Festa dei nonni, ricorrenza che viene da lontano

I nonni sono una risorsa importantissima per la società, svolgendo di fatto una funzione sociale davvero fondamentale: sono occupati a volte anche per molte ore al giorno e a loro molte coppie devono qualche momento di relax, potendo lasciare i propri figli in mani sicure e affettuose.

E’ quindi quasi doveroso festeggiarli come si conviene e dal 2005 in Italia è stata istituita una giornata per la loro celebrazione.

La festa dei nonni è una ricorrenza civile che esiste in diverse aree del mondo, celebrata tra i mesi di settembre e ottobre.

Nella tradizione cattolica, i patroni dei nonni sono i santi Gioacchino e Anna, genitori di Maria e nonni di Gesù, che vengono celebrati il 26 luglio e il 16 agosto (il solo San Gioacchino).

La festa dei nonni ha origine negli Stati Uniti nel 1978, durante la presidenza di Jimmy Carter, su proposta di Marian McQuade, una casalinga della Virginia Occidentale, madre di quindici figli e nonna di quaranta nipoti.

La donna incominciò a promuovere l’idea di una giornata nazionale dedicata ai nonni nel 1970, lavorando con gli anziani già dal 1956: pensava infatti che per l’educazione delle giovani generazioni fosse importantissima la relazione con i loro nonni.

Negli Stati Uniti la festa nazionale dei nonni (in inglese, National Grandparents Day) viene celebrata ogni anno la prima domenica di settembre; In Gran Bretagna fu introdotta nel 1990 e dal 2008 viene celebrata la prima domenica di ottobre; in Canada viene celebrata dal 1995 il 25 ottobre; in Francia, i nonni e le nonne sono festeggiati ogni anno separatamente, le nonne a marzo e i nonni ad ottobre.

Promotore della festa dei nonni, da un decennio in Europa, è soprattutto l’Ufficio Olandese dei Fiori che, ogni anno, organizza iniziative ed eventi per celebrare il legame unico e prezioso tra nonni e nipoti e invita a regalare ai nonni una piantina, per ringraziarli di tutto ciò che fanno per i nipotini.

In Italia la festa dei nonni è stata istituita come ricorrenza civile per il giorno 2 ottobre di ogni anno con la Legge 159 del 2005, quale momento per celebrare l’importanza del ruolo svolto dai nonni all’interno delle famiglie e della società in generale (a loro è stata dedicata ufficialmente anche una canzone dal cantautore Walter Bassani)

La stessa legge istituisce anche il «Premio nazionale del nonno e della nonna d’Italia», che il Presidente della Repubblica assegna ogni anni a dieci nonni, in base a una graduatoria compilata dall’apposita commissione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

La norma, inoltre, dice a regioni, province e comuni di organizzare, in occasione della ricorrenza, iniziative ed eventi che servano alla “valorizzazione del ruolo dei nonni”.

Ma perché fu scelta proprio la giornata del 2 ottobre?

La scelta cadde su tale data perché è il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra i cosiddetti “angeli custodi”: una festa che ebbe origine a Valencia nel 1411 e fu istituita per l’angelo protettore della città.

Dopo la scelta di Valencia anche in alcune città della Francia furono prese iniziative analoghe: nel 1570 papa Pio V indicò quattro feste da consacrare espressamente agli angeli, la festa dell’arcangelo Gabriele, dell’arcangelo Michele, dell’arcangelo Raffaele e degli Angeli Custodi (il 2 ottobre).

W i nonni, gli angeli custodi dei più piccoli!




Approvato all’unanimità in Consiglio comunale il Codice etico degli amministratori pubblici

E’ arrivato ieri, 30 settembre, il voto favorevole all’unanimità per l’adesione di tutti i consiglieri comunali pometini al Codice etico.

L’iter era iniziato nello scorso mese di giugno in sede di Commissione consiliare Affari Generali e, da subito, maggioranza e opposizione avevano trovato una linea comune per proseguire in questo lavoro.

Il Codice etico non inventa nulla di nuovo, non ha colore politico in quanto portatore di valore universali, ma richiama ogni singolo consigliere in maniera solenne ad aderire a norme e principi già esistenti, come ad esempio gli artt. 54 e 97 della nostra Costituzione.

L’importante documento tende a valorizzare trasparenza, imparzialità, giustizia e legalità e gli amministratori pubblici, scegliendo di attenersi ai comportamenti che lo stesso indica, si impegnano ufficialmente a rafforzare la promozione e la difesa di questi principi durante il loro mandato.

In Italia, come detto, esistono già precise norme e leggi che regolano la condotta degli amministratori pubblici, tra cui il Testo Unico degli Enti Locali e in particolare l’art. 58 che regolamenta le cause ostative alla candidatura a incarichi pubblici, sul cui mancato rispetto interviene la Magistratura: per questi motivi il Codice etico interviene sulla sfera prettamente morale, indicando quali comportamenti l’amministratore si impegna ad adottare, portandolo, allo stesso tempo, a riaffermare il proprio impegno al rispetto e al far rispettare i principi democratici di legalità e giustizia.

Con l’adesione, libera, al Codice etico, l’amministratore ribadisce dunque la sua osservanza alle norme della nostra Costituzione, alle leggi della Repubblica e, in generale, ai principi e agli obblighi che qualificano l’esercizio delle funzioni di pubblica responsabilità.

Il Codice, che potrà essere integrato da nuove norme che il Consiglio comunale riterrà nel tempo utile inserire, entra anche più nel dettaglio e impegna ad evitare situazioni di conflitto di interesse, a mantenere un comportamento consono alla carica che si riveste e, infine, a osservare l’articolo che regola la possibilità di accettare vantaggi personali e omaggi, pratica che potrebbe dare l’impressione di interferire o influenzare il suo pubblico operato.

Tutte le disposizioni, quindi, costituiscono specificazioni degli obblighi generali di diligenza, lealtà, onestà, trasparenza, correttezza e imparzialità che devono qualificare l’operato di chi gestisce la cosa pubblica.

Il voto di ieri arriva in un momento propizio: viviamo ormai un’epoca di conflitti, nella quale soprattutto a causa dell’utilizzo distorto dei social abbiamo raggiunto vette di maleducazione e di odio che dovrebbero farci preoccupare seriamente, considerati anche gli esempi che stiamo dando alle nuove generazioni.

E la politica, specie negli ultimi anni, è stata lo specchio della società in cui viviamo: polarizzati e divisi su tutto, dove il pensiero diverso è attaccato anche pesantemente.

Chissà che da questa adesione al Codice etico la politica pometina non riesca a fare quello scatto di qualità, di rispetto e di civiltà che le permetta di essere vero esempio verso tutti i cittadini.

Parlare di etica non vuol dire solamente approcciare ad una conversazione “alta”, perché ancora oggi ci sono casi in cui il senso comune sembra aver pacificamente accettato che il politico possa comportarsi in modo difforme dalla morale comune e che ciò che è illecito in morale possa essere considerato e apprezzato come lecito in politica.

Ma la politica non può ubbidire a un codice di regole differente e in parte incompatibile con il codice di condotta morale: occorre che esista sempre una base comune di regole condivise dalla quale partire per poter poi sviluppare azioni e programmi.

Pomezia ha fatto il primo passo, i consiglieri hanno preso un ottimo impegno e questo è solo il punto di partenza per perseguire esclusivamente l’interesse dei cittadini.

Il Codice, però, non deve diventare un’arma da usare politicamente contro qualcuno, altrimenti avremmo perso una buona opportunità e ceduto esclusivamente all’interesse di parte e ai personalismi.




Carta di Venezia: il Controllo di Vicinato allarga la sua rete

Lo scorso 2 e 3 settembre si è tenuto nella città di Venezia il 5° meeting annuale di E.U.N.W.A. (European Neighbourhood Watch Association), che raggruppa le Associazione di Controllo di Vicinato (per la rete italiana di ANCDV presente il Presidente Leonardo Campanale) e Sicurezza partecipata di tutta Europa.

Un incontro fortemente dal Consigliere delegato alla sicurezza partecipata del comune di Venezia, Enrico Gavagnin: Comune che fa parte di una Regione che, come abbiamo avuto modo di dire in un articolo di agosto scorso, si è dotata di una legge (n. 34 dell’8 agosto 2019), che promuove la collaborazione tra amministrazioni statali, istituzioni locali e società civile al fine di sostenere processi di partecipazione alle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza urbana e integrata, attraverso lo strumento proprio del Controllo di Vicinato.

Nel corso dell’incontro, al quale hanno preso parte 68 rappresentanti provenienti da 12 diversi Paesi, i membri europei di E.U.N.W.A. hanno sottoscritto un protocollo d’intesa, poi denominato “Carta di Venezia” in onore della città ospitante, che a tutti gli effetti può essere considerato un primo passo verso un percorso che porti a riconoscere, a livello europeo, attraverso le sue istituzioni, l’esistenza di un diritto fondamentale, promosso da sempre dal Controllo di Vicinato: quello di vivere una vita sicura e di partecipare, assieme alle istituzioni locali, alla costruzione della propria vita in sicurezza.

E la modalità operativa per arrivare a tale obiettivo sarà quella di mettere in rete le Amministrazioni locali, le Università, enti e Associazioni locali che si occupano di sicurezza partecipata, attraverso una proposta ad hoc, fattibile operativamente ed economicamente e ben identificata sul piano logistico.

Insomma, l’idea è quella di fornire alle Città una solida struttura di rete che si occupi di sicurezza (nella sua triplice accezione di security, safety e careness) e di lotta al degrado in senso generale, anche con l’ausilio di partner tecnologici consolidati come Axon e Nextdoor.

Mediante la Carta di Venezia, quindi, diverse realtà cercano di dare vita ad un circuito di cooperazione internazionale al fine di sensibilizzare ad una maggiore attenzione verso i temi della legalità, della sicurezza e soprattutto della prevenzione: un vero e proprio accordo teso a sviluppare una intensa collaborazione per la diffusione di tutte quelle iniziative civiche che vanno nella direzione della prevenzione del degrado sociale e urbano e, quindi, verso un incremento della sicurezza percepita.

Più la collaborazione si farà allargata e internazionale, maggiore sarà la percezione della sicurezza del singolo cittadino: è anche per questo motivo che, già ormai da qualche anno, alcune Amministrazioni, come ad esempio quella di Pomezia, mettono il tema della sicurezza partecipata e, in particolare, quello della diffusione del progetto di Controllo di Vicinato, all’interno del programma di Governo cittadino.

C’è ora da augurarsi che le Prefetture, sulla scorta di quanto fatto già nel 2016 da quella di Venezia, valutino la possibilità di firmare protocolli d’intesa con i Comuni virtuosi che applicano il CdV, nei quali, infatti, si sono evidenziati significativi risultati di prevenzione e contrasto della microcriminalità di carattere predatorio e di innalzamento degli standard di sicurezza, specie nelle aree interessate da situazioni di degrado urbano, con la partecipazione attiva della collettività.

Ad esempio creando in queste realtà tavoli di sicurezza territoriali con la presenza di funzionari delle stesse Prefetture interessate, allo scopo anche di valorizzare la collaborazione dei cittadini e accrescere così la fiducia nelle istituzioni e il senso di appartenenza alla propria comunità.




Dall’Iran passando per la Svezia all’Italia: arrivano i muri della gentilezza

Muri che separano e dividono, muri che avvicinano e uniscono.

La notizia è del 2015, ma arriva in Italia solo poco tempo fa, e parte dal Paese che non t’aspetti: l’Iran.

Questa storia ci porta a Mashhad, una metropoli con due milioni e mezzo circa di abitanti nel nord est dell’Iran: siamo, come detto, nel 2015, nel mese di dicembre, e qualcuno decide di piantare chiodi in un muro per poi appenderci degli attaccapanni.

E vicino una scritta: «Se non ne hai bisogno, lascialo. Se ti serve, prendilo».

Nel giro di poche ore maglioni, pantaloni e cappotti iniziano ad accumularsi e poco dopo sul web cominciano a diffondersi immagini dei cosiddetti “walls of kindness”, i muri della gentilezza.

Proprio dalla rete partono i primi appelli “spot”: “tutto ciò di cui hai bisogno è un muro, un po’ di vernice colorata e qualche appendi abito”.

E inizia la diffusione del fenomeno in tutto il mondo.

Un po’ di dati per capire meglio la questione: nel 2015 in Iran erano presenti circa quindicimila senzatetto, il Paese stava cercando di uscire fuori dall’isolamento internazionale, era in recessione e l’occupazione stentava a ripartire.

Una solidarietà, quindi, partita dal basso, dai cittadini vicini alle persone meno abbienti e che all’inizio è stata anche interpretata come il riconoscimento dell’incapacità del governo di trovare soluzioni concrete alla povertà in un paese dove comunque il benessere esiste ma, come sovente capita, è mal distribuito.

I “muri della gentilezza” sono arrivati in Svezia e infine anche in Italia, dapprima a Bari, Napoli, Roma (nel municipio XV), Parma e da ultimo nella città di Bologna: l’aula consiliare del Comune ha infatti all’unanimità approvato lo scorso 9 settembre un ordine del giorno per promuovere questi spazi e iniziare, quindi, a condividere indumenti invernali.

Il capoluogo emiliano è tra le altre cose un luogo dove l’inverno, così come l’estate, si fa sentire molto: in questo modo l’iniziativa – si spera – potrà avere un grande successo.

E Bologna non è nemmeno nuova a iniziative sociali di questo genere: già aveva avuto un buon seguito l’idea della sciarpa sospesa, accessorio fondamentale per proteggersi dal freddo che veniva appeso a un albero o ad un palo dalle persone che volevano regalarlo a chi ne aveva bisogno.

O anche l’esperienza di un asilo che aveva pensato al muro della gentilezza dedicato però ai giocattoli e ai più piccoli.

Un gesto semplice di solidarietà che però può fare la differenza per le persone meno fortunate e bisognose e che speriamo possa essere esportato come “buona pratica” in altre Città.




La musica in primo piano: la Lizard apre una sede a Pomezia

Pomezianews ha avuto il piacere di incontrare Fabio Vitale, il Direttore della “Lizard Accademie Pomezia Lab”, un centro didattico innovativo con corsi per tutti, dai principianti fino alla professione, che offre collegamenti con case discografiche, agenzie, studi di registrazione e agevolazioni sugli strumenti musicali.

Questo laboratorio cittadino, sito in via Virgilio 5, richiama in particolare la collana LIZARD S.P.M. (Scuola Primaria di Musica) che, oggi, è universalmente riconosciuta come la migliore opera didattica mai pubblicata in Italia per l’insegnamento primario della musica.

La Lizard, in sostanza, è uno dei più importanti e prestigiosi centri di produzione didattica musicale d’Europa.

Fabio Vitale, cos’è la Lizard?
“La Lizard è attualmente l’accademia di musica moderna più grande d’Italia, conta oltre ottanta sedi nel nostro Paese ed è presente all’estero in Cina (Shangai), Russia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti.
In questo momento penso sia il centro didattico più all’avanguardia, non a caso gode del patrocinio del Ministero della Pubblica Istruzione.
Sarà ospittata nella mia associazione, la Artium Optima proprio qui a Pomezia.”

Perchè far nascere un centro Lizard a Pomezia?
“Io sono cresciuto a Pomezia e ne conosco pregi e difetti, penso sia una novità importante la Lizard, perché porta nuove opportunità di studio e lavoro; spero, attraverso l’accademia, di poter aiutare il panorama musicale e culturale del nostro territorio.
Da ragazzo ho sempre sognato di avere un punto di riferimento nel mondo della musica e mi è sempre mancato; crescendo, poi, ho girato molto in cerca di una realtà musicale adatta alle mie esigenze…successivamente qualche anno fa ho incontrato la Lizard e il direttore Giovanni Unterberger e mi sono fermato. Avevo trovato quello che cercavo fin da ragazzo”.

A chi è rivolta l’accademia Lizard?
“A tutti. Dai più piccoli ai più grandi, dai principianti a chi vuole fare la professione del musicista.
I corsi sono tanti e variano per età, strumento e obiettivo.
Si può iniziare oppure approfondire uno strumento fino a farlo diventare una professione…oppure semplicemente portare avanti la propria passione per la musica”.

Quindi si può lavorare con la musica?
“Certamente. E io ne sono la prova vivente.
Quando entrai nella Lizard iniziai il mio percorso per migliorare la mia bravura come chitarrista, poi vidi la possibilità di fare il musicista come professione e ne iniziai a parlare con Giovanni Unterberger.
Lo scorso anno ho avuto la possibilità di entrare nella sede Accademica Lizard di Roma come Direttore dei corsi: ho visto il lavoro, i sacrifici e le opportunità.
Porto con me la mia esperienza e spero sarà utile per sviluppare una nuova realtà a Pomezia”.

Ci sono anche altre novità oltre i corsi di musica?
“Si e sono importanti. Per prima cosa sto cercando di collegarmi con tutte le altre associazioni di Pomezia che sono tante e meravigliose.
Ci sono realtà incredibili che sto scoprendo giorno dopo giorno. Attraverso la condivisione e l’amicizia si cresce meglio e si vive meglio. Confido di organizzare con loro eventi e scambi culturali.
Poi porterò nella mia sede contatti diretti con la realtà del lavoro nella musica: case discografiche ed etichette, agenzie e produzioni, agevolazioni con studi di registrazioni, endorsement e sponsor.
Ovviamente, disponibili per chiunque ne abbia bisogno”.

A quando la partenza dunque?
“Siamo già operativi!”.




Pomezia esulta: Anita Guarino arriva seconda al Festival di Castrocaro

Grandissima emozione per tutta Pomezia lo scorso 3 settembre, quando al Festival di Castrocaro, manifestazione canora che si svolge ogni anno in Italia, nella cittadina di Castrocaro Terme, presso Forlì, in Emilia-Romagna a partire dal 1957, al secondo posto si è classificata la nostra concittadina Anita Guarino, con il brano “251“.

Il Festival è stato, soprattutto negli anni ’60 e ’70, una delle vie per i nuovi talenti per entrare nel mondo musicale e ancora oggi rappresenta una grande appuntamento, tanto che la serata finale viene trasmessa in diretta Rai in prima serata ogni anno.

Solo per citarne alcuni, tra i vincitori della kermesse canora divenuti poi famosi, ricordiamo la cantautrice Giuni Russo (1967), Gigliola Cinquetti (1963), Alice (1971), Michele Zarrillo (1979), Luca Barbarossa (1980), Zucchero (1981), Fiordaliso (1981), Donatella Milani (1982) e Silvia Salemi (1995).

Nella sessantaduesima edizione al secondo posto è arrivata Anita Guarino, 20 anni, grinta da leone e voce bellissima.

Pomezianews l’ha incontrata all’indomani del successo.

Anita, hai incantato tutti con la tua splendida voce e sei riuscita a conquistare il 2° posto al Festival di Castrocaro: parlaci un po’ di te e della tua passione per il canto.

“La mia passione per il canto nasce quando ero molto piccola, il mio percorso reale come cantante nasce invece appena 3 anni fa. Ho sempre amato la musica e ogni sua sfaccettatura ma purtroppo, fino all’adolescenza, ho sofferto di aderenze alle corde vocali che mi hanno impedito di intraprendere qualsiasi percorso canoro. Fortunatamente crescendo le aderenze sono scomparse da sole e oggi sono qui, a festeggiare il secondo posto a uno dei Festival più importanti d’Italia”

Descrivici le sensazioni che hai provato partecipando a questa importante rassegna canora: quali emozioni hai provato e cosa ti è passato per la testa quando hai sentito il tuo nome al 2° posto?

“Tutti noi concorrenti siamo arrivati sul posto 8 giorni prima. Abbiamo passato una settimana tra prove generali, lezioni individuali di canto e riprese; abbiamo quindi avuto tantissimo tempo per interiorizzare questa esperienza arrivando così carichi e felicissimi la sera del festival, riuscendo dunque a mettere da parte quell’ansia che ti frega. Arrivare in finale è stata una forte emozione, giunta a quel punto il primo, il secondo o il terzo posto non avrebbero fatto molta differenza. Sono soddisfatta di me stessa per essere riuscita a passare le tre fasi avendo l’occasione di esibirmi in tutti e tre i pezzi preparati, permettendo così al pubblico di capire meglio chi fosse realmente Anita”

“251” il pezzo inedito che hai portato a Castrocaro: che brano è, da dove nasce?

“251 nasce da un’esperienza passata personale. Una storia a distanza, che oggi considero sicuramente non una delle più importanti, che ho deciso di mettere su carta e in musica. Il pezzo è un inno all’amore, al non mollare nonostante le difficoltà e, nel caso, gridare nonostante la distanza”

Quali sono i canali con cui comunichi con le persone che ti seguono e ti ascoltano?

“I social sicuramente sono una parte importante, oggi soprattutto, del percorso artistico di un cantante. Riuscire a raggiungere più persone possibili è chiaramente un buon punto di partenza per fare conoscere la propria musica. Youtube per me ha avuto in primis questo compito. Ho un canale youtube da 20.000 iscritti in cui, nel corso di due anni, ho pubblicato cover”

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

“Il festival di Castrocaro è un punto di partenza, ora si comincerà a lavorare ancora più duramente per poter sfruttare al meglio questa meravigliosa vetrina in cui mi è stata data la possibilità di espormi. E poi chissà… un ipotetico Sanremo giovani?”

Un sogno nel cassetto

“Continuare ad emozionare con i miei pezzi”

E noi della redazione di Pomezianews e tutta Pomezia ti auguriamo il meglio.




Plastica addio: è in arrivo la pellicola “veneta” per i cibi fatta dalle api

La notizia in realtà è di inizio 2019, ma non è stata molto condivisa e nemmeno passata da radio, tv o giornali.

Un’ idea ecologica, originale, alternativa: una pellicola di cera d’api, portata in Italia da una cooperativa di Castelfranco Veneto, costituita da materiale ecologico 100% naturale.

Ecco la sua composizione: fibra di cotone, olio di jojoba e cera d’api, che a differenza della pellicola trasparente di plastica, non inquina e può essere riutilizzato un centinaio di volte per singolo foglio.

“Apepak”, questo il nome del prodotto innovativo, è fatto di cotone biologico certificato Global Organic Textile Standard, o riciclato dagli avanzi dei laboratori tessili italiani; dalla cera d’api, da resina di pino e da olio di jojoba, forniti da apicoltori e aziende italiane.

Un’idea già diffusa a livello internazionale, che sta spopolando sui social e che è stata ripresa nella sua versione italiana dalla Cooperativa sociale italiana “Sonda”.

Apepak è come un panno di cotone, modellabile e resistente ad unto e perdite, così da poter essere utilizzato per ricoprire gli alimenti, è riutilizzabile e alla fine del suo ciclo di vita non inquina: è traspirante e permette quindi che il contenuto avvolto respiri.

Risulta quindi ottimo per i prodotti come pane e prodotti di panificazione che temono l’umidità; ma anche per frutta e formaggi, che rimangono freschi ed in buone condizioni nel tempo.

Qual è il risparmio ambientale che si ha utilizzando Apepak?

La pellicola 100% naturale sostituisce gli involucri usa e getta di carta, plastica e alluminio, facendo risparmiare 9 kmq di involucri di plastica all’anno; facendo remunerare 30 minuti di lavoro di un socio svantaggiato della Cooperativa sociale onlus Sonda e 3 giorni di lavoro di api da miele italiane; facendo sostenere l’agricoltura di cotone biologico e dando nuova vita agli avanzi dei laboratori tessili italiani.

Questa brillante idea è pertanto non solo quella di creare un prodotto completamente ecologico e ad impatto zero per l’ambiente, ma anche quella di inserire e dare lavoro a persone in difficoltà.

Come infatti si legge direttamente dal sito www.apepak.it “Apepak nasce dalla voglia di accelerare il cambiamento culturale” andando da “una cultura usa e getta verso la cultura del riutilizzo e dello zerowaste”, cercando di risolvere il problema dell’inquinamento della plastica e “secondariamente la tutela delle api e, infine, promuovere l’inclusione sociale dando lavoro a disabili e persone con problematiche psico-sociali”.

Come usare Apepak? Molto semplice.

Si avvolge il cibo nella pellicola naturale, si sigilla il pacchetto attivando la cera d’api con il calore delle mani e si ripone, se necessario, anche nel frigo.

E per la sua manutenzione, basta stendere Apepak nel lavandino, strofinare leggermente con una spugna e sapone naturale oppure aceto: poi si passa al risciacquo, si stende, si asciuga e si è pronti per un nuovo utilizzo.

Apepak è certificato per il contatto con il cibo ed è possibile usarlo anche in ambienti professionali: è l’unico involucro in cotone e cera d’api ad avere la certificazione MOCA e HACCP a differenza degli altri produttori che si avvalgono della certificazione americana, molto meno stringente, FDA.

Insomma, un’alternativa ecologica da valutare attentamente: piccoli gesti per cambiare in meglio la nostra vita!




L’importanza della comunicazione empatica: linguaggio del corpo e non-verbale

Nei miei ultimi articoli ho cercato di soffermarmi sugli aspetti comunicativi esasperati dei social che, quasi perdendo il loro enorme potenziale di facilitatori sociali, sono diventati, a causa del loro utilizzo “spregiudicato”, sfogatoi, luoghi dove ci si divide, si insulta e si tifa senza alcun rispetto per le legittime posizioni altrui.

Ma i social “perdono” dal punto di vista comunicativo, anche per la loro stessa essenza.

Mi spiego meglio: l’attività di comunicazione si compone di una parte definita “verbale” (le parole, pronunciate o scritte); di una chiamata “non verbale” (mimiche facciali, sguardo, gesti, posture, andature) e, infine, di un terza denominata “para verbale” (voce, tono, volume, ritmo, ma anche le pause, il silenzio ed altre espressioni sonore).

Verso la fine degli anni ’60, lo psicologo americano Albert Mehrabian condusse alcune interessantissime ricerche sull’importanza di questi tre diversi aspetti della comunicazione nel far recepire un determinato messaggio.

E il risultato fu per certi versi inaspettato.

Per semplificare e capire, la comunicazione non verbale ha un’influenza del 55%, la comunicazione para verbale influisce per il 38%,
le parole e il contenuto verbale contano solo per il 7%
.

E i social, come facilmente si può intuire, diventano quasi esclusivamente terreno di partigianeria perché non possono esprimere al meglio proprio gli aspetti che contano maggiormente nella comunicazione, il non verbale e il para verbale.

E’ molto probabile infatti – e lo possiamo sperimentare tutti i giorni aprendo i social – che un’affermazione scritta, magari in poche righe e accusatoria, su Facebook non potrà ottenere un confronto pacato e tollerante di tutte le posizioni.

Non abbiamo tutti gli elementi per controbattere, non abbiamo la possibilità di percepire i segnali del corpo e gli aspetti non verbali come sguardi, gesti o posture: insomma leggiamo cosa si dice, ma molto spesso non sappiamo come lo si dice.

In parole povere, nei social manca l’aspetto relazionale della comunicazione.

Condividiamo continuamente pensieri tramite post, foto, immagini, video, messaggi, ma manca l’aspetto empatico che nasce durante un colloquio faccia a faccia con qualcuno, nel quale magari riusciamo ad interpretare i segnali del corpo, l’espressione degli occhi, percepire i sentimenti trasmessi dall’interlocutore.

Quello che voglio dire è che l’aspetto non verbale della comunicazione consente quel confronto diretto e chiarificatore che sfugge al nostro controllo quando invece comunichiamo attraverso un qualsiasi dispositivo: dietro uno schermo è impossibile percepire le diverse sfumature che il linguaggio umano offre e che permette di usare toni di voce diversi, di fare allusioni stando attenti a non offendere, di aprire parentesi senza che il nostro interlocutore ne perda il filo.

La ricchezza del nostro linguaggio corporeo e vocale è una risorsa fondamentale, da non perdere assolutamente, ma che specialmente con i social molto spesso smarriamo.

Chi comunica principalmente o esclusivamente sulle piattaforme social, secondo recenti studi, sviluppa un’ atteggiamento aggressivo dominante.

Basti pensare che quando discutiamo di qualcosa con qualcuno eseguiamo contemporaneamente alcune operazioni: conversiamo; osserviamo la reazione di chi ci sta di fronte; elaboriamo eventuali risposte in base alle reazioni osservate.

Dietro ad una tastiera questo non può succedere e, in tal modo, ci fermiamo al primo punto, motivo per cui si tende ad essere molto spesso troppo diretti e scarsamente attenti ai sentimenti e alle opinioni dei nostri interlocutori.

L’empatia, la grande assente nella comunicazione digitale-sociale, è la vera chiave per connettersi alle persone, arrivare al loro cuore, sintonizzarsi sulle loro frequenze emotive, capirne i bisogni più profondi e soddisfarli, nonostante le differenze e al di là dei pregiudizi.

E l’empatia, intesa proprio come la capacità di mettersi nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona (si dice infatti, “mettersi nei panni di”), non si può sperimentare appieno neppure attraverso l’ausilio di emoji ed emoticon che, invece, aiutano a semplificare il linguaggio e la sua comprensione, diminuendo ma non eliminando il rischio di fraintendimenti.




Il Controllo di Vicinato diventa legge regionale in Veneto

L’Assemblea legislativa veneta ha approvato nei giorni scorsi all’unanimità il Progetto di legge n. 394, primo firmatario il Presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti, “Norme per il riconoscimento ed il sostegno del fenomeno sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema
di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della
sicurezza e della legalità”.

Lo scopo di quella che poi è divenuta legge (n. 34 dell’8 agosto 2019), in sintesi, è la promozione della collaborazione tra amministrazioni statali, istituzioni locali e società civile al fine di sostenere processi di partecipazione alle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza urbana e integrata.

Da questo punto di vista il controllo di vicinato è inteso quale strumento di promozione della sicurezza e della legalità in forza della partecipazione attiva dei cittadini, attraverso un controllo informale della zona di residenza e della cooperazione tra cittadini, Enti locali e Forze dell’Ordine.

Con questo atto, la Giunta regionale potrà promuovere la stipula di accordi

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e protocolli di intesa per il controllo di vicinato con gli Uffici Territoriali di Governo e sostenere il controllo di vicinato, ad esempio specificando le modalità operative della comunicazione delle segnalazioni, assegnando contributi a Enti Locali, singoli e associati, o definendo linee guida per le iniziative di informazione e formazione nell’ambito dei Protocolli d’Intesa.

Nel corso degli interventi in Assemblea regionale c’è stato ovviamente spazio alle solite importanti raccomandazioni: in particolare, che il controllo di vicinato non dovrà sostituirsi alle forze dell’ordine, proprio per evitare che esperienze belle e positive come questa possano diventare terreno fertile per ronde e attività di “giustizia fai da te”.

Il campo di applicazione di tale progetto di sicurezza partecipata è non solo quello della “security”, ma anche quello del “safety”: in parole povere, non solo sicurezza, ma anche un canale attraverso il quale veicolare segnalazioni e informazioni al comune di appartenenza per attivare in maniera efficace ed efficiente i diversi uffici preposti.

Il controllo di vicinato è una realtà positiva e una buona pratica in tutta Italia, in quanto presuppone proprio la partecipazione attiva dei cittadini, lo sviluppo della comunità locale, la valorizzazione di percorsi di relazione e inclusione e di conoscenza del territorio.

Non può sostituirsi, come si accennava prima, alle forze dell’ordine e di polizia, non può intervenire in caso di reato, né fare indagini su altri cittadini, pedinamenti oppure schedare le persone.

L’obiettivo è più semplice e di facile raggiungimento: osservare il territorio e segnalare alle istituzioni, senza alcun trattamento dei dati personali.

La sicurezza partecipata e il controllo di vicinato, pian piano, stanno diventando, grazie anche a questo atto dell’Assemblea regionale veneta, patrimonio culturale, prima che legislativo, di tutta Italia, rinascita del senso civico e strumento autentico di solidarietà davanti ad ogni forma di devianza o di fronte a situazioni anomale.

Il controllo di vicinato, presente tra l’altro anche a Pomezia dalla fine del 2014 – è bene sempre ricordarlo – è uno strumento di prevenzione e promozione della sicurezza urbana, contro il rischio di reati predatori, ma è soprattutto un mezzo importante per riattivare la solidarietà tra i cittadini.

Con questa legge viene trasformata una consuetudine in norma, visto che si va a riconoscere una serie di esperienze già presenti, in maniera molteplice, nel territorio: non il controllo del vicino di casa, quanto piuttosto prestare attenzione a quanto accade attorno a noi.

Come diceva Jane Jacobs, antropologa statunitense, “la prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi delle città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere necessaria: esso è mantenuto soprattutto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi”.

Questa è la sicurezza partecipata: teniamo sempre bene a mente che l’indifferenza lascia spazi enormi alla solitudine e al contempo crea anche il terreno migliore per devianza e forme di violenza.

La prevenzione svolta dai cittadini diviene così un deterrente importante anche nei confronti dei malavitosi, un’arma efficiente per aiutare le persone sole e i più vulnerabili.




Piano territoriale paesistico del Lazio: approvazione e polemiche

Il Consiglio regionale del Lazio, dopo una maratona d’Aula durata tre giorni e con il voto arrivato alle 6 del mattino del 2 agosto, ha approvato a maggioranza il Piano territoriale paesistico regionale.

Tale documento sostituisce i Piani territoriali paesistici (Ptp) e diviene così un unico piano paesaggistico per l’intero ambito regionale, ad eccezione della parte di territorio relativa al Piano Valle della Caffarella, Appia antica e Acquedotti.

Il Ptpr è un piano paesaggistico che sottopone a specifica normativa d’uso l’intero territorio della Regione Lazio e che si pone l’obiettivo di salvaguardare i valori del paesaggio, come previsto nel Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Le norme contenute nel Piano sono sovraordinate rispetto alla pianificazione urbanistica delle Province e dei Comuni e rappresentano un riferimento cartografico univoco e completamente informatizzato per l’individuazione e la perimetrazione dei beni paesaggistici.

Detto questo grandi sono state le proteste per le modalità e i tempi dei lavori d’Aula, specie da parte dei gruppi consiliari del Movimento 5 stelle e di Fratelli d’Italia: critiche che hanno puntato, in particolare, all’esiguo tempo concesso per esaminare gli ultimi quattro sub-emendamenti, presentati a notte fonda dall’assessore regionale all’Urbanistica Massimiliano Valeriani, che hanno completamente sostituito alcune parti del provvedimento.

“Il Ptpr – ha affermato il Governatore Zingaretti – è uno strumento fondamentale per garantire regole chiare nella gestione del territorio col quale coniughiamo i due elementi fondamentali citati nell’articolo 9 della Costituzione: paesaggio e patrimonio. E allo stesso tempo portiamo a compimento uno dei punti programmatici più importanti che avevamo prefissato all’inizio di questa legislatura. La nostra è la quinta Regione italiana ad approvare in Consiglio il Piano a dimostrazione dell’impegno di tutti per raggiungere gli importanti obiettivi prefissati in questi cinque anni di governo. Nel Lazio si volta pagina compiendo un salto di qualità in un settore strategico per lo sviluppo del nostro territorio consentendo di soddisfare le richieste di amministratori locali, operatori economici, associazioni ambientaliste e cittadini”

“Uno strumento atteso da oltre venti anni, che disciplina in modo chiaro e univoco l’uso del territorio regionale – aggiunge l’Assessore Valeriani – una grande soddisfazione aver guidato nel corso di questi mesi la redazione e la condivisione di un atto fondamentale”

Critico invece il deputato di Leu e consigliere di Sinistra per Roma, Stefano Fassina, il quale afferma che “in generale è un passo avanti ma per Roma è l’ennesima occasione persa: il centro storico della Capitale, sito Unesco, viene escluso dal Ptpr e rimane preda di ulteriore scempio edilizio. È stato infatti respinto l’emendamento presentato da alcune consiglieri e consigliere della maggioranza, oltre che dal Gruppo M5S. Prevedevano le autorizzazioni paesaggistiche della Soprintendenza anziché gli attuali pareri non vincolanti che, invece, restano tal quali”.

Voto contrario in Aula Consiliare da parte del Movimento 5 stelle, che critica aspramente il provvedimento.

“Il partito trasversale del mattone – ha tuonato la Consigliera pentastellata Valentina Corrado – dopo aver interrotto il lavoro istruttorio con il Mibac a seguito dell’intesa e aver con un colpo di mano cancellato il piano oggetto di co-pianificazione, ha dato il meglio di sé, approvando un piano che deroga alle sue stesse norme e che consente gli interventi previsti dal piano casa in deroga alle norme di tutela previste dal piano territoriale paesaggistico. Non c’è mai fine al peggio e questo epilogo è rappresentativo della spavalderia e della prepotenza di certe forze politiche di sentirsi al di sopra della legge facendosi portatrici di interessi tutt’altro che necessari per la collettività”.

E sembra proprio che il Ministero dei Beni culturali impugnerà il Piano territoriale paesaggistico, appena approvato, proprio perché non sarebbe stato coinvolto nella redazione del provvedimento come invece prevede il Codice dei Beni Culturali del Paesaggio, firmato nel 2013.

Non solo.

Nel maxi-emendamento presentato nottetempo alla Pisana emergerebbero anche una serie di norme che non sembrerebbero tutelare come si dovrebbe il territorio, ad esempio aumenti di cubature per immobili piuttosto che per strutture connesse alle attività di stabilimenti balneari nelle coste marittime o lacustri.

Si evincerebbe, tra le altre cose, fatte salve alcune ipotesi previste dal Codice dei Beni Culturali, la possibilità di procedere a interventi di ristrutturazione edilizia e, limitatamente alle strutture di interesse pubblico o destinate ad attività produttive e agli impianti e alle attrezzature sportive, ad ampliamenti che comportino la realizzazione di un volume non superiore al 20% del volume dell’edificio esistente.

In parole povere si prevederebbe la possibilità di ampliare fino al 20% le cubature degli immobili in questione, derogando al Ptpr appena approvato.

Poi c’è il tema relativo alle coste marittime e lacustri: nel caso di una concessione di 10 mila metri quadrati verrebbe offerta la possibilità di costruire manufatti di 2000 metri cubi.

Prima l’indice di riferimento per le coste marittime era pari allo 0,001, ora con questo nuovo parametro le cubature possibili per un manufatto aumenterebbero in modo esponenziale.

Aspettiamo la pubblicazione ufficiale e ne sapremo di più.




Social network e cultura dell’apparire

Ne avevo parlato qualche tempo fa in un altro articolo simile, ma vorrei rimarcare quello che, ad oggi, risulta essere la conseguenza di un utilizzo distorto della rete, in particolare dei social network.

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è proprio perché ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”

Questo diceva Umberto Eco parlando ai giornalisti, durante la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media, nel 2015 a Torino.

E come si fa a non essere concordi con lui e con il fatto che l’uso distorto di questi strumenti disperde il grande potenziale positivo (soprattutto in campo comunicativo) dei social network?

Basterebbe aprire Facebook e leggere, ad esempio, le pagine di qualche gruppo per rendersi conto – ovvio ci vuole una media intelligenza e un pizzico di buonsenso – che nella società di oggi quel che veramente sembra contare di più è l’apparire.

Una società digitale basata in primis sugli stereotipi, cioè su quei concetti basati sul pregiudizio, soprattutto sull’influenza delle nostri azioni quotidiane, come l’essere categorizzati sulla scelta dell’abbigliamento, sullo stile di vita e sul modo di pensare.

E questo, purtroppo, vale ancor più per i giovani, per i quali pubblicare aggiornamenti sulla propria vita sembra essere diventato un obbligo, una moda e una distrazione dalla realtà.

Tra l’altro, i social media sarebbero alla base della depressione, sempre maggiormente diffusa tra i giovanissimi: uno studio pubblicato, proprio in questi ultimi giorni, dai ricercatori dal Sainte-Justine Hospital di Montreal, ha evidenziato in maniera nitida la correlazione tra l’inarrestabile incremento di sintomi depressivi e il tempo trascorso davanti allo schermo dei vari dispositivi elettronici.

Continuamente esposti a post o a filmati che esibiscono gioiosi contesti, i teen-ager si ritrovano costretti a cofrontare sempre le proprie condizioni quotidiane con quel che altri mostrano di poter fare.

Lo stesso studio di cui si accennava ha indagato anche sullo stretto rapporto che lega la depressione adolescenziale e l’esposizione prolungata alle differenti sorgenti visive digitali, attraverso un rigoroso metodo scientifico che ha preso in considerazione, per ciascun soggetto del campione, un periodo di almeno quattro anni.

La rilevazione, partita nel 2012 e conclusa nel 2018, è stata eseguita grazie ad un accordo con 31 istituti scolastici e ha garantito lo studio di oltre 3800 studenti, i quali hanno autonomamente riportato il numero di ore settimanali trascorse usando i social, giocando con i videogame e guardando la televisione.

I risultati sono stati, per certi versi, sorprendenti: le ore trascorse a giocare con i videogame, infatti, a differenza di quelle passate tra social e tv, non sembrano contribuire alla formazione di sintomi depressivi, anzi vengono definiti come “ottimi passatempi” provocando in genere allegria.

Molti studiosi hanno ribadito la necessità che i giovanissimi imparino cosa mostrare in rete della propria vita, acquisendo la coscienza della pericolosità di certe azioni, comprendendo i limiti tra l’intimo, il privato, il familiare e il pubblico.

E l’unica via d’uscita è rappresentata dalla formazione: seminari, corsi e magari introducendo l’ “educazione civica digitale” come materia scolastica nelle scuole dell’obbligo.

Un piccolo passo in avanti in questo senso è stato fatto già nel 2018 quando, nella lotta al cyberbullismo e alle fake news, il MIUR, al fine di educare i ragazzi alle regole di convivenza civile nella società digitale, ha presentato un Sillabo dedicato all’educazione civica digitale.

Una piattaforma tecnologica per fornire materiali e contenuti utili a coloro che vogliono imparare a vivere in modo civile la vita online, una nuova dimensione che aggiorna ed integra l’educazione civica tradizionale.

Il Sillabo è stato costruito in collaborazione con oltre 120 organizzazioni tra istituzioni, mondo accademico, società civile e altri attori impegnati – non necessariamente in campo formativo – nei temi in questione: tra queste, AGCOM, Garante per la Privacy e Mibact, Sky, Rai e molte Università e il CNR.

E’ composto di 5 parti.

La prima parte chiede alle scuole di sviluppare una generale comprensione del cambiamento, originato dalla convergenza tra tecnologie digitali e connettività; la seconda parte si rivolge all’educazione ai media e allo stare in rete rispettando l’altro a partire dal linguaggio.

La terza parte affronta l’educazione all’informazione per comprendere il profondo cambiamento in atto nel mondo dell’informazione con la rapida diffusione delle fake news; la quarta riguarda la raccolta e l’elaborazione sistematica di dati e informazioni, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale; la quinta, infine, vuole sottolineare che i media digitali non sono solo strumenti, ma sono essi stessi oggetti culturali.

L’obiettivo finale è quello di formare cittadini in grado di partecipare attivamente alla vita democratica, attraverso l’uso consapevole delle nuove tecnologie: troppo spesso dimentichiamo che i giovani sono il futuro del nostro Paese e la loro tutela altro non è che la difesa del loro (e nostro) domani.




Tutti in viaggio, tutti in allerta

Ecco l’estate, quella vera.

Quella dei grandi spostamenti, dei grandi viaggi: quella da bollino nero su quasi tutte le strade che portano alle mete marittime o montane, le ferie tanto attese e sospirate.

Ma la vostra casa, i vostri beni, che lascerete per il week-end, per una settimana, due o – per chi è più fortunato – tre, sono realmente al sicuro?

Eh sì, è un interrogativo sul quale tutti dovremmo riflettere, soprattutto in questo periodo: siamo, infatti, il Paese dei furti in casa e delle persone che, purtroppo, al giorno d’oggi, ancora lasciano dietro di sé tracce pericolose, informando ad esempio il mondo digital/social dei loro progetti e soprattutto fornendo una mappa gratuita delle case incustodite.

Un recente studio, firmato da Uecoop – Unione europea delle cooperative – certifica circa 200 mila colpi all’anno in appartamento, oltre 500 al giorno.

Coinvolto maggiormente il nord con più di 15 famiglie vittime ogni mille, il sud si attesta a 9.

Insomma, cresce l’ansia da furto in casa, cresce la spesa per l’acquisto di sofisticati impianti di allarme, ma noi ancora imperterriti a postare foto da luoghi di vacanza e, in qualche caso, a commentare anche con la data di fine ferie: una vera e propria manna dal cielo per i malintenzionati!

Allora è forse opportuno, come ha fatto di recente l’Associazione Nazionale Controllo di Vicinato, che contiene al suo interno circa 100 mila “sentinelle di quartiere” che hanno aderito al relativo progetto, offrire alcuni piccoli suggerimenti per trascorrere un’estate sicura e rilassata fuori dalla propria abitazione.

Avvisate, per prima cosa, i vostri vicini di casa della partenza, lasciando – se non l’avessero già – il vostro recapito telefonico e il luogo dove andrete, in questo modo sarà più facile contattarvi in caso di necessità.

Se invece i vostri rapporti con i vicini sono maggiormente consolidati, potreste pensare di lasciare anche una copia delle chiavi di casa.

Inoltre, potreste chiedere ai vostri vicini, ovviamente impegnandovi a rendere il favore nel momento delle loro vacanze, di ritirare la posta e svuotare la cassetta da eventuale pubblicità, oppure di esporre per voi i mastelli della raccolta differenziata, ad esempio.

Se inoltre si possiede una linea fissa, sarebbe opportuno deviare le telefonate su una linea mobile; occorre mettere al sicuro il libretto di circolazione e le chiavi della seconda auto e chiudere correttamente i garage.

Altri piccoli ma utili suggerimenti sono quelli di lasciare una luce accesa, magari a led, all’interno della casa, in modo tale che possa essere visibile dalle fessure della finestra e lasciare accese anche le luci in giardino e/o sulle terrazze.

E soprattutto, come detto anche all’inizio, evitate di scrivere sul vostro profilo Facebook o sugli altri social network il giorno della vostra partenza per le ferie o di pubblicare le foto dei posti magnifici in cui vi trovate.

Insomma, se non avete ancora fatto conoscenza dei vostri vicini di casa, questo è il momento buono per cominciare: cerchiamo di eliminare l’individualismo, guardiamoci attorno con occhi diversi e più interessati e collaboriamo con le forze dell’ordine e la polizia locale presenti sul nostro territorio.

La teoria criminologica delle “finestre rotte” parla proprio della capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali, proprio perché porta a non accorgersi delle anomalie: mantenere e controllare, invece, ambienti urbani, reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici o la deturpazione dei luoghi contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.

Ritornando ai furti, quelli che vanno per la maggiore, soprattutto nel periodo estivo, sono quelli mordi e fuggi: cinque minuti, si entra in un appartamento e vanno via preziosi e ricordi.

Facciamo allora di tutto, almeno per rendere la vita più difficile ai malintenzionati: in questo modo, renderemo più rischiosa la loro azione (e i ladri ovviamente non vogliono rischiare di essere presi) e, nella maggior parte dei casi, meno appetibile il nostro bene con conseguente cambio di obiettivo.