Inception, un film degno di nota

Diretto da uno dei migliori registi di oggi, Christopher Nolan, Inception rimane uno dei film migliori degli ultimi decenni. Sappiamo che il regista è solito realizzare film particolarmente complessi dal punto di vista della trama e della tecnica, basti pensare ad Interstellar, Tenet o The Prestige, ognuno diverso dall’altro, ma soprattutto ognuno più bello dell’altro.

Uno dei film più amati dal regista rimane comunque Inception, che esce nel 2010 e attraverso cui esplora la malleabilità del tempo e il mondo dei sogni.

Il protagonista è Dominic Cobb, esperto nella tecnica dell’estrazione, che consiste nell’insinuarsi nella mente di chi dorme per prelevarne segreti nascosti. Il magnate giapponese Saito, allora, lo ingaggia per inserire nella mente del figlio del suo rivale in affari l’idea di disgregare il suo impero economico, missione in cui Cobb sarà accompagnato da una squadra di altre quattro persone.

Sicuramente uno dei punti a favore di Inception è proprio il suo cast internazionale, capitanato da Leonardo DiCaprio, accompagnato da Joseph Gordon-Levitt, Tom Hardy, Marion Cotillard, Cillian Murphy e molti altri, tutti attori brillanti che insieme rendono il film ancora più speciale e imperdibile.

 

Un altro elemento fondamentale della pellicola, che sicuramente non passa inosservato, è la colonna sonora, Time, creata appositamente dal talentuoso Hans Zimmer, famoso compositore e autore di colonne sonore cinematografiche, quali ad esempio quella di Interstellar, Il gladiatore e Dune. La canzone a dir poco mozzafiato non solo fa venire la pelle d’oca allo spettatore, ma rende anche la scena finale ancor più ricca di suspense, scena finale che è una tra le più controverse degli ultimi anni e che è stata a lungo dibattuta, ma che purtroppo non sta a me svelarvi.

Sceneggiatura e scenografia non sono di meno, in quanto per la prima ci vollero dieci anni di studi, dopo i quali fu subito comprata dalla Warner Bros e per la seconda furono costruite numerose strutture estremamente costose e tecnologiche.

Il film guadagnò infine 836 milioni di dollari in tutto il mondo e vinse quattro premi Oscar: fotografia, effetti speciali, sonoro e montaggio sonoro, motivo per cui, a parere di chi scrive, è un film in cui immergersi completamente, con la mente e con il cuore.

Virginia Porcelli




Prendersi cura degli anziani. Intervista con l’autrice Stefania Velitti

In occasione dell’uscita del suo nuovo libro abbiamo incontrato Stefania Velitti, medico geriatra di Pomezia, per dialogare un po’ sulla sua esperienza formativa e sui motivi che l’hanno portata a scrivere questo “manuale” per aiutare le persone a prendersi cura dei propri anziani.

 

Come è nata la scelta di occuparsi delle persone anziane?

L’amore per i pazienti anziani è nato durante le ore di volontariato svolte presso la clinica della nostra città, quando ero ancora ai primi anni di università. La dedizione verso le persone fragili, che non hanno solamente bisogno del medico per curare le loro patologie, ma di qualcuno che curi il loro spirito, mi ha spinto a sceglierli.
Mi sono laureata con lode in Medicina e Chirurgia nel 2005 presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza e ho conseguito la specializzazione in Geriatria nel 2009 presso la stessa università.

 

Si occupa anche di alimentazione?

 

Durante la prima gravidanza ho iniziato ad approfondire temi che mi avevano sempre appassionata (come la medicina naturale) consapevole dell’importanza della persona, prima della malattia. Così ho frequentato nel 2015 il Master in Alimentazione e Dietetica Vegetariana presso l’Università Politecnica delle Marche e in seguito ho pubblicato un opuscolo sull’alimentazione 100% vegetale nelle donne in menopausa.

 

Perché ha sentito il bisogno di scrivere un libro?

 

L’obiettivo del mio libro è quello di aiutare i parenti dei pazienti anziani a vivere meglio con il proprio caro e a gestire più serenamente le sue fragilità, ma soprattutto di guidare il lettore a comprendere la psicologia del paziente anziano e fragile. Sapere come spostarlo nel letto è essenziale, ma capire come aiutarlo a sentirsi meglio, non solo dal punto di vista fisico, è ancora più importante.
Mi auguro di fornire al lettore la chiave per vivere in sintonia con il proprio caro, con le sue disabilità e le sue fragilità. Ma anche con sé stesso, con le proprie paure e con i propri sensi di colpa.

Sono convinta che i pazienti anziani potrebbero vivere meglio se i familiari che se ne occupano fossero più informati e preparati, non solo da un punto di vista medico, ma soprattutto psicologico. Avere la possibilità nella vita di potersi occupare di qualcuno è un dono, sia pure faticoso, da accogliere e che può diventare, nonostante le difficoltà, un momento di crescita personale.

Attingendo dalla mia esperienza umana e professionale, ho descritto gli effetti delle diverse patologie che affliggono gli anziani fragili e che i caregiver devono gestire ogni giorno: dalle vertigini (con il conseguente rischio di cadute) alla sindrome d’allettamento, dalla depressione alla demenza e all’incontinenza urinaria, senza tralasciare anche la questione della polifarmacologia e la necessità di un’alimentazione corretta e dell’attività fisica.

 

 

Dove è possibile trovarla?

 

Mi occupo dei pazienti con visite ambulatoriali e domiciliari e quando questo non è possibile organizzo consulti online. Inoltre, sul mio sito vivisecondonatura.it e sulle mie pagine Facebook e Instagram pubblico preziosi consigli per gestire al meglio e più consapevolmente i pazienti anziani.

 

 

 

 




Anna Karenina, uno sguardo attuale sull’amore e sulla società

Per variare un po’, oggi parliamo di un tipo di opera un po’ diversa: un’opera letteraria.
Infatti, i grandi libri passati alla storia come “capolavori” sono vere e proprie opere artistiche anche se intellettuali.

Oggi vorrei parlare di Anna Karenina, di Lev Tolstoj, un libro che, personalmente, porto nel cuore.

Tolstoj scrisse Anna Karenina nel 1877, ma questa data non deve farvi pensare che sia un libro “datato”, anzi, è un libro che non sa invecchiare, perennemente attuale.
Questo perché, oltre a raccontare una storia in un determinato tempo e luogo (la Russia di fine ‘800) vengono narrati i sentimenti, le emozioni, i pensieri e gli struggimenti dell’essere umano.

Il libro, nonostante sia intitolato “Anna Karenina”, non racconta solo la sua storia, bensì tratta due storie parallele: quella, appunto, di Anna; e quella di Levin.
Ma andiamo per ordine.

Anna Karenina è la moglie di Karenin, un uomo serio e spesso anaffettivo. La coppia ha un figlio, Serëž, a cui Anna è affezionatissima.
Conosciamo la figura di Anna inizialmente un po’ per traverso, e dai pensieri delle altre figure che le gravitano attorno capiamo quanto sia riconosciuta dalla società aristocratica alla quale lei stessa appartiene come madre e moglie virtuosa.

Tutto però cambia quando Anna va a visitare il fratello, in crisi con la moglie, con lo scopo di risanare i rapporti tra i due. Lì, a Mosca, Anna incontra il conte Vronskij.

Passiamo però un attimo alla storia di Levin.
Infatti, le due storie vanno di pari passo. Sappiamo, sin dall’inizio, che Levin è da sempre follemente innamorato di Kitty. Ma lei sta per fidanzarsi con (indovinate?) Vronskij. Kitty rifiuta perciò Levin, che se ne torna affranto e deluso nella campagna russa, dove vive in tranquillità.

Tuttavia, nonostante il fidanzamento tra Kitty e Vronskij sembri procedere bene, avviene questo fatidico incontro: Vronskij si innamora istantaneamente di Anna, ma lei, inizialmente, lo rifiuta e lo allontana.

Ma piano piano, ballo dopo ballo, incontro dopo incontro, Anna cede. I due sono innamoratissimi e non hanno più intenzione di separarsi.

Così, anche Levin si fa coraggio e torna da Kitty: i due si sposano e la ragazza si trasferisce in campagna abbandonando la sua vita aristocratica.

Le due narrazioni, a questo punto, diventano opposte.
Da una parte vediamo come l’amore tra Kitty e Levin, inizialmente immaturo e timido, diventi piano piano sempre più saldo e consolidato.
E’ un amore puro, fedele, sincero e solido.

Dall’altra parte, invece, vediamo Anna sprofondare della disperazione più assoluta. Il marito Karenin non ha intenzione di divorziare e lei continua a vivere una vita a metà, tra l’amore passionale di Vronskij e il dovere verso la sua casa e suo figlio.

Anna resta incinta, ma il parto è molto difficile, sta per morire.

Succede però qualcosa di stupendo: Anna, sdraiata sul letto in punto di morte, chiama a sé sia il marito Karenin che l’amante Vronskij. I due si incontrano e a questo punto, Karenin perdona tutto.

Anna sopravvive, fa nascere la figlia sua e di Vronskij e i due finalmente vanno a vivere insieme. La nobiltà russa, tuttavia, non ha mai visto di buon occhio la relazione tra i due ed esclude Anna da qualsiasi evento.

Anna è sola, disprezzata da tutti. In più, inizia a nascere in lei un sentimento di gelosia che cresce sempre e sempre di più.
Vronskij, a differenza sua, continua a vivere la sua vita e intraprende rapporti con l’aristocrazia, dovendo però lasciare sempre Anna sola a casa.

Ed è qui che finisce l’opera: Anna, impazzendo di amore e di dolore per la lontananza di Vronskij, decide di fargliela pagare: si lancia sotto un treno.

Quello che non sa, Anna, è che Vronskij non ha mai smesso di amarla, che la sua gelosia era del tutto ingiustificata. Ma la solitudine e il disprezzo l’hanno portata a compiere questo ultimo gesto con cui si conclude uno dei capolavori della letteratura russa.

In copertina, la splendida Keira Knightley nel ruolo di Anna Karenina nell’omonimo film.




Murder Mystery 2, un ritorno col botto

Adam Sandler e Jennifer Aniston tornano finalmente con il sequel di Murder Mystery, tipica commedia americana esilarante e senza impegno.

Nick e Audrey Spitz, ormai investigatori privati a tempo pieno, accettano l’invito di un amico a partecipare al suo matrimonio su un’isola privata, tuttavia, a seguito del rapimento di quest’ultimo, si ritrovano al centro di una nuova indagine. Seguiamo quindi i due coniugi fino a Parigi, dove daranno del filo da torcere ai temibili criminali grazie alla loro astuzia e gioco di squadra.

 

Il film ci lascia fino all’ultimo con la suspense e il desiderio di scoprire il colpevole del rapimento, tensione accompagnata dal tipico mal di pancia che una commedia come si deve dovrebbe provocare. Il cast infatti è più che competente e i due attori protagonisti insieme formano ancora una volta una coppia buffa ma affiatata, che proprio per la sua comicità appassiona tanto il pubblico.

 

 

La sceneggiatura è dunque geniale, in quanto unisce scene di agitazione e drammaticità, tipiche dei film gialli, a scene spassose e a tratti assurde, ma nonostante questa sia sempre firmata da James Vanderbilt, la regia è invece cambiata tra i due film. Kyle Newacheck, infatti, ha lasciato il posto a Jeremy Garelick, il quale ha inserito all’interno della pellicola più elementi d’azione quali spettacolari effetti speciali, evoluzione che può essere apprezzata come non, ma che è sicuramente evidente ai nostri occhi.

 

Significativa è inoltre la lezione che il film ci dà, ossia che non bisogna solamente conoscere a memoria tutte le nozioni che un’occupazione richiede per eccellere in un determinato lavoro, poiché quello che ci rende unici è la passione e l’amore che ci mettiamo, unito in questo caso ad una grande intesa tra i due coniugi, che credono sempre nelle loro potenzialità, non arrendendosi mai.

La pellicola ha ovviamente riscontrato un enorme successo, essendo ancora, a quasi un mese dall’uscita, nella top dieci dei film più visti da Netflix. Numerosi anche i rewatch del primo film, tornato in classifica nelle prime settimane a distanza di quattro anni.

Si può quindi affermare che il sequel sia sicuramente all’altezza del primo film e speriamo di incontrare di nuovo Nick e Audrey in una nuova avventura all’insegna del mistero e della comicità.

Virginia Porcelli

 

 

 




Il Giudizio Universale

La scorsa settimana abbiamo visto insieme la Cappella Sistina, dalla sua nascita fino alla decorazione Michelangiolesca del 1508-1512.

Oggi, invece, faremo un salto temporale di ventitrè anni, restando pur sempre all’interno dello stesso ambiente.

Infatti, il lavoro per Michelangelo nella Cappella Sistina, non finì con l’affresco della volta per volere di papa Giulio II.

Nel frattempo, ci fu però il Sacco di Roma del 1527 da parte dei Lanzichenecchi, che aveva sospeso ogni progetto di restauro. Piano piano, Roma ricominciò a riprendersi e negli anni successivi ideò un progetto per un intervento grandioso, da affidare, nuovamente, a Michelangelo.

Già dal 1533 Clemente VII de’ Medici aveva intenzione di far dipingere a Michelangelo la parete d’altare. Le idee sul tema non erano molto chiare, infatti il pontefice e l’artista si incontrarono varie volte per discuterne.

Tuttavia, alla morte di Clemente VII, avvenuta l’anno successivo, salì al potere pontificio Alessandro Farnese con il nome di Paolo III.
Il vero e unico papa di Michelangelo, l’unico che poteva commissionargli qualunque sfida.

Michelangelo accetta perciò l’incarico del grande affresco: è il maggio del 1536.

A differenza della Cappella Sistina, in cui Michelangelo entrò da trentenne e “incapace” di dominare la tecnica dell’affresco – ricordiamo infatti le prime muffe e i primi problemi con la pozzolana romana – ritroviamo nel Giudizio un Michelangelo che è ormai maestro di tale arte.

Lo dimostrano gli stessi preparativi per il muro di fondo: l’artista decide infatti di far distruggere la parete preparata da Sebastiano del Piombo, il quale insisteva per fargli adottare la tecnica ad olio su muro, molto in voga quel momento e di sostituirla con una nuova parete inclinata di 24 cm nella parte inferiore (il cosiddetto “zoccolo”).

Perché? Probabilmente Michelangelo voleva far sì che il nuovo affresco fosse più duraturo possibile ed in questo modo non ci sarebbero stati depositi di polvere vista l’inclinazione della parete.

Dopo la preparazione del muro, il Buonarroti proseguì con la pittura: concluse il Giudizio in 456 giornate (le giornate sono le porzioni fresche di intonaco su cui il pittore va a dipingere; in alcuni casi possono essere molto piccole per la maggior quantità di dettagli o molto grandi se meno definite)

 

Ma di che cosa tratta il Giudizio Universale?

Ovviamente, come dice il nome stesso, rappresenta la scena del Giudizio Finale, ovvero dell’avvento del giorno in cui Cristo sarà chiamato per giudicare i buoni e i malvagi.

Ma l’estrema originalità di Michelangelo lo ha portato a creare una scena nuova, senza precedenti.

Cristo è Giudice e si staglia minaccio al centro dell’opera. La Madonna, al suo fianco, ha uno sguardo afflitto perché lei, misericordiosa, non può più far niente.

Tutt’attorno a loro è un ammassarsi di corpi muscolosi e virili, di uomini e donne accalcati in posizioni contorte e atletiche.

In alto i Santi. Coloro che sono morti per il nome di Cristo. Vediamo San Bartolomeo, San Lorenzo, alla destra di Cristo Sant’Andrea e San Giovanni Battista. C’è anche San Pietro, simbolo della chiesa cristiana romana.

In basso, l’Inferno con tutti i condannati. Figure circondate da creature diaboliche. Sulla destra, vediamo la barca di Caronte; sulla sinistra, invece avviene “La disputa dei corpi” ovvero l’ascesa dei beati, coloro che lasciano il loro corpo umano per unirsi a Cristo.

Al centro di queste due scene, su delle nuvole, gli angeli suonano le trombe: è arrivata la Fine.




Close, un film sull’anima dei giovani

Close, film drammatico diretto dal belga Lukas Dhont, racconta la storia di due tredicenni: Léo e Rémi, amici d’infanzia profondamente legati l’uno all’altro. I due entreranno in crisi dopo un commento dei compagni di scuola, che, fraintendendo il loro rapporto, ritengono che ci sia qualcosa in più di una semplice amicizia. 

Oltre alle candidature come miglior film straniero agli Oscar e ai Golden Globes 2023, il film ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel maggio del 2022, riscuotendo un notevole successo.

Sorprendente per la loro giovane età l’interpretazione dei due attori protagonisti, in particolare di Eden Dambrine, Léo, candidato agli European Film Award come miglior attore. Léo è quello che viene maggiormente scosso dall’intervento dei suoi coetanei, motivo per cui arriva persino a vergognarsi del rapporto con Rémi, passando dal trascorrere intere giornate con lui all’allontanarsene sempre di più. Al contrario Rémi viene più segnato dal distacco dall’amico che dal commento in sé e finisce per soffrire enormemente e chiudersi nel suo dolore.

La pellicola dunque è divisa in due, la prima parte è occupata dal valore dell’amicizia tra i due ragazzi e dalla gioia che provano nello stare insieme, la seconda invece fa spazio alla tristezza e ciò è reso evidente dalla fotografia, per i colori che pian piano sbiadiscono e perdono la loro iniziale luminosità. 

 

Oltre a delineare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il film tocca anche, seppur con estrema delicatezza, la tematica LGBT, che fa riflettere il pubblico e permette ad esso di immedesimarsi nelle storie dei protagonisti e di soffrire con loro. 

Nonostante sia straziante e difficile da accettare, l’opera trasmette inoltre una morale significativa, quella di misurare le proprie parole per non ferire gli altri ed è per questo che tutti, in particolare i giovani, dovrebbero vederlo. 

Virginia Porcelli




La Cappella Sistina

La celebre Cappella Sistina viene costruita molto tempo prima dell’arrivo di Michelangelo a Roma.

Infatti fu Papa Sisto IV a commissionare nel 1477 la commissione della cappella in Vaticano.
La sua idea era quella di chiamare i più grandi artisti umbro toscani per decorare quella che diventerà il luogo dell’elezione dei successivi papi dal quel momento fino ad oggi.


Ma chi chiama?
Alcuni tra i nomi più celebri della storia dell’arte rinascimentale: Botticelli, Ghirlandaio, Pinturicchio e Perugino. La Cappella Sistina, già dalla sua nascita, dunque, è un capolavoro.

Tuttavia, molti anni dopo, Papa Giulio II – il Papa che darà avvio anche al cantiere di San Pietro – chiama Michelangelo per far ridipingere la volta della cappella.

Tutto il soffitto era affrescato da Piermatteo d’Amelio ed era decorato con un cielo stellato.
Giulio II, che già conosceva il Buonarroti avendogli commissionato la sua tomba, decide di richiamarlo per questo grande e prestigioso incarico.

Michelangelo accetta, pur sapendo che non è il suo campo: egli è infatti ormai famoso per le sue doti scultoree. Non che non avesse già dipinto dei capolavori!

Infatti, nel 1504, su commissione di Agnolo Doni aveva dipinto un bellissimo tondo rappresentante una Sacra Famiglia, il cosiddetto “Tondo Doni”.

È il 1508. Michelangelo, con una troupe di artisti fiorentini, inizia a dipingere la prima metà della volta della Cappella Sistina partendo al contrario, ovvero dall’ingresso fino alla metà del soffitto.

Le prime prove di affresco risultano un disastro: la pittura si stacca, fa muffa, non regge. Michelangelo, già sconfortato e stressato per l’incarico, vuole ritirarsi.

Interviene però Antonio da Sangallo a rincuorarlo: è solo un problema tecnico, spiega, dato che la preparazione dell’intonaco per l’affresco è diverso tra Firenze e Roma.

Michelangelo ricomincia perciò da capo, licenziando la sua equipe fiorentina e iniziando a lavorare sempre più in solitudine su quegli altissimi ponteggi.

Lo schema è ben preciso: al centro, le nove scene della Genesi formate da 4 riquadri maggiori e 5 minori; nei pennacchi si trovano i veggenti, sette Profeti e cinque Sibille; nella cornice, figure di ignudi.

La struttura è così ben concepita che tutti i personaggi hanno un loro spazio preciso e una loro pesantezza. È perfetto.

Tuttavia, nel 1510 c’è un rallentamento nei lavori. Michelangelo si ferma per quasi un anno, riprendendo l’opera nel 1511.

Le differenze tra la prima metà e la seconda, ripresa dopo l’interruzione, sono quasi formidabili.
Michelangelo ha preso completamente dimestichezza nel lavoro, non disegna nemmeno più i suoi soggetti su un cartone preparatorio.

 


La mano è più veloce, sicura, il colore si fa più denso, cambia anche il cromatismo.

Le figure diventano più monumentali senza neanche più il bisogno di misurare le proporzioni: semplicemente, Michelangelo traccia sull’intonaco fresco qualche linea guida e poi inizia a dipingere, senza studiare prima il progetto.

Conclude così, nel 1512, la volta della Cappella Sistina, dove probabilmente è racchiusa la scena più famosa al mondo, che lo ha reso celebre nel globo: la Creazione di Adamo.

Michelangelo, in quel momento, è diventato il maestro che tutti noi oggi conosciamo: il Divino.




Ciak d’oro Serie tv: Mare fuori e Massimiliano Caiazzo trionfano

Proprio ieri Massimiliano Caiazzo, protagonista della tanto acclamata serie tv Mare fuori, ha annunciato la notizia sul suo profilo Instagram: Ciak d’oro per miglior attore e miglior serie pubblico under 30, ringraziando i fan per l’amore dimostrato al progetto e ai personaggi.

Ciak d’oro è infatti il primo grande premio italiano di serialità deciso direttamente dal pubblico e in gara vi erano i titoli usciti dal gennaio 2022 al febbraio 2023, inoltre Sky Tg24 ospiterà lo speciale sulla premiazione il 9 Aprile alle 21.

L’attore è dunque ora uno dei più influenti sulla scena. Nato nel ‘96 a Vico Equense, dopo un diploma di liceo scientifico decide di dedicarsi completamente alla recitazione, debuttando per la prima volta in televisione nel 2016 nel film “Furore” e vincendo poi nel 2020 il premio Giovani Rivelazioni al Festival di Venezia. Raggiunge la massima popolarità con Mare fuori e torna poi sul grande schermo con il film “Piano Piano”, arrivato nelle sale a marzo.

Per la gioia dei fan, le riprese di Mare fuori 4 inizieranno tra solo un mese a Napoli, cosa che sicuramente attirerà fan da tutta Italia, ansiose di scattare una foto con i loro personaggi preferiti.

La terza stagione, infatti, è uscita a febbraio 2023 su Rai Play, riscontrando un enorme successo e le prime due si trovano ancora nella top ten delle serie più viste su Netflix.

La serie narra le storie di detenuti e membri del personale dell’IPM, carcere minorile di Napoli e Carmine (Massimiliano Caiazzo) e Filippo (Nicolas Maupas) sono i protagonisti. Uno nato in una famiglia camorrista, l’altro in una benestante, i due si ritroveranno entrambi rinchiusi in carcere, dove diventeranno inseparabili.

La serie ha spopolato in Italia, guadagnando per la terza stagione circa 300.000 nuovi abbonati a Rai Play, ma è da poco sbarcata anche in più di 20 paesi, distribuita all’estero da Beta Film con il titolo “The sea beyond”.

Insomma, possiamo dire che la vittoria dei Ciak d’oro sia dunque più che meritata, considerando il successo della serie e la bravura del protagonista e non possiamo far altro che augurarci di rivederlo presto sullo schermo e nei panni del nostro amato Carmine Di Salvo.

Virginia Porcelli

 




Il Flauto Magico

IlFlauto Magico (in lingua: Die Zauberflöte) è un’opera composta nel 1792 da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder.
Mozart, che da tempo era malato, trovò un fortissimo senso di soddisfazione grazie all’immediato successo che ebbe l’opera nel grande pubblico.
Fu infatti la sua ultima opera.

L’opera è divisa in due atti ed è in forma di “singspiel” ovvero una forma popolare tedesca che univa i dialoghi parlati al canto.
Questo modello aveva origina dai commedianti tedeschi (nasce a Vienna e poi si diffonde anche in Germania) che all’interno dell’opera musicale solevano inserire canzoni popolari.

Tre potenti accordi ripetuti tre volte aprono le danze: questo tema musicale ritorna tre volte (tre damigelle, tre geni, tre schiavi, tre sacerdoti e le tre prove) e ha dato agli studiosi motivo di pensare che fosse un’opera che celava un significato massonico data la ripetizione del numero tre, che era sacro appunto per la massoneria.

La storia, in breve, racconta le vicende del principe Tamino il quale, aiutato da Papageno, supera numerosi ostacoli per liberare Pamina, la sua amata.

ATTO I

Tamino incontra tre donne mentre fugge da un serpente.
Le donne lo aiutano a salvarsi: sono le dame della regina della notte. Lo introducono così alla regina, Astrifiammante, la quale è disperata per la scomparsa della figlia Pamina, rapita da Sarastro.

Tamino, che vede un ritratto della giovane e subito se ne innamora, decide di andarla a cercare con l’aiuto di Papageno. Le tre dame consegnano al principe un flauto magico e Papageno un carillon.

Da qui iniziano le numerose sfide che i due sono costretti ad affrontare per la strada verso il Tempio di Sarastro, dove è imprigionata la bella Pamina.
Papageno giunge per primo al tempio dove trova Pamina, prigioniera di Monostato, il carceriere.
Tamino nel frattempo giunge ai Tre Templi (Natura, Ragione e Saggezza) dove incontra un sacerdote che cerca di fargli cambiare idea sulla cattiveria di Sarastro.
Tamino è così sconcertato che viene trascinato via e portato al cospetto di Sarastro stesso che lo libera e lo obbliga a purificarsi per poter entrare nel suo regno.

ATTO II

Inizia la prima prova: stare in silenzio qualunque cosa accada. Nel frattempo la regina della notte giunge da Pamina, chiedendole di uccidere Sarastro con un pugnale.
Monostato, servo di Sarastro, ascolta tutto e le minaccia, ma in quel momento giunge Sarastro, il quale spiega che solo l’amore può condurre alla verità, e non la vendetta.
Pamina tenta dunque di parlare con Tamino (che, ricordiamo, al momento non può parlare!) e credendolo non più innamorato di lei, tenta il suicidio.
Scopre poi, grazie a tre ragazzi, lo scopo della prova. Così, terminata la prima prova, alla quale ne seguiranno altre due superate con successo: l’attraversamento dell’acqua e del fuoco.

Infine, Astrifiammante, Monostato e le tre dame si uniscono per sconfiggere Sarastro. Un terremoto fa inabissare tutti, celebrando così la vittoria del bene sul male.




Elvis, un bel film fuori dall’Oscar

Nonostante le otto candidature agli Oscar di quest’anno, Elvis è purtroppo e, a parer mio, ingiustamente, tornato a casa senza alcun premio. 

Il film ci racconta la vita del celebre cantante Elvis Presley e del suo rapporto con il manager Tom Parker, il quale ha lanciato la carriera del ragazzo, ma, allo stesso tempo, ne è stato un freno. Da un lato la sua storia ci mostra l’ascesa di un grande personaggio del mondo della musica e il suo grande successo, dall’altro invece come un semplice ragazzo con la passione per la musica sia stato rovinato da quel successo, avvicinandosi alle droghe e allontanandosi dalla famiglia per fare da macchina da palcoscenico. Dietro l’Elvis che tutti conoscevano e amavano c’era infatti un uomo che soffriva e che fu vittima della propria solitudine.

Particolarmente impressionante il trucco e il parrucco, che ha curato ogni dettaglio e  reso Austin Butler spaventosamente somigliante a Elvis, a dir poco incredibile anche l’interpretazione dello stesso Austin, per il quale ha ottenuto una nomination agli Oscar come migliore attore. La moglie di Elvis Priscilla e la figlia Lisa Marie hanno infatti dichiarato di aver provato un’emozione unica guardando Butler impersonare Presley, giungendo persino a non riuscire a distinguere l’uno dall’altro. 

Come non parlare inoltre della musica, essendo presenti nel film alcune tra le più belle canzoni di Elvis, che ancora oggi tutti, dai giovani agli adulti, cantano a squarciagola.

La pellicola, dunque, rende perfettamente omaggio alla carriera del celebre cantante e, nonostante la durata di quasi tre ore, tiene il pubblico attaccato alla tv per tutto il tempo, facendolo immedesimare nella storia del personaggio.

La validità del regista Baz Luhrmann, lo stesso di “Il grande Gatsby”, “Australia” e “Moulin Rouge”, ci viene quindi confermata, regalandoci quello che, secondo me, è uno dei film più ben fatti del 2022.

Virginia Porcelli




I DUECENTO AFORISMI DI ROBERTO CAMPAGNA

Il libro, dal titolo “Di bugie campano tutti”, verrà presentato domenica 2 aprile alle 18, a Sezze, nella sede dell’Associazione culturale La Macchia

Ad aprire la rassegna “La Macchia Letteraria” sarà, domenica 2 aprile alle 18, la raccolta di aforismi  “Di bugie campano tutti” di Roberto Campagna. Obiettivo di questa rassegna, organizzata dall’Associazione culturale  “La Macchia” di Sezze, è  portare in primo piano, come recita il sottotitolo della stessa, alcuni libri che meritano di essere posti all’attenzione del pubblico.

L’incontro, a cui, oltre all’autore, interverranno il presidente della Compagnia dei Lepini Quirino Briganti,  il poeta Antonio Veneziani, lo scrittore Claudio Marrucci e Rino Caputo, storico e critico della letteratura, si terrà a Sezze, presso la sede della stessa Associazione,  in via Melogrosso, 2 (ex Industria Dolciaria Di Giorgi Italo&C.).

L’attrice Maria Borgese e l’attore Pierluigi Polisena  leggeranno alcuni aforismi. “Di bugie campano tutti” è la seconda raccolta di aforismi di Roberto Campagna. La prima ne contava 185, questa 200.

“Si comincia pertanto a profilare – scrive nella nota introduttiva Gino Ruozzi – una confermata predilezione stilistica e un metodo riflessivo che prende corpo. Ragionare per aforismi richiede profondità e rapidità, uno sguardo acuto e insolito sulle cose della vita. Le parole, che sono poche, devono però racchiudere tanto, sia in termini di continuità e verifica dell’esperienza sia in fulmineità eloquente e riassuntiva”.

Come avevano compreso gli antichi, e come ha riportato Freud nel tempo moderno, il proverbio, la sentenza, il motto di spirito e lo stesso aforisma, rinunciano alla perfezione del periodo ampio, spesso ridondante, per esprimere, attraverso la via breve, il significato lungo e largo, nel tempo e nello spazio, delle cose del mondo. L’ operazione verbale che congegna il discorso corto si trasforma nell’azione vitale che congegna la sequenza della vita. Così come nella prima, in questa seconda raccolta  c’è tutto e il contrario di tutto: la saggezza popolare, spesso rischiosamente collimante col “senso comune”, e la distillazione faticosa della sintesi intellettuale, “filosofica”. Scrivere aforismi è impresa ardua perché occorre trovare e inventare ogni volta, nel giro di poche parole, un’affermazione illuminante e rivelatoria.

“Roberto Campagna  – sostiene Ruozzi – si è assunto  questo incarico morale  e terapeutico, in primo luogo  rivolto a sé stesso e poi alla società in cui vive e viviamo.  Senza inutili fronzoli e logoranti attese egli va subito al cuore dei problemi, cercando di denudarci delle maschere che così spesso amiamo indossare. I suoi aforismi sono minuscole lapidarie lezioni di vita, tanto più preziose perché contengono esperienze meditate e riscontrate di persona.  Il tutto condito di sagaci sali epigrammatici, divertenti giochi di parole, sorprendenti facezie linguistiche. Una lettura – conclude Ruozzi – piacevole, formativa e persino salutare”.

Infine, circa il disegno della copertina, è di Kiro, pittore di origine macedone. In particolare, le sue opere raccontano l’uomo, l’artista, l’esistenza colta nella pienezza della libertà e la saggezza di chi ha sempre seguito la necessità di esprimersi. Sono tele segnate dalla bellezza delle linee e delle forme, ampie pennellate che raccontano dell’essenza primordiale che dal nulla arriva al tutto e viceversa.

La “Macchia” è un’ associazione senza scopo di lucro,  che punta a promuovere il territorio mediante l’organizzazione di eventi culturali. In particolare, la cui “mission” è la riqualificazione del territorio a livello ambientale e culturale “facendo rete”. Obiettivo, questo, che punta a raggiungere “facendo rete” con  realtà locali e nazionali. Ecco perché ha lanciato il progetto “Evado” in cui, oltre a interventi nel campo del Terzo Settore, sono previsti scambi e collaborazioni con altre associazioni.

Roberto Campagna, sociologo, giornalista e scrittore, di mestiere fa il comunicatore. Direttore della rivista “Noi/Altri”, scrive per il quotidiano “Latina Oggi” e “Le Monde Diplomatique – Il Manifesto”. Tra i suoi libri: “Alle fontane – Storie di panni di paese” (racconto breve), “E così fu” (racconti), “101 filastrocche in fila per 1”, “A Via Fontana dell’Oro” (fiabe), “Il Palato della Memoria” (romanzo), “Meglio povero che poveraccio” (aforismi) e “Le storie non volano” (romanzo). L’ultimo suo libro è la raccolta di racconti “Amen – Miracoli, misteri e sacre vendette”.




Leonardo da Vinci

Leonardo da Vinci è stato uno dei più grandi geni della storia, un artista, scienziato e inventore che ha segnato il Rinascimento italiano e la cultura europea del XV e XVI secolo.

Nato a Vinci, vicino a Firenze, nel 1452, ha trascorso gran parte della sua vita tra Firenze, Milano e infine la Francia, dove è morto nel 1519.

Leonardo ha studiato arte, anatomia, matematica, scienza e filosofia, e ha lavorato per alcuni dei più grandi mecenati dell’epoca, tra cui i Medici, i Sforza e Francesco I di Francia.

La sua curiosità e il suo spirito innovativo lo hanno portato a esplorare molti campi diversi, e le sue opere, tra cui dipinti come La Gioconda e L’Ultima Cena, oppure disegni come l’Uomo Vitruviano, e invenzioni come il paracadute e la bicicletta, hanno segnato un punto di svolta nella storia dell’arte e della scienza.

Il suo lavoro ha influenzato la cultura occidentale per secoli e le sue opere continuano a ispirare artisti e scienziati di oggi. In questo articolo, esploreremo alcune delle sue opere più famose e il loro significato.

La Gioconda

 

Forse la più famosa delle opere di Leonardo, La Gioconda (o Monna Lisa) è un ritratto della moglie di un mercante fiorentino, Francesco del Giocondo.
L’opera è un capolavoro di sfumatura graduale del colore e nell’uso della tecnica della “prospettiva aerea”, che Leonardo utilizza per creare i suoi bellissimi panorami.
Questo quadro divenne famosissimo nel 1911: infatti fu il primo quadro ad essere rubato da un museo! Fu ritrovata due anni dopo, quando il ladro andò a Firenze per rivenderla.

 

 

 

La Vergine delle Rocce

La Vergine delle Rocce è un dipinto a olio che raffigura la Vergine Maria con il bambino Gesù e San Giovanni Battista.
Leonardo ha creato due versioni dell’opera, una che si trova nella National Gallery di Londra e l’altra nel Louvre di Parigi.
L’opera è nota per la sua profonda prospettiva, l’uso di sfumatura e la rappresentazione di una natura suggestiva e dettagliata.

 

 

 

L’Uomo Vitruviano

L’Uomo Vitruviano è un disegno che rappresenta l’uomo in due posizioni sovrapposte: una in piedi con le braccia e le gambe distese, e l’altra con le braccia e le gambe piegate. Il disegno è accompagnato da note su proporzioni umane e ideali di Vitruvio, un architetto romano del I secolo a.C. Leonardo ha utilizzato il disegno per esplorare la relazione tra l’uomo e l’universo, e la sua importanza nella comprensione della geometria e della proporzionalità.

 

 

L’Ultima Cena

Dipinto tra il 1495 e il 1498 per il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano, l’opera raffigura l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli, poco prima della sua cattura e della sua morte. La scena è con una particolare tecnica che non può essere chiamato “affresco”, bensì una tecnica sperimentale che proprio per questo ha decretato la fragilità dell’opera.
Subito soggetta a numero restauri, l’opera ci si presenta oggi “ripulita” grazie al restauro del 1977 condotto da Pinin Brambilla Barcilon.

 

 

Queste sono solo alcune delle opere più famose di Leonardo da Vinci, ma il suo lavoro si estende su molte altre forme d’arte e scienza, tra cui la scultura, l’architettura, la musica, la botanica e l’anatomia.

Il lavoro di Leonardo da Vinci ha avuto un enorme impatto sulla cultura occidentale e la sua influenza continua a essere sentita oggi.

L’arte di Leonardo è nota per la sua bellezza, la sua precisione scientifica e la sua profondità di pensiero, il che lo rende uno dei grandi tesori dell’umanità.