All’origine degli orologi

La misurazione del tempo nell’antica Roma

 

 

“Maledicano gli dei colui che per
primo inventò le ore
e collocò qui la prima meridiana.
Costui ha mandato in frantumi il
mio giorno di povero diavolo.

Quando ero giovane, infatti, l’unico
orologio era lo stomaco
…assai più preciso e migliore di
questo aggeggio moderno.”

(Plauto citato in Aulo Gellio, Notti attiche, III, 3, 5)

 

E sì, un bel cambiamento nello stile di vita dei Romani antichi, quello testimoniato da Plauto!
Il famoso commediografo romano muore nel 184 a.C. e ci lascia quindi il suo ricordo risalente al II sec. a.C. Non sapeva che, come ci racconta Vitruvio nel De Architectura, presto sarebbero state introdotte addirittura le meridiane portatili!

Tra il I e il VII secolo questi geniali oggetti circolavano nell’Impero e alcune meridiane erano dette “pros pan clima” cioè “per tutte le latitudini”, in quanto potevano essere regolate su latitudini differenti.

Particolarmente curiosa è la meridiana a sospensione detta “Prosciutto di Portici”.
Si tratta di un esemplare unico, ritrovato a Ercolano, negli scavi della Villa dei Papiri e si presenta a forma di prosciutto, con un quadrante inciso su di un lato.

 

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Dall’hora all’horologium

L’invenzione dell’ora è di probabile origine caldea.
Il concetto passò ben presto in Grecia: le Horae compaiono in mitologia come le tre figlie di Zeus e di Themis. Esse erano considerate le signore delle nubi e come tali, aprivano e chiudevano le porte dell’Olimpo.
Nel V sec. a.C. Metone, astronomo, matematico e geometra greco, aveva creato per gli Ateniesi un quadrante solare  che consisteva in una calotta di pietra (polos) al centro della quale era fissato uno stilo o gnomone che, non appena il sole sorgeva all’orizzonte, ne tracciava l’ombra nella pietra concava. In base a calcoli geometrici si ottenevano così le horae, segnate dalla posizione dell’ombra del sole nel suo cammino nel corso dell’anno.
Così, anche le altre città greche vollero avere i loro quadranti ma, variando il cammino apparente del sole con la latitudine, l’ora variava da città a città e ci si dovette adeguare di volta in volta alla posizione geografica.
I Romani avrebbero presto adottato il quadrante solare chiamandolo horologium, cioè “conta-ore”.

 

Quadranti solari

Il primo quadrante solare fu portato a Roma da Catania al tempo della prima guerra punica (263 a.C.), ma era regolato sulla latitudine di Catania, quindi per un secolo Roma visse con un’ora non sua. Finalmente nel 164 a.C. Marco Filippo fece adottare un nuovo quadrante costruito da un astronomo greco sulla latitudine di Roma.
Da allora i quadranti divennero numerosi: nel I sec.a.C. Gellio ci dice che Roma ne era invasa.
Il più maestoso era l’orologio solare di Augusto, concepito da Facundo Novio secondo una simbologia di tipo cosmogonico e astrologico.

 

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La clessidra

A Roma la prima clessidra fu introdotta nel 155 a.C. da Scipione Nasica per misurare il tempo accordato a ciascun oratore in tribunale. Così vennero limitati i lunghissimi tempi dei processi.
Plinio il giovane parlava di parecchie clessidre per sottolineare quanto tempo ci aveva messo a preparare una lunga difesa o arringa …
Attico misurava in clessidre il tempo che ci voleva per scrivere cento righe da parte di un copista. Il nome deriva dal greco klepsýdra, che significa “ruba-acqua”.
Fu probabilmente il primo strumento di misura del tempo indipendente dalle osservazioni astronomiche. Uno dei più antichi esemplari fu ritrovato nella tomba del faraone Amenhotep I, risalente al XV secolo a.C.
In Grecia l’uso della clessidra fu introdotto agli inizi del IV sec. a.C., sotto forma di contenitori in pietra di forma tronco-conica che facevano fuoriuscire acqua a un ritmo costante da un foro praticato sul fondo.
Altre clessidre avevano forma cilindrica o a coppa e venivano lentamente riempite da un flusso costante di acqua. Alcuni segni sulla superficie interna del contenitore indicavano il trascorrere delle ore al salire del livello del liquido.

 

 

Gnomos e polos

Pratica greca molto antica fu misurare il tempo utilizzando la variabilità delle ombre, a cominciare dalla stessa ombra del corpo umano. Poi venne introdotto lo gnomon, strumento inventato dai Caldei, che consiste in una punta o stilon eretto su un piano orizzontale.
Il polos è invece un emisfero con la parte concava rivolta verso lo zenith. Al centro vi era piantato uno stilo.

Orologio solare orizzontale. Da Wikipedia

 

 

Un concetto di ora diverso dal nostro

A Roma l’ora era considerata innanzi tutto un’unità di tempo utile per le attività, specialmente nella vita civile e politica. In verità, ancora nel V sec. a.C. il concetto di ora non compare, neanche nelle leggi delle XII Tavole. Anche in città prevaleva l’usanza rurale secondo la quale il tempo era segnato dalla posizione del sole nel cielo secondo i vari momenti della vita agricola.
Nel 338 a.C. venne ufficializzato il Meridies, il Mezzogiorno. Un messo dei consoli era incaricato di segnare il passaggio del sole al meridiano e annunziarlo al popolo. Dunque, alla fine del IV secolo a.C. a Roma si divideva semplicemente la giornata in due parti: prima e dopo mezzogiorno.

I Romani adottarono la divisione del giorno in ore nel 273 a.C., ma con una concezione diversa dalla nostra: le nostre sono le ore equinoziali, tutte uguali nel corso dell’anno, in un ciclo giorno – notte diviso in 24 parti. Certo gli astronomi antichi conoscevano le ore equinoziali.
Ma altro conto è per i Romani la vita pratica: il giorno naturale, cioè dalla levata al tramonto del sole, era sempre diviso in 12 parti. Il che comportava ore di diversa lunghezza in estate e in inverno.
Anche la notte era divisa in 12 parti raggruppate tre a tre, per formare quattro unità chiamate vigiliae (veglie). Infatti il soldato di guardia svolgeva un turno notturno di tre ore.

 

La durata dell’hora

La parola poteva designare tutta l’ora, ma anche solo il momento del suo inizio. La sua durata cominciava a crescere a partire dal solstizio d’inverno e raggiungeva la sua massima durata nel solstizio d’estate. La prima hora romana iniziava al levar del sole.
Quindi possiamo dire che, orientativamente, al solstizio d’estate iniziava alle 4 e 27 minuti, mentre al solstizio d’inverno alle 7 e 33 minuti
La durata oscillava così da un’ora e 15 minuti d’estate a 45 minuti d’inverno. Ma le variazioni non erano percepite generalmente dalla gente.

 

Nel dare un appuntamento, parecchi scrittori latini precisano

“hora aestiva” (ora estiva)
“hora brumalis” (ora invernale)

 

L’ora del bagno e del pasto, per ragioni probabilmente fisiologiche, era ritardata d’inverno. Il bagno si faceva alla nona hora in inverno (16,30) e all’ottava in estate (12,30 circa)
Ma generalmente, a una variabilità quantitativa corrispondeva una invariabilità qualitativa.
La settima ora segnava invariabilmente, per tutto l’anno, la fine delle attività di lavoro (il negotium), poiché la durata del tempo consacrato agli affari pubblici e privati era, a quanto sembra, proporzionata alla durata del giorno naturale. La visita mattutina al patronus da parte dei clientes aveva sempre luogo alla prima hora. Era impossibile pensare ad una remunerazione dei lavoratori in base all’ora, vista la sua variabilità.
Esisteva tuttavia un’unità di tempo stabile data dal passaggio dell’acqua in una clessidra. A questa si faceva probabilmente riferimento per il pagamento adeguato di un lavoratore.
Ma i Romani preferivano retribuire le attività in base al lavoro compiuto, più che al tempo impiegato.

 

Come sapere l’ora?

Anticamente l’ora era proclamata a gran voce a mezzogiorno, quando si vedeva il sole raggiungere, nel Foro Romano, lo spazio situato tra i Rostri e la Graecostasis (dove venivano ricevuti gli ambasciatori stranieri).
Per la convocazione di comizi e udienze, per feste e distribuzioni d’acqua o altro, venivano mandati dal pretore gli assistenti a gridare pubblicamente l’annuncio alla terza, alla sesta e alla nona ora, in diversi luoghi della città. Quindi la maggior parte dei Romani conosceva l’ora ascoltando questi annunci gridati. E Giovenale ci fa sorridere quando dice di compiangere il sordo, perché non sa mai l’ora…

 

di Maria Cristina Zitelli




Roma ieri come oggi

 

Appena dopo questa calda estate, Roma si troverà proiettata nel bel mezzo delle elezioni per il nuovo Sindaco.
Avvertiamo molto forte il turbinio di una lunga campagna elettorale che, volenti o nolenti, investe tutto il nostro Paese e ne stiamo già sentendo di tutti i colori sui difetti di una delle città più complesse del mondo da amministrare. Dunque, può giovare creare un po’ di distanza, fermarsi a respirare rievocando qualche aspetto della Roma dei primi secoli dopo Cristo. Ritroveremo sensazioni assai familiari, questo è certo…
Già: pensate che in epoca imperiale Roma era una città…  affollata e sporca, multirazziale e caotica, sfarzosa, ma poco raccomandabile, ricca e monumentale. Aggettivi familiari? – De ppiù! – (come si dice a Roma)

 

Vi invito a chiudere gli occhi ed entrare insieme a me per pochi minuti in quest’Urbe di circa 2000 anni fa, dalle mille facce: frenetica ma anche assai pigra, austera e tollerante, nobile e corrotta, sobria e gaudente. Troviamo gli stessi contrasti di una moderna megalopoli e ne faremo solo un piccolo assaggio.

Un milione e mezzo di abitanti brulica tra i monumenti pubblici e le grandi dimore private, in mezzo ad un mare di casupole affacciate su strade anguste e maleodoranti, gremite e chiassose di giorno ma semideserte e pericolose di notte.

Tutto sembra privo di criterio urbanistico e in questo disordine si affaccendano non solo tantissimi Romani: è notevole nella popolazione la componente etrusca, sannitica, italica in generale. Ma non mancano Galli, Iberi, Africani, Greci, Siriani, Egizi, Ebrei, Cilici, Traci, Sarmati, Germani, Etiopi.
Roma, meta di migliaia di viaggiatori e migranti, vero e proprio mito per molte popolazioni dell’Impero, non conosce il concetto di discriminazione razziale!
Ricchezza ed esuberanza trasudano dagli spazi pubblici: i Fori e i Templi.

Le grandiose piazze che sorgono al centro della città sono non solo la sede del governo e della giustizia, ma anche i luoghi in cui si concludono gli affari, si acquistano merci e generi alimentari, si incontrano amici, si discute, si partecipa a cerimonie e manifestazioni.

 

Accanto alle piazze sorgono le basiliche, imponenti edifici con decine di ambienti, dove si tengono comizi, letture, processi, ma anche dove trovano riparo migliaia di nullatenenti. (Il nostro termine basilica deriva da questi edifici e ha assunto per noi una connotazione prettamente religiosa).

Continuando a passeggiare notiamo come abbondino i templi, dai quali le divinità pagane dominano e tutelano la più popolosa Metropoli della Terra: la Roma imperiale!

 

Per immaginare l’aspetto dei Romani che danno vita a questo andirivieni cittadino, ci aiuta Pompei, sepolta dall’eruzione del 79 d.C. con tutti i suoi abitanti, con resti, affreschi e raffigurazioni.

Uomini e donne sono bassini, gli uni alti in media 1,66 metri e le altre 1,54. I primi pesano intorno ai 65 kg, le seconde circa 49. L’età media è di circa 40 anni… Le donne si sposano molto giovani, anche a 13-14 anni.

Torniamo alla folla: vogliamo sentire “realmente” la sua pressione? Ci viene in soccorso Giovenale, in una delle sue Satire:

“L’onda di gente che mi sta avanti mi ostacola, quella che mi sta dietro, mi preme alle spalle come una falange serrata” …

“qua uno mi dà di gomito, là mi colpisce duramente la stanga di una lettiga, uno mi sbatte in testa una trave…”.

 

Marziale poi ci rivela che a Roma gli inquilini possono quasi darsi la mano da un palazzo all’altro. E non ci è difficile immaginare questa situazione tra le “insulae”, veri e propri condomini a più piani, da cui deriva il nome dei nostri “isolati”.

 

 

In realtà si tratta di instabili alveari di 4 o 5 piani. Al pianterreno ci sono le botteghe, con un soppalco per l’abitazione del commerciante; sopra gli appartamenti, di 2 o 3 locali. Sono costruzioni prive di ogni comfort, calde d’estate e fredde d’inverno, ma costano un occhio della testa, anche in affitto…Frutto delle speculazioni delle classi agiate, le insulae sono costruite in prevalenza in legno e non di rado vengono divorate dalle fiamme, insieme ai loro occupanti.

 

Una caratteristica evidente della città, ieri come oggi, è il rumore, il frastuono…

 

Seneca, abitando sopra una struttura termale, ci fa arrivare il suo lamento:

”Mi circonda un chiasso, un gridare in tutti i toni che ti fa desiderare di essere sordo. Sento il mugolio di coloro che si esercitano affaticandosi con i pesi di piombo…. Quando poi arriva uno di quelli che non sanno giocare a palla senza gridare, e comincia a contare i punti fatti ad alta voce, allora è finita.

C’è il venditore di bibite, il salsicciaio, il pasticcere e tutti gli inservienti delle bettole, ognuno dei quali va in giro offrendo la sua merce con una speciale e unica modulazione di voce”

 

E di notte le cose non migliorano: ai mezzi che riforniscono la Roma dell’Impero è infatti vietato circolare di giorno (con rare eccezioni) per non rendere ancora più caotica la situazione. Così al calare del buio, la città, quasi del tutto priva di illuminazione, si riempie di carri e carretti. Come spesso accade, Marziale ci accompagna alla conclusione di questa breve passeggiata facendoci ridere:

”A Roma la maggior parte dei malati muore di insonnia, perché quale casa in affitto consente di dormire?”

 

 

 

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli




La banca nell’antica Roma

Parlare di banca e di moneta oggi evoca un mondo finanziario complesso e spesso tortuoso, nel quale potresti facilmente perderti.

Eppure si tratta di concetti che ci appartengono e hanno accompagnato l’umanità da un certo punto dell’evoluzione sociale, senza abbandonarla più.

A Roma, sul Campidoglio esisteva, fin dal IV sec. a.C. il tempio di Giunone Moneta, l’Ammonitrice (dal verbo monére).

Circa un secolo dopo, nei pressi del tempio, venne edificata la prima Zecca (nella zona della basilica di Santa Maria in Aracoeli), proprio sotto la protezione di colei che ammonisce e desta l’attenzione di fronte ai pericoli.

Così il popolo iniziò a chiamare Moneta il tempio, la stessa Zecca e poi i pezzettini di metallo che vi si producevano.

Fin da allora il termine “moneta” cominciò a rivelare la sua vocazione ed è riuscito a mantenere vivo fino a noi quel profondo antico monito che si dovrebbe sempre affiancare al concetto di ricchezza, al fine di evitarne un uso distorto…

Va detto che la moneta antica era particolarmente vulnerabile, facile oggetto di abusi e frodi. Eppure essa rappresentò il mezzo di scambio internazionale più duttile ed efficiente.

Ogni barriera politica e geografica veniva superata dal potere d’acquisto delle monete anche fuori dai loro confini di emissione

In tale contesto si forma e si sviluppa la professione del cambiavalute, che si diffonde rapidamente dal mondo greco verso i centri più attivi commercialmente.

 

 

Una prima notizia della presenza di un cambiavalute (argentarius) nel Foro Romano risale alla seconda metà del IV sec. a.C.

Fin da allora si registra un’intensa attività commerciale e un cospicuo flusso di monete doveva passare di mano in mano. E’ un’epoca di crisi della vecchia società agricola e Roma si affaccia ai commerci mediterranei. Ecco che si ristruttura il Foro e molte taberne e botteghe si trasformano in uffici di cambiavalute, come testimonia Varrone.

Lo stesso Vitruvio, architetto e scrittore, illustra l’ideazione dei maeniana, ballatoi progettati da C. Maenius (318 a.C.),  sottolineando che i sottostanti portici erano utili per ospitare le attività gli argentarii.

Ed è facile immaginare il brulichio nel Foro, dove fervevano incontri d’affari, stipulazioni di contratti, rumorosi contenziosi…

Anche Tito Livio cita le tabernae argentariae in un Foro ormai divenuto autentico fulcro di affari economici internazionali. Intorno a tale potente fulcro si animava anche l’attività dei nummularii, esperti nel saggiare l’autenticità delle monete.

Gli argentarii giunsero a collocare le proprie mensae (tavoli, banchi) in tutti i luoghi dell’Impero: genti straniere garantivano un enorme afflusso e movimento di moneta e quindi lauti guadagni.

Una preziosa testimonianza della prosperità di questa categoria è l’Arco degli Argentarii, conservato in quanto incastrato tra le strutture esterne della chiesa di San Giorgio in Velabro, nei pressi della Bocca della Verità. Eretto in onore dell’Imperatore Settimio Severo, della consorte Giulia Domna e dei figli Caracalla e Geta, conserva una importante curiosità: il volto di Geta appare abraso, a testimonianza della damnatio memoriae cui lo sottopose, dopo averlo ucciso, il fratello Caracalla, la cui ambizione era essere imperatore unico e senza rivali.

 

 

Come sappiamo, la moneta antica aveva un valore intrinseco reale: argento, oro, bronzo avevano un’evidente differenza di valore commerciale che portò ad una loro specializzazione sociale. Alle grosse operazioni finanziarie si accedeva con oro e argento, mentre il bronzo, il rame e l’oricalco erano dedicati ai “vilia ac minuta commercia”.

 

L’archeologia ci fornisce un valido aiuto per capire i meccanismi di distribuzione, circolazione, attribuzione di valore delle varie monete, grazie al ritrovamento di vari “gruzzoli” di monete greche o dell’Italia antica restituiti dal sottosuolo. Si riscontra spesso, ad esempio, la presenza, in uno stesso gruzzolo, di esemplari provenienti da differenti centri. Era probabilmente una regola costante, per i più abbienti, maneggiare denaro “straniero”.

 

 

Monete in rame, bronzo o leghe sono nettamente distinte da monete di metallo nobile, spesso custodite o occultate come le argenterie e i gioielli.

Sappiamo che la moneta d’argento romana è il denario, il quale resterà per secoli alla base della monetazione successiva.

Testimonianza ultima del ruolo fondamentale rivestito da questo nominale è il nostro termine denaro, a dimostrazione del perpetuarsi della sua fama dal Medioevo ai giorni nostri.

Il denario traeva il suo nome dall’originario valore di 10 assi e mantenne tale nome, nonostante una rivalutazione, intervenuta in seguito, che lo equiparò al valore di 16 assi.

La sua emissione è da mettersi in relazione al forte impegno economico che Roma dovette sostenere per combattere contro i Cartaginesi.

Anche quando il denario non fu più emesso con regolarità, fu ancora usato come unità di conto.

L’ultima eredità del denario sopravvive nel nome arabo di una moneta, il dinar, coniato nel secondo decennio dell’VIII secolo, e spesso ancora utilizzato per indicare la propria moneta da diverse nazioni arabe.

L’aureo d’oro valeva 25 denari e non era frequentemente usato nelle transazioni comuni, a causa del suo alto valore: si pensa, ad esempio, che fosse usato per pagare gratifiche alle legioni alla salita al potere di un nuovo imperatore.

L’aureo era approssimativamente dello stesso formato del denario, ma più pesante a causa della più alta densità dell’oro.

Generalmente, si ritiene che il vero e proprio aureo sia stato emesso nel 49 a.C. da Giulio Cesare, raffigurante la testa di Venere o della pietà al diritto.

Prima di Giulio Cesare l’aureo, quindi, è stato battuto molto raramente, solitamente per grandi versamenti provenienti dai bottini catturati.

Costantino I introdusse il solido (solidus) nel 309: ecco l’origine del nostro termine soldi.

Il solido si diffuse soprattutto nell’Impero d’Oriente.

In quel periodo nell’Impero d’Occidente si assiste a una lenta decadenza e, incredibile a dirsi, dai fasti delle monete, del denaro, dei soldi si fece spazio l’antico metodo del baratto…

 

 

Dott.ssa Maria Cristina Zitelli




Il Colosseo e la ruota del pavone

Pennellate su Roma e dintorni

 

Gira gira e fai la ròta…

Un’antica, tradizionale serenata dedicata a Roma ce la fa immaginare come un meraviglioso pavone, inconsapevole della sua stupefacente bellezza mentre fa la ruota, desideroso di andare in amore con la pavoncella che lo sceglierà…

E dunque, persi tra le sfumature dei colori, noi Itineranti corriamo col pensiero a un fulcro, a un punto fermo, a un degno aggancio da cui intraprendere l’impossibile narrazione di tanta bellezza, di tanta storia.

 

Moneta Gordiano III con riproduzione dell’Anfiteatro Flavio

 

Certo, ogni aspetto, anche minuscolo, che abbia a che fare con il multiverso romano può tranquillamente rappresentare l’inizio di un viaggio: uno dei ganci più efficaci è senza dubbio il Colosseo. Sì, l’Anfiteatro Flavio, detto anticamente Amphitheatrum Caesareum o solo Amphitheatrum.  Solo dal X – XI secolo, in pieno Medio Evo, fu denominato Coliseum e la zona veniva chiamata “Rota” (pensa un po’, come la ruota del nostro pavone…) o Regio Colisei.

Il “colosso” da cui deriva questo nome era un’enorme statua di bronzo dedicata a Nerone (37 – 68 d.C.), quando il nostro anfiteatro ancora non esisteva.

Esattamente al suo posto, si trovava un grande lago artificiale che riempiva un’enorme conca: passeggiando accanto al Colosseo, avremmo camminato sott’acqua!

Questo lago costituiva una delle “delizie” della Domus Aurea, la straordinaria dimora voluta da Nerone sul colle Oppio, congiunta al Palazzo imperiale sul colle Palatino proprio per mezzo del lago. Il Colosso di Nerone troneggiava accanto al lago con i suoi 35 metri d’altezza…

Alla morte dell’imperatore, ritenuto ormai solo un folle tiranno, si decretò la sua damnatio memoriae, ovvero la cancellazione di ogni cosa che ne ricordasse l’esistenza.

La zona cambiò rapidamente faccia grazie agli imperatori Flavi, Vespasiano e i suoi figli Tito e Domiziano.

Fu Vespasiano, dal 70 d.C., a intraprendere un’opera davvero faraonica, facendo prosciugare il lago e costruire il primo anfiteatro stabile di Roma, come un dono per i romani che, usciti da un’epoca buia, avrebbero potuto ormai divertirsi con gli “spectacula” loro preferiti, come i ludi, i giochi gladiatorii e le venationes, le scene di caccia e combattimento con veri animali, spesso esotici.

E il colosso di Nerone? Venne intitolato al dio Sole e l’imperatore Adriano nel 135 volle che venisse trasportato nella valle, accanto all’anfiteatro, il quale risultava solo un po’ più alto della statua. Nei secoli successivi si cominciò ad attribuire al monumento il nome Colosseo, storpiato in Colyseus.

 

 

Il luogo più famoso dell’antica Roma meriterà molte volte l’attenzione di noi Itineranti: mille sono gli argomenti di cui parlare intorno a questo, che è uno dei siti più illustrati e raccontati del mondo.

Eppure, incredibilmente, va detto che è anche uno dei monumenti meno esplorati dalle ricerche archeologiche e scientifiche. Questo dipende da molti motivi, che lo rendono “fragile” per il decadimento dei materiali costruttivi, sottoposti nel tempo a innumerevoli incendi, terremoti, violazioni, spoliazioni. Un limite è inoltre rappresentato dalle delicate condizioni idro-geologiche della valle in cui esso sorge.

Il Colosseo rappresenta una vera metafora dell’antico e della vicenda umana, attraverso l’identificazione con la fortuna di Roma e del mondo intero.

Un’antica e famosa profezia, riportata a noi da Beda il Venerabile, monaco, storico e santo anglosassone vissuto tra il 672 e il 735, recita così:

Quamdiu stabit Colyseus

Stabit et Roma

Quando cadet Colyseus

Cadet et Roma

Quando cadet Roma

Cadet et mundus

 

(Finché resterà in piedi il Colosseo, resterà in piedi anche Roma; quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma e quando cadrà Roma cadrà il mondo.)

 

E si dice che lo stesso Dante Alighieri, di cui ricorre nel 2021 il settecentenario della morte, si ispirò al Colosseo per l’elaborazione e la rappresentazione dei gironi infernali.

La ruota del pavone si chiude ora, come un sipario, sullo spettacolo dell’anfiteatro, sul quale torneremo di sicuro, più e più volte, con le nostre pennellate.

 

Dott. Maria Cristina Zitelli




Taglio del nastro parco a tema Roma World

Nuovo parco a tema di CineCittà World

È stato inaugurato sabato 11 luglio il nuovo parco a tema di CineCittàWorld, “RomaWorld” alla presenza di un folto numero di giornalisti che hanno approfittato dell’invito allargato anche ai propri figli per far vivere in anteprima un luogo che sarà di sicuro la gioia di tutti i bimbi.

RomaWorld è un parco a tema che «non ha né giostre e né attrazione ma che si basa sulla vita reale di 2000 anni fa offrendo ai visitatori la possibilità di immergersi in un reale villaggio dell’antica Roma» queste le parole cariche di orgoglio di Stefano Cigarini, amministratore delegato di Cinecittà World SpA.

La nuova struttura si trova proprio accanto al parco dei divertimenti del Cinema e della TV nell’area di Castel Romano sulla SS 148 tra Pomezia e Roma.

«In tre anni dall’inaugurazione abbiamo quadruplicato il numero dei visitatori e “RomaWorld” è il primo progetto turistico in Italia post Covid-19 a dimostrazione della voglia di ripartire del tessuto imprenditoriale italiano» ha così sottolineato il dott. Cigarini prima di dare il via all’apertura ufficiale di “Roma World” con il taglio del nastro.

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Oltrepassata la porta, protetta da una guarnigione di soldati romani, l’avventura nel parco ha inizio; il percorso a piedi è piacevole ed è oltremodo rilevante rendersi conto come sia stata data grande attenzione alla salvaguardia dell’ambiente: il sentiero in terra battuta si apre all’interno di un bosco di sugheri, accompagnati dal frinire delle cicale, in un’area di quasi 5 ettari fino ad arrivare al centro di un vero e proprio villaggio con accampamento di legionari.

Tutte le costruzioni sono realizzate in legno e non vi è traccia alcuna di cemento, plastica o qualsiasi altro materiale lontano anni luce dal glorioso impero romano. Ottimo.

L’area è davvero ben strutturata: senatori, schiavi, gladiatori, mercanti, matrone, legionari e contadini vivono e camminano tra i visitatori offrendo davvero un’atmosfera magica.

La taberna, l’anfiteatro, l’area con i falchi addestrati, le bighe di Ben Hur trainate da coppie di cavalli, lo spazio con gli animali da cortile, la vendita degli schiavi al migliore offerente, l’area con il percorso di guerra, il mercato con la vendita di artigianato che riproduce il più fedelmente possibile oggetti di uso all’epoca romana, dal vasellame agli indumenti, dalle armi ai giochi per bambini.

L’atmosfera è davvero congeniale e sono certe farà la gioia di tantissimi bambini perché chi non ha mai sognato di poter, anche se solo per poche ore, vivere l’atmosfera del grande impero romano?

Unica nota stonata in un contesto così ben studiato, la pulizia dell’ampia area del parcheggio che meritava almeno un taglio dell’erba.

Va bene voler affrontare l’avventura di un villaggio dell’antica Roma ma almeno, quando si esce dalla macchina, sarebbe stata cosa gradita non dover evitare di inciampare in erbacce alte e invadenti. Ma sono certa che sia stato solo mancanza di tempo.