L’Edipo Re di Sofocle

Oggi parliamo di un mito famosissimo nell’antica Grecia, il quale ha dato il nome al celebre “complesso di Edipo”.
Ma in quanti sanno qual è la vera storia di Edipo?

Edipo Re è una tragedia composta da Sofocle attorno al 430 e il 420 a.C. ed è unanimemente considerata il suo capolavoro.

Edipo è il re di Tebe, ma la città al momento è devastata da una pestilenza.
Consultando l’oracolo di Delfi, si scopre la causa dell’epidemia: il precedente re di Tebe, Laio, è stato ucciso ed il suo assassino vive in città impunito.

Il morbo, perciò, non libererà la città finché l’omicida non verrà identificato e cacciato.

Edipo vuole indagare per il bene del suo popolo, ma non sa assolutamente cosa lo aspetta.

Egli decide dunque di convocare Tiresia, l’indovino cieco, per scoprire l’identità di quest’uomo.
Tuttavia Tiresia, il quale conosce la verità, decide inizialmente di tacere per evitare numerose sventure. Il re si arrabbia, alza i toni e riesce infine a far parlare Tiresia, che confessa: l’uccisore di Laio è Edipo stesso.

Il Re, furibondo e sicuro di essere vittima di una congiura, lo caccia via.
Ma Tiresia prima di andarsene profetizza: “Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà”. Così sarà.

A questo punto della tragedia entra in scena un personaggio fondamentale: Giocasta, moglie di Edipo e vedova di Laio, la quale consola il proprio marito dicendogli di non credere alle profezie.

Infatti, gli racconta, a Laio era stato predetto che sarebbe morto per mano di suo figlio, quando invece furono dei banditi a ucciderlo sulla strada verso Delfi.

Edipo, per niente consolato, fa convocare il testimone di quell’omicidio. E piano piano inizia a mettere insieme i pezzi della sua storia…

Egli era figlio del re Polibo e principe di Corinto, ma un giorno scappò di casa in seguito ad un oracolo che gli predisse grandi sciagure: avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre.
Per evitare tutto ciò, lasciò la sua casa natale e si diresse a Tebe.

Sulla strada per Tebe ebbe un litigio con un uomo, che uccise.
Questo ricordo provoca in Edipo un enorme turbamento. Possibile che quell’uomo fosse Laio?

Nel frattempo, giunge un messaggero da Corinto con una notizia: re Polibo è morto!
Edipo può dunque tirare un sospiro di sollievo, sapendo di non essere stato l’uccisore di suo padre.

Chiede dunque notizie della madre, ma il messaggero lo conforta dicendogli che non c’è pericolo che egli sposi sua madre, poiché è stato adottato.

Ed egli ne è proprio un testimone, poiché fu lui, quando era un pastore, a trovarlo neonato. Gli fu dato da un servo di Laio.

Giocasta a quel punto capisce tutto e supplica Edipo di smettere con le ricerca. Non essendo ascoltata, disperata, se ne va.

A quel punto arriva il servo di Laio che fa luce su tutta la vicenda.
Laio, essendo venuto a conoscenza della profezia, consegna suo figlio neonato al servo con l’ordine di ucciderlo.
Il servo, però, mosso da pietà, porta il bambino dal pastore.
Tutto coincide.
Il pastore lo porta a Corinto, dove viene adottato dai regnanti; nel viaggio verso Tebe uccide il suo vero padre Laio ed una volta divenuto Re sposa sua madre Giocasta.

Edipo è sconvolto.
Il finale, dunque, è vicino. Ed è tragico.

Giocasta, sconvolta per l’orrore, si toglie la vita ed Edipo, appena trovato il suo corpo, si acceca e si esilia, lontano dalla città che tanto ha amato e alla quale ha portato così tanta disperazione.
Si conclude così una delle tragedie più famosa di sempre.




I Tarocchi del Mantegna

I Tarocchi

 

I tarocchi apparvero attorno alla metà del XV secolo nel nord Italia come carte da gioco.

Erano 78 carte, chiamate “trionfi”, e pare fossero utilizzate come gioco da tavola anche se purtroppo non se ne conoscono le regole.

Solamente nel XVIII secolo i tarocchi acquisirono l’accezione esoterica che tutti noi conosciamo: attraverso lo studio di due francesi, Antoine Court de Gébelin che li fece risalire all’antico Egitto ed Eliphas Lévi, che invece li ritenne originari della Cabala ebraica, i tarocchi vennero più generalmente associati all’esoterismo e allo pseudomisticismo.

Tuttavia, non si hanno dati certi sulla loro origine.

 

 

 

I tarocchi più antichi: Andrea Mantegna

 Si sa, però, che i mazzi di carte più antichi a noi pervenuteci risalgano al Rinascimento italiano.

La più antica serie di tarocchi è oggi custodita nella Biblioteca Ambrosiana di Milano: sono i Tarocchi del Mantegna.

Esso rappresenta il caso più antico e più misterioso tra le serie di stampe rinascimentali.
Queste carte sono state generalmente attribuite al pittore Andrea Mantegna, ma recenti studi hanno tolto la paternità all’artista attribuendola però al suo stesso ambiente.

In realtà, nonostante la somiglianza ed il nome attribuitogli, non è un mazzo di tarocchi bensì uno strumento educativo.

 

All’interno di questo mazzo è rappresentato un piccolo cosmo in miniatura e contiene in sé tutta la concezione universale del mondo nell’ottica medievale.

Esso comprende cinquanta carte divise in cinque sequenze, da dieci carte ciascuno, e ad ogni gruppo è associato un tema: le condizioni umane, Apollo e le muse, le arti e le scienze liberali, i principi cosmici e le virtù cristiane ed infine i pianeti, le sfere celesti e Dio.

Si tratta, perciò, di un sistema universale da cui il piccolo uomo si trova integrato del più grande e vasto disegno divino del Signore.

A questo modo, l’uomo che si trovava ad osservare queste carte poteva venire a conoscenza delle più alte virtù umane e del funzionamento dell’universo, così come delle arti e delle scienze.

 

 

 

Ma se l’intento per il quale queste carte furono commissionate fosse stato a scopo didattico, perché sono giunte a noi ritagliate singolarmente come carte da gioco?


E’ possibile supporre che questi particolarissimi tarocchi, unici nel loro genere, fossero stati creati per poter essere utilizzati?

E se sì, quale potrebbero essere le regole di un gioco nel quale i protagonisti sono tutti i sentimenti umani e i massimi sistemi solari?

Non ci sono pervenuti documenti relativi ad altri giochi di carte con il medesimo soggetto: è dunque necessario scartare questa ipotesi.

È possibile, invece, che si volesse tradurre in immagine un tema molto caro al Medioevo, presente anche in Dante, ovvero il microcosmo e il macrocosmo messi in relazione all’interno di un unico universo.




Nicolas Poussin e la pittura di paesaggio

Nicolas Poussin, nato nel 1594 a Les Andelys in Normandia, è stato uno dei più grandi pittori del XVII secolo, noto per le sue opere classiche e raffinate che hanno influenzato profondamente il mondo dell’arte. L’artista fu un fervente sostenitore del classicismo e uno dei pionieri del Barocco, combinando armoniosamente la tradizione classica con nuovi elementi drammatici e compositivi.

I Fondamenti Classici

 

Le opere di Poussin sono intrise di richiami alla classicità, con scene mitologiche, storiche e bibliche che compongono la sua produzione artistica. Un esempio emblematico di questa fusione tra il classicismo e il Barocco è “Et in Arcadia ego” (Anche io, in Arcadia), un dipinto che rappresenta idealmente l’armonia della natura e l’inevitabilità della morte, temi centrali dell’arte barocca.

In questa opera, quattro pastori contornano un sarcofago antico, riflettendo sulla presenza della morte anche in un luogo così idilliaco. L’equilibrio compositivo e l’attenzione ai dettagli anatomici denotano la formazione classica di Poussin, conferendo un senso di solennità e raffinatezza all’opera.

Le Allegorie del Potere e della Storia

Tra le opere più celebri di Poussin vi è “Il trionfo di Neptuno e Anfitrite”, un dipinto che incarna la potenza e la grandezza degli dei marini. La composizione meticolosa, le luci e le ombre giocano un ruolo cruciale nel conferire profondità e drammaticità all’opera. Neptuno, la figura centrale, emerge con maestosità dal suo carro trionfale, mentre Anfitrite, sua consorte, è affiancata dalle ninfe marine.

Poussin non si limita a esplorare la mitologia, ma tratta anche temi storici, come dimostra “Il ratto delle Sabine”. Quest’opera è un tributo all’arte classica, con una disposizione delle figure che richiama l’arte greco-romana. La drammaticità della scena è bilanciata dalla precisione e dalla grazia delle forme, evidenziando la genialità del pittore nel combinare il rigore classico con l’espressività barocca.

La Rinascita dell’Antico

Nicolas Poussin è stato un pioniere nell’adozione dell’antico come fonte di ispirazione per le sue opere. “Il giudizio di Salomone” è un esempio significativo di questa tendenza. In quest’opera, Poussin fa rivivere la grandiosità dell’antichità attraverso l’architettura e i costumi, illustrando con maestria la saggezza di Re Salomone nel risolvere una disputa tra due madri.

Il talento di Poussin nel catturare l’essenza dell’antico ha contribuito a una rinascita del gusto classico nel suo tempo, influenzando numerosi artisti successivi.

Conclusioni

Nicolas Poussin è stato un pilastro del classicismo barocco, la cui arte ha incantato e ispirato generazioni di appassionati d’arte. Attraverso la sua maestria nell’armonizzare la tradizione classica con l’espressività barocca, ha creato opere che restano rilevanti e apprezzate ancora oggi. Il suo lascito nell’arte europea è indiscutibilmente di fondamentale importanza e continua a influenzare gli artisti contemporanei, dimostrando la duratura rilevanza della sua visione artistica.

 




Giovan Battista Piranesi: L’Architetto dell’Immaginario

Giovanni Battista Piranesi, artista, architetto e incisore italiano del XVIII secolo, è celebre per le sue straordinarie rappresentazioni artistiche e incisioni, che hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte e dell’architettura. Le sue opere, caratterizzate da una fusione di grandiosità, mistero e dettagli minutamente eseguiti, hanno elevato la pratica dell’incisione e hanno influenzato generazioni di artisti successivi. In questo articolo, esploreremo alcune delle sue principali opere, che continuano a ispirare e affascinare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.

Carceri d’Invenzione (Prigioni Immaginarie)

Una delle serie più iconiche e misteriose di Piranesi è senza dubbio la “Carceri d’Invenzione” o le “Prigioni Immaginarie”. Queste incisioni, create tra il 1745 e il 1750, mostrano strutture architettoniche complesse, quasi labirintiche, popolate da scale intricate, archi maestosi e passaggi oscuri. L’atmosfera che emerge da queste incisioni è di una potente drammaticità, con giochi di luce e ombra che intensificano la sensazione di mistero e incantamento.

Le “Prigioni Immaginarie” di Piranesi incarnano l’esplorazione del sublime, invitando gli spettatori a immergersi in mondi impossibili e a lasciarsi trasportare in una dimensione oltre la realtà. Queste opere incanalano il desiderio di esplorazione e la straordinaria immaginazione di Piranesi, catturando l’essenza stessa dell’arte fantastica.

Vedute di Roma

Piranesi è ampiamente conosciuto per le sue vedute di Roma, una serie di incisioni dettagliate e realistiche che ritraggono monumenti e rovine dell’antica Roma. Queste opere, realizzate tra il 1748 e il 1778, mostrano una profonda comprensione dell’architettura classica e una straordinaria abilità tecnica nell’incisione.

Le “Vedute di Roma” di Piranesi vanno oltre la semplice rappresentazione realistica degli edifici; attraverso la maestria dell’ombreggiatura e l’attenzione al dettaglio, l’artista riesce a catturare l’atmosfera e la grandezza di questi monumenti storici. Le sue vedute rivelano il suo amore per la storia, l’architettura e la città di Roma stessa, rappresentando una testimonianza tangibile dell’interesse di Piranesi per il passato.

I Campi Phlegraei

Un’altra opera significativa di Piranesi è la serie “I Campi Phlegraei”, realizzata nel 1776. Questa collezione di incisioni è dedicata ai campi flegrei, una regione vulcanica nei pressi di Napoli. Le incisioni mostrano paesaggi pittoreschi, attività vulcaniche e studi geologici dettagliati.

“I Campi Phlegraei” sono un’opera di grande rilevanza scientifica e artistica, in quanto combinano l’osservazione accurata della natura con la sensibilità estetica di Piranesi. Le incisioni trasmettono un senso di meraviglia per la forza e la bellezza della natura, nonché la complessità delle forze geologiche.

Conclusioni

Le opere di Giovanni Battista Piranesi continuano a esercitare un’influenza duratura sull’arte e sull’architettura. Attraverso la sua maestria tecnica e la sua straordinaria immaginazione, Piranesi ha creato mondi fantastici e affascinanti che invitano gli spettatori a esplorare l’incognita e a riflettere sulla grandezza della storia e della natura. La sua eredità artistica rimane un tesoro prezioso, ispirando gli artisti contemporanei a esplorare i confini della creatività e a celebrare la bellezza del passato.