IL PIÙ GRANDE UOMO SCIMMIA DEL PLEISTOCENE di Roy Lewis

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

di Roy Lewis

Ed.  Gli Adelphi

 

 

Non conoscevo Roy Lewis e non mi era, fino a pochi giorni fa, capitato tra le mani questo titolo pubblicato nel 1960. Una copertina che incuriosisce ma che mai aveva fatto capolino nelle mie innumerevoli incursioni in libreria.

Negli ultimi tempi invece, passeggiando nei social, ecco che di tanto in tanto mi occhieggiava la sua copertina arancione, ho letto qualche comento e l’ho acquistato. Avevo in effetti bisogno di una lettura diversa, e la comicità di cui parlavano i vari lettori mi attraeva.

Quello che questa settimana vi presento e vi invito a leggere è un piccolo divertente romanzo che ci parla di un’orda di uomini e donne del Pleistocene che, grazie alla lungimiranza del loro capofamiglia, si avvia a grandi passi verso l’evoluzione.

 

“La natura non sta necessariamente dalla parte del più forte.

La natura sta dalla parte della specie che sa far valere un vantaggio tecnologico sull’altra”.

Roy Lewis non ci nega anacronismi di ogni genere, primo fra tutti i nomi dei protagonisti, l’utilizzo di un linguaggio moderno e sfacciato e non per ultimo, vezzosità e civetterie in bocca alle donne scimmia che molto probabilmente le loro vere antenate neanche sapevano pronunciare.

Ma tutto ciò non disturba, anzi fa sorridere.

L’idea alla base di questo libro è originale, la narrazione fluida e lo humor british sottile e a tratti esilarante.

Ciò non toglie vari spunti di riflessione per il lettore: la lotta al progresso, l’attaccamento alle abitudini, la paura del nuovo, l’ambizione ad un continuo migliorarsi.

Il protagonista trascinatore della storia e del “branco” è un erudito, onniscente ominide del Pleistocene, visionario e creativo come Leonardo Da Vinci (cit.). Dietro di lui, ma anche al suo fianco, una progenie di figli, mogli, fratelli, cognate e così via che grazie al suo intuito e alla sua caparbietà, si scontreranno con le scoperte più importanti dell’umanità.

 

 

“Miei cari, fate che il vostro motto sia di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo avete trovato, e di dare ai vostri figli condizioni di partenza un po’ migliori di quelle che avete avuto voi.

Non contate sugli altri.

Vivete come se l’intero futuro dell’umanità dipendesse dal vostro impegno; in fondo potrebbe anche darsi!”

 

 

 

SINOSSI

 

Edward è il capofamiglia di un gruppo di ominidi che hanno da poco abbandonato l’andatura a quattro zampe e adottato la camminata eretta su due. Poi abbiamo suo fratello Vania, che ancora vive sugli alberi e osteggia con tutte le sua forze i tentativi di evoluzione e adattamento della sua stirpe, anche se poi non disdegna qualche “assaggio”. Di seguito mogli, figli, nipoti e via dicendo che lo seguono fiduciosi nelle sua ricerca di miglioramento.

 




Due di Irène Némirovsky

Uno sguardo sulla forza dell’amore coniugale nella Francia del 1920

 

Iréne Némirovsky è stata una scrittrice francese di origine ebraica nata a Kiev nel 1903 e morta nel 1942 ad Auschwitz.
Sebbene abbia pubblicato diversi testi e novelle nel periodo prima del suo arresto, la sua fama è arrivata postuma nel 2004 quando una delle sue due figlie inviò a un editore il manoscritto contenuto in una vecchia valigia che, per quasi 60 anni, era rimasta chiusa. Quel manoscritto conteneva Suite francese, tradotto in ben 38 lingue e letto da milioni di persone.

Due, il romanzo di cui trattiamo ora, fu pubblicato la prima volta nel 1939 e ripubblicato da Adelphi nel 2010 e, attraverso la storia dei due protagonisti, Antoine e Marianne, la Némirorsky riesce a trattare temi delicati quali il matrimonio, l’adulterio, l’aborto e la maternità.

Su un piano temporale che si dipana tra il 1920 e i primi anni del 1930 Due  ci riporta ad un periodo dove per una donna era fondamentale sposarsi per sistemarsi e dove il matrimonio rappresentava per l’uomo dare seguito alla discendenza e conquistare un posto rispettabile nella società.

Il matrimonio, con tutte le sue responsabilità, visto come punto finale e inevitabile della giovinezza che verra sempre ricordata nel romanzo, come qualcosa di ormai andato e irraggiungibile.

Da considerare poi che ci troviamo in Francia, pochi anni dopo la terribile Prima Guerra Mondiale e tutti i protagonisti, in fondo, si considerano a tutti gli effetti dei sopravvissuti, dei graziati dal destino per essere ancora vivi.

Ma cosa accade, davvero, all’interno della coppia quando ci si sposa?
Ecco che aspettative, desideri, trepidazioni si alternano con una scrittura delicata ma senza perdere mai la capacità di scavare nell’animo umano.

«Lui pensava che per tutti e due il tempo della passione non era ancora finito, che non avevano l’età in cui si mette il cuore in pace, che entrambi avrebbero cercato, inseguito per anni quello stato quasi di pazzia dell’amore, mentre, l’uno per l’altro, non provavano più né tormenti e né estati. Quello sì, era finito»

Un legame coniugale vissuto come inevitabile, per il quale non serve lottare visto che è indissolubile e che nulla potrà mai davvero arricchire ora che il tempo è passato. Un matrimonio che lega senza alcuna possibilità di ripensamento i due coniugi fino ad arrivare a pensarsi come un’unica cosa. Magari con freddezza, con cinismo, con cattiveria addirittura ma sempre e per sempre come uniti.

Eppure, per quanto nel corso della trama si succedano adulteri, allontanamenti, aborti e tradimenti, alla fine le pagine più belle e intese diventano quelle in cui i due coniugi si ritrovano vicini nonostante tutto, quelle in cui cresce la consapevolezza della presenza dell’uno per l’altro, quelle in cui il mondo fuori dal talamo risulta perfido e cattivo e il loro incontrarsi, anche solo per addormentarsi vicini, unico rifugio solido e certo della vita.

«La donna che ho amato di più non è questa, ma, in punto di morte, rimpiangerò ciò che mi unisce a lei più di quanto non abbia rimpianto la passione.»

Un romanzo che merita davvero di essere letto. Probabile che tra le sue righe ci sia davvero il segreto più recondito del matrimonio, quello per cui, nonostante tutto, le nostre nonne e le nostre bisnonne sono arrivate a trascorrere insieme tutta la loro vita con un dolce sorriso sul viso.

 

SINOSSI

«Chi meglio della signora Némirovsky, e con un’arma più affilata, ha saputo scrutare l’anima passionale della gioventù del 1920, quel suo frenetico impulso a vivere, quel desiderio ardente e sensuale di bruciarsi nel piacere?» scrisse, all’uscita di questo libro, il critico Pierre Loewel. Le giovani coppie che vediamo amoreggiare in una notte primaverile (la Grande Guerra è finita da pochi mesi, e loro sono i fortunati, quelli che alla carneficina delle trincee sono riusciti a sopravvivere) hanno, apparentemente, un solo desiderio: godere, in una immediatezza senza domani, ignorando «il lato sordido della vita», soffocando quella «parte d’ombra» che ciascuno si porta dentro. Eppure, quasi sulla soglia del romanzo, uno dei protagonisti si pone una domanda che ne costituirà il filo conduttore: «Come avveniva, nell’unione coniugale, il passaggio dall’amore all’amicizia? Quando si cessava di tormentarsi l’un l’altro per volersi finalmente bene?». Con mano ferma, e con uno sguardo ironicamente compassionevole, Irène Némirovsky accompagna i suoi personaggi, attraverso le intermittenze e le devastazioni della passione, fino alla quieta sicurezza dell’amore coniugale. A volte, certo, alcuni di loro rimpiangeranno «l’ebbrezza triste e folle dell’amore», e a quasi tutti accadrà di inoltrarsi, almeno per un po’, nelle vie perigliose dell’adulterio; ma il tempo riserverà loro una sorprendente rivelazione: che quell’«essere due» che del matrimonio costituisce l’essenza e «il flusso discontinuo, lento e possente dell’amore coniugale» conferiscono alla coppia una sorta di invincibilità.




IL VELO DIPINTO

IL VELO DIPINTO

di W. Somerset Maugham

Ed. Adelphi

 

Kitty diede un grido sgomento.

“Cosa c’è?” chiese lui.

La stanza era al buio ma potè vederle la faccia stravolta dal terrore.

“Qualcuno ha tentato di aprire la porta”.

“Sarà stata la amah, o uno dei boy”.

“Non vengono mai a quest’ora. Sanno che dormo dopo pranzo”.

“Chi altro poteva essere?”.

“Walter” bisbigliò lei con le labbra tremanti.

 

Un incipit questo de Il velo dipinto, che ci fa immergere immediatamente in una di quelle situazione più raccontate nei romanzi: l’adulterio. Sono rimasta colpita dalla scrittura fluida e raffinata di questo autore che non conoscevo; e l’ambientazione esotica della storia, mi ha affascinato molto.

La protagonista, Kitty, apparentemente frivola e sciocca, si rivela pian piano una persona sensibile e capace di un totale riscatto agli occhi del lettore. Facile giudicarla, in prima istanza, priva di morale ed egoista, ma così non è. La situazione delle figlie femmine nell’epoca descritta, era tutt’altro che invidiabile, soprattutto se si proveniva da una famiglia non molto abbiente o blasonata.

La maggior parte di queste ragazze non si sposava per amore, ma per non pesare più sulle finanze paterne.

Kitty ha una notevole crescita interiore causata dal disincanto provato per la vigliaccheria dimostrata dal suo amante; ma lei è una donna sola e da sola troverà il coraggio di rinascere dai propri errori.

Intorni a lei personaggi diversi, uomini e donne da cui prendere e apprendere; verso cui dirigersi e dai quali fuggire.

Lo scopo di tutti noi è di raggiungere la felicità su questa terra, e lo stesso vale per Kitty per cui, leggendo queste pagine, i nostri sentimenti verso di lei cambiano capitolo dopo capitolo; alla fine però, ci ritroviamo soddisfatti e appagati da uno stile unico e da un finale inaspettato.

Il velo dipinto non è solo il classico racconto sull’amore non corrisposto, ma è soprattutto una riflessione profonda sul senso della vita.

 

 

Il Tao.

Alcuni di noi cercano la Via nell’oppio e altri in Dio, alcuni nel whisky e altri nell’amore.

È sempre la stessa Via e non porta da nessuna parte.

 

 

SINOSSI

 

Kitty si trova a dover sposare il gelido dottor Fane per un unico motivo: la paura di rimanere zitella e di deludere la madre. Poco dopo l’arrivo della coppia a Honk Kong, Kitty si ritrova sedotta in modo irreparabile dall’ ammaliatore più popolare della città, che non esita a lasciarla non appena i due vengono scoperti dal marito di lei. Pur di salvare il matrimonio e di non ritrovarsi da sola, la donna accetta di seguire il marito nell’inferno di Mei-tan-fu, cittadina devastata dal colera.




LA CAMERA AZZURRA

LA CAMERA AZZURRA

di Georges Simenon

Ed. Adelphi

 

Ho sempre associato Georges Simenon all’ispettore Maigret e ai gialli; poichè il genere non è tra i miei preferiti ho relegato questo illustre scrittore ai ricordi di scuola. Da un po’ di tempo però il titolo di questo breve romanzo ha iniziato a rincorrermi: proposte di gruppi di lettura e recensioni sui social. Poi ho letto quelle poche righe di Mario Fortunato sull’ultima copertina e mi sono decisa.

 

“Ti ho fatto male?”

“No”.

“Ce l’hai con me?”

“No”.

Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire. E non solo tutto era vero, ma era anche reale: lui, la camera, Andrée ancora distesa sul letto sfatto…”

 

 

L’incipit è secondo me fenomenale, lo si legge e arriva una irrefrenabile voglia di andare avanti, senza fermarsi, fino all’ultima pagina. Ci si aspetta un romanzo d’amore, erotico, dove Simenon abbia dimenticato se non rinnegato il suo alter ego Maigret. Troviamo invece una storia crudele che si snoda in un’atmosfera provinciale, dove questo aggettivo viene inteso nel senso dispregiativo del termine. Grazie ad una scrittura fluida quasi non ci accorgiamo delle meschinità e delle bassezze dei personaggi che ruotano intorno ai due protagonisti.

L’immagine della passione che visualizziamo nella camera azzurra, sfoca quasi subito. Il grigiore della quotidianità e della sala interrogatorio diventa preponderante.

Il protagonista che inizialmente si presenta come un uomo forte e virile, si rimpicciolisce poco a poco; Simenon è magistrale quando ci fa credere che lei, Andrée, l’amante, sia quasi sparita e invece è presente sempre, anche se non la vediamo.

L’evoluzione verso la tragedia è inesorabile e ci prende con un nodo allo stomaco; increduli voliamo in poco tempo verso il finale. Non si ha la forza di appoggiare il libro per poi riprenderlo più tardi.

 

 

Questa volta lui fu incapace di girare la testa dall’altra parte, tanto il suo volto l’affascinava. Mai, neppure nei momenti in cui i loro corpi erano stati più uniti, l’aveva trovata così bella, così raggiante.

Mai aveva visto sulla sua bocca carnosa un sorriso che esprimesse così intensamente il trionfo dell’amore.

Mai, con un solo sguardo, si era impossessata di lui in modo così totale.

“Lo vedi, Tony,” gli gridò “non ci hanno separati!”

 

 SINOSSI

 

Tony e Andrée sono una coppia di amanti, all’apparenza come tante. Si incontrano di giovedì in una camera d’albergo: una camera azzurra. Sembra che nessuno sappia, ma non è così; sembra una storia d’amore e di passione che sfocerà nella felicità, ma non è così. Il protagonista è sotto interrogatorio, dalle sue risposte e dai suoi ricordi si dipana quello che in realtà è un thriller dal finale imprevedibile. Intorno ai due amanti sfrenati abbiamo personaggi incolori: Nicolas, il marito malato di Andrée, Gisèle la brava moglie di Tony, Marianne la figlioletta, Vincent il fratello complice di Tony e un nugolo di avvocati e inquirenti le cui domande ci porteranno piano piano, a capire.

 




IL DIO DEL MASSACRO

di Yasmina Reza

Adelphi

 

Yasmina Reza nasce a Parigi da padre iraniano e madre bulgara. Autrice di numerose pièce teatrali, drammaturga, scrittrice, sceneggiatrice e anche attrice, con Le dieu du carnage ci regala un feroce spaccato della società perbenista francese.

 

Annette – Lei è un’appassionata di pittura vedo.

Véronique – Di pittura. Di fotografia. È un pò il mio mestiere.

Annette – Anch’io adoro Bacon.

Vèronique – Ah sì, Bacon.

Annette – …Crudeltà e splendore.

Vèronique – Caos. Equilibrio.

Annette – Sì…

Vèronique – Ferdinand s’interessa all’arte?

Annette – Non quanto dovrebbe…I suoi figli sì?

Vèronique – Tentiamo. Tentiamo di compensare le carenze dell’insegnamento scolastico in queste materie.

Annette – Già…

Vèronique – Tentiamo di farli leggere. Di portarli ai concerti, alle mostre. Forse sbagliamo, ma crediamo al potere rappacificante della cultura!

Annette – Ha ragione…

 

Quello che a prima vista sembra un “libercolo” fucsia di sole 91 pagine, già alle prime battute si rivela ben altro.

Una tragicommedia dove due coppie di genitori si incontrano per parlare civilmente di un increscioso avvenimento: il figlio di Annette e Alain al parco, ha dato una bastonata sul viso al figlio di Vèronique e Michel.

Novantuno pagine di dialogo a 4, non c’è trama, solo dialoghi, eppure la storia si dipana sotto i nostro occhi increduli, in modo molto realistico e altrettanto raccapricciante.

Dalle prime esilaranti battute, ben presto arriviamo a scoprire ciò che veramente si cela dietro quelle quattro maschere di civiltà e moralismo, e la barbarie umana si svela in tutta la sua ferocia.

lo stile è proprio quello di una sceneggiatura: dialoghi e ogni tanto la descrizione in corsivo e tra parentesi di movimenti e situazioni.

Nel 2014 Roman Polanski ne ha diretto la versione cinematografica con artisti di livello: Jodie Foster, John C. Reilly, Cristoph Waltz e Kate Winslet.

Se leggerete e avete figli, vi rivedrete in molti degli aspetti delle due coppie protagoniste della storia, mi auguro non proprio in tutti!

 

SINOSSI

Ferdinand Reilly, un bambino di 11 anni, colpisce al volto Bruno Houillè in seguito ad una lite. Bruno non vuole che Ferdinand faccia parte della gang perché è un traditore.I signori Houillè invitano i coniugi Reille a casa propria per discutere dell’accaduto. Le buone intenzioni finiscono presto nel dimenticatoio e l’iniziale clima di civiltà si trasforma in scoppi d’ira e crisi di nervi.

 

 

 




Follia di Patrick Mc Grath

Follia è un romanzo psicologico ambientato in un’Inghilterra degli anni ’50.

Follia è la storia di un amore impossibile, di una passione irrefrenabile, di un coinvolgimento fisico e mentale che ottenebra mente e ragione.

La storia viene narrata in prima persona, e con apparente distacco, da Peter, psichiatra di un manicomio criminale. Utilizzando linguaggio accattivante, l’autore/narratore ci tiene sul filo, con il fiato sospeso fino alla fine.

Max, direttore del manicomio in questione, ha una bella e giovane moglie, Stella; la donna è l’immagine esteriore della delicatezza e perfezione, mai una parola fuori posto, mai abiti e acconciatura in disordine. Ma Stella dentro di sé ha un animo e una passionalità che reprime finchè incontra Edgar, un paziente in semilibertà che ogni giorno cura il suo giardino.

Da un quadretto quasi idilliaco si passa presto a tinte marcate, la passione è indomabile, inarrestabile, ossessiva. Tutto ruota intorno ai due amanti, gli altri personaggi assumono tinte sbiadite, durante la lettura quasi viene voglia di soprassedere sulle parti che non riguardano Stella ed Edgar.

Piano piano tutto va in pezzi in nome di un amore impossibile. Proprio in nome di questo amore  quasi iniziamo a credere in una specie di redenzione, di salvezza. La realtà è però un’altra, e il sogno che pensiamo avere tra le mani si sbriciola inesorabilmente, pezzo dopo pezzo fino all’atto finale. Lentamente emerge una Follia devastante di cui alle prime pagine non ci si rende minimamente conto.

Patrick Mc Grath ha una scrittura fluida nella quale si percepiscono chiaramente note di vissuto. Riusciamo a leggerlo abbastanza velocemente,  ma quel che rimane alla fine è un senso di rabbia, talmente ci siamo immedesimati in questo vortice.

Un libro che ti arriva direttamente al cuore, l’ho letto più volte e ognuna di queste mi ha portato nuove scoperte, nuove struggenti emozioni. La spietata morale è che ognuno di noi può ammalarsi, qualunque mente da sana può arrivare fino al baratro della follia.

 

La vita era uno squallido baratto, soldi contro tempo. Coi soldi potevano comprarsi un po’ di tempo, va bene, ma col tempo che cosa si sarebbero comprati? La possibilità di vedere il loro amore trasformarsi in cenere?