L’arte classica: l’eterno splendore dell’antichità

Nel vasto panorama dell’arte antica, l’arte classica greca e romana occupa un posto di rilievo.
Queste due civiltà hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità, plasmando l’estetica,
il pensiero e l’evoluzione delle arti visive.

In questo articolo, esploreremo l’arte classica greca e romana, ammirando alcune delle opere più significative che testimoniano la maestria e la grandezza di questi periodi straordinari.

Esempi di arte classica in Grecia

L’arte classica greca rappresenta un momento di eccellenza artistica, caratterizzato dall’equilibrio tra forma e significato. Gli antichi greci cercavano di rappresentare la bellezza ideale e l’armonia dell’universo attraverso le loro opere.

Un esempio paradigmatico di questa estetica è la statua di “La Venere di Milo”.
Questa scultura in marmo, databile al II secolo a.C., incarna l’elevazione del corpo umano alla perfezione divina.

L’opera rappresenta la dea dell’amore e della bellezza, con i suoi lineamenti delicati e l’andamento sinuoso delle sue forme.
La Venere di Milo è un simbolo eterno dell’estetica greca, che ancora oggi continua ad affascinare gli spettatori.

Un altro esempio di una statua greca classica è il “Discobolo” di Mirone.
Questa scultura, risalente al V secolo a.C., raffigura un atleta in posizione di lancio del disco.

La figura è immortalata nel momento di massima tensione muscolare, con il corpo che si contorce in una composizione dinamica.
Il Discobolo cattura l’essenza dell’atletismo greco e la perfezione fisica, rappresentando la potenza e la bellezza del corpo umano in un equilibrio perfetto.

Ed infine, un opera classica non di scultura, bensì di architettura, è il Partenone, un tempio dedicato ad Atena Parthenos situato nell’Acropoli di Atene.

Questo straordinario edificio, progettato da Fidia nel V secolo a.C., è una testimonianza dell’architettura dorica greca.
Il Partenone si distingue per la sua precisione matematica e la perfezione delle proporzioni.

Ogni dettaglio, dal colonnato alle sculture dei metopi e dei fregi, rappresenta l’ideale estetico degli antichi greci. Questo monumento imponente celebra il connubio tra l’arte e la religione, incarnando la grandezza della civiltà greca.

L’arte classica a Roma

La civiltà romana ereditò molti elementi dall’arte greca e li trasformò, creando un linguaggio artistico unico.
L’arte classica romana si distingue per la sua natura pratica e celebrativa, con un’enfasi sul realismo e la rappresentazione di personaggi storici e mitologici.

Un esempio notevole di questa sintesi tra tradizione greca e influssi romani è la statua dell'”Augusto di Prima Porta”.
Questa scultura raffigura l’imperatore Augusto, il primo imperatore di Roma, in posa maestosa e trionfante.

L’opera combina elementi della tradizione greca, come il contrapposto, con l’iconografia romana, come il pettorale decorato e la presenza di simboli di potere.
L'”Augusto di Prima Porta” rappresenta il connubio tra la grandezza dell’arte greca e la potenza dell’impero romano.

Le statue romane classiche non si limitano solo a rappresentazioni imperiali, ma comprendono anche ritratti di cittadini romani e opere mitologiche.

Questo ritratto mostra un altissimo grado di realismo, con i dettagli accurati delle rughe e delle espressioni facciali.
Le statue romane classiche mitologiche includono anche figure come Venere, Marte, Apollo e molte altre divinità romane.

Sempre in ambito architettonico, però, c’è sicuramente bisogno di menzionare il Pantheon.

Il Pantheon è uno dei monumenti più iconici di Roma e un capolavoro dell’architettura romana.
Costruito nel II secolo d.C. dall’imperatore Adriano, il Pantheon si distingue per la sua struttura rotonda sormontata da una cupola emisferica.

L’interno del Pantheon è sorprendente, con un’enorme apertura centrale chiamata oculus che permette la luce naturale di filtrare all’interno.
La cupola, considerata un’opera ingegneristica innovativa per l’epoca, è ancora oggi la più grande cupola in cemento non rinforzato mai costruita.

Il Pantheon è stato originariamente dedicato a tutti gli dei dell’antica Roma ed è rimasto un simbolo dell’architettura romana e della grandezza dell’Impero romano.

 




MINERVA TRITONIA

Minerva Tritonia V sec. a.C. Wikicommons

 

La Minerva Tritonia

 

Fascino arcaico e sensuale al Museo Archeologico Lavinium

 

Se stai al mare sulle coste di Torvaianica o se ti aggiri in zona per i più diversi motivi, potresti provare

un’emozione forte e sensuale, arcaica e terribile percorrendo solo pochi chilometri.

Sì, un incontro speciale è pronto per te se ti recherai presso il Museo archeologico Lavinium, a Pratica di Mare, presso Pomezia.

Varcando la soglia del museo, ti accorgerai ben presto di essere entrato in uno scrigno preziosissimo, i cui tesori meritano tutti di essere conosciuti e approfonditi.

Ma il particolare fascino arcaico e sensuale che ti colpisce è tutto concentrato in lei e da lei promana.

 

Lei, Minerva Tritonia

Lei è Minerva, ovvero la greca Pallade Atena, dea della Sapienza e della Strategia bellica, dea protettrice e terribile al tempo stesso.

Lei è qui che aspetta il solerte turista così come il pigro bagnante, il fine studioso come la famiglia di passaggio, le scolaresche come i gruppi in visita culturale, per lasciare in ciascuno il segno di un incontro indimenticabile.

Si tratta di una statua chiara in terracotta con tracce di colore, del V sec. a.C.

È chiamata Minerva Tritonia perché al fianco, la accompagna un tritone, elemento molto raro nelle rappresentazioni di Minerva, che si riferisce a una leggenda poco nota, secondo cui la dea sarebbe stata allevata vicino a un fiume chiamato Tritone.

 

Minerva Tritonia. Ass.Rotta di Enea

 

Virgilio

Il particolare del tritone ci riporta al poeta Virgilio.

Egli nell’undicesimo libro dell’Eneide ci dona i bellissimi versi di invocazione alla dea, chiamandola

“Armipotens, praeses belli, Tritonia Virgo”, cioè “Vergine Tritonia, potente di armi, dea della guerra”.

Gli occhi di Virgilio, mentre cercavano l’ispirazione per creare l’Eneide, che scrisse tra il 26 e il 19 a.C., devono aver visto proprio questa statua di Lavinium, che si presenta con il tritone, suo rarissimo attributo.

 

Ventisei secoli di vita

Realizzata nel V sec. a.C., la Minerva Tritonia ha oggi 26 secoli.

Fu a lungo regina del suo santuario che qui sorgeva per accogliere i cosiddetti

riti di passaggio:

fanciulli e fanciulle lasciavano qui la loro infanzia, simboleggiata da giochi e oggetti da bambini, per accedere all’età adulta, al matrimonio, alla fecondità sotto lo sguardo e la protezione della dea.

Circondata da moltissime statue ex-voto, Minerva venne infine sepolta in un deposito votivo, quando il santuario fu abbandonato, per ragioni sconosciute.

Finchè, alla fine degli anni settanta, fu ritrovata in pezzi, insieme ad altre circa cento statue conservate nel medesimo deposito e fu accuratamente restaurata dalla professoressa Maria Fenelli, che da poco ci ha lasciato.

Una targa, posta quest’anno, in occasione del 17° anniversario dell’apertura del Museo archeologico Lavinium, ci riporta proprio le commosse parole di Maria Fenelli in merito al ritrovamento della Minerva Tritonia:

“La statua è entrata nella mia vita la mattina di un sabato di ottobre 1977, quando ne sono emersi dalla terra i primi frammenti e non ne è più uscita.”

 

Minerva Tritonia, gorgoneion. picasa

 

Fantastici dettagli

Ora onoriamo Minerva Tritonia osservando i fantastici dettagli, che rappresentano i tipici attributi della dea.

Ha un alto elmo imponente.

Indossa una corazza ornata da squame, con al centro il gorgoneion, cioè la testa della gorgone medusa.

Reca un grande scudo ovale profilato da serpenti, quadrupedi e uccelli e inciso esternamente da crescenti lunari.

E’ fasciata da un sensuale chitone (antica veste leggera) che scende in fitte pieghe fino ai piedi calzati da sandali.

Il tritone, al suo fianco, ci richiama la virgiliana Tritonia Virgo di cui abbiamo parlato.

E così, come Virgilio, hai l’onore anche tu di riporre nella tua memoria una delle più belle emozioni che ci possa regalare un mondo così arcaico e quasi del tutto perduto.




Archeojazz presenta: Corale Laurentiana in Concerto

Domenica 05 Giugno dalle ore 15.00 ad Ardea, partecipazione gratuita ma con prenotazione
Visite guidate, concerto, lezione aperta, aperitivo e le bancarelle di “Ti regaliamo un libro”

Proseguono gli appuntamenti di Archeojazz, a cominciare dalle ore 15.00 di Domenica 05 Giugno tornano le visite nel centro storico e all’interno dell’area archeologica “Casarinaccio” che terminano con un concerto, organizzate dall’Ardeafilarmonica.

L’iniziativa culturale che vede il patrocinio del Comune di Ardea parte, con l’appuntamento alle ore 15.00, dal sito archeologico di “Casarinaccio”, in via Francesco Crispi, da lì tutti insieme si proseguirà per un’istruttiva  passeggiata verso il centro storico con visita alla Chiesa di Santa Marina (XIII sec)  e  alla storica scalinata di via Catilina. Di ritorno al sito archeologico dell’Area in via Francesco Crispi verso le ore 17.00, il pomeriggio proseguirà con il Concerto della Corale Laurentiana, 25 coristi che eseguono Spirituals, Canti popolari oltre che musica Polifonica.

 

 

Al termine del concerto, prende il via  una nuova iniziativa di Ardeafilarmonica,  si potrà assistere alle “Prove aperte al pubblico”, saranno svelati i segreti di una esibizione, come  nasce e come si compone un brano musicale, la scelta degli strumenti impiegati e altre rarità. Il pubblico sarà parte attiva intervenendo con domande e curiosità attinenti ai brani musicati.  Prosegue anche la fortunata iniziativa “Ti regaliamo un libro”, progetto che invita  alla lettura con  i volontari che regalano un libro da scegliere tra quelli presenti fra le bancarelle nell’area archeologica di  “Casarinaccio”.

Per concludere il pomeriggio poi, l’Ardeafilarmonica offrirà un aperitivo a tutti i presenti.

 

La partecipazione all’evento è gratuita ma con prenotazione obbligatoria.
Info: 3471437326; mail: [email protected]

 

COMUNICATO STAMPA




Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

Il culto di Mitra e il Mitreo di Marino

 

Perché la guerra?
La visita di uno straordinario mitreo ci richiama alla terribile domanda

Mitreo di Marino, Tauroctonia (Mitra uccide il toro). Foto di Marion Weber

La domanda – Perché la guerra? – è un elemento di continuità che lega l’essere umano a se stesso attraverso generazioni, secoli, millenni.
È una domanda antica e moderna.
Sorge continuamente in questi giorni ed è sorta in occasione della recente visita guidata che ho svolto al Mitreo di Marino.

Il Mitreo di Marino, un ritrovamento stupefacente sepolto da 18 secoli
A Marino, comune dei Castelli Romani, è rimasto sepolto per 18 secoli un mitreo, luogo di culto del dio Mitra databile al II sec. d.C.
Venuto alla luce per caso nel 1962, venne usato come cantina per la vendita del vino, fino al suo definitivo riconoscimento, che lo ha poi reso oggetto di una complessa e contorta vicenda lunga quasi 60 anni, prima di venir valorizzato come merita.
Il mitreo ha la caratteristica struttura di un corridoio, la cui parete di fondo è dipinta con il dio Mitra che uccide il toro.
Questa rappresentazione è ricorrente nei mitrei, spesso come scultura, rilievo, mosaico, ma abbiamo solo tre casi al mondo di mitrei dipinti.
E il mitreo dipinto di Marino ha il migliore stato di conservazione: per la brillantezza dei colori e la completezza della composizione costituisce un unicum a livello mondiale.

 

Mitreo di Marino, Dadoforo. Foto di Marion Weber

 

Chi è Mitra?
Mitra è una divinità di origine indo-iranica e persiana legata al Sole. 
Secondo il mito, nasce il 25 dicembre in una grotta, emergendo dalla roccia, simile alla luce che indora le creste dei monti al mattino. E’ perciò detto “petrogenito”.
E’ protagonista di un patto sacro di collaborazione tra l’uomo e il cosmo che richiede la costruzione del bene e l’uccisione delle forze avverse.

E’ un dio antichissimo che cavalca i secoli e, attraverso la conquista di Alessandro Magno, raggiunge la Grecia ellenistica e infine Roma, rigenerandosi con nuove caratteristiche. 

Il culto di Mitra, tra il primo e il quarto sec. d.C. si espande gradualmente su tutto il territorio dell’Impero romano, fino ai più lontani confini. 
Proprio in quegli anni nasce e si espande il Cristianesimo, che assorbe moltissimi caratteri del Mitraismo e alla fine lo soppianterà. Ma di questo argomento complesso e di tanti altri temi connessi parleremo un’altra volta.

Il culto di Mitra è seguito da ogni classe sociale dell’Impero e anche i soldati, lontani dalle loro terre, vi trovano conforto e senso, vi trovano un’identità. Vediamo perché.

 

Mitra si diffonde moltissimo tra le legioni antiche romane
La domanda – Perché la guerra?- serpeggia persino tra le legioni dell’antico Impero romano, soprattutto quelle poste a presidio degli immensi confini dell’Impero stesso. 
Infatti, l’esercito di Roma non è più quello delle origini, il luogo compatto dell’orgoglio romano “d.o.c.”, il cui nucleo era in grado di creare un forte senso di appartenenza e di invincibilità. 
I soldati in grandissima parte non sono più romani, nè italici, ma vengono ormai dalle lontane province, sono di nascita iberica, africana, numidica, gallica, macedone, trace… 
Roma raggiunge con l’imperatore Traiano, nel 117 d.C., la sua massima estensione e per secoli è impegnata principalmente a difendere i suoi sterminati confini.  
Le sue legioni sono dislocate in luoghi davvero lontani e i soldati si sentono sempre più soli e sempre meno motivati, hanno bisogno di qualcosa che li tenga uniti e coesi.

Queste esigenze, particolarmente tra I e IV sec. d.C., si coagulano intorno all’antichissimo culto di Mitra.

Il culto di Mitra
Si tratta di un culto iniziatico (vi si entra per gradi), misterico (si trasmette da bocca a orecchio, in modo segreto e senza testi scritti di riferimento), riservato ai soli uomini.
Mitra porta la luce nel mondo e stringe un patto sacro di amicizia con il Sole e con gli uomini per la vittoria del bene sul male, attraverso un combattimento che porta alla pace finale.
Mitra uccide il Toro cosmico, simbolo della natura animale e della forza incoercibile di Madre Natura, per irrorare la terra col suo sangue e renderla feconda.
Il Toro cosmico abbattuto rappresenta la vittoria delle forze del Bene contro le forze ostili che ostacolano l’ascesa dell’uomo alla dimensione divina.
Mitra è il dio del patto sacro tra l’ordine cosmico degli astri e l’ordine interiore dell’uomo, cui è richiesto di essere retto e di operare per il bene.
Il seguace, attraverso sette gradi d’iniziazione, trova la strada per imitare Mitra e per partecipare all’ordine cosmico nel rispetto del patto sacro.
Miles, cioè soldato, è il terzo grado iniziatico nel percorso dell’adepto. Ecco un elemento di forte identità per i legionari romani…
Il culto si svolge nel mitreo, luogo di culto sotterraneo in forma di grotta, illuminato da fiaccole.

I mitrei
I mitrei sono ambienti sotterranei dove si pratica il culto, riproducendo la grotta dove sarebbe nato Mitra. Sono numerosissimi in tutto il territorio imperiale: se ne trovano in Italia, Francia, Austria, Germania, Inghilterra, Asia, Africa e moltissimi altri luoghi.
Solo a Ostia ne sono stati rinvenuti ben 18. A Roma se ne ipotizzano fino a 2000, anche se ne sono stati ritrovati 7.
Ogni mitreo è frequentato da un piccolo gruppo di adepti con a capo un pater, che è colui che ha raggiunto il settimo grado del percorso iniziatico.
Molti imperatori in questo periodo sono fedeli a Mitra e incoraggiano moltissimo l’espandersi del culto tra i legionari, poiché colgono l’importanza di tale forza spirituale per la coesione dei loro soldati.

 

La recente visita al Mitreo di Marino. Foto di Marion Weber

Ma, ieri come oggi, alla domanda – Come stai, soldato? Come ti senti dentro? –, si continua a rispondere con
un’altra domanda: -Perché la guerra?-

E no, non c’è risposta, non ci può essere.

(N.B.: Prossima visita sabato 23 aprile ore 16,30, prenotazione obbligatoria al 3488464099)




Ricordo della Professoressa Maria Fenelli

Maria Fenelli, la mia professoressa “Laser”

 

La Prof. Maria Fenelli. Foto Canale10.it

 

Negli anni 1980 – 1984, iscritta alla facoltà di Lettere con indirizzo archeologico dell’Università di Roma “La Sapienza”, conobbi e seguii passo passo la Professoressa Maria Fenelli, allora assistente del Prof. Ferdinando Castagnoli, con il quale sostenni gli esami di due annualità di Topografia di Roma e dell’Italia antica.

Diversi anni più tardi sarebbe stata lei la titolare di quella prestigiosa cattedra universitaria.

In occasione dei miei due esami, molte domande me le fece proprio Maria Fenelli, che aveva tenuto per noi studenti i seminari tematici di approfondimento.

Con lei partecipai anche a due campagne di scavo a Lavinium, presso Pratica di Mare.

La Fenelli ci ricordava spesso l’anziano Prof. Castagnoli come il giovanotto in lambretta che realizzò una straordinaria ricerca sul campo di ricognizione prima di giungere all’identificazione della mitica città di Lavinium.

 

Ferdinando Castagnoli in ricognizione a Lavinium. Foto repertorio

 

Il 1958 segnò l’inizio di quell’avventura archeologica, dovuta anche alla coraggiosa sperimentazione della fotografia aerea applicata alla ricerca archeologica, che il giovane Castagnoli intraprese con il forte sostegno del grande prof. Giuseppe Lugli, proprio sul territorio di Pratica di Mare.

Chiamavo “Laser” la prof. Maria Fenelli, perché andava sempre dritta al punto.

Dotata fin da giovane di una intrinseca autorevolezza, lasciava però trasparire il suo entusiasmo.

Mi ha fatto conoscere “di persona” cosa vuol dire il rigore della ricerca topografica e la relazione con quello che lei chiamava “l’imponderabile”, cioè il dipanarsi di un filo a volte casuale, per cui si giunge a compiere scoperte altrimenti inimmaginabili.

Il concetto venne da lei richiamato anche durante una cerimonia svoltasi nel 2008, in ricordo del prof. Castagnoli, al quale venne dedicata una targa scultorea presso il Museo archeologico Lavinium.

La Fenelli ci ricordò quanto il museo fosse stato fortemente auspicato dal Professore, come un sogno che si realizzò poi solo nel 2005.

Tra le sue numerose attività topografiche e archeologiche, Maria Fenelli ha diretto a lungo la ricerca archeologica su Lavinium, giungendo anche al ritrovamento della stipe votiva del Santuario di Minerva e alla ricomposizione delle statue, a cominciare dalla straordinaria e iconica statua di Minerva Tritonia.

 

 

Minerva Tritonia, statua in terracotta policroma, V sec. a.C. Museo Archeologico Lavinium. Foto Ass. Rotta di Enea

 

Quando mi venne affidato l’incarico temporaneo come direttore scientifico del Museo archeologico Lavinium, nel 2011, ebbi modo di parlarne con lei.

Confesso di averla aspettata a lungo alla Sapienza, all’uscita da un convegno, in attesa che si liberasse per un minuto. Fu gentile e si ricordò di me.

Ecco la scena: lei, sguardo “laser”, io intimidita. Le chiedo due parole di incoraggiamento, ricordandole rapidamente quanto mi senta ancora irrimediabilmente “allieva”.

Dritta al punto, mi dice che, se è per questo, non si smette mai di essere allievi. Poi mi sorride e mi stringe la mano come augurio. Grazie, Prof.

 




Ricominciamo a vivere

Un viaggio nella storia delle terme nell’antica Roma

 

Il nuovo anno appena iniziato ci trova ancora un po’ assonnati, forse. Sicuramente tutti desiderosi di un nuovo “bel vivere” quotidiano!
In questa materia, sappiatelo, siamo sempre stati maestri e per convincercene profondamente, ci basta rivolgerci, per esempio, al nostro passato antico romano…

 

Pompei – Casa dei Vettii
Foto da Altervista

 

Ma scusa, direte voi, la storia dell’antica Roma non è caratterizzata dal desiderio di conquista, dalla visione strategica, dall’attitudine pratica e costruttiva, dall’applicazione della legge: Dura lex, sed lex … (“Sebbene dura, la legge è necessaria”)?
È vero, questa è la lente privilegiata attraverso la quale normalmente guardiamo ed esaminiamo la civiltà romana.
Dunque, è difficile credere che la contemplazione della Natura fosse considerata dai Romani uno dei più grandi piaceri cui aspirare nella vita.
Fu il fascino della cultura ellenica, entrato nel mondo italico attraverso gli Etruschi fin dall’VIII sec. a.C., a sedurre e trasformare gradualmente il volto semplice ed essenziale degli antichi abitanti dell’Italia.

Per quel che riguarda Roma, dopo la conquista della Grecia, portata a termine nel 146 a.C., la bellezza, la grazia, il genio greco aprirono la mente del conquistatore allargandone i confini, raffinandola e risvegliandone la dimensione contemplativa, fino ad allora soffocata da una imperiosa istanza di affermazione corroborata da uno straordinario senso pratico.

Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio (“La Grecia, conquistata, conquistò a sua volta il selvaggio vincitore e introdusse le arti nel Lazio campagnolo” racconta Orazio nelle Epistolae).

Intendiamoci: questa evoluzione culturale riguarda principalmente il mondo romano più aristocratico, patrizio, colto. Un mondo sorretto da una solida base sociale fatta di servi, schiavi, attendenti, clientes.

 

Affresco dalla Villa di Livia a Prima Porta
Foto da Itinera Barbarae – Overblog

 

Un mondo che seppe concepire il concetto di Otium.
Un concetto molto distante dall’idea che abbiamo noi di Ozio. Il nostro proverbio dice infatti che l’ozio è il padre dei vizi…
L’ozio è nemico dell’anima, secondo San Benedetto da Norcia, che per esorcizzarlo raccomandava l’Ora et labora incessantemente…

Invece Otium per i Romani antichi è la più nobile delle dimensioni, in cui il vuoto si riempie di studio, letture, meditazioni, contemplazione del bello, piaceri dello spirito, equilibrio tra corpo, mente e anima.
Una dimensione ideale: basti pensare che la realtà opposta, fatta di lavoro, occupazioni, affari, impegno politico, fatica, è denominata Negotium, cioè “negazione dell’Otium”…

Quando sono nella mia villa di Laurento – scrive Plinio – non ascolto nulla che mi dispiaccia di avere ascoltato, non dico nulla che mi penta di aver detto: nessun desiderio, nessun timore mi turba.”

E per Cicerone non è un uomo libero quello che non ozia di tanto in tanto.
Orazio col suo Carpe Diem (“Cogli il giorno”, tema di una delle più celebri Odi del poeta di Età Augustea) ci guida entro la sua visione epicurea: affannarsi serve a poco. Nella tragica consapevolezza della propria precarietà, conviene cogliere il giorno conferendo valore, dignità e piacere a ogni istante.
Se l’Otium e la visione filosofica del Carpe Diem si coltivano nella sfera sociale più aristocratica, tra giardini e domus sontuose, tra abiti e ornamenti lussuosi, tra originali e costosi manicaretti cucinati dall’Archimagirus (lo chef privato presente in molte domus e ville patrizie) e tra ottime degustazioni di vini pregiatissimi, c’è però uno specifico aspetto del bel vivere degli antichi Romani che può essere praticato da ogni classe sociale.

Parliamo delle Terme, un luogo di vero piacere del corpo e dell’anima, oltre che di igiene, apprezzato in tutto l’Impero.
Recarsi alle Terme è un’abitudine molto gradita al popolo romano, forse più del circo e dei giochi gladiatori.

 

Ricostruzione Vasca delle Terme di Caracalla
Foto da Turismo Italia news

 

Durante l’Età Repubblicana i Romani apprendono dai Greci l’abitudine di allestire una stanza da bagno nelle case di chi può permetterselo.
Ma l’indole romana principalmente organizzativa, pianificatrice ed estremamente pratica comincia a immaginare una dimensione pubblica dei Bagni, strettamente correlata alla presenza dell’acqua.
Si finisce così, nei secoli, con l’edificare, nella sola Roma, 11 grandi complessi termali pubblici (gratuiti o quasi) e 856 stabilimenti balneari privati. Quanto all’acqua, si arriva a 11 Acquedotti che riforniscono la città con un’abbondanza davvero eccezionale.
Le prime Terme vengono create a Roma da Agrippa, genero di Augusto, nel 25 a.C. e dopo di lui gli imperatori romani fanno a gara per superare i predecessori con Terme sempre più grandiose.
Così la Roma imperiale si abbellisce di impianti termali, che diffonde in tutte le sue province, come testimoniano i numerosi e imponenti resti archeologici diffusi su tutto il territorio conquistato.
Le straordinarie architetture termali conferiscono grande prestigio a ogni città, assicurando benevolenza e consenso popolare all’imperatore di turno.

 

A Roma ricordiamo le Terme di Agrippa, le Terme Neroniane o Alessandrine, le Terme di Tito, le Terme di Traiano, le Terme Surane, le Terme Eleniane, le Terme Commodiane, le Terme di Caracalla, le Terme Deciane, le Terme Aureliane, le Terme di Diocleziano e le Terme di Costantino.
Quasi tutta la città passa una volta al giorno dalle Terme: immaginiamo, quindi, gli avventori tutti in fila all’entrata e lungo i percorsi studiati appositamente per evitare ingorghi. Basti pensare che le Terme di Caracalla potevano ospitare almeno 1.600 persone all’ora…
Le Terme diventano quasi un simbolo dell’Urbe e della sua filosofia di vita: il bagno precede il banchetto pomeridiano e nei giardini che sorgono intorno alle vasche si passeggia, si amoreggia e si concludono affari.

 

L’argomento delle Terme romane è variegato e assai interessante, ma per ora ci fermiamo.
Ci basti l’immagine di questi bellissimi impianti termali antichi: ci riempirà di una straordinaria frescura e ci farà sentire molto vicini ai nostri avi nel comune desiderio di riposo e bel vivere, in questo timido inizio d’anno!

 

Ricostruzione Terme di Diocleziano
Foto da video.corriere.it

 

 

Maria Cristina Zitelli




Natività di Gesù: le immagini più antiche

A quando risale la prima rappresentazione della natività di Gesù?

Le più antiche testimonianze le troviamo nelle Catacombe di Priscilla, sull’antica via Salaria, a Roma. Esse risalgono a un periodo tra il II e il III secolo dopo Cristo.

Eccole a voi: una è l’Adorazione dei Magi, l’altra è la Madonna col Bambino e il profeta Balaam che addita una stella, ricordandoci la sua profezia: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24,15-17).

Quest’ultima è anche la più antica immagine di Maria che ci sia pervenuta!

Immagine dal web: romafelix.it

 

 

Immagine dal web: ilmattino.it

 

Le catacombe di Priscilla sono tra le più antiche di Roma e si dipanano su vari livelli per circa 13 chilometri.

Ci troviamo a circa 20 metri sotto terra, tra i cunicoli e le interminabili gallerie realizzate a partire dal II secolo utilizzando ambienti preesistenti, come l’ipogeo con le tombe degli Acili Glabrioni.

La Gens degli Acili Glabrioni era la famiglia di Priscilla, colei che concesse l’area per la realizzazione del cimitero cristiano.

Romana, moglie di un senatore, Priscilla protesse i primi cristiani dalle persecuzioni e ne accolse i corpi in queste cave di tufo di sua proprietà.

Molte furono le donne patrizie o comunque di alta estrazione sociale, che nell’antica Roma imperiale furono profondamente toccate dall’annuncio evangelico del Cristo e si profusero in donazioni e forme varie di partecipazione e sostegno alla nuova religione dal richiamo escatologico, che prometteva una vita di gioia e di ricompensa oltre il travaglio della vita terrena.

Una seconda tappa di questo ideale viaggio romano alla ricerca delle più antiche immagini del Natale ci porta alla basilica paleocristiana di S. Maria Maggiore.

Nell’anno 431 il Concilio di Efeso proclama Maria definendola con l’appellativo di “Theotòkos”, cioè Madre di Dio.

Il papa Sisto III ricostruisce immediatamente l’antica basilica già iniziata da Papa Liberio nel 352, dedicandola proprio a Maria e rivestendola di splendidi mosaici d’oro.

Nella navata centrale scorrono, in splendidi mosaici del V secolo, le storie dell’Antico Testamento.

Gli episodi evangelici sono rappresentati nell’arco trionfale, con colori vivaci e una grande vitalità, realizzati sempre nel V secolo.

Il mosaico dell’abside risale invece alla fine del XIII secolo, a opera di Jacopo Torriti, esponente della scuola pre-giottesca romana.

Qui ammiriamo gli episodi più importanti della vita di Maria e dell’infanzia di Gesù, culminanti nell’Incoronazione della Vergine.

Ma ecco il nostro punto di attenzione: sotto il catino absidale compare la scena della Natività.

Immagine dal web: Hypotheses.org

 

Ai più attenti di voi non sfuggirà l’assoluta innovazione di questa rappresentazione, cui spetta il primato per la realizzazione di un “Presepe” vero e proprio.

Il Bambino, la mangiatoia gemmata, le bianche vesti, i quattro angeli, la stella, i Magi in abiti preziosi. Tutto è simbolico e allo stesso tempo vivo e concreto.

Maria è semi-sdraiata, come è naturale per  una donna che ha appena partorito, ma nello stesso tempo appare circonfusa di umana regalità.

Giuseppe, seduto in basso, è rappresentato come sovrastato dalla potenza divina di quanto sta avvenendo…

Ecco affermarsi in questa iconografia il senso del compimento: si compie una promessa che potremmo laicamente definire apocalittica, ovvero di rivelazione:

 

“Un bambino è nato per noi, sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo dominio sul trono di Davide” (Is.9,5-6).

 

 

di Maria Cristina Zitelli 




L’Insula dell’Ara Coeli

Un premio allo sguardo che scende: l’Insula dell’Ara Coeli

 

 

Passeggiare al centro di Roma ci conduce spesso a piazza Venezia e a piazza dell’Ara Coeli.

Qui, alzando gli occhi, lo sguardo viene rapito da due scalinate che conducono in vetta al Colle Capitolino, il Campidoglio.

 

Le due scalinate (Sito Parrocchia San Marco Evangelista)

 

La “Cordonata” di Michelangelo conduce alla piazza del Campidoglio, mentre l’altra Scalinata porta alla Basilica dell’Ara Coeli.

Questo superbo teatro racconta lo stratificarsi di tante e tante storie e proprio per questo gli occhi raramente scendono per soffermarsi su un nascosto angolo che giace ai piedi della Scalinata dell’Ara Coeli, sulla sinistra.

Peccato, perché proprio lì si trova un tesoro unico: quello che resta di un grandissimo “condominio” dell’antica Roma imperiale.

 

L’Insula dell’Ara Coeli (Archivio personale)

 

Nel 1928, durante i lavori per l’isolamento del Campidoglio, sulla piazza furono abbattute o “smontate” diverse costruzioni antiche e antichissime.

Lì c’era la Chiesa di Santa Rita da Cascia, costruita su progetto dell’architetto Carlo Fontana intorno al 1653: nel 1928 venne smontata, per l’appunto, per poi essere ricostruita più tardi in via Montanara, presso il Teatro di Marcello.

La chiesa celava un’altra piccola chiesa medievale, San Biagio de Mercato o de Mercatello (in quanto in epoca medievale si teneva in zona un famoso mercato), incastonata a sua volta tra i muri di un antico caseggiato, in parte abitato continuativamente fino ai primi del Novecento.

 

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Venute allo scoperto queste costruzioni nascoste, si scoprì che i muri più antichi erano di età imperiale, tra I e II sec. d.C.

Si trattava di una parte di un’insula (termine da cui deriva la parola isolato), un grande caseggiato condominiale di 5 o 6 piani, in cui è stato calcolato che abitassero circa 380 persone.

Per nostra fortuna, nonostante l’enorme campagna di demolizioni che si stava mettendo in atto per l’apertura della via del Mare (l’attuale via del Teatro di Marcello), si decise di mantenere questa importante testimonianza della vita popolare antica romana, proprio a fianco dell’area dei Fori imperiali.

Ebbene sì, la Roma splendida dei Fori, delle Basiliche, dei Templi conviveva con una Roma buia e angusta, in cui il popolo abitava in minuscoli e scomodi locali, pagando l’affitto a ricchi proprietari e profittatori.

Moltissime erano le insulae nei quartieri malfamati, come ad esempio la famosa Suburra, che si estendeva nella zona dell’odierno rione Monti.

Un brulichio di gente povera affollava strettissimi vicoli tra queste alte insulae, spesso fatiscenti, per poi sfociare nelle luminose piazze della Roma monumentale.

E lungo i vicoli si aprivano, a pian terreno, una serie di tabernae (botteghe) che animavano il percorso con i loro rumori, gli odori, i colori.

Sopra le tabernae c’erano quasi sempre le abitazioni dei loro gestori, artigiani, osti, commercianti,

E poi, dal secondo piano in poi, si salivano ripide scale che conducevano ad abitazioni sempre più povere e fatte di materiali sempre più leggeri e traballanti: Marziale, poeta trasferitosi a Roma dalla Hispania Tarraconensis, si lamentava di dover salire 200 gradini prima di arrivare nella sua piccola casa in affitto.

Giovenale a sua volta narra di frequenti crolli e incendi che creavano spesso il panico.

Dunque, accostandoci con una nuova attenzione all’Insula dell’Ara Coeli possiamo scorgere, 9 metri più in basso dell’attuale piano di calpestio, le tabernae e il primo piano del caseggiato, che si sviluppava anche nell’area sotto l’attuale via del Teatro di Marcello: quando camminiamo a Roma, spesso i nostri piedi passano sopra un vero tesoro sepolto.

 

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Al di là dei più famosi monumenti che sono arrivati a noi attraverso varie e fortunate vicissitudini, il volto più antico e verace della Roma popolare è davvero quasi tutto obliterato. È assai più facile immaginare la vita quotidiana degli antichi Romani andando fuori Roma, visitando ad esempio Ostia antica, Pompei, Ercolano.

Al centro di Roma rarissime sono le occasioni di poter camminare ancora tra i piani di un caseggiato popolare della città antica.

Con un permesso speciale della Soprintendenza archeologica capitolina ho condotto molti gruppi all’interno dell’Insula dell’Ara Coeli e amo condividere il più possibile emozioni così indimenticabili.

 

 

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli




Archeojazz fra storia e musica, un successo

Visita archeologica guidata e concerto organizzato da Ardeafilarmonica
Più di ottanta turisti da Roma e dintorni. Prossimo appuntamento Ottobre

È stato un successo il primo appuntamento di Archeojazz, la visita archeologica guidata con concerto finale, organizzata domenica scorsa (26 settembre) dall’Ardeafilarmonica. Hanno prenotato il tour più di ottanta avventori, che divisi in gruppi e fasce orarie hanno visitato la chiesa di San Pietro, di Santa Marina e l’area archeologica “Casarinaccio” dove, a conclusione del “giro” i turisti hanno trovato ad accoglierli un aperitivo ed un concerto.

All’ombra di una rigogliosa quercia si è esibita la Old Dixie e Swing Band. La formazione musicale ha suonato il  classico jazz tradizionale rigorosamente in stile New Orleans accompagnata dalla calda e suadente voce di Cecilia Panichelli. Oltre ai turisti provenienti da Roma e dintorni erano presenti all’incontro il Sindaco Mario Savarese, il Presidente del Consiglio Lucio Zito, l’Assessore Sonia Modica insieme ad altri componenti dell’Amministrazione Comunale.

 

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«È stata una bella iniziativa che ha impegnato tutta la macchina organizzativa della nostra associazione, che ancora una volta ha dimostrato di essere capace di grandi cose – ha affermato Patrizia Andreoli presidente dell’Associazione Ardeafilarmonica – un’esperienza da ripetere a breve perché, appuntamenti di questo tipo, danno un notevole contributo per far conoscere le bellezze e la storia di Ardea, sicuramente una delle città più antiche del territorio».

L’Ardeafilarmonica, una delle Associazioni più attive della città, sta già pensando al prossimo tour-concerto per  il mese di ottobre, con i più grandi successi dei cantautori italiani.

COMUNICATO STAMPA




Pomezia, al Museo Lavinium un seminario di ricerca sull’archeologia funeraria

 

Si è concluso nella giornata di ieri al Museo Civico Archeologico Lavinium un seminario di studi internazionale incentrato sull’antropologia e l’archeologia funeraria. A guidare il team di ricercatori il prof. Llorenç Alapont Martin, dell’Università Europea di Valencia, che lo scorso anno ha stipulato una convenzione con Pomezia per lo studio antropologico e archeologico delle sepolture rinvenute nella necropoli tardo antica della villa romana in via Siviglia.

La settimana di studi, oltre a concentrare l’attenzione su un particolare aspetto dell’archeologia, con uno studio mirato di alcuni degli scheletri conservati, è stata l’occasione per avviare l’analisi dei materiali che facevano parte del corredo delle tombe funerarie e dare vita a nuove collaborazioni con esperti del settore. La necropoli della Villa Romana di Torvaianica può essere datata tra il IV e gli inizi del V secolo d.C., la maggior parte delle sepolture erano della tipologia cosiddetta “alla cappuccina”, a cassa o in anfora, quest’ultima riservata prettamente agli infanti. Si è iniziato con il pulire, sistemare e catalogare 12 resti scheletrici, quattro dei quali, quelli maggiormente conservati, sono stati oggetto di ricostruzione e analisi. Questo tipo di studio permette di stabilire il sesso, l’età, le patologie, l’alimentazione di un individuo. Nell’analisi dei resti scheletrici i giovani archeologi hanno effettuato anche lo scavo di una tomba in anfora di un infante di circa 10-18 mesi, di cui non possiamo stabilire il sesso proprio per la giovane età. L’ultimo giorno del seminario è stato dedicato alla documentazione grafica e fotografica, in particolare ai rilievi fotogrammetrici che permetteranno, in un secondo momento, di ricostruire in 3d gli aspetti e le caratteristiche salienti del volto dei nostri antenati.

“Il Museo Archeologico Lavinium aggiunge al fascino del mito una storia ancora più seducente che si basa sul suo ricco patrimonio archeologico – dichiara Federica Colaiacomo, responsabile scientifica del Museo Lavinium – Auspichiamo di poter proseguire con tutto ciò che resta ancora da studiare, elaborare questi dati e inserirli in una mostra che focalizzi l’attenzione sulle sepolture, da quelle delle necropoli protostoriche, tipiche del rituale funerario del popolo Latino a quelle standardizzate e diffuse nel mondo romano”.

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“Fiore all’occhiello del nostro patrimonio culturale, il Museo Archeologico Lavinium è una fonte inesauribile di conoscenza – spiega la vice Sindaco Simona Morcellini – Siamo onorati della presenza del Prof. Alapont Martin, che ha da poco concluso la sua settima missione di scavo a Pompei, nella Necropoli di Porta Sarno, in cui quest’anno c’è stata l’eccezionale scoperta della tomba di Marcus Venerius Secundio. La ricerca scientifica e la passione delle nuove generazioni di studenti sono motori indispensabili per la crescita culturale del nostro Paese”.

“Il seminario appena concluso rappresenta un’occasione importante per il nostro territorio – aggiunge il Sindaco Adriano Zuccalà – i cui risultati hanno dato modo di aggiungere nuovi dati alla lunga e importante storia di Lavinium, che arricchiranno la narrazione del percorso espositivo del nostro Museo Archeologico. Ringraziamo la responsabile scientifica del Museo, la Soprintendenza e il Prof. Alapont Martin per la grande occasione che stanno dando alla nostra Città”.

 

COMUNICATO STAMPA




Appuntamenti di Luglio Museo Civico Archeologico Lavinium

Il Museo Civico Archeologico Lavinium vi ricorda i prossimi appuntamenti di Luglio:


VISITE GUIDATE ALL’AREA ARCHEOLOGICA

Martedì e Giovedì: appuntamento al museo ore 9:00 e ore 15:00
Sabato e Domenica: appuntamento al museo ore 10:00 e ore 16:00

Costo visita guidata: 3 € + biglietto di ingresso Prenotazione obbligatoria


LABORATORI DIDATTICI

Domenica 25 luglio ore 17:30 – Caccia al tesoro all’Area Archeologica
Martedì 27 luglio ore 10:00 – Facciamo un vaso

I laboratori sono pensati per i bambini dai 6 anni in su.
Costo laboratorio: 4 €
Biglietto di ingresso gratuito per bambini Prenotazione obbligatoria

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VISITE GUIDATE TEMATICHE
Ogni venerdì ore 10:00 – Tomba 16 dalla Necropoli del Bronzo finale dell’area centrale di Lavinium.

Costo visita guidata: 3 € + biglietto di ingresso Prenotazione obbligatoria

EVENTI
Giovedì 22 luglio ore 21:30 – Old Dixie & Swing Band. Omaggio a Louis Armstrong.
La Old Dixie & Swing Band è una formazione musicale nata all’interno dell’Associazione “Ardeafilarmonica” e suona jazz classico tradizionale. Si esibirà con un omaggio a Louis Armstrong di cui ricorre quest’anno un doppio anniversario: 120 anni dalla nascita e 50 anni dalla morte.

 

Giovedì 29 luglio ore ore 21:00 – Cosimo and the hot coals.
Il quintetto jazz di Milano offrirà un repertorio che parte dalla tradizione di New Orleans e dell’Hot Jazz fino allo Swing degli anni ‘20 e ‘30.

Per entrambi gli eventi: ingresso gratuito e consentito fino ad esaurimento posti.
Si dovrà parcheggiare nell’area adiacente al Museo presso il Borgo di Pratica di Mare.

 

Per gli eventi serali il Museo sarà aperto dalle ore 20:00 alle ore 24:00 con biglietto di ingresso promozionale ad 1,00 €.
Inoltre, su prenotazione, sarà possibile visitare il Museo con visita guidata.

Per info e prenotazioni:
06 91984744
[email protected]




Roma ieri come oggi

 

Appena dopo questa calda estate, Roma si troverà proiettata nel bel mezzo delle elezioni per il nuovo Sindaco.
Avvertiamo molto forte il turbinio di una lunga campagna elettorale che, volenti o nolenti, investe tutto il nostro Paese e ne stiamo già sentendo di tutti i colori sui difetti di una delle città più complesse del mondo da amministrare. Dunque, può giovare creare un po’ di distanza, fermarsi a respirare rievocando qualche aspetto della Roma dei primi secoli dopo Cristo. Ritroveremo sensazioni assai familiari, questo è certo…
Già: pensate che in epoca imperiale Roma era una città…  affollata e sporca, multirazziale e caotica, sfarzosa, ma poco raccomandabile, ricca e monumentale. Aggettivi familiari? – De ppiù! – (come si dice a Roma)

 

Vi invito a chiudere gli occhi ed entrare insieme a me per pochi minuti in quest’Urbe di circa 2000 anni fa, dalle mille facce: frenetica ma anche assai pigra, austera e tollerante, nobile e corrotta, sobria e gaudente. Troviamo gli stessi contrasti di una moderna megalopoli e ne faremo solo un piccolo assaggio.

Un milione e mezzo di abitanti brulica tra i monumenti pubblici e le grandi dimore private, in mezzo ad un mare di casupole affacciate su strade anguste e maleodoranti, gremite e chiassose di giorno ma semideserte e pericolose di notte.

Tutto sembra privo di criterio urbanistico e in questo disordine si affaccendano non solo tantissimi Romani: è notevole nella popolazione la componente etrusca, sannitica, italica in generale. Ma non mancano Galli, Iberi, Africani, Greci, Siriani, Egizi, Ebrei, Cilici, Traci, Sarmati, Germani, Etiopi.
Roma, meta di migliaia di viaggiatori e migranti, vero e proprio mito per molte popolazioni dell’Impero, non conosce il concetto di discriminazione razziale!
Ricchezza ed esuberanza trasudano dagli spazi pubblici: i Fori e i Templi.

Le grandiose piazze che sorgono al centro della città sono non solo la sede del governo e della giustizia, ma anche i luoghi in cui si concludono gli affari, si acquistano merci e generi alimentari, si incontrano amici, si discute, si partecipa a cerimonie e manifestazioni.

 

Accanto alle piazze sorgono le basiliche, imponenti edifici con decine di ambienti, dove si tengono comizi, letture, processi, ma anche dove trovano riparo migliaia di nullatenenti. (Il nostro termine basilica deriva da questi edifici e ha assunto per noi una connotazione prettamente religiosa).

Continuando a passeggiare notiamo come abbondino i templi, dai quali le divinità pagane dominano e tutelano la più popolosa Metropoli della Terra: la Roma imperiale!

 

Per immaginare l’aspetto dei Romani che danno vita a questo andirivieni cittadino, ci aiuta Pompei, sepolta dall’eruzione del 79 d.C. con tutti i suoi abitanti, con resti, affreschi e raffigurazioni.

Uomini e donne sono bassini, gli uni alti in media 1,66 metri e le altre 1,54. I primi pesano intorno ai 65 kg, le seconde circa 49. L’età media è di circa 40 anni… Le donne si sposano molto giovani, anche a 13-14 anni.

Torniamo alla folla: vogliamo sentire “realmente” la sua pressione? Ci viene in soccorso Giovenale, in una delle sue Satire:

“L’onda di gente che mi sta avanti mi ostacola, quella che mi sta dietro, mi preme alle spalle come una falange serrata” …

“qua uno mi dà di gomito, là mi colpisce duramente la stanga di una lettiga, uno mi sbatte in testa una trave…”.

 

Marziale poi ci rivela che a Roma gli inquilini possono quasi darsi la mano da un palazzo all’altro. E non ci è difficile immaginare questa situazione tra le “insulae”, veri e propri condomini a più piani, da cui deriva il nome dei nostri “isolati”.

 

 

In realtà si tratta di instabili alveari di 4 o 5 piani. Al pianterreno ci sono le botteghe, con un soppalco per l’abitazione del commerciante; sopra gli appartamenti, di 2 o 3 locali. Sono costruzioni prive di ogni comfort, calde d’estate e fredde d’inverno, ma costano un occhio della testa, anche in affitto…Frutto delle speculazioni delle classi agiate, le insulae sono costruite in prevalenza in legno e non di rado vengono divorate dalle fiamme, insieme ai loro occupanti.

 

Una caratteristica evidente della città, ieri come oggi, è il rumore, il frastuono…

 

Seneca, abitando sopra una struttura termale, ci fa arrivare il suo lamento:

”Mi circonda un chiasso, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare di essere sordo. Sento il mugolio di coloro che si esercitano affaticandosi con i pesi di piombo…. Quando poi arriva uno di quelli che non sanno giocare a palla senza gridare, e comincia a contare i punti fatti ad alta voce, allora è finita.

C’è il venditore di bibite, il salsicciaio, il pasticcere e tutti gli inservienti delle bettole, ognuno dei quali va in giro offrendo la sua merce con una speciale e unica modulazione di voce”

 

E di notte le cose non migliorano: ai mezzi che riforniscono la Roma dell’Impero è infatti vietato circolare di giorno (con rare eccezioni) per non rendere ancora più caotica la situazione. Così al calare del buio, la città, quasi del tutto priva di illuminazione, si riempie di carri e carretti. Come spesso accade, Marziale ci accompagna alla conclusione di questa breve passeggiata facendoci ridere:

”A Roma la maggior parte dei malati muore di insonnia, perché quale casa in affitto consente di dormire?”

 

 

 

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli