Il segreto dei suoi occhi

Un efferato omicidio mai risolto, la ricerca del colpevole e la vendetta in un thriller tutto psicologico. Questo in estrema sintesi è  “Il segreto dei suoi occhi“, remake di quel film argentino che uscì nelle sale nel 2009, un grandissimo successo, isperato ma legittimo, coronato dall’Oscar come miglior film straniero. E dunque, a distanza di pochi anni arriva un remake firmato USA, del resto non è un “segreto” appunto che Hollywood cerchi plagi in giro per il mondo, mai tanto a corto di idee come in questi ultimi anni.

Un remake tutto in territorio USA, dove al posto dei colonnelli argentini la parte dei cattivi la faranno altri, insospettabili personaggi senza scrupoli.

Billy Ray, sceneggiatore di successo, reduce dall’ottimo “Captain Phillips” si trasferisce in cabina di regia, portando l’azione nella Los Angeles di fine 2001, ancora sconvolta dal recente attentato alle Torri gemelle, avvenuto qualche mese prima a New York. Gli investigatori FBI , il duro Ray e la bella Jess si ritrovano loro malgrado, a indagare sull’omicidio della figlia adolescente di Jess. L’indagine, in un intricato mistero senza prove schiaccianti si porterà avanti per anni, fino ad una serie di colpi di scena finali che per chi non ha visto l’originale risulteranno di grande impatto emotivo.

Il film funziona sia per tensione che per ambientazione, considerando la robusta base narrativa ereditata a cui gli sceneggiatori hanno solo dovuto regalare una veste nuova, con un finale leggermente apocrifo che rende il film un ottimo thriller psicologico. Cast d’eccezione con la brava (per una volta) Julia Roberts, efficace e tormentata in una sorta di lenta trasfigurazione fisica rispetto al dramma che vive, in bilico tra l’esser vittima e investigatrice di quel fatto di sangue. Al suo fianco, nel duplice ruolo di collega e confessore Chiwetel Ejiofor (nomination agli Oscar per “12 anni schiavo“) nel ruolo del protagonista maschile, bene ma non benissimo Nicole Kidman, leggera ed elegante come sempre ma forse penalizzata da un ruolo troppo striminzito seppur chiave nella decodifica del mistero.

Mauro Valentini

 




La zuppa DETOX, per purificare l’organismo nella stagione autunnale

Impariamo a usare gli alimenti per recuperare le energie nella stagione autunnale e migliorare la protezione del nostro organismo dalle malattie da raffreddamento: gli alimenti utilizzati per preparare la zuppa detox sono l’ideale.

 

Disintossicare significa pulire il nostro organismo dalle tossine esogene che si sono accumulate a causa di uno stile di vita poco sano. Il fine è quello di migliorare il nostro stato di salute generale.

Come si accumulano esattamente le tossine?

Attraverso il consumo di cibo spazzatura, bevande nervine, assunzione di farmaci, stress psicofisico, tabagismo, inquinamento ambientale.
La zuppa detox ha la funzione di favorire la depurazione dell’organismo dalle sostanze nocive e migliorare le difese immunitarie, perché ricca di diversi tipi di antiossidanti e fibre. Risulta un valido aiuto in caso di raffreddore e influenza, specie quando consumata calda e in modo particolare la sera.
La ricetta che vi propongo di seguito è adatta ai vegani, può essere consumata in caso di allergia/intolleranza al glutine, rispetta la stagionalità dei prodotti ortofrutticoli ed è una deliziosa zuppa autunnale.

Cosa occorre per la preparazione:

3 carote, 3 coste di sedano, 10 pomodorini tipo ciliegino, ½ cipolla rossa, un testa di broccolo, ¼ di cavolo cappuccio viola, ½ cavolo verza, 2 spicchi d’aglio, 1 cm di radice di zenzero fresca tagliata finemente, 1 cm di radice di curcuma fresca tagliata finemente, il succo di ½ limone appena spremuto, 1 peperoncino piccolo, un pizzico di sale integrale fino, acqua quanto basta.
Pulire e tagliare tutti gli ingredienti in parti di dimensioni medie e far cuocere in acqua bollente, rispettando i diversi tempi di cottura degli ingredienti.
Quando la zuppa sarà pronta, aggiungere un cucchiaino di semi di zucca essiccati da agricoltura biologica e servire in tavola.
Il mio consiglio è di consumare questa pietanza almeno una volta alla settimana, preferibilmente al pasto serale.

L’effetto benefico ci aiuterà a combattere la stanchezza tipica di questa stagione; inoltre mantenere il nostro organismo il più possibile libero dalle tossine ci aiuterà a migliorare il riposo notturno e accrescere il nostro benessere psico-fisico.

 




Spectre – La folle corsa di 007 per le strade di Roma

Il vostro piano doppio zero ormai è troppo obsoleto, siete roba vecchia”.

Un piano sequenza da scuola del cinema, appena dopo il jingle immortale dei film di 007, dieci minuti iniziali da mozzare il fiato per capacità di ripresa: si presenta così “Spectre” ennesima fatica per l’agente segreto meno segreto del mondo.

Siamo a Città del Messico, il nostro eroe è a caccia di informazioni su una terribile organizzazione mondiale che vuole governare il mondo abbattendo (anche loro) i governi democratici. Solo che non ha nessuna autorizzazione per farlo e questo sta complicando le strategie dei suoi superiori, in difficoltà con Sua Maestà per il rinnovo del “piano doppio zero” di cui lui è l’agente numero 7.

Il vostro piano ormai è troppo obsoleto”: ecco l’accusa che a “Mister M” e a Bond non va proprio giù. Così, Quando 007 torna a Londra, scopre che il mistero dello Spectre corre lungo un filo di loschi e potenti figuri tra Roma, Innsbruck e Tangeri, con il deserto marocchino ricco di sorprese. E di sorprese questo film, secondo consecutivo diretto dalla sapiente mano di Sam Mendes ne ha da vendere, un susseguirsi di azioni e reazioni divertenti, che non scade mai, per fortuna, nella sindrome dell’effetto speciale in stile “Mission Impossible”, dosando invece e diluendo nei serratissimi 150 minuti sentimento, retorica e sorprendenti colpi di scena.

spectrescenafilm spectreleaseydoux spectre007locandinafotocentraleLe riprese a Roma poi, che fanno emettere agli spettatori un divertito brusìo di sorpresa, sono di una (grande) bellezza accecante; si riconoscono l’edificio in stile fascista del Planetario all’Eur, trasformato in un cimitero per l’occasione, per poi volare letteralmente tra il Gianicolo, il Fontanone, Lungotevere e via Nomentana che, a dispetto delle polemiche e dei disagi creati durante le riprese, mai così bella sotto le ruote della “Bond-Car”.

L’intreccio narrativo è accattivante e impossibile da rivelare per non rovinare il divertimento degli appassionati del genere, anche se questa è comunque un’opera di grande intrattenimento, quindi per tutti e non solo per chi ha amato l’infinita saga nel passato. È la prosecuzione diretta di “Skyfall” e in un certo senso è un film perfetto, se si riesce ad accettare come scontato il fatto che Bond, James Bond non si fa un graffio neanche se cade da un aereo o se impatta a 200 all’ora con la sua macchina.

La magia dell’eroe è questa del resto.

Girato con grande coraggio in pellicola 35 millimetri, che regala dei colori che restituiscono un senso di Cinema d’altri tempi, si affida moltissimo allo sguardo spigoloso e concentrato di Daniel Graig, davvero molto bravo, ma anche su altri due grandi attori come Lea Seydoux, che scalda il cuore del tenebroso agente e di Christoph Waltz, cattivo, spietato e sorridente in perfetto stile antagonista.

La nostra Monica Bellucci è relegata, nel passaggio romano dell’agente in un ruolo piccolo piccolo e anche poco comprensibile narrativamente, Lei ce la mette tutta e cerca, ma non riesce, di lasciare il segno in quelle pochissime battute che le toccano in dote dalla sceneggiatura, spazzata via poi dagli eventi e dai percorsi di una storia che seppur antiquata funziona ancora benissimo, come l’Aston Martin DB5 color grigio cielo a cui Bond non riesce proprio a separarsi.




Federica Mangiapelo, tre anni e mille ricordi

Una chiesa gremita, piena di giovani. Tre chitarre, un coro e un flauto traverso come colonna sonora, un leggio sull’altare con quella foto che ritrae una ragazzina sorridente e con due grandi occhi, circondata da palloncini rossi e bianchi.

Tre anni, sono già tre anni che Federica Mangiapelo non c’è più, uccisa per mano dell’amore, o meglio, per mano di quella che molti chiamano passione ma che è stato soltanto brama di possesso di un uomo(giovane) su una donna (bambina).

Luigi, il papà di Federica ha il sorriso amaro sul volto, saluta tutti gli amici convenuti con la serenità di chi ha cercato e combattuto per la verità e la giustizia. E ha vinto. È mescolato tra la gente, durante la messa nella chiesa Regina Pacis di Anguillara tanto che il Parroco che officia la funzione lo cerca e quando lo vede la nei banchi di mezzo dice sorridendo: «Luigi non ti avevo visto, dovrò migliorare l’impianto delle luci della chiesa o i miei occhiali» accendendo con un sorriso una cerimonia che avrà la freschezza, i suoni e i canti dei 16 anni di Federica, per tutta Italia: la ragazza del lago. Rossella, la mamma è in prima fila, quasi accanto alla foto, ai fiori, con quella dignità e quel sorriso composto e commosso che ha avuto in tutti questi anni di dibattiti televisivi, tribunali e avvocati.

Non leggo rancore negli occhi di nessuno, in questa chiesa, tra gli amici di famiglia, tra i ragazzi che conoscevano Federica e tra i suoi parenti. Nessuno nomina quel nome, il nome che per i Giudici di primo grado è il nome dell’assassino. Vicino a me Massimo Mangiapelo, lo zio di Federica che ha scritto un libro struggente su questa storia : (http://issuu.com/cronacaedossier/docs/cronaca_dossier/66 ), uno scrittore, un poeta, che mi dice con un sorriso: «oggi sono stato in quella spiaggia, davanti a quel lago, sono stato con mia nipote per ore, parlandole in silenzio.»

La storia giudiziaria è già scritta, blindata da una serie di prove che impongono oltre ogni dubbio la parola fine. Si sono chiuse le carte, i faldoni, le prove i reperti e le perizie medico legali. Si riapriranno per prassi, non cambierà molto, si oscillerà sul peso da dare alla pena giusta. Soltanto sul numero degli anni da passare lontano dalla società.

Quello che rimane vivo sarà il ricordo, i mille ricordi che questa giovane vita così bella, immortalata in quelle foto straordinarie di Laura Rossi che tutti hanno apprezzato e che l’hanno resa immortale.

Rimarrà anche il monito, l’esempio che questa triste fine deve imprimere nelle coscienze di tutti: quello di vigilare sulle storture degli amori malati e possessivi, fermare ogni possibile deriva violenta giovanile, ogni follia cupa e buia come è stata quella della notte di Halloween di tre anni fa, che ha inghiottito per sempre la luce degli occhi di Federica Mangiapelo.

Mauro Valentini




Maze Runner – La fuga

Che Harry Potter abbia cambiato la vita di intere generazioni è un dato di fatto, basta vedere che – notizia di ieri – l’ottavo capitolo della saga (Harry Potter and the Cursed Child), che sarà rappresentato solo a teatro al West End di Londra, ha registrato in poche ore il sold out per tutto il 2016. Il fenomeno mondiale nato dall’immaginazione e dalla genialità di J. K. Rowling ha aperto la strada, infatti, a quelle che oggi possono considerarsi le cosiddette saghe young adult, dove il successo letterario è spesso seguito da una trasposizione cinematografica.

A Harry Potter, quindi, sono susseguiti Twilight, Hunger Games, Divergent e non ultima Maze Runner, ora al cinema con il secondo capitolo, Maze Runner – La fuga. Tutte con caratteristiche comuni e spesso ambientate in un mondo fantastico o in un futuro distopico, hanno rivoluzionato il mercato hollywoodiano, e reso i loro protagonisti delle vere star, basti pensare a Robert Pattinson, Jennifer Lawrence e ora Dylan O’Brien. Il suo Thomas, infatti, è il nuovo eroe delle ragazzine, bello e bravo quanto basta per non passare inosservato, cose che, inevitabilmente, ricade su Dylan stesso, già apprezzato dai più per la sua interpretazione di Stiles in Teen Wolf. Maze Runner, quindi, oltre ad una trama avvincente e diversa dalle altre, ha saputo costruire il proprio successo sui suoi personaggi, sul rapporto di amicizia che si crea e su quella dose di mistero che non guasta mai.

Avevamo lasciato i radurai abbandonare definitivamente il labirinto, convinti che quella fosse la strada per la libertà, salvo poi scoprire che il tutto era solo la prima prova di un piano molto più elaborato che rende la salvezza un miraggio ancora lontano. La Fuga si rivela un film più cupo del precedente, dove le mura “amiche” del labirinto sono sostituite da un paesaggio desertico e distrutto dalle eruzioni solari, nel quale Thomas, Newt (Thomas Brodie-Sangster) e Minho (Ki Hong Lee) cercano di farsi strada, tra “zombie” e nemici, per arrivare al porto sicuro. Nonostante manchi quella tensione e pathos che aveva contraddistinto il primo capitolo, la delusione più grande arriva dalla sceneggiatura, in quanto totalmente diversa dal libro da cui è tratto. E la domanda sorge spontanea: perché?

La gran parte dei fan di queste saghe, infatti, lo sono prima di tutto dei romanzi e nelle trasposizioni cinematografiche si aspettano di vedere tramutate in immagini le azioni che per mesi li avevano emozionati. Tralasciando il fatto che comunque non potrà esser riportato il libro parola per parola, sono i dettagli che fanno la differenza, quelli a cui ci si era affezionati, come un semplice “Tommy” pronunciato da Newt, o un Uomo Ratto vestito totalmente di bianco, senza contare una trama completamente stravolta nel raccontare il tradimento di Teresa (Kaya Scodelario) o la fuga dei radurai.

Il tutto che comunque non aiuta la comprensione di un film che per molti versi risulta poco incisivo e frammentario. Anche sui social network, infatti, i pareri sul giudizio del film sono discordanti, divisi tra chi è fan solamente dei film e chi dell’intera saga letteraria, concorde solo sulla bravura – e bellezza – di Dylan O’Brien. Fatto che da solo non basta, anche perché la qualità di Maze Runner – La fuga non riesce a giustificare le incongruenze della storia. Ci vorrebbe più fedeltà, perché, inutile negarlo, queste saghe devono la loro fortuna ai fan che da anni si appassionano e si affezionano alla vita dei loro beniamini, e che chiedono, anche a discapito della riuscita finale del film, almeno di rivivere sul grande schermo le scene più importanti e alle quali è davvero impossibile rinunciarvi. Detto questo, Thomas e gli altri vi aspettano al cinema, perché, comunque sia, l’avventura continua e merita di essere vista. Poi ditemi da che parte state.




Un torneo di calcio per Enrica

Enrica 2015

Sabato 31 ottobre alle ore 9, presso lo Stadio Comunale di Pomezia, via Varrone 15, si terrà un torneo di Calcio Integrato in ricordo di Enrica, una giovane volontaria de “La Cicala e la Formica Onlus” scomparsa un anno fa.

In campo scenderanno la “Enrica’s Team” e “I giganti” di Nettuno, ma vi saranno anche tante sorprese!

vi aspettiamo!




10° Film Fest: Tremate le Dee son tornate!

di Martina Farci e Mauro Valentini

Una Festa per gli amanti del Cinema, ma del resto, cos’altro dovrebbe esser se non questo? E se il pubblico è il primo protagonista, allora ecco dunque che il “pubblico sovrano” ha votato e ha votato bene! Perché quest’anno vince Il film più bello, segno che le giurie più giuste sono quelle di chi il Cinema lo ama e non di chi lo fa o peggio di chi per mestiere lo recensisce.

Vince “Angry Indian Goddesses” Un film indiano, commovente e bellissimo, che racconta la forza delle donne contro ogni violenza e pregiudizio, tutto narrato con uno stile perfetto, mix geniale di colore canzoni “Bollywoodiane”, risate e dramma da “tutti i particolari in cronaca”. Un racconto allegro e spregiudicato, mai banale in ogni dialogo e che segna forse un punto di non ritorno da parte degli intellettuali indiani, finalmente a fianco delle lotte per l’emancipazione femminile. Fortuna doppia per questo premio perché non solo nobilita una Festa bellissima, ma anche rende possibile la sua distribuzione in Italia, mercato pigro e sempre con la paura di rischiare. Le Dee indiane arrabbiate siamo convinti sbancheranno al botteghino e conquisteranno tutti.

La scelta di non far decidere ad una giuria dunque è stata vincente! Anche se con una formula di voto un po’ caotica e che va migliorata il prossimo anno, ma che come detto restituisce il Cinema al pubblico. Scelta questa tutta del nuovo Direttore Antonio Monda, che sabato alla chiusura della Festa non ha trattenuto la propria soddisfazione per una rassegna davvero di grande qualità. Non tutto è rose e fiori, questo c’è da dirlo e non lo nasconde neanche Monda, che infatti ha chiesto più fondi per il prossimo anno, perché qualcosa andrà regalato anche allo “Star System” e al Red Carpet. Ma il cinema è “Cinema” in sala, non si nutre certo di autografi e selfie, anche se incastonare la perdita di biglietti (preoccupante meno 20%) soltanto alla mancanza di star internazionali sul tappeto rosso sarebbe sbagliato, perché il ridimensionamento c’è stato si, ma in termini di investimento, in pubblicità e nelle sale, non certo in qualità cinematografica.

Straordinario successo di pubblico al contrario per “Alice nella città”, una sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata ai giovani e alle famiglie, che da anni ormai si “preoccupa” di raccontare l’adolescenza ai ragazzi, rendendoli così partecipi di film in cui loro stessi possano immedesimarsi in prima persona. I cosiddetti young adult, infatti, stanno prendendo sempre più il sopravvento tra saghe, commedie e drammi sulla malattia, da risultare però coinvolgenti e maturi anche per gli adulti. Infatti le proiezioni dei film in programma ad Alice della Città sono quelle con il pubblico più variegato, dalle scolaresche che ogni anno invadono l’Auditorium con il loro entusiasmo e il loro “tifo da stadio” ai critici cinematografici che ancora oggi si commuovono nell’immedesimarsi con i problemi adolescenziali. I film proposti anche quest’anno, infatti, hanno saputo toccare argomenti talmente vari da risultare appetibili per chiunque. Si è passati dall’anteprima italiana del kolossal Pan, il film di Joe Wright con Hugh Jackman e Rooney Mara che ripercorre l’infanzia di Peter Pan al dramma familiare Une Enfance, dove il regista Philippe Claudel racconta con una tristezza infinita la storia di due ragazzini costretti a cavarsela da soli visto che la madre è finita nella trappola di alcool e droga. Departure di Andrew Steggall, invece, con delicatezza e sensibilità cerca di guardare l’omosessualità con gli occhi di un ragazzo, senza cadere nella trappola degli stereotipi, mentre Mustang, candidato per la Francia all’Oscar come miglior film straniero, ci porta nella Turchia dove cinque ragazzine sono costrette a vivere prigioniere in casa. A conquistare il pubblico, soprattutto femminile, però, ci ha pensato Game Therapy di Ryan Travis con i divi di Youtube, vale a dire Favij, Federico Clapis, Leonardo Decarli e Zoda, letteralmente presi d’assalto dalle teenager sul red carpet. Alice nella città, quindi, ha saputo calibrare perfettamente un’offerta di film che soddisfacesse chiunque, dai bambini con il proseguo dell’avventura di Belle & Sebastian o con il grande classico Il Piccolo principe, fino al documentario “più adulto” The Wolfpack di Crystal Moselle. E dopo otto giorni di rassegna si possono trarre i primi bilanci, i quali sono più che positivi, con un incremento del 14% tra pubblico e accreditati e un programma che nel complesso ha dato vita a ben 41 proiezioni. Un successo in partenza quasi annunciato visti i titoli presentati e che poi ha trovato conferma, meritatamente, anche nei numeri ufficiali.

Ed ecco i premiati della Sezione Alice nella città:

Premio miglior Film 2015 di Alice nella città è andato a “FOUR KINGS” della regista THERESA VON ELTZ con la seguente motivazione : Per la grande efficacia e sensibilità di quest’opera prima, per la la recitazione travolgente e studiata, per la sua fotografia dai colori freddi ma capaci di trasmettere calore e per il giusto equilibrio tra musiche e silenzi

 Menzione Speciale della giuria Taodue Camera d’oro è stata attribuita a “Mustang” di Deniz Gamze Erguven , con la seguente motivazione : Per la forza e la gioia con cui il film racconta, attraverso una regista forte e matura e un tono allo stesso tempo leggero e drammatico , l’animo di cinque giovani donne e il loro passaggio da un’adolescenza segregata ad un vita adulta imposta, attraverso l’elaborazione della vita e della libertà

Arrivederci dunque al 13 ottobre 2016, che il Cinema sia con Voi.




Suburra Roma senza legge e senza speranza

una scena del film

una scena del film

Una pioggia incessante. La città eterna allagata da un’acqua fredda e livida, tante cravatte e cravattari che come formiche agguerrite riempiono e si agitano dentro locali biechi e abbietti. Sua Santità sta meditando le dimissioni, mentre al contrario le dimissioni le sta cercando di evitare il governo Berlusconi. Inizia così, in quel novembre del 2011 quello che sta diventando senza dubbio il caso cinematografico dell’anno: “Suburra”, ovvero la Gomorra romana, il romanzo criminale degli anni duemila, di Mafia Capitale e di un vorticoso intreccio di interessi malavitosi tra curie, uffici politici, boss del litorale e della periferia, la Sub-Urbe appunto, violenta cinica e maledetta.

Il regista Stefano Sollima ha ormai un’abilità narrativa collaudata da due grandi serie TV come appunto Gomorra e Romanzo Criminale, ma sa anche che il cinema ha altri tempi, altri piani stilistici e che quando ci si è cimentato in passato non ha avuto i risultati che invece gli hanno riconosciuto tutti nel piccolo schermo. Giusto allora chiedere l’aiuto di due grandi sceneggiatori, dai nomi forse non troppo noti al grande pubblico, ma con un curriculum incredibilmente prolifico di successi come Stefano Rulli e Sandro Petraglia.

Ed il tocco si vede subito, perché il progetto (che diventerà neanche a dirlo una serie TV quanto prima) riesce completamente; una storia che si dipana in sette giorni, dal 5 al 12 novembre, sette capitoli distinti che raccontano il tentativo da parte di grandi gruppi criminali di ottenere da politici corrotti la possibilità di trasformare a colpi di cemento e di pistola il litorale della Capitale nella Las Vegas “de’ noantri”.

C’è il referente delle grandi famiglie mafiose, c’è il boss malefico e pazzoide che controlla Ostia, il capo degli zingari e in mezzo a questi “galantuomini” c’è la politica e la chiesa, che sembrano dirigere ma che in realtà appaiono manovrati da chi sa esser così spietato da non risparmiare amici, bambini e giovani donne pur di arrivare al Dio denaro.

Impossibile e sarebbe anche un esercizio di stile inutile raccontare gli intrecci del film, che va vissuto più che visto, tanta è la capacità avvolgente che esprime ad ogni inquadratura. Quello che rimane dentro è un senso di potente impotenza difronte a quello che, si comprende subito dai precisi riferimenti durante tutto il film, non è purtroppo figlio della fantasia degli autori ma aderente alla realtà criminale capitolina. Ed alla “realpolitik”.

Quello che forse nell’opera di Sollima si guadagna in termini di ritmo e spettacolo si perde però in chiarezza narrativa, con qualche inciampo nella logicità del racconto ma che non pregiudica la qualità di un film davvero molto bello e che sarà destinato a far discutere.

Claudio Amendola

Claudio Amendola

Gli attori sono stati scelti con cura, hanno una fisicità prorompente ed esplosiva nei comprimari (ma tutt’altro che coprotagonisti) come Adamo Dionisi e Alessandro Borghi, due boss perfetti nei loro sguardi spietati, mentre un gradino più sotto le “star” di Pier Francesco Favino ed Elio Germano che non brillano come sempre, un po’ travolti dalla cattiveria e dalla velocità di una sceneggiatura scritta senza nessuno sconto stilistico ed emozionale. Un discorso a parte merita Claudio Amendola, che ha un ruolo cardine in questa epopea criminale, è il “deus ex machina” di questa sporca Suburra, un protagonista scritto così bene da lasciare il dubbio che forse la sua bravura sia anche merito delle penne di chi ha creato il suo personaggio.

Mauro Valentini




Il “grande peso” della raccolta differenziata

La storia dietro gli inquietanti sacchi neri

Da diverso tempo a questa parte a Pomezia si è diffuso un fenomeno che facilmente è evidente agli occhi di tutti: i bidoni della spazzatura traboccano sempre più di grandi sacchi neri. Una cosa del tutto lecita, voi direte. La stranezza della loro presenza non sta tanto nella busta di sporcizia di per se, ma da chi viene gettata.

Come in molti sapranno, sia a Martin Pescatore che a Torvajanica da tempo è iniziata la raccolta differenziata. Quest’ultima ormai non costituisce più una novità e rappresenta la soluzione migliore da adottare per i comuni, in termini di riciclo. Molti cittadini, però, si rifiutano di collaborare e di aderire a questa iniziativa. Eh si, perché per molti rappresenta uno sforzo enorme dover buttare la plastica con la plastica, il vetro con il vetro, la carta con la carta e così via discorrendo. Che grande impegno che ci vuole! Per cui, onde evitare di doversi affaticare troppo, diverse persone hanno preferito andare alla ricerca di nuove alternative. Infatti, questi bravissimi “cittadini modello” hanno deciso di raccogliere tutta la loro immondizia, confondendo così i vari materiali -umido e non- all’interno di questi enormi sacchi neri “anti-sgamo”, (se vogliamo così definirli), perché a loro pesa troppo fare la raccolta differenziata.

A chi importa dopotutto del futuro del pianeta e delle risorse rinnovabili e non rinnovabili? Fosse mai che si facesse qualcosa per aiutare l’ambiente e renderlo migliore, cercando di rimediare ai danni che l’uomo stesso ha creato. Tanto vale farsi il viaggio fino a Pomezia, dove ancora non è iniziata la raccolta differenziata, per poter buttare la propria immondizia , così come se nulla fosse.

C’è chi non si abituerà mai e continuerà a lamentarsi della raccolta differenziata, non riuscendo a comprendere completamente la sua importanza. Quest’ultima, però, non rappresenta più una possibilità o una scelta a cui noi possiamo decidere di aderire o meno, ma una vera e propria necessità. Presto anche nella città di Pomezia sarà obbligatorio fare la raccolta differenziata e a breve si terranno delle riunioni con i cittadini per dare informazioni al riguardo.

Quindi, alla fin fine, non scapperete da nessuna parte e questa storia, in ogni caso, non potrà durare a lungo. Non sarà mai che vi decidiate di adeguarvi e semplicemente rispettare le regole facendo il piccolo sforzo di suddividere i vostri rifiuti? Non solo il pianeta, ma anche le future generazioni ve ne saranno riconoscenti… E soprattutto ci farete anche più bella figura, perché sporca non è la spazzatura ma la vostra coscienza.




L’arte del Cinema e l’orrore della guerra al 10°RomaFilmFest

“Un’artista che scriveva con la Cinepresa”. La definizione perfetta per il cinema di Sir Alfred Hitchcock è quella che esce dalla voce di Francois Truffaut, in quella che rimarrà alla storia come la più bella chiacchierata sulla settima arte di tutti i tempi.

Siamo ad Hollywood, è il 1963, Hitch ha appena finito di girare “Gli uccelli”, Truffaut parte da Parigi con un registratore, una interprete e la voglia di capire l’idea di cinema di colui che la rivista “Cahiers du Cinema” ha sempre difeso dai puristi della critica, che lo reputavano (la storia dirà poi a torto) un semplice imbonitore commerciale che sforna grandi incassi e nulla più.

Locandina del film

Locandina del film

Ma per il regista francese no, non è così, egli traduce in un libro straordinario questa chiacchierata di otto giorni, un libro che esce nel 1966 dal titolo appunto “ Truffaut intervista Hitchcock”, “La Sacra Bibbia di ogni cinefilo” dirà uno che di cinema se ne intende come Martin Scorsese. Alla Festa del Cinema di Roma dunque va in anteprima (in Italia uscirà nelle sale nella primavera 2016 proprio in occasione del cinquantenario della prima uscita nelle librerie) il racconto di quell’epico incontro, realizzato da Kent Jones, direttore del NY Film Fest, che confeziona un documentario ricchissimo di parole e immagini, con al centro la voce originale di tanti brani di quella maratona di parole tra i due registi. Una maratona ricca di Humour, tutto inglese, da parte di un divertito e divertente Sir Alfred che gioca con quel giovane e adorato suo collega francese, svelando mille e più trucchi del suo cinema. Da “Vertigo” a Psycho” è un susseguirsi narrativo che incanta e che tracima spesso in nostalgia. “I miei film sono sempre pensati per una sala da 2000 posti piena, non per la visione di uno soltanto”. Ecco forse a distanza di così tanti anni la magistrale lezione che se ne trae da questo bellissimo docu-film è proprio tutta racchiusa nelle parole di Hitchcock.

A margine, approfitto per ricordare che al Teatro dell’orologio in questi giorni “Hitchockchiani” vanno in scena gli ultimi giorni di uno spettacolo bellissimo dal titolo neanche a farlo apposta di “Hitchcock: a Love story”, spettacolo che consiglio vivamente, dal percorso divertente, per cinefili ma non solo ( scheda spettacolo e informazioni: www.teatroorologio.com )

www.teatroorologio.com

www.teatroorologio.com

Di tutt’altra energia visiva l’altro film proposto alla Festa, nella Selezione Ufficiale: “Land of mine” del danese Martin Zandvliet, una sorta di “Hurt locker”se possibile ancor più ricco di suspense. Il film, racconta la storia vera della impossibile opera di bonifica dalle mine avvenuta sulle coste danesi nel 1945. Forse non tutti sanno che i tedeschi credevano che lo sbarco degli alleati si sarebbe verificato proprio li e misero 2 milioni di mine antiuomo sotto la sabbia.

Un manipolo di prigionieri tedeschi dopo la fine del conflitto fu usata come carne da macello per sminare la zona, una storia orribile e raccontata in maniera perfetta e realistica dal regista nordico, un monito contro ogni guerra ma soprattutto la consapevolezza che anche chi era dall’altra parte aveva un cuore, una dignità e soprattutto la voglia di tornare a casa.

land1Bellissimo, chissà se mai riusciremo a trovarlo in futuro in sala, meriterebbe successo e per me è il film di questa Festa.

Mauro Valentini

 

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La fotografia vince sulla distrofia muscolare

Una mente creativa e solidale è talmente potente da riuscire a realizzare il sogno di un bambino affetto da distrofia muscolare di potersi muovere. Con un punto di vista dall’alto, alcuni teli colorati e molti oggetti come brevi prolungamenti, il fotografo sloveno Matej Peljhan è riuscito a donare a Luka la sensazione di potersi muovere. Senza utilizzare la tecnica della ricostruzione delle immagini al computer, Peljhan ha allestito dei piccoli palcoscenici e ha consentito a Luka, che ha la possibilità di muovere soltanto le dita a causa della sua malattia, di salire le scale, cavalcare uno skateboard, andare sott’acqua, giocare a basket, fare il dee jay.

La fotografia illusionista di Peljhan, che si è ispirato all’immagine poetica de “Le Petit Prince” di Antoine de Saint-Exupéry, ha consentito a Luka di vivere gli attimi della vita quotidiana di un bambino, dandogli l’emozione reale di poter superare i limiti dell’immobilità del proprio corpo esile e restituendogli la gioia del divertimento sul viso.

Questa iniziativa dimostra quanto il genio creativo di un artista possa superare il valore della sua stessa opera e quanto l’arte arrivi con orgoglio ad estendere le nostre possibilità percettive, grazie alla tecnica suggestiva utilizzata da Peljhan, che conserva integri i tratti della vita reale di Luka. Questo progetto rappresenta un gesto solidale di profonda umana sensibilità, che attraverso l’esperienza giocosa di questo Piccolo Principe, ha la forza di raggiungere tutti: è il racconto visivo, colorato ed allegro di un viaggio immaginario, quello di Luka, e del suo sogno di poter giocare come gli altri bambini.

 

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Festa del Cinema – Il cielo in una stanza

Martina Farci per Pomezianews –  Non sempre serve in film perfetto perché ci si emozioni. Anzi, spesso succede il contrario, perché è quell’imperfezione che ci permette di rimanere coinvolti a tal punto da farci dimenticare tutto il resto. Ed è quello che succede con Room, il film presentato in anteprima italiana alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma, e che sta già conquistando pubblico e critica di tutto il mondo raccontando la toccante di storia di Mà e Jack. I due sono madre e figlio di  cinque anni, rinchiusi in una stanza dove sono costretti a vivere dopo il rapimento di Mà. Nonostante la prigionia, però, la ragazza cerca in tutti i modi di far vivere al figlio una vita piena e soddisfacente, almeno fino al giorno in cui elaborano un piano per fuggire. Perché il mondo esterno non è esattamente come Jack se l’era immaginato.

Diretto da Lenny Abrahamson, Room è un film potente che si concentra sull’amore materno e su come questo non abbia barriere, e sulla forza che ne deriva. Coinvolgente e commovente – parecchio, bisogna ammetterlo – riesce a trasmettere una sensibilità toccante e ad emozionare per la semplicità con cui un bambino guarda il mondo con quell’innocenza pura e assoluta, impreziosito anche dall’interpretazione di una sorprendente Brie Larson. Assolutamente da vedere, quindi segnatevi questo titolo. Le lacrime, però, dovrebbero sempre essere compensate da risate sincere, ma ad un festival non è mai detto che ci sia questa possibilità. Bisogna essere fortunati, e questa volta, per fortuna, lo siamo.

Mistress America

Mistress America

Noah Baumbach, infatti, con Mistress America si ha trascinati in una New York elettrizzante, raccontandoci la storia di Tracy e Brooke, due sorellastre che non potrebbero interpretare la vita in maniera così diversa. Grazie ad un umorismo sofisticato a ad un’ironia leggera, Baumbach riesce a porre in maniera esaustiva  e convincente il ritratto di due ragazze che prendono la vita con leggerezza, e con quella nevrosi tipica di chi non sa dove andare. Ottime le interpretazioni di Greta Gerwing e di Lola Kirke. Detto questo, siamo ansiosi di scoprire così ci riserverà nei prossimi giorni la Festa del Cinema di Roma. Ad ora, questi sono i due film che più di tutti hanno coinvolto e convinto, per un motivo o per altro. Imperfetti, sì, ma molto emozionanti. E questo basta.

Martina Farci