UOVA di Hitonari Tsuji

UOVA

Di Hitonari Tsuji

Ed. Rizzoli

 

Titolo brevissimo per un romanzo all’insegna della delicatezza che ci viene proposto in un formato diverso dal solito: il libro è quadrato.

Spiccava nel suo colore giallo in mezzo a tutti gli altri, come non esserne attratti? Come non acquistarlo e leggerlo subito?

 

Era un uomo terribilmente impacciato

e ci mise ben dodici anni per rivelare il suo cuore innamorato.

 

Nonostante l’incipit, la storia che ci viene narrata da Hitonari Tsuji non è una storia d’amore, o almeno non lo è nel senso esclusivo della definizione.

Uova è un romanzo ambientato nel Giappone contemporaneo, il cui filo conduttore è dato dal saper cucinare in modo unico e prelibato le uova. La preparazione attenta e meticolosa delle pietanze ci viene presentata come preliminare al cibo consolatorio e curativo dei malesseri; in semplicità e senza l’utilizzo di stereotipi.

Attraverso la sapiente preparazione di piatti a base di uova Hitonari Tsuji affronta temi come l’amore, la violenza domestica, il bullismo, l’altruismo, la vecchiaia, la malattia: in punta di piedi il protagonista chef Satoij entra nella difficile vita di Mayo e piano piano in quella di sua figlia, cucinando piatti succulenti con le uova.

Lo snodo principale della storia è rappresentato da un locale come tanti chiamato izakaya che in giapponese significa “luogo dove bere e divertirsi”; è proprio qui che Satoij aspetta anni e anni prima di riuscire anche solo ad avvicinarsi e a bere una birra per pochi minuti con la donna di cui è innamorato.

Mayo è una madre sola per essere fuggita da un marito violento, che cresce con dedizione assoluta sua figlia Oeuf, adolescente silenziosa e chiusa all’universo maschile fino all’incontro con Satoij.

Hitonari Tsuji usa le uova anche nella scelta dei nomi: Mayo è tutt’altro che un nome giapponese, semplicemente l’abbreviazione del francese mayonnaise. Stessa cosa per Oeuf, nome scelto in onore del nonno materno che era francese e amava le uova.

Leggendo Uova entriamo in un mondo dove la cura e l’amore messi nella preparazione di pietanze gustose viene usata come un poetico mezzo di espressione di emozioni e sentimenti.

 

Era un piatto dall’aria appetitosa, ricoperto da una dose abbondante di uovo lucente.

Le tre donne non avevano assistito alla preparazione.

Quando lui le chiamò si sedettero e furono servite […]

Non appena tutte e tre assaporarono il primo boccone, si bloccarono e cambiarono espressione.

Quando qualcosa è davvero buono, le persone perdono la parola.

E Satoij lo sapeva.

 

SINOSSI

 

Tutto era iniziato quattordici anni prima nell’izakaya Yururi, di cui Satoij era cliente abituale. Lui se ne stava seduto in fondo di lato, in uno dei quattordici coperti del bancone a forma di ferro di cavallo del locale nel quartiere di Nishi-Azabu e osservava di sottecchi il viso radioso della donna che gli stava di fronte. Che sorriso meraviglioso, aveva pensato, e quello era stato il principio di ogni cosa.

 

Una particolarità: nel libro troviamo descritta anche la ricetta del nostro italianissimo tiramisù

 

 




UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN

UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN

Di Betty Smith

Ed. Beat

 

 

Un albero cresce a Brooklyn è un bel romanzo epico che narra la storia della famiglia Nolan negli anni dal 1912 al 1918 vista dagli occhi di Francie, la primogenita, una bambina di undici anni capace di trovare il bello in ogni cosa.

Betty Smith, pseudonimo di Elisabeth Lilian Werner, mette molto di sé stessa in queste pagine: figlia di immigrati tedeschi nasce e vive a Brooklyn più o meno negli anni da lei narrati.

Nonostante l’imponenza, Un albero cresce a Brooklyn è un libro che scorre, ha un inizio forse un po’ lento ma con il procedere della lettura aumenta e la storia scivola via veloce senza per questo risultare banale o scontata.

Si può dire che il lettore cresca con Francie perché è proprio con lei che ci immedesimiamo, con la sua curiosità forte, con la sua caparbietà e il suo coraggio.

 

Ma Francie era anche qualcos’altro.

Era i libri che leggeva in biblioteca, il fiore nel vaso scuro, l’albero che germogliava irresistibilmente nel cortile, le discussioni violente che aveva con il fratello, che pur amava teneramente.

Era il dolore segreto e disperato di Katie, ed era anche la vergogna di suo padre che tornava a casa ubriaco.

 

Betty Smith con il suo romanzo ci offre un affresco le cui immagini di una Brooklyn formicaio sono ben delineate: strade brulicanti di vita, locali fumosi, vicoli putridi, famiglie operose.

L’atmosfera che pervade il lettore fin dalle prime pagine può forse indurre alla tristezza, se leggendo però riusciamo ad entrare nell’animo della protagonista, ecco che la tristezza si attenua e si trasforma in ottimismo.

Nonostante sia vissuta nei primi del ‘900, Francie potrebbe essere un’adolescente dei nostri giorni, con la sua smania di crescere, le sue paure e i suoi piccoli e grandi segreti.

Ciò che rende unica la nostra piccola donna è la fame di cultura, proviene da una famiglia semi analfabeta ma è perfettamente consapevole dell’importanza della lettura e della conoscenza: vuole imparare e niente e nessuno la fermerà in questo suo proposito.

Se c’è qualcosa forse di debole ne Un albero cresce a Brooklyn è il finale: terminiamo le 570 pagine ma rimaniamo un po’ perplessi, un finale non finale che però permette al lettore di continuare a fantasticare su ciò che la vita riserverà ancora alla piccola grande Francie.

 

Pregò: “Mio Dio, concedimi di essere qualcosa in ogni istante di ogni ora della mia vita.

Fammi essere felice o triste; fa che io abbia caldo o freddo; che abbia poco o troppo da mangiare; che sia vestita elegantemente o con degli stracci; degna di stima o peccatrice.

Ma concedimi di essere sempre qualcosa in ogni istante.

E concedimi pure di sognare quando dormo, in modo che non vi sia un solo momento della mia vita che vada perduto”.

 

SINOSSI

 

È l’estate del 1912 a Brooklyn. I raggi del sole illuminano il cortile dove abita Francie Nolan e le chiome dell’albero, come grandi ombrelli verdi, riparano la sua abitazione. Alcuni lo chiamano l’Albero del Paradiso perché è l’unica pianta che germogli sul cemento e che cresca nei quartieri popolari.

Francie lo guarda contenta perché oggi è sabato ed è un bel giorno a Brooklyn; è ancora una bambina e vive in una famiglia povera che stenta ad arrivare alla fine del mese.

La piccola Nolan è destinata a diventare una donna sensibile e vera, forte come l’albero che, stretto fra il cemento di Brooklyn, alza rami sempre più alti al cielo.

 




MUFFIN ZUCCA E CANNELLA

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

OTTOBRE

MUFFIN ZUCCA E CANNELLA

 

Ottobre si sa, è il mese della zucca un ortaggio molto versatile, economico e dal sapore leggermente dolciastro che delizia palati di adulti e piccini.

La maggior parte di noi utilizza la zucca per preparare risotti e vellutate, qualcuno prova zucca al forno o in sformato, altri azzardano golosi dolci.

Per questo mese vi propongo la realizzazione di facilissimi e ottimi muffin, da mangiare a colazione o con il the pomeridiano, ma anche appena stiepiditi perché il loro profumo li rende veramente irresistibili.

Zucca per me è anche sinonimo di viaggio e amicizia, questo perché proprio ad ottobre si festeggia il compleanno di Sette Zucche!

Se con questo ho stimolato un po’ la vostra curiosità, con un muffin tiepido in mano e una tazza di the nell’altra, andate a dare un’occhiata qui http://paroleinzucca.com

Qui vi troverete chi sono le meravigliose Sette zucche, perché si chiamano così e in che cosa consiste il loro viaggio.

 

 

INGREDIENTI per 12 muffin:

130 gr. di zucca già cotta e frullata

300 gr. di farina 00

200 gr. di zucchero di canna

2 uova

50 gr. di olio di semi

1 bustina di lievito

1 cucchiaio di cannella

 

per la decorazione:

granella di zucchero e cannella

 

 

PROCEDIMENTO:

In una ciotola mettete tutti gli ingredienti in polvere, in un’altra sbattete insieme la zucca con le uova e l’olio dopodichè aggiungeteli , mescolando bene, alle farine.

Riempite per ¾ dei pirottini inseriti nell’apposita teglia per muffin, cospargete con un pizzico di cannella e la granella di zucchero.

Infornate a 180° forno statico per circa 15-20 minuti.

 

Appena cotti cercate di pazientare finchè saranno tiepidi, sarà arduo!!!!

 

Tempi di conservazione: 2-3 gg in un contenitore con coperchio.

 




I baci sul pane, di Almudena Grandes

I BACI SUL PANE

Di Almudena Grandes

Ed. Guanda

 

 

 

Questa è la storia di molte storie, la storia di un quartiere di Madrid che si ostina a resistere, a restare uguale a se sesso anche nell’occhio del ciclone, al centro di una crisi che minacciava di travolgerlo e che invece non ci è ancora riuscita.

 

Leggere Almudena Grandes significa entrare a far parte di una storia, e il sentirsi protagonista di una storia è la soddisfazione forse più grande di chi ama la letteratura.

I baci sul pane è un romanzo corale dove le vite delle persone si incrociano, si allontanano, quasi fino a perdersi, per poi ritrovarsi.

Le voci narranti sono per lo più femminili, e le donne della Grandes sono eroiche, forti e deboli allo stesso tempo; sono donne giovani, vecchie, belle e brutte, ma tutte allo stesso modo capaci di rialzarsi dopo l’ennesima grave caduta.

La bellezza della scrittura di questa grande scrittrice sta nel fatto che i personaggi di questo quadro variopinto e mutevole, sono descritti in modo tale da risultare come se fossero nostri conoscenti o addirittura familiari. E come quindi non essere coinvolti? Come fare a non prendere le parti di uno piuttosto che dell’altro?

Leggiamo quindi, gioiamo, soffriamo e combattiamo al loro fianco per resistere a tempi difficili che nello specifico riguardano Madrid, ma che sono comuni a molte altre città e nazioni.

I baci sul pane è inoltre un romanzo sul ricordo, sulla solidarietà, sull’amicizia e sulla difesa dei diritti nel quale si parte da un gesto simbolico del baciare il pane per sottolineare come il ricordo del passato possa permettere a persone che rischiano di perdere tutto, di non abbattersi e di non perdere la propria dignità.

 

In Spagna, fino a trent’anni fa, i figli ereditavano la povertà, ma anche la dignità dei genitori, imparavano un modo di essere poveri senza sentirsi umiliati, senza perdere la dignità e senza smettere di lottare per il futuro.

Vivevano in un paese in cui la povertà non era motivo di vergogna, né tantomeno un pretesto per arrendersi.

 

Almundena Grandes è venuta a mancare quasi un anno fa dopo aver perso la sua battaglia contro il cancro, era una scrittrice intensa e passionale le cui storie lasciano un segno indelebile in chi le legge.

Dopo la Figlia ideale e Anni difficili, non ho potuto fare a meno di proporvi questo suo libro pubblicato quasi in sordina nel 2016, ma oggi molto attuale.

 

 

SINOSSI

 

Siamo in un quartiere al centro di Madrid dove persone, famiglie, giovani e anziani si ritrovano a dover affrontare una crisi lunga e pesante.

Amalia teme che il negozio delle cinesi che sta aprendo di fronte al suo; il bar di Pascual che diventa il crocevia di tanti destini e delle loro battaglie. Una dottoressa  combatte contro la chiusura del consultorio dove lavora mentre un uomo divorziato piange la sua solitudine.

Tante storie che si intrecciano e ci parlano di resistenza, coraggio, amicizia e amore.

 




LA MOSSA DEL MATTO

LA MOSSA DEL MATTO

di Alessandro Barbaglia

Ed. Mondadori

 

 

“Ma da chi ha imparato a giocare quel ragazzino?”

“Ha imparato a farlo da Dio!” si comincia a sussurrare.

Perché dopo ogni partita, anche dopo le sconfitte, nessuno riesce a credere che quel bambino timido e impacciato dalle orecchie a sventola, abbia solo undici anni.

E infatti ne ha oltre tremila.

E infatti è Achille.

 

 

il sottotitolo di questa incredibile storia, L’Iliade di Bobby Fisher, è preannuncio dell’originalità di ciò che andremo a leggere.

Alessandro Barbaglia con La mossa del matto ci pone davanti un parallelismo che può sembrare, all’inizio, molto poco probabile, per non dire assurdo.

Eppure questo giovane e geniale scrittore non si limita ad un mero resoconto dei fatti, ancorchè straordinari, avvenuti nel 1972 e dintorni, lui ci pone davanti agli occhi due eroi il cui destino è identico, segnato e ingrato.

Bobby Fischer e Achille cadono entrambi nella trappola dei loro avversari, i quali li sconfiggeranno colpendoli a morte nell’unico loro punto debole.

Se pensate di leggere una fredda e tecnica cronaca di quel che successe, ebbene vi sbagliate; quello che andrete a leggere è una storia che sembra inventata di sana pianta da quanto ha dell’incredibile: uno scontro fra Titani ai giorni nostri, Achille che ritorna per combattere ma che, ancora una volta sarà sconfitto.

Alessandro Barbaglia scrive pagine di emozione pura, affianca due uomini dal fisico possente come roccia, ma dall’animo fragile come cristallo: Bobby e Achille che, al di sopra di ogni nostro sospetto, hanno paura.

Sotto l’ombra inquietante della Guerra Fredda, la storia sembra limitarsi ad un arco temporale di soltanto due mesi.

Ha invece contorni epici che fanno da sottofondo alla sfida del secolo, quella tra il campione del mondo di scacchi il sovietico Boris Spasskij, e lo sfidante americano privo di licenza elementare, Bobby Fischer.

Ulisse contro Achille, con il finale che tutti noi conosciamo bene, ma che ci ostiniamo a non voler capire fino al termine del torneo.

E questa è la bravura di Barbaglia, rendere unica ed emozionante la storia conosciuta da tutto il mondo, raccontata da lui stesso in modo circolare con ritorno finale al luogo da dove tutto ha avuto inizio: la casa sul lago.

 

 

Adesso tutto diventa difficile.

È difficile anche solo provare a dire quanto tempo passi.

Forse un attimo, forse un minuto, forse ore.

È difficile dire per quanto tempo Bobby Fischer resti con il gomito puntato sul tavolo a fissare la scacchiera, con l’indice della mano destra sulle labbra.

È difficile dire quante cose accadono in quel nulla che accade.

Ma è in quell’istante che Bobby Fischer muore.

Giovane. Eroe. Tradito dal suo avversario.

 

 

SINOSSI

 

La mossa del matto è la storia di una vita, quella di Bobby Fischer, che da quando ha solo sette anni capisce di avere un solo obiettivo, un solo e unico destino: giocare una finale mondiale di scacchi. L’11 luglio 1972, Bobby a ventinove anni, in Islanda, sta per iniziare la sfida del secolo con il campione del mondo Boris Spasskij.

 

 




CROSTINI CON MOSCARDINI ALLA LUCIANA E SCAGLIE DI PECORINO

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

SETTEMBRE

CROSTINI CON MOSCARDINI ALLA LUCIANA E SCAGLIE DI PECORINO

 

Negli ultimi anni, la portata più richiesta nei pranzi e nelle cene è rappresentata dall’antipasto, e nello specifico dai finger food: il cibo da prendere con le dita.

Addio dunque a coltelli e forchette nei buffet, negli apericena o nel brunch, e via alle pietanze da gustare senza posate muniti soltanto di una salvietta.

Un posto di rilievo lo occupano i crostini: fettine di pane preferibilmente tostato, farcite con ogni ben di Dio: alimenti crudi o cotti tagliati o sfilettati in modo da facilitare morsi golosi.

Questo mese vi propongo una sfiziosa e succulenta ricetta per preparare dei crostini che potrete servire come aperitivo o antipasto, aumentandone le dimensioni e accompagnandoli da un contorno fresco questi crostini diventeranno –oni e costituiranno un pasto completo.

 

 

Ingredienti per 4 pers.

 

-Fettine di pane bruscato preferibilmente integrale o ai cereali

-gr.600 di moscardini

-pomodorini pachino

-olio evo, aglio, prezzemolo

-pecorino semistagionato a scaglie

 

 

Procedimento:

 

In una pentola di coccio, se non l’avete va bene anche una pentola normale, mettete i moscardini puliti e lavati bene, l’olio, l’aglio, un po’ di prezzemolo e qualche pomodorino tagliato a pezzi. Il sale lo metterete soltanto se serve, al momento finale dell’assaggio.

Coprite bene e lasciate cuocere a fiamma media. Ci vorranno almeno 30 minuti, verso metà cottura scoperchiate e lasciate asciugare a fiamma veloce.

Quando i moscardini saranno pronti, fateli intiepidire e appoggiateli con la loro salsina sui crostini; finite con prezzemolo tritato e il pecorino a scaglie.

Sono subito pronti da mangiare utilizzando solo le dita.

 

 

P.S. per la cottura potete utilizzare anche la pentola a pressione, i tempi saranno inferiori di circa la metà ma ricordate alla fine di far asciugare togliendo il coperchio.




LE CASE DEL MALCONTENTO Di Sacha Naspini Ed. e/o

LE CASE DEL MALCONTENTO

Di Sacha Naspini

Ed. e/o

 

 

Le Case è un posto che ti chiude l’anima.

Le Case è un cuore nero piantato in mezzo al pancione di Maremma,

che si traveste piena di sogni

e dopo te lo ficca nel didietro a brutto muso.

 

Quando si ha la capacità di scrivere come Sacha Naspini, bisogna anche assumersi la responsabilità di lasciare un grande vuoto nel lettore che legge le ultime righe del suo ultimo lavoro: Le case del malcontento.

Questo perché arrivati al punto finale è impossibile sollevare lo sguardo senza chiedersi: “E ora?”

La scrittura di Naspini rapisce e non lascia più andare, una specie di sequestro del lettore.

Quando poi la pagina successiva è bianca e il “sequestrato” torna alla realtà, esso non è più lo stesso; capita quindi di ritornare ai primi capitoli, perchè Le Case non ti permette di andar via.

Le case del malcontento graffiano e le cicatrici che lasciano portano i nomi dei protagonisti di quella che non riusciamo a definire se storia o favola: Adele, Filippo, Samuele, Giovanna, Sonia, Adelaide…

I capitoli si rincorrono e i rimandi continui non permettono al lettore di rilassarsi, la suspence è dietro ogni pagina.

È vero infatti che la lettura di questo originalissimo romanzo non è una tranquilla passeggiata, al contrario una salita dura e accidentata.

Arrivati poi alla cima, già siamo consapevoli che un lieto fine non ci sarà, Sacha Naspini ha in riservo per noi un finale al cardioplama: un baratro nero e implacabile che tutto inghiottirà.

A Le Case tutti sono innocenti e nessuno lo è; ognuno di loro sarà vittima e carnefice…

 

Le Case è un mostro che ingrassa ad ogni respiro,

e allora io ne spengo uno per volta,

fino all’ultimo,

che sarà il mio.

 

Le case del malcontento è un romanzo corale, dove si ama, si uccide, si odia, si vendono figli, si ruba; un viaggio nei meandri più oscuri dell’animo umano che non concede sconti a nessuno.

La Maremma toscana prende vita  dallo stile tagliente, profondo ma mai banale di uno scrittore che, mi auspico, farà molto parlare di sé e continuerà a travolgerci piacevolmente nelle sue storie.

 

 

SINOSSI

 

Le Case è un borgo nell’entroterra toscano, un paese morente dove gli ultimi abitanti trascinano le loro stanche vite. Un posto dove i giorni sono sempre uguali nel susseguirsi di buongiorno e buonasera all’apparenza cordiali ma, nella sostanza, mai sinceri.

Fino al giorno in cui la piccola comunità viene sconvolta dal ritorno improvviso di Samuele Radi, nato e cresciuto nel borgo vecchio e poi fuggito nel mondo.

Il suo ritorno a casa dà vita alla storia di questo paese dove ognuno è dato in pasto al suo destino.

 

 

 

 




LA LIBRERIA SULLA COLLINA di Alba Donati

LA LIBRERIA SULLA COLLINA

Di Alba Donati

Ed. Einaudi

 

 

Da quando ho aperto la libreria, non c’è conversazione che non includa la domanda: “ Come le è venuta l’idea di aprire una libreria in un paesino sperduto di 180 persone?” […]

Come mi è venuto in mente?

Le cose non vengono in mente, le cose covano, lievitano, ingombrano la nostra fantasia mentre dormiamo.

Solo queste poche righe dovrebbero indurre qualunque lettore ad acquistare La libreria sulla collina. Ad ammirarne la copertina, annusarne l’interno, sbirciare la seconda copertina, ed infine ad aspettare.

Sì perché con questo romanzo autobiografico di Alba Donati, non bisogna andare di fretta, è necessario centellinare le parole, assaporarlo piano piano, altrimenti finisce troppo presto.

La libreria sulla collina è un libro che parla di libri, un romanzo che racconta di luoghi e persone coraggiose accomunate dalla passione travolgente per la letteratura.

Alba Donati è una donna come poche, che con una forza incredibile lascia una città come Firenze dove ha studiato, vissuto e lavorato, per trasferirsi in un piccolo centro di 180 anime, in cui aprire una libreria.

Un negozio piccolo in un paesino sperduto sulle colline toscane, magico come una scatola del tesoro; la grandezza di una libreria non si misura in centimetri: una stanza piena di libri è l’infinito a portata di mano.

A Lucignana esiste davvero questo posto incantato, retto da persone forti, da una famiglia unita che insieme resisterà ad incendi, pandemia e calamità.

Leggendo le parole di Alba Donati, scandite da date, volumi acquistati e ordinati su internet, da persone che vanno, vengono e a volte restano, non si può non provare l’urgenza di andare a visitare questo posto meraviglioso.

Scorriamo avidi le pagine, godendo di un’ esperienza unica; ci nutriamo della caparbietà femminile e dell’amore per le storie di chi vuole farle conoscere e circolare.

I libri che entrano, escono e per un po’ di tempo stazionano nel piccolo cottage letterario, sono tutti dotati di un’anima, sono come figli della nostra libraia, e come tali sempre presenti nella sua mente.

 

Il pensiero va sempre al mio piccolo cottage pieno di libri.

So che soffrono il freddo e l’umidità, tremano e talvolta le copertine si alzano a ricciolo, segno evidente del loro disagio, della paura di essere abbandonati.

Invece nelle giornate di sole, quando lasciamo perfino la porta aperta, li vedo che sorridono e mi ringraziano.

 

Leggete con devozione questo diario, con i giorni scanditi da titoli che ritroverete più volte, e in cui vi ritroverete.

 

 

SINOSSI

 

Nel dicembre 2019, alle porte della pandemia, Alba Donati decide di cambiare vita e aprire una libreria a Lucignana, poche case sull’Appennino lucchese. Lo fa grazie ad un crowdfunding e al passaparola sui social. Da subito la libreria diventa un luogo di pellegrinaggio, di parole in comune, di incontri speciali.




SPICCHI DI MELANZANE CON CIPOLLA DI TROPEA

“UN MESE, UN PIATTO, UNA STORIA…”

AGOSTO

SPICCHI DI MELANZANE CON CIPOLLA DI TROPEA

 

 

Diversi anni fa, quando già cucinavo parecchio, ho incontrato in tv una cuoca londinese molto particolare, Nigella Lawson. Di lei mi piace tutto, come si veste, le misure non proprio slim e il suo modo poco consono di leccarsi le dita quando mangia pietanze con le mani.

Nigella Lawson è una cuoca che non si sofferma troppo su pesi e procedure, che va molto a naso, che non disdegna accoppiamenti inusuali, e che ama moltissimo l’Italia e le sue ricette tradizionali.

Uno per volta ho comprato tutti i suoi libri, e ho sperimentato moltissime delle sue meravigliose e succulenti ricette.

Ultimamente mi mancava l’ispirazione, mi sentivo ripetitiva, e sono andata a riprendere i suoi libri di ricette pieni di foto bellissime, li ho sfogliati  e ho trovato il piatto che vi propongo qui per le vostre cene d’estate.

 

 

INGREDIENTI per 4 pers:

 

3 melanzane scure medie

2 cipolle di Tropea

olio, sale,  aceto di vino, pepe, aglio, origano fresco.

 

 

PROCEDIMENTO:

 

Lavate le melanzane e tagliatele a spicchi. Appoggiatele sulla placca del forno, intaccatele con un coltello e conditele con sale, pepe, olio extravergine e origano.

Infornate a 200° avendo cura di rigirarle una volta.

Mentre le melanzane cuociono, affettate sottilmente le cipolle a rondelle, apritele con le mani, mettetele in un contenitore basso e largo, e conditele con aceto e sale. Ogni tanto giratele,  diventeranno, pian piano, di un bel fucsia brillante.

Quando le melanzane saranno cotte, morbide e leggermente rosolate, appoggiatele da calde su un vassoio da portata.

Scolate le cipolle dalla marinatura, conditele con uno spicchio d’aglio tritato e dell’olio ev; dopodichè con le mani distribuitele sulle melanzane ancora bollenti, cospargetele di origano fresco, o mentuccia, o basilico, e aspettate che si freddino prima di servirle.

Le melanzane così preparate, sono ottime anche il giorno dopo, abbiate però cura di conservarle in frigorifero.

Una ricetta molto semplice che sicuramente vi verrà richiesta, e richiesta ancora.

 

 

 

 

 




IL ROSMARINO NON CAPISCE L’INVERNO di Matteo Bussola

IL ROSMARINO NON CAPISCE L’INVERNO

Di Matteo Bussola

Ed. Einaudi

 

Un romanzo composto da racconti, ognuno dei quali dedicato ad una donna: questo è Il rosmarino non capisce l’inverno, di Matteo Bussola, nato architetto, poi diventato fumettista e scrittore.

La bravura di questo giovane autore è nella capacità di descriverci storie di donne, narrate in prima persona, con frasi e parole che solo una donna può pensare e scrivere.

Il preambolo molto particolare, una specie di incipit lungo, è costituito da domande, apparentemente senza risposta, rivolte ad una interlocutrice non ben identificata, dai contorni sfocati, che può essere tutte o nessuna.

 

A cosa pensa una donna quando, assordata dalle voci di tutti, capisce all’improvviso di aver soffocato la propria?

Di non essersi mai davvero prestata ascolto?

Cos’hai pensato, tu, la mattina o il pomeriggio o la notte in cui, per la prima volta, lo hai capito?

  

Ne Il rosmarino non capisce l’inverno ci sono 18 storie di donne le cui vite sono intrecciate, i cui destini si sono sfiorati, e che si ritrovano tutte per l’ultimo saluto ad una di loro; racconti/capitoli che compongono un romanzo.

Matteo Bussola, con delicatezza e senza pietismo, ci descrive queste eroine che di super non hanno nulla, sono persone quali potrebbero benissimo essere la nostra dirimpettaia, una sorella, una casalinga che porta il cane a spasso nel parco dove andiamo a correre.

Queste donne non volano, non sono capaci di attraversare muri o lanciare dardi infiammati con gli occhi, ma hanno comunque il coraggio di andare avanti anche se fragili, di amare anche se odiate, di resistere alle intemperie della vita come il rosmarino resiste alle sferzate di gelo dell’inverno.

Il bello di questo breve ma intenso romanzo, o di questi 18 racconti, è che in ognuno di essi ritroviamo un pezzetto di noi stesse, e con queste donne ridiamo e piangiamo quasi come se le conoscessimo personalmente.

Leggere questo libro è quasi come andare la prima volta in una giostra, durante il giro ripetiamo a noi stessi che non ci andremo più, ma alla fine qualcosa dentro ci dirà: “ancora, ancora…”

Il rosmarino non capisce l’inverno ci incita a vivere, come se fosse l’ultimo, ogni istante della vita perché…

 

La vita di chi resta, alla fine, non è che questo.

Un insieme di “non”.

 

 

SINOSSI

Una donna sola che in tarda età scopre l’amore. Una figlia che lotta per riuscire a perdonare sua madre. Una ragazza che invece non vuole figli, perché non sopporterebbe il loro dolore. Una vedova che scrive al marito. Una sedicenne che si innamora della sua amica del cuore. Un’anziana che confida alla badante un terribile segreto.




LUPA NERA di Juan Gómez-Jurado

LUPA NERA

Di Juan Gómez-Jurado

Fazi Editore

 

 

Tra i numerosi titoli letti in questa calda estate 2022, mi sono concessa un libro da ombrellone. Un thriller scritto facile, ma non per questo meno emozionante; pagine da divorare in riva al mare, senza che la radio dell’ambulante o gli schiamazzi dei bambini siano riusciti a distrarmi.

Questo perché Lupa Nera, il secondo della trilogia di Juan Gómez-Jurado, cattura dalle prime righe e non lascia il lettore fino alla fine, incalzandolo con un ritmo serrato e colpi di scena che si susseguono implacabili.

La scorsa estate avevo qui riportato le mie impressioni sul primo volume, Regina Rossa, e oggi vi restituisco quella che è la protagonista assoluta di una vicenda mozzafiato: Antonia Scott.

 

 

L’empatia per la disgrazia altrui ha un limite.

Oltrepassato il quale cominci a sentire che la sua sventura è un atto malvagio, la cui vittima sei tu. Non dice neanche questo.

Può darsi che Antonia Scott sia l’essere umano più intelligente del pianeta.

Ma questo non le dà la saggezza per sapere cosa fare né la forza per affrontarlo.

 

 

Juan Gómez-Jurado in Lupa Nera ha avuto la capacità e la bravura di creare un’accoppiata vincente affiancando ad Antonia, una donna dalle capacità speciali e uniche, Jon Gutierrez un gigante buono le cui inclinazioni omosessuali ne fanno un reietto del corpo di polizia cui appartiene da tanti anni.

Abbiamo quindi due persone che sono destinate alla solitudine proprio perché diverse, due che si incontrano e loro malgrado si legano di un affetto come pochi.

Lupa Nera ci regala anche momenti di tenerezza e ironia, piccoli petali di bravura sparsi qua e là per farci riprendere fiato durante la corsa.

Impossibile per il lettore non essere impressionato da Antonia Scott, alternando momenti in cui si ha quasi paura di questo fenomeno ai limiti del soprannaturale, a momenti in cui la si vorrebbe stringere tra le braccia per rassicurarla e difenderla da sé stessa e da chi le vuole male.

 

Una persona come Antonia, che vive segregata nella prigione del proprio cervello, percepisce con molta più chiarezza degli altri esseri umani una verità inappellabile.

Che i limiti del tuo linguaggio sono i limiti del tuo mondo.

Pur senza esprimerlo in questi termini, qualsiasi fanatico della lettura lo capisce in modo intuitivo, e per questo non legge mai abbastanza.

 

 

SINOSSI

 

Nel secondo della trilogia di Juan Gómez-Jurado, Antonia Scott e Jon Gutierrez sono ancora alla ricerca di Sandra Fajardo quando Mentor li convoca per un altro caso al momento più pressante. Si tratta della scomparsa di Lola Moreno moglie di Yuri Voronin, tesoriere di un clan mafioso che opera nella zona di Malaga.

Per Antonia Scott restare viva non è mai stato così difficile.

 




E DAL CIELO CADDERO TRE MELE di Narine Abgarjan

E DAL CIELO CADDERO TRE MELE

Di Narine Abgarjan

Ed. Francesco Brioschi

 

 

Ancora una volta leggo un libro perché rapita dalla copertina: un albero di mele dal quale emerge potente il profilo di una donna. Nel cielo plumbeo volano uccelli neri, e piccola, quasi insignificante, in basso a destra dondola in modo impercettibile, un’altalena.

E dal cielo caddero tre mele cattura la vista con un’ immagine forte e con un incipit travestito da quello che spesso è il finale per eccellenza dei romanzi: la morte.

 

Venerdì subito dopo mezzogiorno,

con il sole che aveva passato lo zenith e scivolava composto verso l’estremità a ponente della vallata,

Sevojants Anatolija si coricò per prepararsi a morire.

 

Questa è la storia della vita di una donna in un villaggio armeno arroccato sulla montagna; un romanzo narrato come fosse un’antica canzone le cui strofe ci cantano usi e costumi di un popolo lontano, di calamità naturali, di guerra.

Narine Abgarjan con delicatezza, musicalità e un pizzico di magia, utilizza come voce narrante quella di una donna, Anatolija, spettatrice,  oltre che protagonista in prima persona, di gioie e sofferenze di una comunità composta da poche decine di anime.

La piccola società che ci viene descritta è, a prima vista, una società patriarcale in cui le donne devono rimanere al proprio posto dietro l’uomo.

Da una lettura più attenta però si evince come effettivamente siano le donne, in silenzio e con molta discrezione, a manovrare sapientemente i fili del telaio della vita.

Un romanzo, questo di Narine Abgarjan che inizia con un presagio di estinzione, e termina con un messaggio di speranza per cui la vita, a dispetto di tutto ciò che la funesta, ha la meglio sulla morte.

E dal cielo caddero tre mele è ambientato in un villaggio armeno che sembra destinato a dissolversi e invece, con tutta la forza e la caparbietà di gente tenace, si mantiene ben saldo, aggrappato alla montagna con le sue mani di pietra.

La divisione in tre macrocapitoli ci costringe a fare una pausa di riflessione tra l’uno e l’altro, permettendoci di rimanere nella storia, di non perderne neanche un filo, di tenere un ritmo basso che ci faccia godere di frasi poetiche.

 

Sevojants Anatolija si era coricata per prepararsi a morire senza immaginarsi la felicità che l’attendeva, […]

..la notte maga avrebbe difeso la sua gioia facendole rotolare fra le mani le mele che,

come vuole la leggenda di Maran, avrebbe fatto per lei cadere dal cielo:

una per chi ha visto, una per chi ha saputo raccontare e una per chi ha ascoltato e creduto nel bene del mondo.

 

SINOSSI

A Maran la vita è sospesa tra realtà e fiaba, in un tempo che prende forma, per poi trasfigurare, evaporare. Qui, in questo paesino di pietra e antiche credenze sul cucuzzolo di una montagna armena, guerra e calamità naturali travolgono, pare per sempre, la fragile quiete della sua manciata di case.