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L’Antigone di Sofocle

By Claudia Donnini on 9 Gennaio 2023
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L’Antigone di Sofocle

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Sofocle, drammaturgo greco del V secolo a.C. di cui abbiamo già parlato in precedenza, trattando approfonditamente il suo capolavoro Edipo Re, è autore di altre numerose opere di grande successo.

Oggi parleremo insieme dell’Antigone, la quale fa parte insieme all’Edipo re e l’Edipo a Colono del Ciclo tebano, incentrato sulle vicende di Edipo e della sua dinastia.

A differenza dell’Edipo Re la cui data di composizione è sconosciuta, dell’Antigone si conosce la data della prima rappresentazione: il 442 a.C., ad Atene, durante le Grandi Dionisie.

Antigone è figlia di Edipo e Giocasta, sorella di Eteocle, Polinice ed Ismene.
Quest’opera si pone in diretta continuità con l’Edipo Re; inizia perciò con la sua fine.

Edipo, cacciato da Tebe dopo aver scoperto di esser stato l’assassino di suo padre e di aver sposato la sua stessa madre, si cieca gli occhi e si esilia dalla città di cui è stato re.

I suoi quattro figli, dunque, avrebbero dovuto succedere il padre alla reggenza della città.

Tuttavia, Eteocle, il primo a ricoprire la carica di re, abusa del suo potere bandendo dalla città il fratello Polinice.
Quest’ultimo decide, perciò, di fare guerra al fratello.

Questo tema – la guerra tra Polinice e Eteocle – è il fulcro di un’altra famosissima tragedia, I Sette contro Tebe di Eschilo.

La guerra, però, non finisce bene per nessuno dei due fratelli: Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda.
Qui interviene lo zio Creonte, il quale decide che solo Eteocle può esser seppellito, poiché Polinice è divenuto un traditore della patria muovendo guerra al fratello.

Ed è in questo momento che entra in scena Antigone: personaggio dalla forte morale, emancipata dal contesto sociale, rigida e salda nei suoi ideali.
Antigone è emblema della giustizia personale rispetto alle leggi arcaiche; è l’eroina per eccellenza, portatrice di un sentimento morale molto moderno.

Infatti, Antigone confida alla sorella Ismene di voler seppellire il fratello Polinice e si assume tutta la responsabilità della sua decisione.
Ismene, al contrario, così rispettosa della legge, si rifiuta e cerca di dissuadere Antigone.

Scopriamo però, nella scena successiva, che Creonte scopre la sepoltura del corpo di Polinice e manda qualcuno a sorvegliare la sua tomba per scoprire chi è stato ad opporsi alla legge.

Antigone viene scoperta e portata al cospetto di Creonte. Quest’ultimo, adirato, la condanna a morte. Ma Antigone è ferma sul suo punto: il rito funebre va concesso a tutti gli uomini per volere delle divinità e nessuno può opporsi al loro volere.

L’atto finale è la tragicità pura: per non macchiarsi della colpa di uccidere un familiare, Creonte decide di condannare Antigone ad essere rinchiusa in una grotta dove resterà finché non troverà la morte.

Ma, senza saperlo, Creonte si è già macchiato di un crimine contro gli dèi: il rifiuto del funerale di Polinice.
L’indovino Tiresia gli ricorda questo, e così Creonte decide di andare alla grotta per salvare Antigone.

Tuttavia, giunto alla grotta, scopre cos’è accaduto.
Suo figlio, Emone, innamorato di Antigone, è andato alla grotta per salvarla, ma trovandola impiccata è impazzito di follia, giungendo a uccidersi a sua volta alla vista del padre, fautore di tutto ciò, trafiggendosi con una spada.

Dopo aver saputo di tutti questi avvenimenti, anche Euridice, moglie di Creonte e madre di Emone, decide di darsi la morte.

L’opera si conclude con Creonte, il quale resosi conto dei peccati e dei crimini commessi, invoca gli dei di dargli la morte.

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