Non sempre è facile mettersi nei panni di un altro ma la scrittura dinamica di Jonathan Bazzi riesce a catturarti e farti sentire sulla pelle l’ansia di un bambino e di un uomo nel sentirsi diverso e inadatto.
La storia è strutturata in capitoli che alternano l’infanzia del protagonista e il suo presente in una storia autobiografica che ha coinvolto lettori e critica di Febbre tanto da essere uno della magica dozzina candidata per il Premio Strega 2020.
Se in un primo momento il reale protagonista sembra essere la sconvolgente scoperta di essere sieropositivo, in effetti ciò che colpisce è quella sottile e costante patina di sentirsi sempre diverso da qualcosa, dai propri sogni, dalle prospettive future, dalle aspettative.
Diverso e confuso in un mondo che sembra correre e affaccendarsi senza mai osservare davvero l’anima di Jonathan. Fin dalla prima infanzia, il protagonista non si sente mai adeguato. La separazione dei genitori, il continuo cambio di scuola, la sua balbuzie, questa Milano vicina ma in effetti lontanissima.
Sono cresciuto a Rossano, cap 20089, un paese piccolo ma neanche poi tanto, all’estrema periferia sud di Milano, costruito in mezzo alla campagna che costeggia il Naviglio, in direzione Pavia.
Tutta la crudeltà di una vita vissuta ai margini, non solo rispetto alla sua omosessualità, ma rispetto all’ambiente che lo circonda e che appare muto e lontano davanti alla sua esigenza di essere compreso e protetto.
Un ragazzo che cresce da solo, con un padre che si dimentica di andarlo a prendere, una madre impegnata nel lavoro e che preferisce non frequentare più la scuola pur di non leggere ad alta voce ma è lo stesso ragazzo che riesce, poi, a terminare gli studi con voti eccellenti proprio perché durante quel primo isolamento entra in contatto con la parte più intima di sé stesso e sarà proprio quella sua forza interiore ad aiutarlo a seguire, senza indugio, la sua strada.
Una forza d’animo capace di sostenerlo nel decidere di dichiarare apertamente di essere malato di HIV e che proprio nell’accettazione della sua malattia e dell’uomo che è diventato che si arriva a definire Rossano il veleno e l’antidoto chiudendo in qualche modo un cerchio.
Bazzi ha una scrittura sintetica, asciutta e diretta, quasi fossero delle pennellate di pensiero. I suoi pensieri arrivano in modo potente e senza tanti fronzoli. Gli aggettivi sono precisi, sintetici perfetti e la lettura coinvolge al punto di sentire a pelle i brividi della febbre.
Con Febbre Jonathan Bazzi è al suo primo romanzo ed è tra i 12 finalisti per il Premio Strega 2020.
Febbre di Jonathan Bazzi
Il Colibri di Veronesi
La nuova stagione di Ballestra
L’apprendista di Gian Mario Villalta
Ragazzo italiano di Gian Arturo Ferrari
Città sommersa di Marta Barone
Giovanissimi di Alessio Forgione
La misura del tempo di Gianrico Carofiglio
Almarina di Valeria Parrella
Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli
Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo
Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio
Jonathan ha 31 anni nel 2016, un giorno qualsiasi di gennaio gli viene la febbre e non va più via, una febbretta, costante, spossante, che lo ghiaccia quando esce, lo fa sudare di notte quasi nelle vene avesse acqua invece che sangue. Aspetta un mese, due, cerca di capire, fa analisi, ha pronta grazie alla rete un’infinità di autodiagnosi, pensa di avere una malattia incurabile, mortale, pensa di essere all’ultimo stadio. La sua paranoia continua fino al giorno in cui non arriva il test all’HIV e la realtà si rivela: Jonathan è sieropositivo, non sta morendo, quasi è sollevato. A partire dal d-day che ha cambiato la sua vita con una diagnosi definitiva, l’autore ci accompagna indietro nel tempo, all’origine della sua storia, nella periferia in cui è cresciuto, Rozzano – o Rozzangeles –, il Bronx del Sud (di Milano), la terra di origine dei rapper, di Fedez e di Mahmood, il paese dei tossici, degli operai, delle famiglie venute dal Sud per lavori da poveri, dei tamarri, dei delinquenti, della gente seguita dagli assistenti sociali, dove le case sono alveari e gli affitti sono bassi, dove si parla un pidgin di milanese, siciliano e napoletano. Dai cui confini nessuno esce mai, nessuno studia, al massimo si fanno figli, si spaccia, si fa qualche furto e nel peggiore dei casi si muore. Figlio di genitori ragazzini che presto si separano, allevato da due coppie di nonni, cerca la sua personale via di salvezza e di riscatto, dalla periferia, dalla balbuzie, da tutte le cose sbagliate che incarna (colto, emotivo, omosessuale, ironico) e che lo rendono diverso.
Un libro spiazzante, sincero e brutale, che costringerà le nostre emozioni a un coming out nei confronti della storia eccezionale di un ragazzo come tanti.
Un esordio letterario atteso e potente.
Social Media Manager e Scrittrice