pubblico, abbattendo le barriere culturali e linguistiche.

Il “Bambino Radiante” rappresenta l’innocenza, l’ottimismo e la vitalità, mentre il “Cane Saltante” simboleggia la lealtà e la gioia di vivere. L'”Uomo Danzante” incarna la libertà di espressione e la celebrazione della diversità.

Arte, Attivismo e Messaggi Sociali

Le opere di Keith Haring erano spesso cariche di messaggi sociali e politici. Il suo impegno per i diritti umani, la lotta contro l’AIDS e la promozione dell’uguaglianza erano temi centrali nella sua arte. Haring ha utilizzato la sua piattaforma artistica per sollevare consapevolezza su questioni cruciali della società, dimostrando come l’arte possa essere un potente strumento di cambiamento sociale.

Le Opere Celebri di Keith Haring

 

“Tuttomondo” (1989)

Una delle opere più iconiche di Keith Haring è “Tuttomondo”, un murale situato a Pisa, Italia. Questo grande affresco, realizzato sul lato di un edificio, rappresenta la sua visione di un mondo unito, in cui l’arte può superare le divisioni culturali e sociali.

 

“Sempre più insieme” (1987)

Questo affascinante dipinto rappresenta una famiglia unita e felice. Haring utilizza linee semplici e colori vivaci per sottolineare l’importanza dell’unità familiare e della solidarietà nella società.

 

“Keith Haring: The Political Line” (Mostra)

La mostra “Keith Haring: The Political Line” è stata una retrospettiva itinerante che ha esplorato l’impegno politico di Haring attraverso le sue opere. Ha presentato una vasta gamma di disegni, dipinti e sculture, consentendo al pubblico di immergersi nell’universo artistico e sociale di Haring.

Keith Haring ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte contemporanea, dimostrando che l’arte può essere accessibile, impegnata e profondamente influente. Il suo linguaggio universale e i suoi messaggi incisivi continueranno a ispirare e a toccare le generazioni future, mantenendo vivo il suo impatto artistico e sociale.

L’articolo fornisce una panoramica delle influenze e delle opere più significative di Keith Haring, ponendo l’accento sul linguaggio universale e l’impegno sociale che hanno caratterizzato la sua carriera artistica.