La Prima San Pietro

La Basilica di San Pietro, la più grande e imponente di Roma, è simbolo della città grazie alla sua enorme e famosissima cupola.
Tutti conoscono le Stanze Vaticane di Raffaello o la Cappella Sistina di Michelangelo.

Ma quanti sanno come nacque la prima basilica paleocristiana?

O meglio, cosa vi era ancora prima della costruzione della prima chiesa?

 

San Pietro, il Principe degli Apostoli, è noto per esser stato il primo Papa ed essere morto a Roma, in un periodo in cui la Roma Imperiale era ancora pagana.

 

Il primo nucleo dove furono custoditi i resti di Pietro fu presso l’”Ager Vaticanus”, ovvero il territorio che si estendevano alla destra del Tevere.

In quelle zone si estendeva un circo, andato in disuso, sormontato con il tempo da una vasta necropoli.

E proprio all’interno di quella necropoli, vi erano i resti del santo.

Piano piano, la fama delle reliquie del santo andò a diffondersi e  furono effettuati  vari interventi sulle mura della necropoli per isolare la tomba di Pietro.
Il resto archeologico più importante è il cosiddetto “Trofeo di Gaio”, un’edicola che serviva a proteggere una parte del muro rosso dove si credeva fossero conservati i resti dell’apostolo.

 

Ma la svolta avvenne con l’imperatore Costantino, il quale decise di far ergere, dopo la sua vittoria su Massenzio, la prima basilica cristiana di Roma.

E quale luogo scelse?
Proprio la necropoli nella quale vi erano i resti di San Pietro.

 

 

La necropoli fu rasa al suolo e fu livellata in modo che l’abside della chiesa coincidesse perfettamente con la tomba del santo, che stava proprio là sotto.

Ovviamente non dobbiamo immaginare la basilica così com’è adesso.
Ne sappiamo veramente poco. Era sicuramente imponente, dalle vaste misure, eppure aveva probabilmente il tetto il legno e cinque navate divise da colonne di reimpiego.

 

 

Più esattamente, quasi tutti gli elementi utilizzati per costruire la basilica erano pezzi di spoglio.
Ma la fama di questa chiesa crebbe giorno dopo giorno, grazie alla preziosa tomba di San Pietro, simbolo della potenza papale, che giaceva lì sotto. Ogni Papa, nel corso del secolo, donò il suo contributo: chi restaurò il tetto, chi il pavimento, chi la facciata.

Tuttavia, la storia di Roma non fu facile.

Il periodo di occupazione longobarda cedette il posto al Sacro Romano impero, seguirono poi periodi costellati di sacchi e barbarie.

Alla fine del XVII secolo era necessario, dunque, un restauro totale.

E così, con i restauri effettuati da Carlo Maderno, da Michelangelo e successivamente da Bernini, nacque la basilica di San Pietro così come noi la conosciamo oggi.




Un mistero iconografico: La Tempesta di Giorgione

La “Tempesta” di Giorgione

 

La Tempesta di Giorgione è ad oggi l’opera più discussa ed enigmatica studiata dai maggiori critici d’arte. Fu dipinta tra il 1506 ed il 1508 dal pittore veneziano Giorgione, maestro di Tiziano.

L’opera in sé è semplice: in primo piano, tre figure si trovano sulle due sponde di un torrente. Una donna con il proprio bambino e un giovane poggiato sul suo bastone.

Ma chi sono queste figure?

Qui si aprono dibattiti e ricerche e ipotesi di ogni genere!
Numerosissimi studiosi, come Adolfo Venturi, Carlo Zinelli e Salvatore Settis, hanno proposto le proprie teorie, ma la critica si divide maggiormente in due correnti: chi vede nel dipinto un soggetto storico, mitico e biblico e chi non ne vede alcuno.

Tra i sostenitori del non-soggetto e quelli del soggetto nascosto, ci concentreremo su quest’ultimi: in un viaggio tra le numerose storie e miti che richiama alla mente questo magico dipinto.

 

La Leggenda Aurea

 


La prima storia da raccontare è la Leggenda Aurea.

Maria Maddalena, giunta alla corte del re di Provenza, aiuta lui e la moglie ad avere un figlio.  Per ringraziare di questo miracolo, i tre intraprendono un pellegrinaggio per raggiungere Roma, ma durante il tragitto la moglie ed il figlio morti vengono abbandonati su un’isola.
Nel viaggio di ritorno, a causa di una tempesta la nave ritorna nei pressi dell’isola e il re ritrova miracolosamente la moglie ed il figlio in vita.

Questo dipinto potrebbe rappresentare il momento di ricongiungimento della famiglia reale, quando il re finalmente ritrova la moglie ed il figlio.

San Giovanni Crisostomo

La seconda storia è quella di San Crisostomo.

Giovanni Crisostomo, dopo aver commesso un gravissimo peccato gettando una giovane ragazza giù da una rupe, decise di fare penitenza camminando a quattro zampe e senza più parlare finché un neonato non lo avesse perdonato.

Quando l’imperatore gli perdonò il delitto commesso, la ragazza da lui violentata e uccisa fu miracolosamente ritrovata ai piedi della rupe.
Il momento rappresentato potrebbe essere quello in cui Crisostomo, dopo aver scontato la sua penitenza, si rincontri con la giovane ed il suo bambino.

Eppure sono numerosissime le teorie che ruotano attorno a questo dipinto.

 

 

 

Enea e i Vendramin


Oltre queste due storie, vi è anche un’ulteriore ipotesi: il giovane con il bastone potrebbe essere Enea che ritrova Lavinia e Silvio, costretti a vivere nel bosco per un periodo. Perché proprio Enea?
Sullo sfondo possiamo notare la città di Venezia, ed il doge in carica al momento della creazione era Gabriele Vendramin, discendente del famoso Andrea Vendramin.
Da tempo Venezia era legata al mito di Enea e lo stesso Silvio (figlio di Enea) era simbolo di Gabriele.

Questo potrebbe essere un grande indizio per identificare il soggetto dell’opera in base alla committenza.

 

Una donna misteriosa

Eppure, il dipinto è stato sottoposto a numerosi raggi x sin a partire dal 1939, e grandiose scoperte hanno rivoluzionato l’idea della composizione del dipinto dando maggior voce ai sostenitori del non-soggetto.
Perché?
Possiamo notare come al posto del giovane pellegrino vi fosse una donna intenta a lavarsi.
Chi fosse costei e come interagisse con l’altra figura, non si sa.

Il quadro di Giorgione è ad oggi uno dei più grandi misteri dell’iconografia.




Kandinsky prima dell’astrattismo

Tutti noi conosciamo Kandinksy, il grande pittore che con i suoi motivi astratti e geometrici ha fatto innamorare il mondo.
Ma è sempre stato così?

Wassily Kandinsky (o Vasilij Kandinskij) nacque a Mosca nel 1866 ma visse per larga parte della sua vita in Europa, soprattutto in Germania.

 

Agli inizi

 

Sin dall’infanzia fu attratto dai colori e dalla loro espressività. I primi dipinti, databili attorno al 1902-1907, periodo che lui chiama dei “disegni colorati” sono per noi ciò che più si discosta dall’idea che abbiamo di Kandinsky.

 

Sono dipinti ricchi di colori accesi e vivaci e caratterizzati da una prepotente linea di contorno.
Essi richiamano un po’ le vetrate gotiche come se fossero composti da piccoli pezzi di vetri dai colori vibranti.

Il folklore russo è vivo nella memoria di Kandinsky al momento della produzione di queste opere.

 

 

 

 

L’impressionismo in Italia

 

Successivamente, nel suo soggiorno italiano a Rapallo, Kandinsky si avvicina all’impressionismo e inizia a produrre dipinti aventi come soggetto la costa ligure.

 

Memore del suo incontro con le opere di Monet, ed essendo affascinato da questa pittura non lineare che gioca con i colori, dipinge dolcissimi quadri come “Rapallo. Paesaggio con battello a vapore.”

Il cambiamento di stile è evidente e sconvolgente. Ma questo rappresenterà solo un breve intervallo nella carriera pittorica dell’artista, poiché negli anni subito seguenti la presenza espressionista diverrà protagonista delle opere di Kandinsky.

 

 

L’incontro con l’espressionismo

 

In questa fase il pittore, seguendo quella che difatti è la poetica dell’espressionismo tedesco, deforma e stilizza la realtà usando colori accesi e contrastanti. Da questo momento in poi Kandinsky si dedicherà alla creazione delle sue opere più celebri.

Nel 1905 fonda a Dresda “Die Brucke” (Il Ponte), mentre nel 1910 pubblica Lo spirituale dell’arte, un caposaldo nella storia dell’arte mondiale.

 

 

 

 

 

 

Le prime opere appartenenti a questo nuovo influsso espressionista sono caratterizzate da colori violenti e rappresentano principalmente vedute di Murnau, un paese a sud di Monaco: la chiesa, la torre, case.
Sono dipinti straordinari ed estremamente coinvolgenti.

 

 

 

La via per l’astrattismo

 

Ma cosa succede poi? Lentamente, i soggetti dei suoi dipinti vengono meno… le figure sono sempre più sfocate, più confuse, i colori si fondono tra di loro senza più un linee di contorno.

Tutti i soggetti si fondono insieme e divengono un uno, come nel caso di Suono Bianco del 1908.

 

Finché, ad un certo punto, tutte le forme spariscono e non resta che il colore.
Senza titolo (Studio per Composizione VII, Prima astrazione) è stata a lungo considerata la prima opera astratta della storia. Kandinsky dipinge quest’opera nel 1910, apportando dietro la scritta “acquerello astratto”.

 

 

 

In quest’opera è centrale il ritmo, il linguaggio è rappresentato da forme e linee vibranti.

Da questo momento in poi, il grande Kandinsky comincerà a produrre le sue opere geometriche più famose, che tutti noi conosciamo.
Ma è stato un viaggio lungo e tortuoso quello che l’ha condotto all’astrattismo.




Adolf Wölfli e l’ossessione per la simmetria

L’Art Brut

 

Attorno agli anni ’40 del Novecento, l’artista e critico Jean Dubuffet creò la compagnia dell’”Art Brut”.

 

Durante la sua maturità, Dubuffet sviluppò una particolare attenzione per l’arte infantile, primordiale, l’arte dei bruti.

Decise di creare questa compagnia per riunire gli artisti che secondo lui aderivano al canone: egli voleva creare un’arte spontanea, non inserita nel circuito artistico e che svincolasse dai presupposti accademici.
Un’arte che è tipica dei malati mentali.
La sua ricerca lo condusse dunque ai manicomi: Dubuffet trovò lì dei personaggi grandiosi, degli artisti a tutto tondo che di storia dell’arte non conoscono nulla, ma che con un foglio davanti sanno creare universi.
Tra i più grandi esponenti dell’Art Brut in senso lato troviamo l’italiano Carlo Zinelli e gli svizzeri Aloïse Corbaz e Adolf Wölfli.

 

Adolf Wölfli: un’infanzia difficile

 

Adolf Wölfli è stato uno dei primi artisti ad essere associato all’Art Brut, se non il maggior esponente di questa inconsapevole corrente artistica.

 

Il piccolo Adolf ebbe un’infanzia difficile e violenta e già in adolescenza apparirono i primi segni di schizofrenia.

Nel 1895 venne internato nel manicomio di Waldau, dove passerà il resto della sua vita.
In quel luogo egli inizia a disegnare, a scrivere, a decorare le pareti e le porte dell’edificio.

Utilizza qualunque cosa; dalle riviste alle fotografie, dai fogli di carta alle tele.
Sviluppa così in pochissimo tempo uno stile personale e molto originale, caratterizzato da una ferrea simmetria ed una ripetitività della figura.

Il suo mondo è planare, bidimensionale, rappresentato su più piani spesso rappresentati sulla medesima superficie in modo continuo.

Possiamo descrivere la sua intera produzione come un’arte “decorativa”.
Prendendo ad esempio una sua qualunque opera possiamo individuare con estrema facilità tutti i caratteri peculiari di Wölfli.

 

 

 

Lo stile

Egli utilizza colori accesi, vivaci, vibranti, accostati tra loro con estrema armonia.

Il disegno è lineare, ogni macchia di colore è scandita e separata dalla prossima con rigore meccanico.

Wölfli stupisce soprattutto per l’estremo equilibrio compositivo che le sue opere emanano.

Certo, l’elemento ossessivo-compulsivo è presente e di notevole impatto, ma come si potrebbero dire queste opere frutto di un malato mentale invece che di un grande artista?

 

Sono opere sorprendenti, per le quali Dubuffet si è a lungo battutto per portare alla luce.

Il fatto che siano frutto di malati mentali per lui non contava niente: potevano essere prodotte in tale modo da malati di fegato, come diceva, le avrebbe valutate allo stesso modo.

 

 

Ed osservandole ci risulta chiaro il motivo di tanto interesse da parte sua: sono dipinti che nessun altro artista avrebbe potuto comporre perché mancano di quell’elemento di ingenuità e di freschezza, di ossessiva attenzione al dettaglio che solamente un’artista così “speciale” poteva generare.

 




L’ultima opera di Raffaello: La Trasfigurazione

L’Ultima opera di Raffaello: La Trasfigurazione

Raffaello fu il più grande pittore della Roma Cinquecentesca, conosciuto da tutti come il “Divino”.
Urbinate di nascita, fu adottato nella Roma papale grazie ai numerosi incarichi che si trovò a coprire nel Palazzo Vaticano, essendo diventato l’artista preferito dal papa, Giulio II, il quale gli affidò la creazione delle cosiddette Stanze di Raffaello.

Storia della Pala

 

Era il 1516 quando il cardinale Giulio de’ Medici commissionò contemporaneamente a Raffaello e a Sebastiano del Piombo due tavole per la cattedrale di Narbona con soggetto la Trasfigurazione di Cristo e la Resurrezione di Lazzaro.
La tavola di Raffaello, però, non raggiunse mai la Francia.

Fu anzi posta sull’altare di San Pietro in Montorio. Nel 1798 ha inizio il suo travaglio: fu confiscata durante le spoliazioni napoleoniche e portata a Parigi, dove restò fino al 1815 quando Antonio Canova, su ordine del Papa, la riportò in Vaticano.

 

 

 

 

La Trasfigurazione

 

Il dipinto di Raffaello si configura come un capolavoro di brillantezza, luminosità e composizione.

Nella pala vengono accostati per la prima volta due episodi trattati nei Vangeli attraverso una struttura iconografica del tutto innovativa.

La pala è divisa in due registri: nella parte superiore, gli apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo assistono alla trasfigurazione di Gesù, ovvero il momento in cui egli mostra loro il Suo aspetto divino, con i profeti Mosè ed Elia sul Monte Tabor.

 

 

Nella parte inferiore, più complessa e movimentata, viene trattato invece il momento subito successivo alla Trasfigurazione, quello chiamato nei vangeli “la guarigione dell’ossesso” poiché trattata della miracolosa guarigione di un ragazzo indemoniato da parte di Gesù.

Tuttavia, nel dipinto il ragazzo non è guarito, anzi: si agita e volta gli occhi all’indietro nel pieno di una crisi.

Questo perché non va letta l’opera come una successione di eventi, come spesso è stata fraintesa, ma come una concomitanza di azioni.

Per leggere correttamente l’opera, dunque, vanno messi in collegamento  i due momenti: mentre Cristo è sul Monte Tabor, i restati apostoli sono riuniti attorno ad un giovane indemoniato nel tentativo di liberarlo.

I discepoli, però, peccano di mancanza di fede e falliscono nel soccorrere il ragazzo. Solamente Gesù sarà in grado di guarirlo.

 

La morte di Raffaello

Raffaello tuttavia non riuscì a terminare l’opera, poiché morì a soli 37 anni.

Attorno alla morte del Divin maestro girarono, sin da subito, numerosissime leggende: Marcantonionio Michiel racconta nei suoi diari che al momento della morte di Raffaello il cielo si oscurò e le pareti della casa si creparono. Degli oscuri presagi di sapore molto evangelico.

Infatti, caso vuole che il Raffaello nacque il 6 aprile 1483, un Venerdì Santo, e morì il 6 aprile del 1520 sempre un Venerdì Santo.

Agli occhi dei più, questa coincidenza di date sembrava un segno esplicito della natura divina dell’artista.

Come non poter collegare la scomparsa dell’artista a quella del Cristo?

Difatti, l’immensa pala della Trasfigurazione, rimasta incompiuta, fu posta sul letto di morte di Raffaello.
In molti accorsero a visitare la camera mortuaria e ad ammirare il suo ultimo capolavoro. Tra questi, anche Giorgio Vasari, che disse “la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava.”

 

La morte di Raffaello, ad oggi, resta un mistero.




Il vero ritratto di Dante

Il Sommo Poeta

 

Dante Alighieri è il padre della letteratura italiana, conosciuto in tutto il mondo per aver creato un’opera maestosa e imponente come la Divina Commedia.

Tutti noi, pensando a Dante, immaginiamo un uomo vestito di rosso, con una corona d’alloro, il naso aquilino e il volto serio rappresentato di profilo: l’immagine del poeta per eccellenza.
Ma tutte le raffigurazioni di Dante sono successive alla sua morte, nessuno lo ha mai visto e ritratto quando era ancora in vita.

  Dante: cavaliere in armatura

Sappiamo però che in vita fu un cavaliere, poiché combatté a Campaldino e ricoprì numerose cariche politiche a Firenze prima di essere esiliato.
Queste notizie biografiche creano un ritratto molto distante da quello che noi abbiamo in mente: un uomo politico, un uomo di guerra, un pellegrino senza terra e senza riconoscimenti.

 

Quando mai, in tutta la sua vita, Dante ebbe occasione di vestirsi di rosso e indossare una corona d’alloro in testa?

 

Piuttosto, dovremmo immaginarlo in sella ad un cavallo e con un’armatura addosso, come era abituato a vestirsi nei suoi anni fiorentini.

A venticinque anni, nella battaglia di Campaldino, Dante era in prima fila, vestito con una cotta di maglia da quindici o venti chili, con lo scudo in un braccio recante i colori della famiglia (oro e nero, con una fascia bianca verticale), una lancia in pugno e l’elmo sulla testa.

Chi mai si immagina Dante in armatura? Eppure, è l’unica cosa di cui siamo certi.

Se, dunque, negli anni giovanili Dante era solito indossare un’armatura, nel periodo successivo all’esilio lo vediamo intento a vagare di corte in corte per ricevere l’appoggio di un Signore o di un Duca. 

In quegli anni aveva appena cominciato a scrivere la Divina Commedia, un’opera che gli porterà via vent’anni di lavoro, e la sua fama di poeta era circoscritta nella sola zona di Firenze.

Al di fuori della Toscana, era un uomo qualunque in cerca di lavoro come poeta e filosofo di corte, non sicuramente il famosissimo scrittore incoronato d’alloro.

 

La tradizione pittorica a partire da Boccaccio: vestito rosso e corona d’alloro

 

A trasmettere quest’immagine di Dante vestito di rosso e con la corona fu Giovanni Boccaccio.

Quando tra il 1351 e il 1365, a quarant’anni dalla morte di Dante, egli scrisse la prima biografia sul poeta, fornì una descrizione fisica totalmente idealizzata.

Boccaccio non conobbe personalmente Dante e alla sua morte non vi erano rimasti ritratti o dipinti; perciò,
decise di descriverlo in base a caratteri generali e idealizzati che potessero trasmettere valori come la sensibilità, la gloria, l’autorità. 

Immaginò un uomo robusto, con il naso aquilino simbolo di potere, il volto severo e malinconico espressione della condizione d’esiliato, l’abito rosso simbolo della gloria poetica e la corona d’alloro, che Dante a lungo sognò di ricevere come celebrazione per la Commedia, di ritorno a Firenze.

Malgrado questi sogni, Dante morì esule a Ravenna nel 1321 e di lui non ci sono pervenuti alcuni ritratti o disegni.

 

 

 

  

 

 

 

 




William Morris e il movimento Arts and Crafts

Il movimento Arts and Crafts, nato nel tardo XIX secolo in Inghilterra, ha rivoluzionato il mondo dell’arte e del design. Uno dei pilastri fondamentali di questo movimento è stato William Morris, figura di spicco e prolifico artista che ha contribuito in modo significativo alla sua affermazione. In questo articolo, esploreremo le opere principali di William Morris e l’impatto duraturo che ha avuto il movimento Arts and Crafts sull’arte e sul design.

William Morris: Un Visionario dell’Arte e del Design

William Morris (1834-1896) è stato un artista, designer, scrittore e attivista britannico, noto soprattutto per il suo lavoro rivoluzionario nel campo delle arti decorative. Nato a Walthamstow, Londra, Morris studiò alla Marlborough e all’Exeter College di Oxford, dove sviluppò un amore per la letteratura medievale e l’architettura gotica. Questa passione per il passato storico ebbe un’influenza significativa sul suo lavoro successivo.

Morris è stato uno dei membri fondatori del movimento Arts and Crafts, che promuoveva un ritorno all’artigianato tradizionale e all’arte come parte integrante della vita quotidiana. Credeva che l’arte dovesse essere accessibile a tutti e aveva l’obiettivo di rivitalizzare l’artigianato, combattendo l’alienazione prodotta dalla rivoluzione industriale.

Le Opere Iconiche di William Morris

“The Strawberry Thief” (1883)

Una delle opere più celebri di William Morris è “The Strawberry Thief”, un disegno tessile caratterizzato da uccelli che si librano tra fragole e rami. Questo design è un esempio classico dello stile distintivo di Morris, con un’attenzione meticolosa per i dettagli e l’utilizzo di colori vibranti che richiamano la natura

“Golden Lily” (1899)

“Golden Lily” è un altro famoso design tessile di Morris. Questo motivo floreale presenta eleganti gigli d’oro su uno sfondo scuro. L’opera è un esempio di come Morris abbia saputo fondere abilmente elementi della natura con la sua estetica gotica, creando un’opera d’arte atemporale.

 

“The Woodpecker” (1885)

Quest’opera rappresenta un esempio di come Morris abbia tratto ispirazione dalla fauna per i suoi design. “The Woodpecker” è un tessuto che presenta un magnifico uccello tra rami fioriti. Morris era noto per l’uso di motivi naturali nella sua opera, ispirati dalla sua ammirazione per la bellezza della natura.

L’Eredità del Movimento Arts and Crafts

Il movimento Arts and Crafts non è stato solo una rivoluzione nel mondo dell’arte e del design, ma ha anche lasciato un’impronta duratura nella società contemporanea. Questo movimento ha contribuito a diffondere l’idea che l’artigianato e il design fossero parte integrante della vita quotidiana e che dovessero essere accessibili a tutti. Ha promosso l’idea che l’arte e l’artigianato non dovessero essere confinati a cerchie elitiste, ma fossero invece un diritto per tutti.

In conclusione, William Morris è stato un pioniere nel movimento Arts and Crafts e ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte e del design. Le sue opere iconiche e il suo impegno per la promozione dell’artigianato e dell’arte accessibile continuano a ispirare artisti e designer fino ai giorni nostri. Il movimento Arts and Crafts, con Morris come figura di spicco, rimane un faro guida per coloro che credono nell’importanza dell’arte, della funzionalità e dell’accessibilità nella vita quotidiana.

 




L’Architettura in Francia tra il XVI e XIX secolo


La Francia, patria di raffinatezza e cultura, ha dato vita nel corso dei secoli a un patrimonio architettonico di rara bellezza. Tra il XVI e il XIX secolo, un periodo che ha conosciuto profondi mutamenti sociali, politici e culturali, l’architettura francese ha vissuto un’epoca d’oro, caratterizzata da uno stile distintivo e un’innovazione senza pari. Esploriamo alcune delle più rilevanti creazioni architettoniche di questo periodo.

Il Rinascimento Francese: XVI secolo

Il XVI secolo è stato un’epoca di fervore artistico e rinascita culturale in tutta Europa, e la Francia non è stata da meno. Durante questo periodo, l’architettura francese ha abbracciato il Rinascimento italiano, arricchendolo con il suo gusto unico.

Il Castello di Chambord

Uno degli esempi più significativi di questa fusione di stili è il Castello di Chambord, un’icona del Rinascimento francese. Progettato da Domenico da Cortona, questo maestoso castello combina linee eleganti e proporzioni armoniose con elementi tipici dello stile gotico e rinascimentale. I suoi alti tetti a punta, le torri e le logge sono un’evocazione dell’arte e della bellezza dell’epoca.

Il Louvre

Altra gemma architettonica di questo periodo è il Louvre, inizialmente un castello medievale trasformato in residenza reale e poi in un maestoso palazzo. L’architetto Pierre Lescot lo arricchì di elementi rinascimentali, introducendo arcate, colonne e decorazioni ispirate all’arte italiana. Il Louvre diventò così il simbolo del potere e della grandezza della monarchia francese.

L’Eleganza del Classicismo: XVII secolo

Il XVII secolo ha visto l’affermarsi dello stile classico in Francia, un’epoca di raffinatezza e proporzione, ispirata dall’antica Roma e Grecia.

Il Palazzo di Versailles

Senza dubbio, il Palazzo di Versailles è l’archetipo di questo stile. Progettato da Louis Le Vau e successivamente ampliato da Jules Hardouin-Mansart e Charles Le Brun, Versailles rappresenta il culmine dell’architettura barocca francese. Con le sue linee eleganti, le cupole imponenti e i giardini all’italiana, simboleggia il potere assoluto dei monarchi francesi e il loro desiderio di grandezza e opulenza.

Il Neoclassicismo: XVIII – XIX secolo

All’inizio del XVIII secolo, l’architettura francese ha abbandonato gli eccessi del barocco e ha abbracciato il neoclassicismo, ispirato ai principi architettonici dell’antica Grecia e Roma.

L’Arco di Trionfo

Un’icona del neoclassicismo francese è l’Arco di Trionfo a Parigi, progettato da Jean-François-Thérèse Chalgrin. Questo monumento maestoso è un’omaggio all’arte e all’architettura antiche, con le sue colonne corinzie e le sculture ornamentali che celebrano le conquiste militari e l’identità nazionale.

La Madeleine

Un’altra opera significativa è la Chiesa della Madeleine a Parigi, progettata da Pierre-Alexandre Vignon. Questa chiesa neoclassica si distingue per la sua eleganza sobria, con una facciata ispirata ai templi romani. Rappresenta un esempio notevole di come il neoclassicismo sia stato adottato anche nell’architettura religiosa.

Conclusione

Il periodo dal XVI al XIX secolo ha visto la Francia emergere come una potenza culturale e artistica di risonanza mondiale. Le opere architettoniche di questo periodo, dai castelli rinascimentali alle residenze barocche e ai monumenti neoclassici, sono ancora oggi un’autentica testimonianza dell’ingegno umano e della sua ricerca di bellezza, simmetria ed equilibrio. Queste creazioni architettoniche, oltre a rappresentare la storia della Francia, ci ispirano e ci fanno riflettere sull’eternità dell’arte e della creatività umana.




Nicolas Poussin e la pittura di paesaggio

Nicolas Poussin, nato nel 1594 a Les Andelys in Normandia, è stato uno dei più grandi pittori del XVII secolo, noto per le sue opere classiche e raffinate che hanno influenzato profondamente il mondo dell’arte. L’artista fu un fervente sostenitore del classicismo e uno dei pionieri del Barocco, combinando armoniosamente la tradizione classica con nuovi elementi drammatici e compositivi.

I Fondamenti Classici

 

Le opere di Poussin sono intrise di richiami alla classicità, con scene mitologiche, storiche e bibliche che compongono la sua produzione artistica. Un esempio emblematico di questa fusione tra il classicismo e il Barocco è “Et in Arcadia ego” (Anche io, in Arcadia), un dipinto che rappresenta idealmente l’armonia della natura e l’inevitabilità della morte, temi centrali dell’arte barocca.

In questa opera, quattro pastori contornano un sarcofago antico, riflettendo sulla presenza della morte anche in un luogo così idilliaco. L’equilibrio compositivo e l’attenzione ai dettagli anatomici denotano la formazione classica di Poussin, conferendo un senso di solennità e raffinatezza all’opera.

Le Allegorie del Potere e della Storia

Tra le opere più celebri di Poussin vi è “Il trionfo di Neptuno e Anfitrite”, un dipinto che incarna la potenza e la grandezza degli dei marini. La composizione meticolosa, le luci e le ombre giocano un ruolo cruciale nel conferire profondità e drammaticità all’opera. Neptuno, la figura centrale, emerge con maestosità dal suo carro trionfale, mentre Anfitrite, sua consorte, è affiancata dalle ninfe marine.

Poussin non si limita a esplorare la mitologia, ma tratta anche temi storici, come dimostra “Il ratto delle Sabine”. Quest’opera è un tributo all’arte classica, con una disposizione delle figure che richiama l’arte greco-romana. La drammaticità della scena è bilanciata dalla precisione e dalla grazia delle forme, evidenziando la genialità del pittore nel combinare il rigore classico con l’espressività barocca.

La Rinascita dell’Antico

Nicolas Poussin è stato un pioniere nell’adozione dell’antico come fonte di ispirazione per le sue opere. “Il giudizio di Salomone” è un esempio significativo di questa tendenza. In quest’opera, Poussin fa rivivere la grandiosità dell’antichità attraverso l’architettura e i costumi, illustrando con maestria la saggezza di Re Salomone nel risolvere una disputa tra due madri.

Il talento di Poussin nel catturare l’essenza dell’antico ha contribuito a una rinascita del gusto classico nel suo tempo, influenzando numerosi artisti successivi.

Conclusioni

Nicolas Poussin è stato un pilastro del classicismo barocco, la cui arte ha incantato e ispirato generazioni di appassionati d’arte. Attraverso la sua maestria nell’armonizzare la tradizione classica con l’espressività barocca, ha creato opere che restano rilevanti e apprezzate ancora oggi. Il suo lascito nell’arte europea è indiscutibilmente di fondamentale importanza e continua a influenzare gli artisti contemporanei, dimostrando la duratura rilevanza della sua visione artistica.

 




Keith Haring: Il linguaggio universale dell’Arte Contemporanea

Keith Haring è stato un’icona nell’ambito dell’arte contemporanea, noto per il suo stile distintivo e il linguaggio visivo universalmente riconoscibile.

 

Le sue opere, vibranti e dinamiche, hanno lasciato un’impronta indelebile nell’arte e nella cultura popolare.

L’artista statunitense ha utilizzato le sue creazioni per comunicare messaggi sociali e politici, raggiungendo un vasto pubblico e lasciando un segno duraturo nel panorama artistico mondiale.

L’Infanzia e l’Influenza sulla sua Arte

Nato nel 1958 a Reading, Pennsylvania, Keith Haring ha manifestato un precoce interesse per l’arte sin da giovane.

La sua passione si è sviluppata ulteriormente durante gli studi alla Ivy School of Professional Art a Pittsburgh e successivamente all’Accademia delle Belle Arti di New York. L’influenza del graffiti e della street art degli anni ’70 e ’80 è stata determinante nel plasmare il suo stile artistico.

L’iconografia di Keith Haring

Uno degli aspetti più distintivi delle opere di Haring è l’iconografia che ha creato. Simboli come il “Bambino Radiante”, il “Cane Saltante” e l'”Uomo Danzante” sono diventati marchi riconoscibili in tutto il mondo.

La sua scelta di simboli semplici e universali ha reso le sue opere accessibili a un vasto pubblico, abbattendo le barriere culturali e linguistiche.

Il “Bambino Radiante” rappresenta l’innocenza, l’ottimismo e la vitalità, mentre il “Cane Saltante” simboleggia la lealtà e la gioia di vivere. L'”Uomo Danzante” incarna la libertà di espressione e la celebrazione della diversità.

Arte, Attivismo e Messaggi Sociali

Le opere di Keith Haring erano spesso cariche di messaggi sociali e politici. Il suo impegno per i diritti umani, la lotta contro l’AIDS e la promozione dell’uguaglianza erano temi centrali nella sua arte. Haring ha utilizzato la sua piattaforma artistica per sollevare consapevolezza su questioni cruciali della società, dimostrando come l’arte possa essere un potente strumento di cambiamento sociale.

Le Opere Celebri di Keith Haring

 

“Tuttomondo” (1989)

Una delle opere più iconiche di Keith Haring è “Tuttomondo”, un murale situato a Pisa, Italia. Questo grande affresco, realizzato sul lato di un edificio, rappresenta la sua visione di un mondo unito, in cui l’arte può superare le divisioni culturali e sociali.

 

“Sempre più insieme” (1987)

Questo affascinante dipinto rappresenta una famiglia unita e felice. Haring utilizza linee semplici e colori vivaci per sottolineare l’importanza dell’unità familiare e della solidarietà nella società.

 

“Keith Haring: The Political Line” (Mostra)

La mostra “Keith Haring: The Political Line” è stata una retrospettiva itinerante che ha esplorato l’impegno politico di Haring attraverso le sue opere. Ha presentato una vasta gamma di disegni, dipinti e sculture, consentendo al pubblico di immergersi nell’universo artistico e sociale di Haring.

Keith Haring ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte contemporanea, dimostrando che l’arte può essere accessibile, impegnata e profondamente influente. Il suo linguaggio universale e i suoi messaggi incisivi continueranno a ispirare e a toccare le generazioni future, mantenendo vivo il suo impatto artistico e sociale.

L’articolo fornisce una panoramica delle influenze e delle opere più significative di Keith Haring, ponendo l’accento sul linguaggio universale e l’impegno sociale che hanno caratterizzato la sua carriera artistica.




Giovan Battista Piranesi: L’Architetto dell’Immaginario

Giovanni Battista Piranesi, artista, architetto e incisore italiano del XVIII secolo, è celebre per le sue straordinarie rappresentazioni artistiche e incisioni, che hanno lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte e dell’architettura. Le sue opere, caratterizzate da una fusione di grandiosità, mistero e dettagli minutamente eseguiti, hanno elevato la pratica dell’incisione e hanno influenzato generazioni di artisti successivi. In questo articolo, esploreremo alcune delle sue principali opere, che continuano a ispirare e affascinare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.

Carceri d’Invenzione (Prigioni Immaginarie)

Una delle serie più iconiche e misteriose di Piranesi è senza dubbio la “Carceri d’Invenzione” o le “Prigioni Immaginarie”. Queste incisioni, create tra il 1745 e il 1750, mostrano strutture architettoniche complesse, quasi labirintiche, popolate da scale intricate, archi maestosi e passaggi oscuri. L’atmosfera che emerge da queste incisioni è di una potente drammaticità, con giochi di luce e ombra che intensificano la sensazione di mistero e incantamento.

Le “Prigioni Immaginarie” di Piranesi incarnano l’esplorazione del sublime, invitando gli spettatori a immergersi in mondi impossibili e a lasciarsi trasportare in una dimensione oltre la realtà. Queste opere incanalano il desiderio di esplorazione e la straordinaria immaginazione di Piranesi, catturando l’essenza stessa dell’arte fantastica.

Vedute di Roma

Piranesi è ampiamente conosciuto per le sue vedute di Roma, una serie di incisioni dettagliate e realistiche che ritraggono monumenti e rovine dell’antica Roma. Queste opere, realizzate tra il 1748 e il 1778, mostrano una profonda comprensione dell’architettura classica e una straordinaria abilità tecnica nell’incisione.

Le “Vedute di Roma” di Piranesi vanno oltre la semplice rappresentazione realistica degli edifici; attraverso la maestria dell’ombreggiatura e l’attenzione al dettaglio, l’artista riesce a catturare l’atmosfera e la grandezza di questi monumenti storici. Le sue vedute rivelano il suo amore per la storia, l’architettura e la città di Roma stessa, rappresentando una testimonianza tangibile dell’interesse di Piranesi per il passato.

I Campi Phlegraei

Un’altra opera significativa di Piranesi è la serie “I Campi Phlegraei”, realizzata nel 1776. Questa collezione di incisioni è dedicata ai campi flegrei, una regione vulcanica nei pressi di Napoli. Le incisioni mostrano paesaggi pittoreschi, attività vulcaniche e studi geologici dettagliati.

“I Campi Phlegraei” sono un’opera di grande rilevanza scientifica e artistica, in quanto combinano l’osservazione accurata della natura con la sensibilità estetica di Piranesi. Le incisioni trasmettono un senso di meraviglia per la forza e la bellezza della natura, nonché la complessità delle forze geologiche.

Conclusioni

Le opere di Giovanni Battista Piranesi continuano a esercitare un’influenza duratura sull’arte e sull’architettura. Attraverso la sua maestria tecnica e la sua straordinaria immaginazione, Piranesi ha creato mondi fantastici e affascinanti che invitano gli spettatori a esplorare l’incognita e a riflettere sulla grandezza della storia e della natura. La sua eredità artistica rimane un tesoro prezioso, ispirando gli artisti contemporanei a esplorare i confini della creatività e a celebrare la bellezza del passato.




Luca Signorelli tra visioni celesti e potere umano

Luca Signorelli, pittore rinascimentale italiano del XV secolo, è celebre per le sue opere di grande impatto emotivo e potenza artistica.
L’arte di Signorelli è stata influenzata da diversi stili dell’epoca, spaziando dal Rinascimento all’influenza gotica.

Questo articolo esplorerà alcune delle sue opere più significative, evidenziando il suo talento eccezionale e la sua capacità di affrontare temi complessi e profondi.

La Cappella di San Brizio: La Visione dell’Apocalisse

Una delle opere più celebrate di Luca Signorelli è la straordinaria decorazione della Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, completata tra il 1499 e il 1504.

Questa cappella è un capolavoro che rappresenta la fine dei tempi secondo il Libro dell’Apocalisse.

Signorelli ha dipinto un ciclo di affreschi di straordinaria bellezza e dettaglio, rappresentando il Giudizio Universale e le visioni apocalittiche. Le figure umane sono dipinte con maestria, mostrando la capacità di Signorelli di raffigurare espressioni emozionali e anatomia accurata.

Resurrezione dei Morti

Uno dei momenti più spettacolari nella Cappella di San Brizio è la rappresentazione della Resurrezione dei Morti.

Signorelli dipinge con grande realismo corpi che si risvegliano dalle tombe, con movimenti vigorosi e spontanei.
Il contrasto tra le figure vivide e i teschi spettrali evidenzia il tema della resurrezione e della rinascita.

La Crocifissione

Un’altra opera degna di nota è la Crocifissione presente nella stessa cappella. Signorelli affronta questo tema cruciale del Cristianesimo con grande pathos e drammaticità.

Le figure dei partecipanti al tragico evento, dai dolenti discepoli a Maria, sono rappresentate con una profonda intensità emotiva.

Madonna e Santi

Oltre alle visioni apocalittiche, Signorelli eccelle anche nel dipingere opere più serene e contemplative. Un esempio è la “Madonna con i Santi” (1477-1480), che mostra la sua abilità nel ritrarre la grazia e la dolcezza delle figure sacre.

La composizione equilibrata e la delicatezza dei dettagli testimoniano la maestria tecnica di Signorelli.

Conclusione

Luca Signorelli è stato un artista straordinario del Rinascimento, la cui opera continua a ispirare e affascinare gli amanti dell’arte in tutto il mondo.

La sua capacità di affrontare temi profondi, la sua abilità tecnica e la sua sensibilità emotiva lo rendono un’icona indimenticabile nell’ambito della pittura rinascimentale.
Le sue opere, con la loro potenza espressiva e la loro bellezza intramontabile, sono un tributo duraturo al genio artistico dell’umanità.