MILLEFOGLIE DI PRIMAVERA

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

MARZO: MILLEFOGLIE DI PRIMAVERA

 

Marzo è un mese ancora freddino ma i boccioli primaverili sbucano un pò dappertutto, così come la voglia di festeggiare o di concludere un pasto con un dolce buonissimo.

Quando ero bambina e poi adolescente, in occasione dei compleanni, le mamme amiche si riunivano per preparare prelibatezze di ogni genere. Tra tutto non mancava mai la crema pasticcera, che andava tassativamente girata solo in un verso, con un mestolo di legno e dopo essersi assicurate che l’addetta non avesse “le sue cose” altrimenti la crema sarebbe impazzita.

Il dolce che vi propongo questo mese, al contrario di quello che potreste pensare, è molto semplice da realizzare grazie all’utilizzo di pasta sfoglia pronta, reperibile in qualunque supermercato.

È un dolce che richiede però un’accortezza: va terminato poco prima di essere servito in tavola, solo così la sua fragranza rimarrà intatta.

 

 

INGREDIENTI 10/12 porzioni:

 

3 rotoli di pasta sfoglia rettangolare pronta

6 tuorli d’uovo

500 ml di panna fresca

6 cucchiai colmi di zucchero

6 cucchiai rasi di farina

1 litro di latte

la scorza di un limone

una noce di burro

zucchero a velo

granella di pistacchio

 

 

PROCEDIMENTO:

 

Per prima cosa preparate la crema pasticcera: mettete a scaldare il latte senza però fargli raggiungere il bollore; in un’altra pentola mettete i tuorli a temperatura ambiente e lo zucchero e mescolate bene finchè si sciolga. Aggiungete la scorza del limone, preferibilmente non trattato, scartando la parte bianca aiutandovi con un pelapatate. Per ultimi unite la farina setacciata e il latte versato a filo continuando sempre a mescolare con il cucchiaio di legno.

Mettete la pentola su fuoco moderato e portate ad ebollizione girando sempre nello stesso verso, mi raccomando!

La crema si addenserà piano piano, fate bollire per 5-6 minuti e spegnete. Togliete la scorza del limone, aggiungete una noce di burro, per conferirle un aspetto ancora più liscio, e trasferitela in una ciotola di vetro o ceramica. Coprite con la pellicola direttamente sulla crema per fare in modo che non passi l’aria e non si formi la crosticina. Lasciate raffreddare bene.

Nel frattempo srotolate la pasta sfoglia sulla placca del forno mantenendo la carta in cui è conservata, bucherellatela con i rebbi della forchetta, cospargetela di zucchero semolato e cuocetela a 180° finchè sia leggermente dorata. Dovete tenerla sotto controllo perché ci mette un attimo a bruciare.

Montate la panna fresca e aggiungetene una metà alla crema fredda.

Prendete un piatto da portata e appoggiatevi la prima sfoglia cotta, farcite con la metà della crema e della granella di pistacchio.

Appoggiate sopra l’altro foglio di pasta con la crema rimanente e la granella.

Ultimate con la terza sfoglia e cospargetela di zucchero a velo.

Utilizzate poi la panna rimanente per chiudere i lati della torta aiutandovi con una spatolina. Per ultimo coprite i lati con la granella come potete vedere dall’immagine allegata e guarnite con un fiore centrale.

Servite entro un’ora max due, conservandola in frigo.

Se non vi piace il pistacchio potete usare qualunque altra frutta secca, oppure gocce di cioccolato fondente.

 

 

 

 




LA CUCINA INGLESE DI MISS ELIZA

LA CUCINA INGLESE DI MISS ELIZA

Di Annabel Abbs

Ed. Einaudi

 

Un po’ romanzo, un po’ biografia, un po’ libro di ricette, questo di Annabel Abbs è un gioiellino di scrittura capace di coinvolgere lettori di ogni genere.

Una storia al femminile narrata a due voci: Eliza e Ann, due donne di estrazione diametralmente opposta, che si ritrovano legate da un’unica viscerale passione che è quella della cucina.

Con La cucina inglese di Miss Eliza ci immergiamo in un mondo fatto per lo più di odori: predominano quelli del cucinato, ma intorno ruotano effluvi di povertà e miasmi di un’epoca lontana. Annabel Abbs ci trasporta nel 1835 raccontandoci, con uno stile entusiasta e appassionato, della vita di Eliza Acton, una donna indipendente che introdusse con enorme successo, un nuovo modo di scrivere libri di cucina.

Eliza Acton è una scrittrice di poesie in un periodo in cui alle donne veniva concessa ben poca libertà di essere, oltre al ruolo di moglie, madre, padrona di casa.

Ma lei non demorde di fronte all’ennesimo rifiuto, e non si spaventa di affrontare la sfida che le viene proposta: in cucina, immersa nei suoi profumi, Eliza capisce che tra ricette e poesie può esserci un legame.

 

 

Comincio a vedere la poesia nelle cose più impensate: un rozzo pezzo di noce moscata, o una pallida pastinaca sporca di terra.

E così mi chiedo se sia possibile scrivere un libro di ricette che comprenda la verità e la bellezza tipiche della poesia.

Perché le arti culinarie dovrebbero essere aliene alla poesia?

Cosa impedisce ad un libro di ricette di essere una cosa bella?

 

 

Ispirandosi alla storia vera di Eliza Acton, Annabel Abbs ci restituisce uno spaccato di vita che forse avevamo dimenticato. Nell’Inghilterra di metà ‘800 una zitella borghese, grazie all’inaspettato aiuto di una povera ragazza, si oppone ad un mondo prettamente maschile, ad una mentalità bigotta, ai preconcetti e alle maldicenze.

Leggendo ci emozioniamo, ci commuoviamo e ci par addirittura di sentire l’odore e il sapore delle pietanze cucinate da Eliza e Ann.

Proviamo astio verso le malelingue, ci infastidisce l’insistenza di Mrs Acton nel voler maritare sua figlia solo per redimersi dagli errori di suo marito.

Ci inorridiamo con le mani aggrappate al cancello di un manicomio e ci otturiamo il naso passeggiando nei vicoli di Londra.

In poche parole, Annabel Abbs ci rende attori, oltre che lettori, e questa è la cosa più bella che ad un amante della lettura può accadere scorrendo le pagine di un libro.

 

 

Miss Eliza mi chiede di pesare le briciole grattugiate e annotare il peso su una lavagnetta.

– Ci tengo a specificare pesi e misure, – dice.

– Ogni cosa deve essere precisa e ordinata. Così riusciamo a tenere sotto controllo il caos dell’esistenza. Non sei d’accordo, Ann?

 

 

  

SINOSSI

 

Inghilterra, 1835. Eliza Acton spera che la sua nuova raccolta di poesie la conduca al successo. I sogni di gloria, però, si infrangono contro l’oltraggioso rifiuto dell’editore, che la invita a dedicarsi ad un libro di ricette. Eliza si indigna, a casa Acton la cucina riguarda solo la servitù.

Ma quando suo padre, sull’orlo della bancarotta, si dà alla fuga, quella assurda proposta si rivela l’unico modo per sopravvivere. Eliza impara a conoscere i segreti di pentole e fornelli e, con l’aiuto della giovane Ann, finisce per scoprire che in ogni ricetta riuscita c’è sempre un pizzico di poesia.

 

E alla fine…Le ricette di Eliza Acton!




VIOLETA di Isabelle Allende

VIOLETA

Di Isabelle Allende

Ed. Feltrinelli

 

 

Se avete fatto caso alla foto di copertina, potete già intuire la portata della mia “relazione” con questa famosissima scrittrice d’oltremare.

Ho conosciuto la Allende che ero poco più di un’adolescente con il romanzo Eva Luna, al quale poi è seguito Eva Luna racconta e soprattutto La casa degli spiriti con il quale la folgorazione ha raggiunto il suo apice.

Non ho mai mancato gli appuntamenti con le sue pubblicazioni, fino a quest’ultimo segnato a caratteri cubitali sulla mia agenda: “ 3 febbraio 2022 – Violeta”.

Le donne di Isabelle Allende descritte nei sui libri, rappresentano le diverse sfaccettature del suo carattere, della sua vita, del suo stile letterario.

Sono donne passionali, sono matriarche, sono portatrici di storie, amori, dolori e segreti. Violeta non è da meno; leggendo poi mi sono resa conto di quanto le sue protagoniste siano collegate tra di loro da un filo seppur sottilissimo.

 

Venni anche a sapere che la nonna Nivea, la madre di mia madre, era morta decapitata in uno spaventoso incidente d’auto e che la sua testa si era persa in un campo; che era esistita una zia che sapeva parlare con gli spiriti e che c’era stato un cane cresciuto fino a raggiungere le dimensioni di un dromedario.

 

Chi, scorrendo queste righe, non ricorda per la scena del film con Meryl Streep e Jeremy Irons, in cui si vede volare quella testa?

Isabelle Allende ci regala un altro straordinario ritratto di una donna speciale e del suo clan, attraverso un secolo denso di sconvolgimenti politici, economici e calamità.

Le sue frasi fluide ma non scevre da concetti importanti, ci consegnano la vita di una donna centenaria che ha visto la luce quando il mondo veniva aggredito dall’influenza spagnola e che termina il suo cammino ai giorni nostri sotto il flagello del Covid-19.

Violeta è un personaggio coraggioso, dal forte senso della giustizia, che non getta la spugna di fronte agli ostacoli che la vita le pone davanti.

A quasi ottant’anni Isabelle Allende ci regala la potente voce narrante della cilena Violeta Del Valle che dona i suoi ricordi al nipote Camilo ripercorrendo gli eventi più importanti del XX secolo.

La forte narrazione in prima persona ha poi l’eccezionale risultato di avere la sensazione di trovarci veramente di fronte a lei.

Andate in libreria e aprite la prima pagina, vi troverete di fronte ad un incipit che rappresenta il preludio per un altro romanzo straordinario.

 

 

Sono venuta al mondo un venerdì di tempesta del 1920, l’anno del flagello.

 

 

SINOSSI

Violeta nasce in una notte tempestosa, prima femmina dopo 5 maschi. La sua vita è segnata fin da subito da avvenimenti mondiali come il virus dell’influenza spagnola e la Grande depressione che comprometterà l’elegante stile di vita della famiglia e la obbligherà all’esilio.

Violeta racconta la sua storia al nipote Camilo cui consegna il testimone dopo una vita condotta all’insegna del coraggio e dell’impegno per la lotta dei diritti delle donne.




VELLUTATA DI CAVOLO ROSSO

VELLUTATA DI CAVOLO ROSSO

 

“Un mese, un piatto, una storia…”

Febbraio

Vellutata di cavolo rosso

 

 

Febbraio non è solo il mese delle frappe e delle castagnole, in mezzo a coriandoli e alle stelle filanti vi propongo questo primo piatto coloratissimo, gustoso, semplice e leggero.

Con un tocco di magia, l’umile cavolo rosso dà vita ad una pietanza che soddisfa la vista oltre che il palato.

Oltre ad essere ricco di vitamine e sali minerali, il cavolo rosso possiede un lato trasformista grazie all’alto contenuto di antocianine, responsabile del colore violaceo caratteristico di molte varietà di frutta e verdura. Con l’aggiunta di poche gocce di limone o pochi grammi di bicarbonato di sodio, capaci di variarne il pH, il gioco è fatto.

Non sono un’appassionata di esperimenti culinari, ma la semplicità di questo trucchetto e il bell’effetto che ne viene, mi hanno conquistata, oltre naturalmente all’ottimo sapore della pietanza che servirete.

 

 

INGREDIENTI:

 

1 cavolo rosso

1 scalogno

acqua

sale, pepe, noce moscata

olio extravergine d’oliva

poca panna fresca

il succo di mezzo limone

in alternativa una punta di cucchiaino di bicarbonato in polvere

 

 

PROCEDIMENTO:

 

Lavate il cavolo e tagliatelo a striscioline sottili, tenetene da parte una manciata per la decorazione finale. Mettetelo in una casseruola con lo scalogno tritato finemente, l’olio, il sale, il pepe e una macinata di noce moscata, coprite di acqua e lasciate cuocere per 30-40 minuti.

A fine cottura frullatelo con il frullatore ad immersione fino ad ottenere una crema della consistenza che più vi piace. Aggiungete la panna fresca, poca o anche niente a seconda del gusto.

Prelevatene poi circa un quarto e trasferitelo in una ciotolina.

In questa parte aggiungete ora il succo di limone e, come per magia, la crema viola assumerà immediatamente un bellissimo color fucsia!

Se al posto del succo di limone userete un pochino di polvere di bicarbonato, avrete un  bell’ azzurro acceso!

Impiattate nelle fondine iniziando dalla crema viola, aggiungete al centro un mestolo di quella colorata e ancora al centro un altro pò di crema viola, guarnite con il cavolo tenuto da parte e del prezzemolo tritato fino.

Il risultato stupirà tutti i vostri commensali.




Un amore di Dino Buzzati

UN AMORE

di Dino Buzzati

Ed. Oscar Mondadori

 

 

Oggi, 28 gennaio 2022, sono 50 anni dalla morte di Dino Buzzati, uno dei nostri più illustri scrittori, mi sembra doveroso rendergli un piccolo omaggio.

Una penna attuale e quasi magica la sua, che percorre strade di montagna, trincee di guerra, amori tragici senza tralasciare il mondo dell’improbabile che diventa possibile.

Dino Buzzati fu giornalista per desiderio della famiglia e con i suoi reportage e le sue critiche artistiche si fece conoscere in moltissimi Paesi; ma fu anche e soprattutto scrittore per passione, definito da molti come il “Kafka italiano”.

Un amore è un romanzo erotico, con spunti autobiografici, pubblicato nel 1963 e incentrato su una tormentata storia sentimentale.

Storia, quella qui narrata, apparentemente banale dell’innamoramento di un maturo e stimato professionista per una ragazzina che per arrotondare le sue entrate, si prostituisce.

Quando il romanzo uscì, Buzzati venne criticato per aver scritto un’opera con il solo fine di ottenere un facile successo e un sicuro guadagno.

Un amore è invece l’indimenticabile  racconto della perdizione del protagonista che si innamora, anzi si ammala d’amore sullo sfondo di una Milano grigia e cupa.

 

Più di una volta, aveva constatato l’ incredibile potenza dell’amore, capace di riannodare, con infinita sagacia e pazienza, attraverso vertiginose catene di apparenti casi, due sottilissimi fili che si erano persi nella confusione della vita, da un capo all’altro del mondo.

 

Il destino è una costante negli scritti di Buzzati, romanzi o racconti che siano; il destino è onnipotente e beffardo e impescrutabile. Ed è proprio in quest’ottica che viene descritto anche il rapporto amoroso tra Antonio e Laide, opposti non solo nel genere ma anche nel rapportarsi uno con l’altro.

Uno stile quello del nostro immortale autore, lineare ma tumultuoso, elegante e tossico allo stesso tempo; non concede via di scampo al lettore che legge.

 

L’amore è vita, ma anche disgrazia.

 

Per finire vorrei fare un piccolo accenno anche ai racconti: ho conosciuto Buzzati proprio con gli scritti brevi, in cui la sua abilità di entrare nel fantastico, dove l’impossibile è reso reale, è all’ennesima potenza. Non posso dimenticare Sette Piani, I topi, Ombra del sud, Eppure battono alla porta, Sciopero dei telefoni e tanti altri.

Dino Buzzati fù una persona eclettica che si sentì a proprio agio non solo nelle vesti di giornalista e scrittore, ma anche in quelle di pittore e di compositore di opere teatrali delle quali curò anche scenografie e costumi.

Al termine della lettura mi è tornato in mente un altro romanzo erotico di fama, in cui però l’uomo maturo non è succube come Dorigo della sua amante bambina, ma è al contrario un despota ossessionato dalla sua ninfetta, verso la quale nutre una passione malata che non conosce limiti né pietà.

 

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi.

Mio peccato, anima mia.

V. Nabokov

 

SINOSSI

 

In una Milano simbolo della Babele di ogni tempo si muove il protagonista di Un amore: Dorigo, maturo professionista ingenuo e illuso riguardo all’amore, cade e rimane inesorabilmente avvinghiato nella passione verso Laide, giovanissima ma già spregiuducata e avvezza a trattare con uomini molto più grandi di lei.

Un romanzo erotico dove si indaga sulle inquietitudini dell’uomo descrivendo la parabola discendente di un amore vero che sconfinerà nel tormento e nella malattia.

 

 

 

 

 




IL PROFUMO di Patrick Süskind

IL PROFUMO

di Patrick Süskind

Ed. TEA

 

 

Se dovessi definire l’opera di Patrick Süskind con un sostantivo che non sia libro, o romanzo o scritto, direi che Il Profumo è un quadro.

Un dipinto grande, scuro, boccaccesco che, senza nulla lesinare, ci fa esplorare il “fugace” regno degli odori.

La storia di Jean-Baptiste Grenouille ha dell’incredibile: nato nella miseria più nera, quest’uomo non ha odore e già nei primissimi giorni della sua vita, coloro che vengono a contatto con lui hanno premonizioni negative.

In contrapposizione alla sua natura Grenouille ha un olfatto sensibilissimo ed è attratto in maniera spasmodica dagli odori;  dei profumi e delle puzze fa armi per sopravvivere e…nutrire la sua anima perversa e vendicativa.

Lo stile di Patrick Süskind è zeppo di dettagli e descrizioni al punto tale che durante la lettura ci sembra di sentirli quegli odori che portano il protagonista alla dannazione.

Le atmosfere sono reali e i personaggi vivi, leggiamo di efferatezze senza però giudicare e quasi prendiamo in simpatia un personaggio unico e originale.

 

Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell’apparenza, del sentimento e della volontà.

Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo, essa penetra in noi come l’aria che respiriamo penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi.

 

Il Profumo è un libro crudele, non adatto a tutti forse, in cui fantasia e realtà si mescolano sapientemente. Un noir o uno psicologico? Non saprei classificarlo con precisione; rimane un romanzo intenso, che non lascia riprendere fiato, da leggere e forse anche rileggere.

La rilettura la collego al fatto che è scritto con uno stile incalzante, eccettuato forse una parte a mio parere un po’ lenta, in cui si narra l’autoisolamento del protagonista tra le montagne. La peculiarità del ritmo porta quindi il lettore ad esserne completamente avvinto e a non soffermarsi.

Un romanzo quindi forte che però consiglio vivamente; con Il Profumo, Patrick Süskind ha creato un fenomeno editoriale, è stato pubblicato in 51 lingue e nel mondo ha venduto 15 milioni di copie.

 

Gli uomini possono chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti.

Ma non possono sottrarsi al profumo.

Poiché il profumo è il fratello del respiro.

 

 

SINOSSI

Jean-Baptiste Grenouille nasce nella Parigi del Settecento, nel luogo più mefitico della capitale: il Cimitero degli Innocenti. Orfano, brutto e apparentemente insensibile, ha una caratteristica inquietante: non emana alcun odore. È però dotato di un olfatto unico al mondo, e il suo sogno è quello di dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di suscitare l’amore in chiunque lo fiuti. Per realizzarlo è pronto a tutto…

 




LA DONNA ABITATA di Gioconda Belli

LA DONNA ABITATA

di Gioconda Belli

ed. e/o

 

 

Cos’ è una Donna abitata? Il titolo di questo romanzo ci pone già da solo tante domande; poi la primissima frase, breve e misteriosa:

 

All’albeggiare emersi

 

Non è facile agganciare un lettore con solamente sei parole, eppure Gioconda Belli ci riesce benissimo: immediatamente ci cattura e ci trasporta in un mondo lontano ferito da invasioni e dittature.

La donna abitata è un romanzo a due voci, con due protagoniste nate e cresciute in epoche diverse ma accomunate dal vivere un’appassionante storia d’amore e dal combattere contro l’oppressione.

Gioconda Belli ci parla d’amore e ribellione come facce della stessa medaglia, una medaglia che in qualunque modo cada, è simbolo di passioni forti.

Le pagine scorrono sotto i nostri occhi con un crescendo inesorabile; le fluide frasi della Belli ci descrivono la donna albero che ricorda, vigila e penetra con il succo delle sue arance e il profumo delle zagare, un’altra donna che emerge dal limbo dorato dov’era sempre vissuta.

Il Nicaragua è un Paese i cui abitanti sono quasi avvezzi alla violenza, ma che la violenza non accettano.

 

Per quanto si eviti di vedere la violenza, la violenza viene a cercarti.

Qui ne abbiamo tutti una dose assicurata per diritto di nazionalità.

Uno o la subisce o la fa.

O comunque, se a te non fanno niente, la fanno ad altri, ed è lì che interviene la coscienza.

Perché se uno permette che la facciano ad altri diventa, dichiaratamente o no, complice.

 

I contrasti di questa nazione che balzano agli occhi sono netti e duri e accentuano il realismo che permane lo stile di questo romanzo.  Di quando in quando però, parentesi magiche ne fanno un vero gioiello della letteratura sudamericana.

Un fatto curioso mi è successo mentre leggevo le prime frasi di questo libro: mi sono resa conto che pochissimi giorni fa avevo letto e qui recensito, L’isola degli alberi scomparsi, anche qui una delle voci narranti è rappresentata da un albero, in questo caso una pianta di fico. Tra i libri c’è sempre un legame che unisce le storie, più o meno visibile.

La donna abitata è un libro poco conosciuto, da condividere e da leggere a voce alta.

 

 

SINOSSI

 

Itzà è una guerriera india che rivive come linfa di un albero di arance che cresce nel giardino di Lavinia, donna moderna di nobili origini che si ritrova a combattere contro il regime dittatoriale sandinista.

Sullo sfondo di un Paese pieno zeppo di contrasti, sfruttato da feroci conquistatori e dilaniato da guerre civili, si snodano due appassionanti, ma non scontate, storie d’amore.

 




L’ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI di Elif Shafak

L’ISOLA DEGLI ALBERI SCOMPARSI

di Elif Shafak

Ed. Rizzoli

 

 

Il tempo umano è lineare, un continuum uniforme tra un passato teoricamente finito e concluso e un futuro che si ritiene intatto, immacolato.

Il tempo arboreo è ciclico, ricorrente, perenne; passato e futuro respirano in un unico istante, e il futuro non scorre per forza in un’unica direzione…

Sono incompatibili, il tempo umano e il tempo vegetale.

 

L’isola degli alberi scomparsi di Elif Shafak è una bella lettura; la copertina mi aveva colpito mentre spulciavo in una libreria del quartiere romano del Testaccio. Lì per lì non l’ho acquistato, ma mi è rimasto dentro; poche settimane dopo l’ho ritrovato a casa di una cara amica, preso in prestito e letto, subito, tutto d’un fiato.

L’immagine rappresenta una pianta di fico, nata e cresciuta a Cipro, al sole, al caldo, tra amori, guerre, felicità e disperazione.

La pianta viene trapiantata in Inghilterra, rappresenta un filo che mantiene unite persone e ricordi di una terra lontana; il freddo e la nebbia non le hanno impedito di continuare a vivere, silenziosa testimone di dolori e gioie, nascite e morti.

Elif Shafak ci racconta le storie di famiglie, di amanti e di amici a Cipro, nella sua capitale Nicosia: l’unica città al mondo ancora divisa in due da una guerra che non ha riportato vittorie, ma solo sconfitti.

Due sono le voci narranti in questa storia: inizia Ada figlia di un amore che non conosce confini, etnie e religioni. Poi segue la pianta di fico, che fa da filo conduttore, osserva e vede tutto, ricorda. Un velo di mistero circonda questa pianta che sembra avere un’anima umana.

 

L’amore è una spavalda affermazione di speranza, e quando comandano morte e distruzione non si abbraccia la speranza.

Non si indossa il vestito più bello e non ci si infila un fiore tra i capelli quando si è circondati da schegge e rovine.

Non si regala il cuore quando ogni cuore deve restare sigillato, e soprattutto non a quelli che non credono nella nostra religione, non parlano la nostra lingua, non sono del nostro sangue.

 

L’isola degli alberi scomparsi  è scritto in modo liscio, non stucchevole né tantomeno lamentoso.

Ci immerge in vite segnate, a volte mortalmente, da un conflitto senza ragioni, perché la guerra non ne ha mai.

Elif Shafak ci fa commuovere, sperare e anche assaporare usi e costumi di popoli in effetti neanche troppo lontani; in questa bella storia, non ci sono né greci, né turchi, ma solo isolani, ciprioti.

Dopo il primo breve capitolo che fa da introduzione e anche quasi da riassunto, ci ritroviamo in una classe di un liceo, a fine 2010, a Londra: Ada, una delle due voci narranti, 16 anni all’improvviso emerge dal suo silenzio, e urla.

Un urlo che sconvolge chi ha intorno, un urlo che chiede verità, perché solo la verità potrà permettere ad Ada di superare la perdita e guardare fiduciosa verso il suo futuro.

Ho riflettuto molto sul titolo di questo romanzo, perché a Cipro non sono scomparsi gli alberi, a Cipro sono scomparse le persone.

 

 

SINOSSI

Siamo a Londra, e qui vive Ada, figlia sedicenne di Kostas, esule greco fuggito da Cipro durante la guerra.

Nella loro casa c’è una pianta di fico, sopravvissuta grazie ad una talea, trasportata nella stiva di un aereo e trapiantata a Londra; unico legame con quella terra dilaniata dal conflitto, e con quelle famiglie divisa da usi e religione.

A casa di Ada e Kostas arriverà improvvisamente Meryem, sorella di Dafne la madre turca cipriota di Ada, morta da pochi mesi.

Grazie alla zia, inizialmente quasi odiata, Ada prenderà consapevolezza delle sue origini e acquisterà quella coscienza di sé che gli era stata inibita da anni di silenzi.

 




CORNETTI AL SESAMO CON BACON E GRANA

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

DICEMBRE: CORNETTI AL SESAMO CON BACON E GRANA

 

Per questo mese di Feste e, speriamo, di cene e riunioni tra amici e parenti, vi propongo la ricetta di uno stuzzichino, o finger food, o antipasto, oppure anche merenda: i cornetti di sfoglia.

Credo che tutti dovremmo avere sempre in frigo un paio di rotoli di pasta sfoglia, rotonda o rettangolare non importa, perché ci aiuta a mettere in tavola in pochissimo tempo qualcosa di buono da mangiare, utilizzando anche qualche avanzo di affettati o formaggi che si annoia da due tre giorni, in un angolo del frigo.

Li ho proposti qualche anno fa in varie occasioni, inutile dirvi che non avanzano mai e che risultano graditissimi a grandi e piccini.

Proprio in vista del Natale e dell’Ultimo dell’anno, sicuramente capiterà a casa nostra qualche amico con cui prendere un aperitivo, con i cornetti di sfoglia in pochi minuti, lo renderemo felice.

 

INGREDIENTI per 12 cornetti:

1 rotolo di pasta sfoglia rotonda

1 confezione di bacon a fette

un pò di grana padano o parmigiano

1 uovo

semi di sesamo

 

PROCEDIMENTO:

Srotolate la pasta sfoglia su un piano liscio lasciandola sulla sua carta forno, dividetela in quattro spicchi e poi ogni spicchio in tre.

Nella base di ognuno dei 12 triangolini che avrete ottenuto ( se li volete più piccoli in ogni quarto ricavatene 4) appoggiate mezza fettina di bacon arrotolata e un pò di grana. Poi, partendo sempre dalla base, arrotolate delicatamente verso la punta in modo da ottenere facilmente un cornetto cui dovrete solo piegare le estremità per dargli la giusta forma.

Mano mano che li fate, appoggiateli sulla teglia del forno ricoperta di carta, poi spennellateli con l’uovo sbattuto e cospargeteli con i semi di sesamo.

Cuocete in forno statico o ventilato a 200° per pochi minuti, saranno pronti quando li vedrete belli gonfi e dorati.

Fateli stiepidire e serviteli facendo attenzione ad appropriarvene di uno subito, il vassoio rimarrà vuoto in men che non si dica.

Potete variarne la farcitura sostituendo il bacon con del salmone affumicato oppure con un’acciuga sott’olio.

Se decidete di prepararli per la merenda, farciteli con della Nutella o marmellata, spennellandoli con del latte e spolverizzandoli a fine cottura con lo zucchero a velo.

Se per uno strano caso dovessero avanzare, conservateli in un pò di carta di alluminio in frigo, il giorno successivo scaldateli in forno per pochissimi minuti.

 

 




IL GHETTO INTERIORE di Santiago H. Amigorena

IL GHETTO INTERIORE

di Santiago H. Amigorena

Ed. Neri Pozza

 

 

C’è una cosa che veramente mi piace fare: rovistare e curiosare nelle bancarelle del mercato che vendono libri, usati. Grazie ad una mia carissima amica, ho ripreso da poco tempo questa sana abitudine e, come posso, vado alla ricerca. Di cosa? Vi chiederete. Beh, chi rovista tra i volumi, aspetta il richiamo di quel titolo, o di quella copertina, o di quell’incipit particolare. Appena lo trova, lo agguanta e lo tiene ben stretto, per paura che qualcun altro, appassionato come lui, o lei, glielo sottragga.

Questo mi è recentemente successo con il libro che vi propongo questa settimana, Il ghetto interiore ha catturato la mia attenzione soprattutto per la casa editrice: Neri Pozza è una delle mie preferite. Poi anche per la frase in quarta di copertina:

 

“Una delle cose più terribili

dell’antisemitismo è non permettere

a certi uomini e certe donne

di smettere di pensarsi come ebrei,

è confinarli al di là del loro volere

in quell’identità, è decidere,

definitivamente, chi sono”.

 

In questo romanzo si vive la tragedia dell’ Olocausto da lontano: Vicente emigra in Argentina da ragazzo quando il sentore della tragedia era ancora molto flebile. Si sposa, inizia un’attività commerciale, esce con gli amici, fa la bella vita, è libero. Prova, senza molta convinzione, a farsi raggiungere dai suoi familiari, ma il ricongiungimento non avviene, non avverrà mai.

La corrispondenza con sua madre si affievolisce sempre più, finchè un giorno, all’inizio del 1940, Vicente riceve da lei una lettera drammatica. L’odio razziale in Polonia e nel resto dell’Europa è esploso, gli ebrei iniziano ad essere perseguitati, poi affamati, deportati e uccisi.

Il parallelismo tra il momento in cui il protagonista esce a cena con gli amici e nello stesso tempo i generali delle SS ideano il piano per sbarazzarsi di un milione di ebrei, è sconvolgente.

Le lettere sono sempre più sporadiche e devastanti, Vicente torna ad essere Wincenty; non più il marito, il dandy, il padre, ma solo Wincenty l’ebreo polacco.

Oltreoceano non si voleva vedere, o si faceva finta di non vedere ciò che stava succedendo in Europa, i fuggitivi superstiti portavano notizie talmente terribili alle quali gli americani stentavano a credere.

Ho letto tanti romanzi sulla deportazione e sull’ Olocausto, ma in queste righe c’è un valore aggiunto alla sofferenza: il senso di impotenza di Wincenty che lo condurrà poco a poco al mutismo e all’isolamento dagli altri, sfinito dal non essere in grado di fare qualcosa.

 

“Il ghetto è come un sacco di semi.

I tedeschi, di tanto in tanto, mettono la mano nel sacco e ne traggono un pugno.

I semi che sfuggono tra le dita, hanno un po’ di respiro”.

 

SINOSSI

Vicente Rosenberg arriva in Argentina nel 1928, con pochi soldi e una lettera di raccomandazione di suo zio . Si inserisce benissimo in quella liberà città, fa amicizie, si sposa, diventa padre e inizia a gestire il negozio del suocero. Non sa quello che invece sta succedendo in Polonia e non immagina minimamente ciò che di terribile succederà a sua madre e alla sua gente. Finché un giorno iniziano ad arrivargli delle lettere drammatiche proprio da sua madre, e il suo essere un ebreo polacco riaffiorerà e lo costringerà in un suo ghetto interiore.




IL CLUB DEL LIBRO E DELLA TORTA DI BUCCE DI PATATA

Il Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey

di Mary Amy Shaffer e Annie Barrows

ed.Astoria

 

 

Chissà chi di voi si arrischierà a leggere questa nuova recensione di un libro dal titolo a dir poco…improponibile? E poi chi, magari incuriosito, lo leggerà pure?

Beh, io l’ho letto per due motivi: le parole Club del libro e anche, lo ammetto, per la curiosità instillatomi da un titolo così lungo e particolare.

Mi sono trovata davanti un romanzo epistolare, il mio primo, e ne sono stata, inizialmente, un po’ turbata. Mi sono chiesta se ce l’avrei fatta a leggerlo, se mi avrebbe preso con tutte quelle lettere e quei personaggi che interagivano tra loro scrivendosi.

Il Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey  si è rivelato un testo molto piacevole, scorrevole e intriso di dettagli storici che non conoscevo.

Il fatto che sia scritto in forma epistolare, ci fa immaginare i personaggi partendo dal loro modo unico e particolare con cui scrivono le lettere. Lo stile delle loro frasi si trasforma nella loro conformazione fisica, nel loro modo di camminare e parlare. Li vediamo da come scrivono.

Troviamo la scrittrice esuberante e indipendente, un po’ avanti con i tempi e la sua scrittura che è un misto tra il giornalistico e l’irriverente.

Poi il suo editor, telegrafico e pragmatico, sia nello scrivere che nel provare una sorta di innamoramento e gelosia nei confronti della sua autrice preferita.

E poi tutti gli abitanti dell’isola di Guernsey, facenti parte del club del libro, dalle abitudini e dalle mentalità più diverse, che stupiti si ritrovano scrittori di lettere. Prima o poi, ognuno di loro, si ritroverà a corrispondere con la protagonista, e a raccontarle come improvvisamente, durante il buio periodo dell’occupazione tedesca del secondo conflitto mondiale, si sono avvicinati alla lettura.

 

Ecco ciò che amo della lettura: di un libro ti può interessare un piccolo particolare, e quel piccolo particolare ti condurrà ad un altro libro, e da lì arriverai a un terzo.

È una progressione geometrica, di cui non si vede la fine e che ha come unico scopo il puro piacere.

 

Ho saputo, proprio leggendo, che le Isole della Manica, sono state l’unica porzione di territorio del Regno Unito ad essere calpestata, violata, affamata e invasa da suole dell’esercito di Hitler. Nonostante dagli abitanti non sia partito un sol colpo di fucile verso chi li bombardava, l’occupazione è rimasta per un puntiglio: gli invasori affermavano così che anche quella nazione era stata da loro assogettata. Ne avrebbero voluto fare una sorta di ponte per poi occupare la madre Patria.

Non vi rivelerò comunque quanto era buona la torta di bucce di patata, lo leggerete; oppure come da un amore impossibile sia nata una bambina; o delle paure e della fame degli abitanti dell’isola durante l’invasione tedesca.

Il Club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey va letto, per la storicità, per i sentimenti, per il coraggio di un popolo, per la voglia di rinascita, per il desiderio di andare oltre i pregiudizi razziali o di cultura.

Mary Amy Shaffer era una libraia, poi bibliotecaria e editor, il suo sogno di scrivere un libro si realizzò poco prima di morire grazie alla nipote Annie Barrows che l’aiutò nella conclusione del romanzo quando era già gravemente ammalata.

Se volete ne è stata creata anche la versione cinematografica, un film carino e delicato che però, rispetto al libro, è manchevole.

 

 

SINOSSI

 

Fra l’8 gennaio e il 17 settembre 1946 si svolge un fitto scambio di lettere fra numerosi personaggi, tra i quali i principali: Juliet Ashton, una giovane scrittrice di successo, e un gruppetto di abitanti dell’isola di Guernsey.

La storia riguarda l’esperienza vissuta dagli isolani durante la Seconda Guerra Mondiale quando subirono l’occupazione tedesca.

Nonostante però le numerose privazioni e sofferenze patite, la povertà e la tristezza della loro vita, a queste persone non mancarono momenti di sollievo e allegria, grazie soprattutto alla fantasia di Elizabeth McKenna che creò dal nulla Il club del libro per giustificare ai soldati tedeschi come mai lei e i suoi amici fossero fuori durante il coprifuoco.

 

 

 

 

 




JACKET POTATOES

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

NOVEMBRE: JACKET POTATOES

 

Correva l’anno 1993 e nel mese di luglio, io e il mio fidanzato di allora, oggi mio marito, Riccardo, volammo all’avventura negli USA, giovani e coraggiosi (io non parlo inglese e lui “forte” di reminiscenze scolastiche).

La prima parte del soggiorno la trascorremmo a Philadelphia ospiti di una sua zia di secondo grado Mary, e di suo marito John.

Non eravamo ancora usciti dal famoso JFK Airport che io decisa pronunciai queste parole: “Da adesso fino al ritorno in Italia, mangerò come gli americani!”; neanche una settimana dopo ne avrei avuto di che pentirmene, ma questa è un’altra storia.

Tra tutte i piatti a stelle e a strisce assaggiati, quello che mi è rimasto più impresso è stato questo che vi propongo per il brumoso mese di novembre: le Jacket potatoes.

Un piatto ritrovato anche nel Regno Unito anche se chiamato in modo leggermente diverso: baked potaotes.

Semplice da realizzare viene apprezzato molto da grandi e piccoli, e numerose sono le salse con cui possiamo gustarlo; personalmente le mangio anche condite con poco burro e sale.

 

 

INGREDIENTI per 4 pers.

8 patate medio-grandi

pancetta 100 gr.

cheddar 100 gr.

 

PROCEDIMENTO:

Lavate accuratamente le patate lasciandole con la buccia e avvolgetele con della carta alluminio.

Appoggiatele sulla placca del forno statico presriscaldato a 200° e fatele cuocere per circa 1 ora e mezza. Foratele poi con i rebbi di una forchetta per controllarne la cottura.

Mentre le patate cuociono, arrostite la pancetta tagliata a listarelle o cubetti, e tritate il cheddar.

Appena le patate sono cotte, con attenzione aprite il cartoccio e arrotolatelo intorno, incidetele nel senso della lunghezza e apritele leggermente.

Condite con il cheddar e sopra la pancetta calda e croccante. Ultimate con erba cipollina tritata.

Mentre le gustate, ancora calde, il loro sapore vi farà volare dritti dritti negli Sates.

Le Jacket potatoes sono buonissime anche condite semplicemente con della salsa allo yogurth, oppure come vi dicevo sopra: poco burro e un pizzico di sale.