Il Ponte delle spie

Locandina del film

Locandina del film

Un uomo dipinge placido, guardando la vita che scorre sotto la finestra del suo appartamento di Brooklyn. Sembra un personaggio di nessun interesse, eppure quello è Rudolf Abel, è una spia sovietica in seno agli Stati Uniti nel periodo più buio della storia del mondo post guerra mondiale: il 1959. L’arresto sarà eclatante e dato in pasto ad un’opinione pubblica terrorizzata e già addestrata ad una possibile guerra atomica. Inizia così “Il ponte delle spie”, ventinovesima pellicola nata dal genio di Steven Spielberg. Il “Re Mida” del cinema di fine secolo ritorna in quella che sembra la prosecuzione amara del suo “Salvate il soldato Ryan” datato 1998. Alla fine di quel film, alla fine della II° Guerra Mondiale, il sacrificio di Ryan e di tutti quei soldati morti per liberare l’Europa dal nazismo sembrava aver portato il ristabilimento della pace assoluta tra i popoli, eppure, solo dopo 15 anni tutto sembra sull’orlo del precipizio, con in più la minaccia nucleare.

Rudolf Abel, la spia, viene dunque incarcerato, non collabora, non parla. Come tutte le spie. E mentre tutti ne chiedono a gran voce la pena di morte, la Corte Federale concede la difesa d’ufficio all’avvocato Donovan, idealista, molto preparato e figlio dell’America libera e democratica, che ha il volto, proprio per rimarcare quel sottile filo rosso recuperato da Ryan, di Tom Hanks.

E qui il nostro racconto si ferma, perché è impossibile dire molto di più della trama senza toccare le corde vive di una vicenda che va molto aldilà della “Spy Story”, intrisa com’è di spunti politici più ampi e di storie intime. Il nostro Eroe avvocato si troverà al centro di una trattativa che si svolgerà a Berlino, al culmine di quella crisi che porterà da Est i soldati russi e della DDR ad alzare il muro. Un muro culturale oltre che di mattoni, un muro che ci ricorda che la guerra c’è da sempre e che, forse, l’eredità del “secolo breve” è stata soltanto una lunga scia di guerra di posizione ideologica e di terrore.

Nel cast oltre allo strepitoso Tom Hanks, al massimo della sua carriera così ricca ci sono Amy Ryan, brava e commovente, che con un cognome così non poteva che esser la moglie di Hanks/Donovan, poi Dakin Matthews, personaggio molto televisivo e popolare e l’ottimo Alan Alda. Anche se il duetto tutto ricco di sguardi d’intesa che Hanks instaura con Mark Rylance (la spia Abel), è di quelli che vanno annoverati tra i migliori della storia del cinema e non solo per merito di Hanks. La ricostruzione della fredda Berlino del 1961 da sola varrebbe già il biglietto al botteghino dei cinema, con una musica e una fotografia da kolossal, ma Spielberg non gira solo un grande film, lui come sempre va oltre l’ostacolo, parlando al cuore libero di ognuno di noi, per gridare ancora una volta, l’ennesima nella sua filmografia, che si può e si deve dire basta ai conflitti. Che si può vivere in pace.

Mauro Valentini




Quel fantastico peggior anno della mia vita

Capita che alcuni film vengano giudicati ancora prima di esser visti, e non stiamo certo parlando dei cinepanettoni (con quelli sarebbe lecito farlo). C’è un altro genere che ultimamente ha preso sempre più piede, i cosiddetti young adult. Tralasciando quelli delle saghe, come Hunger Games o Maze Runner, siamo di fronte a numerosi film talvolta sottovalutati o che non hanno ricevuto la giusta importanza. Per fortuna non è il caso di Quel fantastico peggior anno della mia vita. Tralasciando la traduzione italiana (il titolo originale è Me & Earl & the Dying Girl), il film, già vincitore al Sundance Film Festival 2015, è uno dei migliori film dell’anno.

Greg (Thomas Mann) è all’ultimo anno di liceo, ma decide di trascorrerlo cercando di evitare il più possibile i rapporti sociali, in modo da passare inosservato. L’unica persona che accetta è Earl (RY Cyler), un suo amico con il quale realizza bizzarri film amatoriali; almeno fino al giorno in cui sua madre non lo costringe a stringere amicizia con Rachel (Olivia Cooke), sua compagna di classe affetta da leucemia. Quello che all’apparenza potrebbe sembrare il tipico teen movie con propensione per il drammatico, viene prontamente smentito da un film maturo e pieno di citazioni colte che si rivolge sì ai più giovani, ma che riesce a coinvolgere allo stesso modo anche il pubblico adulto. Paragonarlo a Colpa delle Stelle, ultimo grande successo di questo genere, è più che lecito, sia per la difficile tematica della malattia, sia per quel modo quasi spensierato di elaborare il lutto.

Eppure, anche l’inedito Now is Good di Ol Parker o Restless di Gus Van Sant, sono dei chiari ma preziosi esempi di come questi cancer movie parlino con un linguaggio universale, nonostante i protagonisti siano degli adolescenti. Quel fantastico peggior anno della sua vita, però, aggiunge un qualcosa in più. Siamo, infatti, introdotti nel mondo di Greg grazie alla sua voce narrante che ci accompagna nella sua vita, nella sua difficoltà a relazionarsi con i compagni e nella sua paura di crescere.

Quel disadattamento tipico nell’età adolescenziale, quel sentirsi diversi che emoziona e coinvolge ancora di più, come già successo con il cult Noi siamo infinito di Stephen Chbosky o con L’arte di cavarsela di Gavin Wiesen. Tutti film intensi che lasciano il segno, ricordandoci che la vita a quell’età non è solo la scelta del college o il ballo di fine anno, ma che è tanto difficile e ingiusta anche per loro. Solo che la vivono fino in fondo, sempre con il sorriso e con quella voglia pazza e spensierata di non arrendersi mai. Messaggio che vale per chiunque, non solo, quindi, per gli “young adult”. E ce lo ricorda anche Greg in Quel fantastico peggior anno della vita, dove l’ironia e il cinismo si mescolano perfettamente alla drammaticità della storia. Però vi avverto, i pacchetti di fazzoletti servono comunque.

Martina Farci




Incontro pubblico nel Nuovo Comitato di Quartiere di Campo Ascolano

Manuela Vigorita è il presidente del Nuovo Comitato di Quartiere di Campo Ascolano. Desidero fare eco alla sua voce, poiché la sua è una sensibilità fuori dal comune ed il suo sguardo sul territorio è fatto di partecipazione, com-passione, sentimento. Si adopera attivamente e con coraggio, per far rifiorire uno degli spazi urbani a noi così prossimi, eppure così emarginati e dimenticati, come molte aree extraurbane. Il territorio è un luogo, non solo uno spazio: è un organismo vivente che parla di noi, attraverso di noi e, talvolta, nonostante noi.

Venerdì 11 dicembre alle ore 18.30 nelle sale del Centro Anziani di Viale Po si terrà un incontro pubblico, al quale sono invitati a partecipare tutti i residenti, nel quale verrà affrontato il tema importante e delicato della mancanza degli spazi pubblici nel quartiere di Campo Ascolano. Vi invito alla lettura delle parole, che ci consegna Manuela Vigorita:

“Campo Ascolano è un quartiere di circa 6000 residenti. Non una panchina, non un luogo di incontro, non un giardino dove passeggiare. Solo la strada, dove i bambini giocano a tutte le ore, con le macchine che a volte sfrecciano pericolosamente. È una situazione atavica, mai risolta.

Le passate Amministrazioni, non hanno ultimato l’iter burocratico di esproprio dei terreni privati destinati a verde pubblico già dal 1957. Nel 2009 la precedente Amministrazione ha adottato un Piano Particolareggiato Esecutivo, poi approvato con modifiche dalla Regione Lazio nel 2013: il P.P.E. in oggetto prevede in sostanza che la proprietà privata, ancora in possesso di tutti gli spazi destinati a uso pubblico del quartiere, ceda al Comune le aree interessate in cambio della possibilità di costruire molte abitazioni concentrate tutte in una zona specifica, esaurendo in pratica tutta la cubatura realizzabile nel quartiere.

Dopo oltre due anni dalle ultime elezioni, la nuova Amministrazione, nella quale molti confidavano e confidano tuttora, non ha proceduto a dare seguito all’iter urbanistico di Campo Ascolano, né tramite stipula di convenzione con la proprietà privata, né tramite l’emanazione di atti che favoriscano una qualche certezza urbanistica, da sempre carente nel nostro quartiere.

Lo scrivente Nuovo Comitato di Quartiere negli ultimi mesi ha quindi chiesto alle Associazioni presenti sul territorio – Insieme per Campo Ascolano, il Comitato di Quartiere 1993, Fare Verde, il Coordinamento dei Comitati di quartiere e il Centro Anziani – di unirsi in una battaglia comune per risolvere questa antica questione che tutti conosciamo bene. Ci siamo incontrati con la proprietà privata per capire la sua posizione, con l’intento anche di renderci disponibili per una eventuale mediazione con il Comune, e il 30 ottobre abbiamo protocollato una richiesta di incontro con l’Amministrazione, senza purtroppo aver ottenuto alcuna risposta. È da sottolineare che nella scorsa primavera, durante gli incontri aperti con i cittadini tenutisi nel nostro quartiere, gli Amministratori comunali hanno preso pubblicamente l’impegno di comunicare alla cittadinanza che tipo di progettualità intendessero mettere in atto per risolvere una volta per tutte questa ultradecennale problematica ma, ad oggi, le nostre richieste sono risultate vane.

Campo Ascolano deve morire di urbanistica? Noi speriamo di no.

Speriamo che sia possibile progettare insieme un futuro diverso, basato sull’impegno da parte dell’Amministrazione a garantire alle famiglie, ai bambini, agli anziani e alle giovani coppie residenti, spazi pubblici adeguati e necessari a una vita sociale dignitosa. Per poterci incontrare, far giocare i nostri figli non in mezzo alla strada, per svolgere attività di aggregazione e coesione sociale indispensabili ad una convivenza civile, pacifica e partecipata.

Siamo quindi a chiedere pubblicamente al Comune di Pomezia di esprimersi in merito alle sue intenzioni e di incontrare i cittadini venerdì 11 dicembre alle ore 18.30 presso la sede del centro anziani in Via Po, cogliendo l’occasione per comunicare loro e dare delucidazioni in merito al programma urbanistico di Campo Ascolano, senza lasciare spazi a dubbi e senza lasciare gli abitanti privi di risposte e certezze”.




Parola chiave: Partecipazione

Intervista al Segretario del PD di Pomezia Stefano Mengozzi

Seicento giorni da Segretario, un leader giovane eppure molto conosciuto nel territorio, sia per radici che per la sua attività di giornalista a Pomezia e nel territorio Pontino. Incontro Stefano Mengozzi di primo mattino, è stato il Direttore del giornale per cui ho scritto, la confidenza è immediata e non c’è bisogno di preamboli. Un caffè al bar seduti in un tavolo all’aperto, per potersi consentire la prima sigaretta di una giornata che si preannuncia, a giudicare dalle telefonate che riceve, molto lunga. Poi spegne il telefono, è il segno che si può cominciare.

Stefano sei il Segretario del partito da 20 mesi, possiamo già fare un bilancio di questa esperienza? Ti sei pentito?

«No non sono pentito, assolutamente!» sorride della provocazione che forse si aspettava: «Una domanda che mi piace. È un’esperienza faticosa ma molto, molto bella. Quando ho iniziato sapevo che il percorso era di ricostruzione di una classe dirigente del partito, non solo a livello politico ma anche e soprattutto aggregativo, di voglia di condividere e di condivisione. Voglio aggiungere che è anche e soprattutto un’esperienza appassionante. Davvero. Il momento più bello è stata la “Festa de l’Unità” di quest’estate, dove ho ritrovato compagni storici che erano anni che non si affacciavano più alla politica e che ti ritrovi, di colpo, nelle cucine a servire ai tavoli e a collaborare con un entusiasmo nuovo, ritrovato. Che si sentono di nuovo parte di una comunità che vuole fare il bene di tutti.

Sei alla prima grande esperienza politica dopo esser stato osservatore e giornalista. La tua percezione della politica è diversa adesso rispetto a prima?

«Ti confesso che è quasi imbarazzante trovarmi dall’altra parte, con te che mi intervisti, dopo aver per tanto tempo fatto io il giornalista che faceva le domande e che non doveva rispondere. Fammi dire innanzitutto una cosa importante perché ci tengo: questa città ha un’ottima informazione e bravi giornalisti, che tra mille sacrifici, quotidianamente ci mettono passione e sanno andare oltre la semplice notizia. Per quanto mi riguarda, ti rispondo subito: l’essere giornalista è importante perché mi ha regalato la conoscenza del territorio. La sua complessità è evidente e grazie al fatto di essere stato sul campo per anni sai subito quali sono i problemi della gente e quelli di alcune zone del territorio che sono in sofferenza.

Parliamo delle elezioni 2013. Ha pesato per te la scelta di candidare Schiumarini? Quelle primarie hanno sancito forse uno strappo con l’elettorato di sinistra?

«Noi perdiamo nel 2013 per diverse ragioni: innanzitutto la proposta alternativa di Fabio Fucci e del Movimento 5 Stelle ha affascinato la città, è innegabile. Ma perdiamo soprattutto secondo me per la mancanza di fiducia maturata dalla precedente amministrazione. Ora, dire che è colpa di Schiumarini non è corretto, sarebbe troppo semplice. Hanno pesato e non poco invece le questioni giudiziarie e l’incapacità di comunicare quello che avevamo fatto di buono. Pensa soltanto ai fondi ottenuti dalla Regione e dall’U.E. con i “PLUS” (Piano Locale Urbano di Sviluppo n.d.r.) dove Pomezia con la giunta De Fusco arriva addirittura seconda tra i comuni del Lazio, proprio per la qualità del lavoro svolto a livello progettuale. Questo successo della precedente giunta ha consentito di incassare quei fondi di cui ti dicevo, a seguito dei quali quei progetti messi su carta dall’amministrazione De Fusco sono state inaugurate ora dal Sindaco Fucci».

Ci torneremo più tardi alla questione dei PLUS, si sente che è un argomento che Mengozzi vorrebbe sviscerare meglio, per il momento rimaniamo però sulla questione politica del partito.

Sempre a proposito di Schiumarini, e delle Primarie che lo candidarono: tra due anni prevedi il ricorso ancora a quello strumento per decidere chi sfiderà il M5S?

Le primarie del 2013 furono purtroppo una resa dei conti all’interno del partito, non un forte confronto aperto agli elettori. Io lo dico sempre, non è lo strumento delle primarie in se ad esser giusto o sbagliato, ma come lo si usa. Al momento non mi interessa e non mi appassiona sapere se le faremo o no, mi interessa che ci sia “partecipazione” al progetto. Questa deve essere la parola chiave! L’ho detto prima e lo ribadisco. Ci siamo dati un obiettivo : restituire proprio partecipazione e condivisione altrimenti non si vincerà la sfida con il Movimento 5 Stelle».

Si accende un’altra sigaretta e continua sul tema che più gli è a cuore: «negli ultimi anni il PD di fatto era un veicolo buono solo per il periodo delle elezioni. Diciamoci la verità. Il confronto e la discussione politica e programmatica avveniva solo in quelle occasioni. Io ho cercato e sono riuscito, lo dico senza indugio, di farlo diventare di nuovo un punto di aggregazione vero e vivo e di questo posso ritenermi soddisfatto».

Non credi che ci sia bisogno di forze nuove nel partito? Pensi che le prossime elezioni possano esser l’occasione per il PD, ma anche per tutte le altre liste ora all’opposizione, di un cambio generazionale profondo al proprio interno?

«La mia idea è proprio di dare vita ad un radicale rinnovamento all’interno, anche su chi si candiderà nelle liste del mio partito. Se sarà una linea condivisa da tutti lo scopriremo al congresso nel 2017, proprio poco prima delle elezioni comunali. Siamo convinti, come direzione, che solo con una nuova proposta programmatica e con volti nuovi saremo capaci di tornare al governo di questa città».

In questo progetto rivedi un compattamento delle forze di Sinistra o correrete da soli?

La domanda lo sorprende, si prende qualche secondo per rispondere… «vedi, le cose si decidono sempre in due. O comunque insieme. Noi adesso dobbiamo fare un lavoro dentro al nostro partito, è questo il nostro obiettivo assoluto e prioritario per il momento, non quello di cercare alleati. Se proprio però devo pensare ad una coalizione che vada insieme alle elezioni del 2017, non posso non pensare alle forze di sinistra, certamente. Si potrebbe, anzi si dovrebbe ricreare però un gruppo che sia in assoluta sintonia sui grandi temi e sulle sfide ancora irrisolte della città, allora si che ci sarebbe coalizione. Vedremo, è presto per parlarne».

Abbiamo finito, ma Stefano Mengozzi ha ancora qualcosa da puntualizzare. Vuole tornare sull’argomento che gli sta a cuore, quello delle opere realizzate e inaugurate dall’attuale governo della città, le avevamo accennate poco prima parlando dei PLUS.

«Si perché vedi, questa cosa voglio proprio dirla: la vicenda dei plus ha mostrato il lato più basso di questa amministrazione. Peggio della vecchia politica. Fucci ha invitato addirittura Di Battista e Di Maio ad inaugurare un’opera resa possibile dall’Europa e dalla Regione Lazio, gli stessi enti contro cui M5S si scaglia quotidianamente. Ma la questione più importante a mio parere è un’altra: queste opere sono state realizzate appunto a fronte di progetti realizzati e messi in gara dalla passata amministrazione, proprio quello che chi governa la città non sta facendo adesso. Questa situazione è preoccupante perché fa emergere soprattutto la mancanza di progettazione per il futuro. Mi chiedo, dove sono i progetti per far arrivare nuovi fondi Europei o Regionali? Cosa troverà la prossima amministrazione cittadina»?

Mauro Valentini




Il Piccolo Principe – il film

Il 1 Gennaio 2016 uscirà al cinema in tutte la sale italiane il “Piccolo principe”, cartone d’animazione diretto da Mark Osborne e tratto dall’omonimo e famosissimo libro. Tutto ebbe inizio otto anni fa, quando i produttori francesi hanno avuto il via libera dalla Fondazione del patrimonio Saint-Exupéry per poter procedere alla realizzazione di questo ambizioso progetto. Il libro è riuscito a conquistare il cuore di tutti proiettandoci in un universo del tutto nuovo e abitato da strani personaggi, ognuno con un significato ben preciso. Ciascuno di noi, a modo suo, ha instaurato un legame forte e personale con il protagonista, un bambino dai capelli color dell’oro che vive su un piccolo asteroide insieme alla sua rosa.

Il film d’animazione non racconta, però, semplicemente la storia che noi tutti conosciamo, ma mostra il racconto dal punto di vista di una bambina che vive la propria vita in modo rigido, programmato e freddo… Proprio come un’adulta. Una bambina troppo matura per la sua età, abituata dalla madre a vivere programmando il proprio futuro, senza pensare mai al presente o avere tempo per giocare con gli amici. L’incontro con il nuovo vicino di casa, un “bizzarro” (per citare qualche parola del film) aviatore, le farà scoprire l’importanza di essere piccoli. Attraverso la storia del Piccolo Principe la protagonista riscoprirà il proprio “bambino interiore”, quello che la maggior parte degli adulti dimenticano crescendo.

Le scene tratte dal libro vengono realizzate in stop motion, un bellissimo omaggio che tanto ricorda i disegni originali di Exupéry. Insieme alla bambina riviviamo i momenti più belli della storia: dalla rosa sotto una campana di vetro, all’incontro con l’uomo d’affari, al segreto della volpe. E’ difficile essere all’altezza di un capolavoro del genere, così ricco di sensibilità. Nonostante l’estensione della trama, il film riesce bene nel suo intento e evidenzia i due grandi insegnamenti che la storia vuole trasmettere: il primo è che l’essenziale è invisibile agli occhi e il secondo è che non bisogna mai dimenticare il bambino che c’è in noi (che attenzione, non significa non diventare adulti!). Grazie alla creazione di una società indipendente è stato possibile sviluppare un progetto senza vincoli. In questo modo riscopriamo di stupirci di nuovo per un aquilone che vola nel cielo o nel guardare le stelle la notte , immaginando che in una di esse ci sia un piccolo bambino che si prende cura della propria rosa vanitosa.

tutti i grandi sono stati bambini una volta, ma pochi di essi se ne ricordano




Giornata formativa per gli Operatori del settore Emergenza del Comitato Locale di Pomezia di CRI

Tenersi costantemente aggiornati per rendere sempre più efficaci e tempestive le tecniche di intervento è una vera e propria missione per il Comitato Locale di Pomezia di Croce Rossa Italiana.

I nostri Operatori del Settore Emergenza (OP.EM), domenica 22 novembre scorso, hanno svolto un aggiornamento teorico-pratico sulle manovre di primo soccorso al fine di poter dare, in caso di necessità, una pronta risposta al prossimo Giubileo Straordinario della Misericordia  indetto da Papa Francesco.  Evento che vedrà coinvolta, tra le altre associazioni, Croce Rossa Italiana.

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Hunger Games – Il canto della rivolta parte 2

Hunger Games giunge al termine. Con Il Canto della Rivolta parte 2, infatti, si conclude una delle saghe più di successo degli ultimi anni, tanto da rivelarsi un vero e proprio fenomeno. Per qualcuno una liberazione di cui sicuramente non sentirà la mancanza, per gli altri un mix di emozioni dovuto alla parola fine. Perché come ogni tradizione che si rispetti, i milioni di fan sparsi in giro per il mondo hanno dovuto dire addio, tra lacrime e tristezza, a quei personaggi che li hanno accompagnati nel corso degli anni, prima supportati tra le pagine dei romanzi originali scritti da Suzanne Collins e poi incitati negli adattamenti cinematografici, tanto da creare alleanze e raduni specifici. Hunger Games, quindi, ha saputo ritagliarsi una vetrina importante nel cuore dei giovani, grazie soprattutto alla sua protagonista, quella Katniss diventata simbolo della rivoluzione e idolo dei tributi.

Un personaggio diverso dal solito, arrogante, anticonformista, duro, ma diventato eroico proprio per questo e per non essere sinonimo di perfezione (non a livello fisico, s’intende). Il Canto della Rivolta parte 2 è la degna conclusione di una saga partita come young adult ma che con il tempo ha saputo trasformarsi in qualcosa di molto più profondo e, purtroppo, attuale. L’ultimo capitolo, infatti, si concentra sulla guerra conclusiva che Katniss e i ribelli conducono contro Capitol City e il Presidente Snow per un mondo libero e una democrazia equa per tutti i distretti.

Ma, soprattutto, viene evidenziato il ruolo che Katniss ha avuto in tutto questo: usata e manipolata per la causa, lei che voleva solamente salvare sua sorella Prim dai primi Hunger Games si è ritrovata in una lotta per la sopravvivenza continua, a prestare il suo volto e il suo “fuoco interiore” per qualcosa di molto più grande. Per il potere dei media e del successo. Alle ferite psicologiche e mentali della guerra, rese perfettamente nella seconda parte del film, si è aggiunta quella componente sentimentale sempre molto cara ai fan, con un Peeta che trasmette dolcezza anche se depistato e un Gale che si rivela un combattente nato, in un triangolo che si conclude con un epilogo che, per una volta, mostra un pò di pace.

Una pace avuta dopo perdite importanti di personaggi che con coraggio hanno saputo lottare per un obiettivo comune. Hunger Games, quindi, lascia in eredità una storia di formazione, giustizia e ribellione e consacra Jennifer Lawrence come una delle attrici più significative della sua generazione. Il successo dell’intera saga, infatti, è dovuto principalmente a lei e al resto del cast, Josh Hutcherson e Liam Hemsworth su tutti, ma impreziosito anche da nomi importanti come Julianne Moore, Donald Sutherland e Philip Seymour Hoffman, senza contare la simpatia riscontrata da Woody Harrelson e Sam Claflin. Il resto l’hanno fatta una trama coinvolgente e una eroina fuori dagli schemi. In attesa che Hollywood scopra la prossima trilogia da raccontare, consoliamoci con la consapevolezza che certe emozioni saranno difficili da ripetere e dimenticare. Vero o falso?

Martina Farci




I Derby della vita

Qualche volta la vita ti mette davanti ad una partita un po’ più difficile delle altre.
Spesso, ma non sempre queste partite non hanno schemi o lanci in profondità, ma sono fatte di analisi cliniche e di termini medici, che prima avevi letto soltanto negli opuscoli dell’AIRC e che ora trovi associate al tuo nome. E sono partite queste che ti possono lasciare sola, in panchina, su una panchina di una sala d’aspetto di un Policlinico senza un pallone con cui giocare.
La protagonista di questa storia gioca a calcio, ed è una donna. Se poi si può definire donna una ragazza di soli 22 anni. Il calcio è il suo sport e la sua passione. Gioca in serie B, allena una squadra di giovani calciatrici e una di bambini, qui a Pomezia. Il suo è uno sport che rimane dilettantistico anche ad alti livelli, in Italia. Non va mai in televisione e sui giornali ci è finito in questi ultimi mesi soltanto per qualche uscita sessista e fuori luogo di chi governava la Lega Nazionale Dilettanti.
Un giorno, la protagonista di questa storia si sveglia con un malessere strano. Il medico di base rimane spiazzato e la manda da uno specialista, che rimane basito e la indirizza in un centro che fa esami strumentali che, mentre stampano il referto Le spiegano con quello sguardo che vorrebbe rassicurare ma che invece inquieta, che sarebbe il caso di andare in un centro specializzato.
Ed inizia allora un’altra partita, una partita che si può giocare e vincere solo se si fa squadra, perché questa malattia, questa partita non si gioca individualmente, ma tutti insieme. In 11, ma anche in 22 a volte.
Ecco appunto…
Penultima domenica di novembre, ore 14:30, il girone D del campionato nazionale di serie B Calcio Femminile mette di fronte la Lazio e la Roma. È Derby. Una di quelle partite che la protagonista di questa storia avrebbe giocato come sempre con il suo numero 8 sulle spalle, preparandosi prima con cura la borsa, dosando quello che mangia, partendo da casa tre ore prima della partita perché non si può rischiare di far tardi.
L’avrebbe giocata… ma stavolta è sugli spalti, non può giocare questa volta questo Derby perché da oggi dovrà giocare la sua partita, quella partita contro quel male stupido, inopportuno, ingiusto e con un nome che fa venire i brividi a pensare di sfidarlo, quasi come farebbe paura sfidare il Barcellona al Camp Nou.
Ma questa partita, dalle 14:30 del 22 novembre, quando le ragazze in giallorosso e biancoazzurro sono entrate in campo, la nostra protagonista ha scoperto che non la giocherà da sola.
Al centro di quel campo erano in 22: Noemi, Valentina, Giulia, Jole, Flaminia, Arianna, Sara e tutte le altre, qualcuna di queste ragazze le ho viste crescere dietro a quel pallone, piccole donne ora diventate grandi, che questa domenica sono là con uno striscione in mano, a ricordare alla loro compagna e amica che Lei non sarà da sola. Che loro ci sono, ci saranno e andranno in campo con Lei cercando di farle l’assist giusto, darle la palla smarcante davanti al portiere per fare quel gol che vuol dire guarigione.
“Ci sono cose che vanno oltre il colore delle maglie. Forza Giorgia! Vinci il tuo Derby! Ti aspettiamo qui!”
Una domenica speciale, non come le altre. Una partita diversa quella che affronterà e vincerà la protagonista di questa storia che vi ho raccontato. Quelle ragazze la aspettano in campo, cercando di renderle lieve l’attesa, la cura, la vita di questa giovane donna che ha troppe cose da fare per poter pensare di perder tempo dietro a questa stupida e malvagia malattia.
Conservate gelosamente quella maglia numero 8, perché il prossimo Derby Giorgia sarà in campo.
Mauro Valentini




La musica non si deve fermare

E’ stata una lunga settimana, molto difficile, una settimana in cui le mie compagne sono state ansia e paura.

Guardavo le immagini di Parigi immobile, sentivo i racconti, e pensavo…

Sabato c’è il concerto di Tiziano Ferro

ecco, vi sembrerà banale o egoista ma la mia commozione è durata circa un minuto, poi è arrivata la paura, la paura per la mia vita e quella delle mie figlie. Eh si, al concerto dovevo portare anche le bambine. In questa settimana ho dormito poco, ho immaginato tutti gli scenari possibili, in caso di attacco dove avrei potuto nascordermi, come avrei porotetto entrambe le mie figlie? studiato le vie di fuga, dove parcheggiare, cosa fare…

La paura non mi ha abbandonato mai, in questa settimana tutti italk show non hanno parlato che di Parigi, la maggior parte purtroppo non era informazione ma terrore. Anche i social hanno contributo non poco, falsi allarmi rimbalzati sulle bachehce, gente che condivideva cose di due giorni prima e tu pensavi “oddio è successo ancora” e invece è solo il solito cretino che legge il titolo e condivide senza sapere cosa c’è scritto nel link che sta postando

Però ecco… sono arrivata a 36 anni (quasi 37) e sono stata molto fortunata nella vita ma ho vissuto quei dolori che ti cambiano, quegli episodi che in fondo accadono a tutti noi e che ci fanno capire che la vita è un soffio e quindi cercavo di pensare che in fondo le statische ritenevano più probabile un incidente sulla pontina che un esplosione al palalottomatica. Insomma, che cos’è il terrorismo? un esaltato che spara su una folla inerme o chi ne parla per giorni con dovizia di dettagli crudi e strazianti? La paura è una cosa umana, ma io chiamo terrorista anche l’ubriaco che guida contromano perchè anche quello compie una strage. E questa è una cosa che succede tutti i giorni.

Quindi nei momenti di lucidità, statistiche alla mano e TV spenta… so che andare al concerto non è più pericoloso che attraversare la strada in piena notte. E poi… la cosa più importante… Come spiegare alle mie figlie che aspettano questo momento da 4 mesi che non avrebbero visto Tiziano? che mamma ha troppa paura per andare? avrei dovuto spiegare loro che ci sono “i cattivi” che sparano sulle persone che si divertono ascoltando musica o passeggiando? avrei dovuto passare loro la mia ansia e farle vivere in un clima di terrore? NO! Non è questo il messaggio che deve passare, non voglio che vivano con l’ansia.

Ho messo insieme i pezzi, valutato con lucidità e ho deciso che la vita deve vincere sulla paura e siamo andate… anche perchè eravamo un gruppo di 18 persone, tutte mamme e figlie, e nessun pazzo poteva privarci di vivere un momento di gioia insieme in questa vita che è un soffio…

e quindi devo dire anche grazie a Tiziano Ferro per aver deciso di andare avanti, per non aver annullato le date.

Grazie a Tiziano per le sue parole in apertura del concerto:

“le regole del terrore non sono casuali

quei ragazzi celebravano qualcosa di meraviglioso: la grandezza immacolata di una rivoluzione di passione e libertà che ci ha cambiato la vita e che chiamano musica.

Per questo è necessario tenere accesi i palchi e non abbassare il volume perchè morire vuol dire anche smettere di sognare e di sperare

E’ importante difendere il bello e il buono che ci tiene in piedi”

E ancora grazie a Tiziano per la sua musica che parla di amore e di amicizia specchio di quella bellissima persona che è, quello che con la voce può fare ciò che vuole generando emozioni pure, grazie a Tiziano per avermi dato l’occasione di affrontare con mia figlia di 10 anni l’argomento omosessualità, grazie a Tiziano per la bella serata passata insieme alla mie figlie, grazie per l’abbraccio delle mie amiche, per avermi dato modo di convidere con loro la gioia della musica, e grazie perchè solo la musica può certi miracoli come un selfie di 3 cugine di secondo grado, i cui nonni erano fratelli, unite dalla passione per Tiziano.

Nessun terrorista potrà mai cancellare il ricordo di questa serata…

 




Raccolta firme dell’Associazione Luca Coscioni

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Continuano fino a gennaio i banchetti dell’Associazione Luca Coscioni.Il sabato e la domenica nelle piazze principali di Pomezia e Torvajanica i cittadini potranno sostenere le due raccolte firme : una in sostegno della lotta intrapresa da Max Fanellli,malato di Sla che ha deciso di rifiutare le cure come forma di protesta contro la mancanza di una legislazione sul fine vita e  la seconda per impegnare il Consiglio,la Giunta e il Sindaco a istituire il registro comunale dei testamenti biologici. Per poter firmare basta presentarsi nei punti di raccolta ,muniti di un documento di riconoscimento.

Buona la risposta dei pometini.Nel primo week end di attività dell’associazione, si sono presentati ai banchetti un nutrito numero di nostri concittadini,molto motivati ma soprattutto ben consapevoli degli argomenti trattati.Questo fa ben sperare che qualcosa possa cambiare.

Il fine vita non è uno di quegli argomenti che si possa affrontare con una certa superficialità.Da sempre ragionare di morte ha rappresentato un  grande tabù,fonte di sgomento e angoscia esistenziale.L’influsso religioso poi sulla società italiana ha di fatto rappresentato un ostacolo insormontabile affinchè si potesse avviare un confronto sereno.Ma i tempi cambiano,i cittadini acquistano consapevolezza.Prima o poi anche nel nostro Paese verrà riconosciuto all’individuo il diritto alla piena disponibilità della propria esistenza,verrà riconosciuto inoltre il diritto alla dignità sempre, anche nelle situazioni più delicate. Le nostre vite ci appartengono, nessuno, anche se mosso dalle più nobili intenzioni, può accampare diritti su di noi. Il ragionare sulle nostre vite non è solo l’esercizio di un diritto è anche un modo per sviluppare la nostra dimensione spirituale.L’essere stati educati all’obbendienza,quasi sempre solo formale, ai principi etico religiosi è stata nel passato una delle cause di svilimento del genere umano.Paradossalmente parlare del nostra morte arricchisce la nostra vita.

Per informazioni : Pagina Facebook Eutanasia Legale Pomezia




Pan – Viaggio sull’isola che non c’è

Di Martina Farci
“Io non credo alle favole della buona notte” dice un bambino ad un adulto. Solo che il bambino si chiama Peter, l’adulto è il pirata Barbanera e la favola in questione è Peter Pan. Nell’ennesima trasposizione dell’ormai classico romanzo di J. M. Barrie, il regista Joe Wright riporta sul grande schermo l’origine della leggenda del bambino che non voleva crescere. Perché noi, invece, a quella favola ci abbiamo sempre creduto. Abbandonato dalla madre nei pressi di un orfanotrofio a Kensington, Londra, Peter (Levi Miller) cresce con un ciondolo lasciatole da lei a forma di flauto e una lettera in cui gli dice che un giorno si rivedranno “in questo mondo o in un altro”. Per dodici anni, però, non vede altro che il luogo dove è costretto a vivere, almeno fino al giorno in cui, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, viene rapito, insieme ad altri bambini, dal pirata Barbanera (Hugh Jackman), e portato sull’Isola Che non C’è. Qui incontra James Uncino (Garrett Hedlund) e, successivamente, Giglio Tigrato (Rooney Mara).
Se l’ultimo film proposto al grande pubblico era Neverland – Un sogno per la vita, dove veniva narrata, in modo quasi biografico, la vita di J. M. Barrie, ora con Pan – Viaggio sull’isola che non c’è si torna a raccontare la storia di fantasia, speranza e commozione che ha incantato bambini e adulti di tutto il mondo per intere generazioni. Joe Wright, grazie anche ad un budget degno dei migliori blockbuster – 150 milioni di dollari, cifra che però ha rischiato di far fallire la Warner Bros, dato il deludente incasso – si affida ad un cast stellare e a un susseguirsi di effetti speciali, impreziositi anche dall’uso del 3D. Tutto sembra impeccabile, forse troppo, compresa una colonna sonora audace che racchiude addirittura alcuni brani dei Nirvana e dei Ramones. Eppure quello che ci viene raccontato può definirsi quasi un prequel, che trova senza ombra di dubbio il favore dei più piccoli, meno, forse, quello dei più grandi. Hugh Jackman è un Barbanera più preoccupato del suo aspetto fisico che di salvaguardare la profezia, mentre Rooney Mara è una perfetta Giglio Tigrato, tra fate, tribù e un bambino da convincere che è speciale. E lo è veramente, soprattutto grazie a quegli occhi azzurri che rendono Levi Miller un impeccabile Peter Pan. Perché, nonostante tutto, è difficile rimanere impassibili di fronte a quel ragazzino che non voleva crescere ma che sapeva volare e che, ancora una volta, ci ha permesso di andare con lui sull’isola che non c’è. E di ricordarci che alle favole della buona notte, noi, ci abbiamo sempre creduto, compreso quella “seconda stella a destra fino al mattino” che ci ha fatto sognare un mondo diverso.
Martina Farci




“Fatti non foste a viver come bruti”

750 anni dopo la nascita di Dante Alighieri

750 anni fa nasceva uno dei capisaldi della letteratura italiana, unico ed inimitabile: Dante Alighieri. Quest’anno ricordiamo il suo anniversario di nascita tramite eventi organizzati in tutta Italia. Nonostante siano passati così tanti secoli da quell’epoca così distante a noi quale è il Medioevo, ritroviamo ancora temi di grandissima attualità all’interno delle sue opere.

Dante è sempre stato un uomo di cultura e non solo: era appassionato di politica, innamorato della filosofia e un uomo esiliato e condannato. Egli fu uno dei primi ad interessarsi allo studio della lingua e dei dialetti, definendo anche l’italiano che parliamo oggi. Fu il creatore della famosa “donna angelo” e il primo a coniare i termini “bello stilo” e “stilnovismo”, corrente letteraria di cui lui stesso sarà uno dei massimi esponenti. Fu anche un uomo di Chiesa, ma capace di condannare gli stessi papi che hanno abusato del loro potere.

Superbo, insicuro, combattuto. Insomma, fu un uomo in ogni senso e visse una vita tormentata, tra passione e dolore. Nella sua più grande opera, Dante esprime se stesso, la sua evoluzione e ascensione.Analizza l’amore lussurioso, provocato dalla stessa letteratura, definendolo primordiale e peccaminoso. Amore che si contrappone a quello spirituale e di elevazione. Condanna anche se stesso, mettendosi così in discussione. Condanna i corrotti, i politici e gli ecclesiastici.

Ecco come magicamente tutto si ricollega in quelle pagine, capaci di farci scorgere i fili conduttori che collegano la storia, tutta la storia, letteraria e non. Per questo motivo ci sentiamo tanto coinvolti nelle celebri terzine della “Divina Commedia”: possiamo rivederci ed identificarci in esse. Oggi forse più che mai, un passo in particolare ci coinvolge maggiormente, ossia quello del canto XXVI dell’inferno. Le parole di Ulisse, il cui spirito arde nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, sono così d’impatto tanto da non poter essere mai dimenticate. Perché nella vita ci vuole curiosità, ci vuole passione, ci vuole coraggio. Bisogna viaggiare, conoscere e avere sete di sapere. Bisogna avere uno sguardo capace di puntare più in là dell’orizzonte, ma al contempo bisogna essere consapevoli dei propri limiti.

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza